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LA CACCIA NEI SOGNI PREMONITORI DEL DECAMERON

L’ATTIVITÀ VENATORIA NEI PRIMI SECOLI DELLA LETTERATURA IN VOLGARE

2.4 LA CACCIA (E LE SELVE) NELLE NOVELLE DEL

2.4.2 LA CACCIA NEI SOGNI PREMONITORI DEL DECAMERON

Un'altra novella del Decameron in cui nel bosco ha luogo una caccia dai caratteri particolari è la sesta della IV giornata: se con Nastagio si era trattato di una visione, nel racconto di Panfilo su Andreuola e Gabriotto l’attività venatoria si svolge nella dimensione onirica. Entrambi i protagonisti, infatti, hanno un sogno premonitore sulla morte del giovane amante e al racconto della donna segue quello di Gabriotto:

“Se io fossi voluto andar dietro a’ sogni, io non ci sarei venuto, non tanto per lo tuo quanto per uno che io altressì questa notte passata ne feci. Il qual fu che a me pareva essere in una bella e dilettevole selva e in quella andar cacciando e aver presa una cavriuola tanto bella e tanto piacevole quanto alcuna altra se ne vedesse giammai; e pareami che ella fosse più che la neve bianca e in brieve spazio divenisse sì mia dimestica, che punto da me non si partiva. Tuttavia a me pareva averla sì cara, che, acciò che da me non si partisse, le mi pareva nella gola aver messo un collar d’oro, e quella con una catena d’oro tener con le mani. E appresso questo mi pareva che, riposandosi questa cavriuola una volta e tenendomi il capo in seno, uscisse non so di che parte una veltra nera come carbone, affamata e spaventevole molto nell’apparenza, e verso me se ne venisse, alla quale niuna resistenza mi parea fare; per che egli mi pareva che ella mi mettesse il muso in seno nel sinistro lato e quello tanto rodesse, che al cuor perveniva, il quale pareva che ella mi strappasse per portarsel via”61

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Il sogno del protagonista condensa al suo interno un gran numero di luoghi letterari ricorrenti: la battuta di caccia all’interno di una selva definita bella e dilettevole e la conseguente cattura di una capriola; il candore dell’animale, simbolo di purezza, e la

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Cfr. Branca, L’Atteone del Boccaccio, p. 238.

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catena d’oro, tipica della simbologia amorosa medievale (forse di origine ovidiana)62 ; infine la presenza di una cagna nera che richiama sia i «grandi e fieri mastini» dell’ottava novella della V giornata, sia le «nere cagne bramose e correnti» dell’Inferno dantesco. La selva ritorna, dunque, all’interno di questa novella del Decameron come spazio deputato ad un’attività venatoria particolare: Gabriotto, infatti, cattura un animale che poi gli diventa fedele e domestico, e con essa riposa finché una veltra non sorprende il loro idillio, strappando il cuore al protagonista. L’incontro all’interno del bosco con la capriola, immaginato in sogno dallo sposo, riproduce il ritrovo reale e segreto con l’amata Andreuola, ambientato invece in un giardino. È come se nella dimensione onirica la donna si trasformasse in fiera a lui devota determinando lo spostamento dell’ambientazione del racconto da un luogo addomesticato come il giardino ad uno selvaggio; in questo spazio immaginario il protagonista va a caccia, ma da predatore diventa ben presto preda sfortunata, anticipando così la morte improvvisa che lo coglierà mentre giace nelle braccia della moglie.

Un altro sogno premonitore in cui è la protagonista femminile ad essere vittima di una bestia feroce è quello raccontato da Talano d’Imolese nella settima novella della IV giornata:

Ora avvenne una notte, essendo Talano con questa sua Margherita in contado a una lor possessione, dormendo egli, gli parve in sogno vedere la donna sua andar per un bosco assai bello, il quale essi non guari lontano alla lor casa avevano; e mentre così andar la vedeva, gli parve che d’una parte del bosco uscisse un grande e fiero lupo, il quale prestamente s’avventava alla gola di costei e tiravala in terra e lei gridante aiuto si sforzava di tirar via; e poi di bocca uscitagli, tutta la gola e ’l viso pareva l’avesse guasto63.

La moglie, convinta che il marito voglia tenerla lontana dal bosco per incontrare un’amante segreta e scettica sulla veridicità dei sogni (perché «“Chi mal ti vuol, mal ti sogna”»64

), si reca di proposito presso il luogo della visione, che ancora una volta diventerà realtà. Il carattere fantastico della novella contrasta con la precisione con cui

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Evidente il dialogo con il sonetto 190 del Canzoniere petrarchesco sulla «candida cerva» con al collo un collare d’oro.

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Dec. IX 7, 5-6.

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la narratrice Pampinea conduce il racconto: lo stesso bosco non è uno spazio generico ma si trova nelle vicinanze di Firenze e della casa dei due sposi. Gli elementi in comune con il sogno di Gabriotto sono diversi: innanzitutto l’ambientazione del sogno in un contesto boschivo; la presenza di una fiera pericolosa, in un caso una cagna, nell’altro un lupo; infine l’attacco repentino dell’animale nei confronti dell’uomo, impotente e disarmato. Per quanto riguarda il paesaggio va sottolineato che in entrambe le novelle Boccaccio attribuisce alla selva aggettivi positivi quali bella e dilettevole; il lettore rimane dunque ancora più sorpreso all’apparizione delle fiere selvagge: il luogo ameno, generalmente sfondo di vicende a lieto fine, diventa eccezionalmente teatro di cacce in cui l’uomo è vittima sfortunata, dando vita ad un evidente contrasto tra spazio e azione.

Il filo conduttore che unisce le principali cacce nel bosco del Decameron è il ribaltamento dei ruoli attribuiti a uomo e fiera rispetto alla normale attività venatoria condotta dall’uomo medievale: non è l’essere umano a dominare l’animale selvaggio e a renderlo una sua preda, ma viceversa. Tale tematica, inoltre, entra sempre all’interno della raccolta di novelle sotto forma di visione o premonitoria e destinata a verificarsi nella realtà diurna (tali sono i sogni di Gabriotto e Talano) o salvifica e portatrice, pur nella sua brutalità, di un insperato lieto fine (come la caccia infernale “vista” da Nastagio degli Onesti).

I prossimi testi di cui si occupa questo capitolo, appartenenti ai Rerum vulgarium fragmenta, mettono invece in scena una caccia tra esseri umani in cui l’inseguimento, il tentativo di cattura fisico della preda, rappresenta metaforicamente la ricerca sentimentale dell’innamorato e il desiderio di veder ricambiato il proprio amore. Si vedrà tuttavia che la battuta di caccia di Petrarca, a differenza di quella di Nastagio, pur nella sua insistenza e costante ripetitività, non conduce mai il poeta all’obiettivo sperato.

2.5 LA METAFORA VENATORIA NEL CANZONIERE DI