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AGLI ANTIPODI DELLA SELVA OSCURA: LA FORESTA DEL PARADISO TERRESTRE

PERDERSI NELLA SELVA: UN TOPOS RICORRENTE

1.2 DANTE NELLA «SELVA OSCURA»

1.2.4 AGLI ANTIPODI DELLA SELVA OSCURA: LA FORESTA DEL PARADISO TERRESTRE

Dopo aver attraversato Inferno e Purgatorio ed essersi liberato dai propri peccati, Dante giunge alle porte del Paradiso: come al principio del suo viaggio lo circonda una selva, una «divina foresta spessa e viva»112 in cui si odono cantare gli uccelli e soffia un vento soave. Il locus, caratterizzato da una bellezza inaspettata, svolge ancora una volta una funzione fondamentale nel viaggio e nel poema dantesco: oltre ad istituire un collegamento spaziale tra due regni, è la tappa iniziale per l’ascesa all’Empireo e per il processo di purificazione, il principio del viaggio nei cieli del Paradiso al fianco di Beatrice. La bellezza e il fascino del luogo sono dovuti in primis proprio alla sua collocazione, non completamente terrena ma nemmeno celeste, uno spazio di transizione tra la montagna in cui i peccatori scontano le proprie pene e i cieli dei beati. L’Eden si trova, infatti, sulla cima del monte al centro dell’emisfero meridionale, in posizione diametralmente opposta rispetto a Gerusalemme113. È evidente, dunque, la contrapposizione rispetto al luogo oscuro attraversato all’inizio del poema: da un lato una selva che spaventa l’uomo peccatore perché aspra e forte, dall’altro una foresta incantevole (per altro descritta nuovamente tramite una coppia aggettivale, spessa e viva), che conserva l’antico splendore donatogli da Dio quando creò il mondo e che

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Cfr. Purg. XXVIII 2.

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Sulla posizione dell’Eden secondo la Bibbia, Sant’Agostino e i contemporanei di Dante, cfr. Ch.S. Singleton, Rimpianto per l’Eden, in La poesia della Divina Commedia, Bologna, Il Mulino, 1978, pp. 291-309.

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nell’immaginario dantesco rappresenta la felicità raggiungibile nella vita terrena grazie alle virtù morali114. A differenza di altri ambienti felici della letteratura, inoltre, la selva dell’Eden non è fine a se stessa; così la definisce Anna Maria Chiavacci Leonardi nel suo commento al XXVIII canto:

Questa divina foresta dantesca è un luogo di arrivo e insieme di partenza di un viaggio che si muove tra la terra e il cielo; essa sta sul limite dell’itinerario narrato, limite dove finalmente si arriva e da dove si riparte, dove si ritroverà dopo tanta attesa il volto di Beatrice, ma dove anche si lascerà con lacrime la dolce guida di Virgilio115.

La foresta, dunque, è al tempo stesso divina (basti pensare che il paesaggio che la caratterizza, tipicamente primaverile, è immutabile) ma terrena; creata per la specie umana, dopo il peccato originale è diventata un luogo di passaggio transitorio in cui all’uomo è vietato sostare.

L’ingresso nel Paradiso terrestre si preannuncia già alla fine del XXVII canto, quando i due viaggiatori giungono alle porte del nuovo mondo; così le parole di Virgilio descrivono la visuale che coglie di sorpresa Dante una volta arrivato in cima alla scala: «“Vedi lo sol che ’n fronte ti riluce; | vedi l’erbette, i fiori e li arbuscelli | che qui la terra sol da sé produce”»116

. Nel canto successivo gli attributi divina, ‘opera di Dio’ (Gen. II 8), spessa, ‘fitta di vegetazione’, e viva, ‘piena di vitalità’, conferiscono alla descrizione del luogo grande forza espressiva, anticipando la ricchezza di linguaggio che contraddistingue l’intero canto117

. Dai versi seguenti apprendiamo che il suolo emana un profumo gradevole (Purg. XXVIII 6: «su per lo suol che d’ogne parte auliva») e che un vento uniforme e delicato (7-9: «Un’aura dolce, sanza mutamento | avere in sé, mi feria per la fronte | non di più colpo che soave vento») spirando da oriente (come tutto ciò che viene da Dio) muove le fronde e urta piacevolmente la fronte del poeta. Al dato

114 Dante stesso spiega in Mn III xv 7 che cosa rappresentino figurativamente il Paradiso terrestre e quello

celeste: «Duos igitur fines providentia illa inenarrabilis homini proposuit intendendos: beatitudinem scilicet huius vitae, quae in operatione propriae virtutis consistit et per terrestrem paradisum figuratur; et beatitudinem vitae aecternae, quae consistit in fruitione divini aspectus ad quam propria virtus ascendere non potest, nisi lumine divino adiuta, quae per paradisum celestem intelligi datur».

