Capitolo 2 – La spettroscopia VUV
3.3 Filosofia di calibrazione
3.3.1 Spot calibration
Sarà necessario utilizzare un fotodiodo calibrato, che permetta di misurare con precisione l’intensità della radiazione che entra nel baffle. Una volta effettuata la misura tramite i rivelatori di PHEBUS, sarà possibile rapportare tale valore a quello effettivo, misurato con il fotodiodo, stabilendo quindi l’efficienza dello strumento e gli errori di cui è affetto.
Poiché i range di frequenza da coprire sono due, uno corrispondente all’intervallo di operatività del sensore EUV e l’altro all’intervallo di operatività del sensore FUV, si è deciso di utilizzare due sorgenti distinte. Inoltre, in fase di studio sono state individuate due differenti tecniche di calibrazione. Una richiede di riempire totalmente il baffle d’entrata con un unico fascio collimato di dimensioni paragonabili al diametro del baffle: questo tecnica sarà indicata come “Full field calibration”. L’altra invece prevede di effettuare una mappatura del baffle tramite varie misure, utilizzando un fascio di diametro ridotto, piccolo rispetto a quello del baffle; questa tecnica sarà indicata come “Spot calibration”. Entrambe le tecniche, analizzate nei paragrafi seguenti, pongono dei problemi realizzativi.
3.3.1 Spot calibration
Durante l’analisi delle possibili tecniche di calibrazione da impiegare, è emerso il problema di conoscere con precisione l’intensità del fascio UV entrante nel baffle di PHEBUS. Il problema non è banale ed è di difficile soluzione, vista la tipologia di sistema ed il tipo di calibrazione che si deve effettuare. Infatti, si vuole conoscere con esattezza l’intensità della radiazione entrante, mantenendo nel contempo le condizioni operative dello strumento il più possibile simili a quelle reali. Questo implica che deve essere utilizzato un fascio collimato, in modo da simulare una sorgente all’infinito. Lungo il percorso verso il baffle d’entrata non devono essere presenti elementi che possano modificare le caratteristiche del fascio (le sue dimensioni e la sua intensità).
La prima idea a cui si è pensato è stata quella di considerare un unico fascio UV, di diametro sufficiente a riempire tutto il baffle. Questo approccio ha vantaggi e svantaggi. In primo luogo esso simula nella maniera più fedele le condizioni operative dello strumento e permette di effettuare una singola misura per ciascuna lunghezza d’onda di interesse, visto che tutto il baffle è riempito. Tuttavia, pone un grosso problema per quanto riguarda la misura precisa dell’intensità della radiazione entrante in PHEBUS. Infatti, per essere certi di conoscere con precisione tale parametro, è necessario poter misurare l’intensità della radiazione tramite un fotodiodo calibrato. Per fare questo, il fotodiodo deve misurare lo stesso fascio che entra in
39 PHEBUS: è quindi necessario costruire un diaframma delle stesse dimensioni dell’apertura del baffle, da porre di fronte al fotodiodo per schermare parte della radiazione.
Questa operazione tuttavia, non garantisce una misura precisa: per quanto il fascio UV sia ben collimato, sarà caratterizzato da una piccola divergenza. Poiché non è possibile effettuare la misura del fascio con il fotodiodo nella stessa posizione in cui si trova l’entrata del baffle, a causa di questa imperfezione vi sarà una parte di radiazione (per quanto piccola essa sia) che non entrerà nello strumento. Quindi verrà a mancare un dato fondamentale per eseguire la calibrazione. Inoltre, come si vedrà nei Capitolo 5 e 6, l’intensità della radiazione generata dalla sorgente UV per una particolare lunghezza d’onda, ha in alcuni casi valori molto piccoli. Maggiore è l’area su cui si proietta tale fascio, minore sarà l’intensità per unità di area. Questo potrebbe portare ad avere un segnale troppo debole da misurare.
Figura 3.1 – Spot calibration: mappatura del baffle d’entrata con un fascio di piccole
dimensioni.
Per ovviare a questo problema si è pensato ad una soluzione differente, che considera sempre un fascio collimato, ma avente diametro più piccolo rispetto a quello del baffle. L’utilizzo di un fascio di diametro minore permette di misurarne più facilmente l’intensità e garantisce che tutto il fascio entri nel baffle. In Figura 3.1 è riportata la filosofia di calibrazione considerata per questo tipo di soluzione.
40 In Figura sono rappresentati PHEBUS con il baffle d’entrata, il fascio collimato UV di dimensioni inferiori a quelle del baffle, l’operazione di inserimento del fotodiodo e nell’ingrandimento, l’operazione di mappature dell’entrata dello strumento.
L’ingrandimento riporta una possibile mappatura del baffle d’entrata, con un fascio UV avente diametro di 5 mm. Tale maschera è riportata anche in Figura 3.2: la figura è in scala.
Figura 3.2 – Possibile mappatura del baffle d’entrata di PHEBUS. I cerchi neri pieni
rappresentano le zone illuminate del baffle. La figura è in scala.
Questo tipo di mappatura permettere di misurare con precisione l’intensità della radiazione entrante nello strumento e consente di concentrare la radiazione prodotta dalla sorgente UV, ottenendo una maggiore intensità per unità di superficie. Inoltre, consente di analizzare gli eventuali effetti di vignetting e luce diffusa dovuti al bordo del baffle.
Per effettuare la mappatura del baffle, sarà necessario costruire una maschera forata, caratterizzata da uno o più fori calibrati meccanicamente e otticamente. Il disegno della maschera è attualmente TBD. Per effettuare la mappatura del baffle sarà necessario traslare lo strumento in modo da illuminare la zona di interesse: di questo andrà tenuto conto nel progetto del supporto per lo strumento.
L’operazione di inserimento del fotodiodo, rappresentata in Figura 3.1, è fondamentale per conoscere l’intensità esatta del fascio utilizzato per la calibrazione. In particolare, il
41 fotodiodo verrà impiegato per effettuare la caratterizzazione della maschera da porre di fronte allo strumento. Questa operazione sarà effettuata secondo i passi riportati di seguito.
- Per prima cosa verrà misurato con il fotodiodo il fascio UV senza nessun diaframma, in modo da conoscerne l’intensità: indichiamo questo valore con EIN.
- Si provvederà poi a posizionare la maschera di fronte al fotodiodo ed a misurare l’intensità che attraversa il foro: indichiamo questo valore con EOUT.
- Il rapporto E
fornisce la percentuale di radiazione che attraversa la maschera (nell’ipotesi realistica di fascio avente intensità uniforme).
- A questo punto, prima di ogni misura, sarà sufficiente misurare con il fotodiodo il fascio UV che si proietta sulla maschera: conoscendo le caratteristiche di quest’ultima sarà possibile stabilire l’intensità del fascio che la attraversa e che quindi entra nel baffle.
Il vantaggio di questo metodo è che non serve posizionare il fotodiodo dopo la maschera prima di ogni misura: una volta caratterizzata la maschera, sarà sufficiente conoscere l’intensità di tutto il fascio che viene proiettato sul foro per conoscere l’intensità che lo attraversa.