1.4 I rivelatori di PHEBUS
1.4.2 Gli anodi del tipo “Resistive Anode Encoder – RAE”
È ormai chiaro che su PHEBUS, per la rilevazione della radiazione luminosa, vengono impiegati dei sensori tipo MCP – RAE. I MCP funzionano da amplificatori di segnale mentre i
21 RAE, che costituiscono l’anodo del sistema di rilevazione dell’immagine. Si tratta di sensori bidimensionali che, utilizzando una struttura a matrice, permettono di analizzare spazialmente il segnale incidente.
I differenti rilevatori possono essere suddivisi in due categorie principali: - anodi ad integrazione e
- anodi a conteggio di fotoni.
In Tabella 1.2 è riportato un breve riassunto delle caratteristiche dei due tipi di anodi. Una panoramica più ampia è riportata in Appendice D.
Nel caso particolare di PHEBUS, gli anodi sono del tipo RAE e rientrano nella categoria degli anodi a conteggio di fotoni.
Un’altra importante differenza tra i vari anodi risiede nel tipo di sorgenti che possono osservare. Mentre quelli ad integrazione possono essere usati per l’osservazione di sorgenti molto luminose (caratterizzate da un flusso di elettroni abbastanza elevato) grazie alla loro elevata dinamica, quelli a conteggio di fotoni, grazie ad una bassa velocità di conteggio, possono essere utilizzati solo per sorgenti deboli (basso flusso fotoni/sec.). Di questo fatto si dovrà tenere conto durante la fase di calibrazione, per evitare di saturare la strumentazione con un flusso di fotoni troppo intenso.
La funzione dei RAE è quella di catturare gli elettroni emessi dai MCP. In linea di principio si potrebbe usare un anodo costituito da una singola piastra conduttrice: in questo caso si otterrebbe solamente l’informazione relativa all’intensità degli elettroni prodotti per fotomoltiplicazione, ma non si avrebbero informazioni relative alla loro distribuzione nello spazio. In alcuni campi applicativi questo può essere sufficiente, ma nel caso specifico di PHEBUS è fondamentale per poter distinguere le righe spettrali dei singoli elementi.
Per come è costruito lo strumento, sul sensore verranno lette contemporaneamente tutte le righe spettrali presenti e per questo è necessario poter risalire alla posizione di ciascuna riga e di ognuna di esse conoscerne l’intensità. L’intensità di ciascuna riga è molto importante perché è legata direttamente alla quantità di quell’elemento presente in un particolare momento nel campo di vista dello strumento.
Ecco perché invece di un semplice anodo costituito da una singola lamina metallica, vengono impiegati i RAE: questo particolare tipo di anodo permette di ottenere, oltre alle informazioni sull’intensità del flusso di elettroni, la loro distribuzione in un piano 2D. In particolare, il piano del sensore è suddiviso in celle, come in una matrice: la lettura di ogni singola cella permette di ricostruire le righe spettrali, fornendo quindi anche l’informazione sulla distribuzione spaziale degli elettroni.
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Anodi ad integrazione Anodi a conteggio di fotoni
Caratteristiche Le cariche fotogenerate vengono
accumulate man mano che si formano ed alla fine del tempo di integrazione vengono estratte con una procedura detta di “DC Restoration”.
Questa procedura ha come
risultato un rumore che viene detto di lettura (read out noise). Ne consegue che a bassi livelli di
segnale non possiamo
considerare la sorgente affetta dal solo rumore di shot (√). Tanto più basso è il rumore di lettura e tanto più possiamo considerare il rivelatore in regime di segnale:
√
Le cariche fotogenerate nel fotocatodo vengono moltiplicate e si viene a formare una nuvola elettronica che va a colpire un anodo raccoglitore e genera un impulso.
Gli impulsi corrispondenti ai fotoeventi vengono quindi contati dopo essere stati discriminati dal rumore prodotto dalla catena elettronica. Proprio per questo tale rivelatore anche a bassi flussi fotonici, si dice che lavora in regime di segnale.
Gli impulsi che arrivano
richiedono un certo tempo
(microsecondi ) per poter essere contati. E quindi il rivelatore non è in grado di contare eventi che si succedono velocemente.
Diverse tipologie Charge Coupled Devices CCD
Charge Injection Devices CID
Rivelatori Infrarossi HgGdTe Intensified CCD ICCD Emulsione fotografica Multi-Anode Microchannel Array MAMA MCP + Wedge&Strip WSA MCP + Anodo resistivo RANICON MCP + Fosforo + CCD ICCD
Tabella 1.2 – Riassunto delle caratteristiche dei rivelatori di radiazione luminosa.
In Figura 1.11 è riportato lo schema del RAE utilizzato su PHEBUS. L’area curva più esterna nello schema indica l’area totale e la forma del sensore: solo una parte di quest’area viene utilizzata per la rilevazione, a causa delle distorsioni introdotte dai bordi curvi, che affliggono questo tipo di anodi .
23 Figura 1.11 – Schema dell’anodo RAE di PHEBUS.
La parte di colore azzurro indica l’area totale del MCP, in riferimento alle dimensioni del RAE. Il MCP ha un diametro maggiore dell’altezza del RAE.
Nel caso di PHEBUS, solo una piccola parte del RAE verrà utilizzata per le misurazioni. Questo perchè le righe spettrali prodotte dal sistema hanno le stesse dimensioni della fenditura di ingresso (che è alta 5,67 mm e larga 282 µm), in quanto non vi è ingrandimento o riduzione delle immagini dovuto alle componenti ottiche del sistema. È quindi possibile effettuare la lettura dei dati della misura considerando solo i pixel centrali dell’anodo, gli unici interessati dalla radiazione incidente. Per questo motivo, un’altezza di 256 pixel (si pensa di ridurre tale altezza a 128 pixel) è sufficiente per leggere tutti i dati relativi alle righe spettrali.
Per quanto riguarda la direzione orizzontale, in base alle simulazioni effettuate utilizzando il modello radiometrico di PHEBUS, risulta che una lunghezza di 512 pixel è sufficiente per raccogliere tutte le righe dello spettro di interesse. Un esempio di questa situazione è riportato nella Figura 1.12, in cui è considerata una ipotetica distribuzione delle righe spettrali sul piano del sensore. Come si può osservare è previsto che queste righe cadano all’interno di quella che è definita come “area utile” del RAE. La lettura dei pixel al di fuori di quest’area comporterebbe un inutile spreco di risorse in termini di tempo di acquisizione, di elaborazione e di banda, senza
24 aggiungere nessuna informazione utile. Questa situazione deve essere attentamente evitata perché le risorse di banda e tempo di calcolo su PHEBUS e in particolare a bordo della BepiColombo sono preziose, soprattutto quando si devono inviare dati a Terra da milioni di kilometri di distanza.
Per completezza, va detto che anche la larghezza di 512 pixel non è ancora definitiva: si sta valutando la possibilità di acquisire 1024 bit, in modo da poter misurare eventuali righe focalizzate al di fuori dell’area utile, oltre alla luce diffusa ed altri disturbi, durante le fasi operative di misura e calibrazione. Si pensa quindi di acquisire la stessa quantità di dati del caso di un’area di 512 x 256 pixel, considerando però una forma differente per l’area utile: 1024 x 128 pixel. Questo dato attualmente è TBD.
Figura 1.12 – Schema dell’anodo RAE di PHEBUS con un ipotetico esempio di righe
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