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Cfr. D. Alighieri, Commedia, con il commento di A.M. Chiavacci Leonardi, vol. 2, Milano, Mondadori, 1994, pp. 819-20.

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Cfr. Purg. XXVII 133-35.

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visivo segue quello uditivo: durante le prime ore del mattino si odono cantare degli augelletti, il cui cinguettio è accompagnato dal rumore delle foglie in movimento. Proprio per la risonanza del vento, la selva viene accostata alla pineta di Classe, presso Ravenna, in cui Dante era solito passeggiare; lo spazio, che fino a quel momento appariva agli occhi del lettore quasi surreale e ultraterreno, viene improvvisamente avvicinato ad una dimensione concreta e conosciuta, divenendo più realistico. Dante continua quindi ad inoltrarsi nella «selva antica»118 finché un corso d’acqua limpidissimo, il Letè, ostacola il suo cammino. Ancora una volta il viaggiatore si perde ma è uno smarrimento gioioso, privo di angoscia e turbamento; chi ha ritrovato se stesso non può perdersi:

Già m’avean trasportato i lenti passi dentro a la selva antica tanto, ch’io non potea rivedere ond’io m’intrassi;

ed ecco più andar mi tolse un rio, che ’nver’ sinistra con sue piccole onde piegava l’erba che ’n sua ripa uscìo119

.

Lo sguardo, tuttavia, prosegue oltre il fiume e avverte la presenza di una figura umana, Matelda120, l’unica alla quale sembra essere consentita la sosta nell’Eden. L’apparizione della donna richiama alla mente del poeta la figura di Proserpina121, la quale, citata esplicitamente, riporta la mente del lettore ad un altro spazio letterario: il luogo in cui si trova costei ricorda il bosco ombroso delle Metamorfosi ovidiane all’interno del quale Proserpina camminava prima di essere rapita da Plutone (Met. V 385 ss.). Inoltre, l’accostamento alla figlia di Cerere, che secondo il mito raffigurava la perdita della purezza e della spensieratezza tipiche della giovinezza, anticipa e suggerisce il vero

118 Cfr. Purg. XXVIII 23. Nello stesso canto la selva è anche folta (v.108). Successivamente, nel canto

XXXII, l’autore sceglie invece gli attributi alta e vòta (v. 31) per rievocare la foresta situata sulla vetta del Purgatorio.

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Cfr. Purg. XXVIII 22-27.

120

Per un maggiore approfondimento sulla figura di Matelda cfr. Ch.S. Singleton, Matelda, in La poesia

della Divina Commedia, Bologna, Il Mulino, 1978, pp. 359-75.

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La descrizione dei gesti compiuti da Matelda ricorda anche In un boschetto trova’ pasturella di Cavalcanti, in cui la protagonista è dipinta solitaria (v. 12: «che sola sola per lo bosco gia») nella delicatezza di piccoli gesti quotidiani (tra cui il cantare).

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significato di Matelda: essa incarna, infatti, la felicità umana prima del peccato originale122. Alla donna Dante, mai sazio di apprendere, chiede spiegazione sulla presenza in quel luogo di acqua e vento, contraria a quanto aveva affermato Stazio nel XXI canto (vv. 40-57): la totale assenza nel Purgatorio di qualsiasi alterazione atmosferica e meteorologica affinché non venga turbata la pace dell’uomo. Matelda giustifica tale incongruenza sostenendo che il vento è scaturito dal movimenti dei cieli123, mentre l’acqua sgorga, per volere divino e non per cause naturali, da una sorgente perenne.

La fonte prima della foresta dell’Eden dantesco è senza dubbi la Scrittura, in particolare la Genesi (II 9: «Produxitque Dominus Deus de humo omne lignum pulchrum visu et ad vescendum suave»)124, Isaia (LI 3) ed Ezechiele (XXXI 3)125. Inoltre, come ha dimostrato Nardi126, molti elementi ripresi in questo canto dal poeta della Commedia (il monte, l’aura soave) si rifanno alla tradizione teologica cristiana: i testi dei Padri più autorevoli a quel tempo (in particolare Beda, la Glossa ordinaria, Pietro Lombardo e Bonaventura) e noti a Dante contenevano gran parte delle informazioni rielaborate in questa descrizione del Paradiso terrestre. Ciò che è proprio dell’invenzione dantesca è aver fornito alla foresta divina una collocazione geografica precisa, agli antipodi di Gerusalemme, a simboleggiare l’opposizione tra la prima colpa e il Riscatto, fra il primo Adamo peccatore e il secondo Adamo redentore127. La

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Altri preferiscono vedere nella donna la giustizia naturale, la Filosofia o la Sapienza. Non è da escludere, infine, che Matelda racchiuda tutti questi significati (dal momento che Dante decide di non precisarne nemmeno uno all’interno del poema).

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Differentemente, i venti terreni erano generati, secondo la scienza del tempo, dai vapori imprigionati nella terra.

124 Anche la posizione ad oriente si leggeva già in un passo della Genesi (

II 8): «Et plantavit Deus paradisum in Eden ad orientem et posuit ibi hominem quem finxit». Nonostante la Vulgata di San Gerolamo tradotta dall’ebraico abbia corretto la lezione ad orientem, contenuta nella più antica versione della Bibbia elaborata a partire dal testo greco dai Settanta, con a principio, la versione originale era nota a tutta la tradizione esegetica e di conseguenza anche a Dante.

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Quest’ultimo nomina anche le specie arboree presenti (cedri, abeti e platani), che Dante invece tralascia nella sua descrizione.

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Cfr. B. Nardi, Il mito dell’Eden, in Saggi di filosofia dantesca, Firenze, La Nuova Italia Editrice, 1967, pp. 311-40.

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Uno studioso, A. Graf, evidenzia la vicinanza tra le leggende e le tradizioni popolari medievali e la descrizione dantesca della selva per la posizione limitrofa tra Eden e Purgatorio: «Nelle Visioni il

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credibilità e la storicità conferite a questa selva, anche grazie alle spiegazioni di Matelda sull’origine di fiumi e venti, attribuiscono al luogo una concretezza nuova, inedita, che è tra i principali motivi del fascino di questo paesaggio. Vicini al testo dantesco sono inoltre il passo ovidiano sul ratto di Proserpina (Met. V 388-91), in cui il bosco ha caratteristiche simili a quello del XXVIII canto, e le pagine dei poeti classici che trattano il mito dell’età dell’oro (in particolare Met. I 89 ss.). Troppo vago invece il ricordo del bosco dei campi Elisi, che probabilmente non ha contribuito in modo determinante alla creazione di questo paesaggio128. E sarebbe stato forse contraddittorio scegliere Virgilio, che aveva appena proferito alla fine del XXVII canto le sue ultime parole, come modello per questa descrizione che apre le porte non solo ad un cammino al fianco di un’altra guida, ma anche ad un nuovo linguaggio e ad un nuovo fare poetico.

La divina foresta chiude dunque il poema del peccato e del pentimento e consente al viaggiatore di osservare dall’alto, col senno di poi, l’inizio del suo percorso. Si aggiunga infine un’ultima considerazione: in entrambi i luoghi Dante perde l’orientamento ma nella foresta dell’Eden lo smarrimento è solo fisico e non desta nel poeta alcuna preoccupazione; l’anima è stata lavata e purificata, pertanto il buio e la mancanza di sentieri non spaventano più il viator. Si può concludere, dunque, che non solo il Paradiso terrestre costituisce il completamento e il rovescio, sia a livello spaziale che simbolico, della selva selvaggia dell’Inferno, ma che anche il topos dello smarrimento, svuotato di quella carica metaforica che aveva caratterizzato l’incipit, subisce nel XXVIII canto del Purgatorio un ribaltamento.

Paradiso terrestre è, non di rado, posto in regione assai prossima all’Inferno o al Purgatorio, di guisa che l’anima peregrina passa subitamente dai luoghi di tormento, al luogo di beatitudine. Così nella leggenda del Pozzo di San Patrizio, nella Visione di Thurcill, in quella di Frate Alberico ecc…». Dalle leggende, tuttavia, non emerge chiaramente la posizione dell’Eden agli antipodi di Gerusalemme. Cfr. A. Graf, Il

mito del paradiso terrestre, in Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo, vol. I, Torino, Loescher,

1892, pp. 1-126, a p. 22.

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