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Antonio Guglielmi, uno dei sette deportati di Grumolo Pedemonte

Nel documento LE PORTE DELLA MEMORIA 2018 (pagine 34-40)

“Ho compiuto i 18 anni nel lager”.

Antonio Guglielmi, uno dei sette deportati di Grumolo Pedemonte

Intervista del 20 giugno 2017

Sono stato preso nel rastrellamento del 26 agosto del 19441, alle cinque di mattina, ero a letto. I rastrellatori erano Tedeschi e Fascisti. A Grumolo io fui il primo ad essere catturato, abitavo allora poco lontano dalla latteria, lungo la strada che portava alla Ca’ Vecia; fui portato a piedi alla latteria dove aspettava un camion. Si proseguì verso la Ca’ Vecia e lungo la strada furono raccolti altri giovani. Ci hanno radunati alla Ca’ Vecia, dove sono arrivati altri camion pieni di prigionieri. Poi mi hanno portato in prigione a Thiene per due giorni e poi a Vicenza a San Biagio, 8-10 giorni, quindi a Peschiera del Garda e lì hanno fatto lo smistamento, durato uno, due giorni e ci hanno caricato in carri bestiame e inviato in Germania. A Vicenza ho potuto incontrare brevemente i miei genitori. Di Grumolo siamo stati catturati in 7, ora solo io sono ancora vivo, sono tutti morti; poi ce n’erano da Lugo e da Carrè, tutti morti anche loro.

- Il sig. Antonio va a prendere un libro in un’altra stanza, vuol far vedere che il rastrellamento è citato e anche la deportazione di sette giovani di Grumolo. Si tratta del libro Grumolo Pedemonte, Storia di una comunità civile e religiosa2. Osserva la mancanza dei nominativi dei sette deportati.

Ricordo i compagni di Grumolo Pedemonte partiti con me, Brazzale Aggeo “Angelo”, Sella Aldo, Binotto Battista, Crosara Pietro, Bortoli

“Pierini” Francesco, Turle Giuseppe; due della mia classe Crosara e Turle, e gli altri più vecchi. Alcuni avevano fatto il militare e si erano sbandati dopo l’8 settembre3. Di Centrale era Dal Santo Giacometto

“Talian”, di Lugo erano Pasin Giovanni, Strozzo Venuto, un Grazian e Dal Bianco “Il Moretto”, di Carrè Cornolò Placido e Calgaro Gildo conosciuto come “Il Duce”che abitava in via Rua.

Ricordo che alla Ca’ Vecia i Tedeschi avevano piazzato una mitragliatrice con la quale hanno sparato anche verso Zugliano; poi si è inceppata e allora hanno chiamato uno dei prigionieri, Aldo Sella, per sbloccarla. Lui, inesperto, si è bruciato le mani per il calore e i Tedeschi si sono messi a ridere4. Siamo entrati nel Reich per il Brennero e a Innsbruck è stato fatto lo smistamento; mi hanno mandato in un campo di concentramento, un po’

particolare perché era stato ricavato all’interno di una cartiera, il Lager Papierfabrich a Bruck an der Mur in Stiria.

Alla cartiera siamo arrivati di sera e ricordo che ci hanno dato da mangiare pannocchie di granoturco, bianco, cotto nell’acqua, in bidoni usati per contenere benzina, petrolio.

Dopo ci hanno mandati a dormire, siamo rimasti lì per pochi giorni. Da quel campo andavamo a lavorare poco lontano. A piedi raggiungevamo la stazione ferroviaria di Bruck an der Mur e poi in treno fino a Hafendorf (vicino a Kapfenberg) distante 5 Km e sempre a piedi raggiungevamo la fabbrica Gebr. Böhler & Co.

Antonio Guglielmi all'età di 22 anni

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In settembre ero ancora nel lager Papierfabrich e poi ci hanno trasferiti, vicino alla fabbrica, nel lager Ramsauer Plateau. La fabbrica5 era molto grande, formata da tanti capannoni, dicevano che fosse una ditta americana requisita dai Tedeschi.

Si lavorava 12 ore al giorno dal lunedì al sabato, una settimana 12 ore di giorno e una settimana 12 ore di notte.

Il campo era delimitato da reticolati e dietro al campo di concentramento c’era la contraerea;

ogni tanto gli Alleati venivano a bombardare ma noi siamo stati fortunati, non abbiamo mai avuto danni. Dormivamo su letti a castello con le tavole messe sul lato corto, con pagliericcio di paglia, prima di noi c’erano prigionieri francesi che avevano lasciato i pagliericci disfatti e ridotti in polvere. Mi hanno dato un paio di sgalmare (Schuh), una tuta grigia, pantaloni e giacca. Alle suole delle sgalmare avevo applicato delle lamette di ferro per farle durare di più. Eravamo stati presi d’estate per cui non avevamo vestiti pesanti; la tuta che ci era stata fornita era di sacco, materiale leggero che non proteggeva dal freddo. Per andare al lavoro, sopra alla giacca, mettevamo sulle spalle l’unica coperta che avevamo, tenuta ferma da un chiodo. Penso che dal lager alla fabbrica la distanza fosse di circa 2 Km che facevamo due volte al giorno, passando per la stazione ferroviaria di Hafendorf.

Il nuovo lavoro consisteva nel costruire parti dei carri armati, i famosi Tigre. Noi facevamo le fiancate, unendo le varie parti con delle grosse saldature, noi facevamo lo scheletro. Io ero addetto al controllo delle saldature, dovevo eliminare la scoria e controllare la qualità delle saldature. Facendo luce con una lampadina e usando il gesso e un martello, dovevo segnare col gesso se c’erano problemi. Interveniva poi un capo e uno passava con la mola elettrica per togliere la saldatura mal riuscita e si doveva rifarla. Noi facevamo lo scheletro e la torretta. Quando le fiancate corazzate erano pronte c’era una gru che camminava da una campata all’altra, le agganciava e le caricava sul treno che entrava fin dentro la fabbrica. Questi elementi venivano portati a Graz per il completamento dei carri armati, con cingoli, motore e altro.

Sa quante volte ho pianto per il male agli occhi, lavorando dentro al carro armato per battere via la scoria protetto da maschera, che a poco serviva, a fianco di un altro che saldava quasi a contatto con me usando l’acido e gli occhi mi bruciavano e lacrimavano? Quanto male mi facevano e allora mi dicevano per calmare il dolore di mettere sugli occhi le bucce di patate, ma dove andavo a prendere le bucce? Se ne avessimo avute, le avremmo mangiate!

Carta d'identità per lavoratori rilasciata a Antonio Guglielmi il 3 ottobre 1944.

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Faceva molto freddo e per riscaldarmi, quando non ero controllato, applicavo l’elettrodo del saldatore alle lamiere fino a farlo diventare rosso e in questo modo mi riscaldavo un po’. Come conseguenza l’elettrodo finiva in briciole; ma nessuno mi controllava.

Quando c’erano gli allarmi aerei, tutti andavano nel rifugio mentre io con altri pochi e il capo rimanevamo in fabbrica, protetti in un piccolo riparo, dotati di maschera ed elmetto, pronti ad intervenire in caso di bombardamento. Quando il turno era di notte capitava spesso che passavo delle ore nel rifugio dentro la fabbrica. Vicino alla fabbrica si trovava una montagna all’interno della quale era stato ricavato un rifugio dove andavano operai e Tedeschi in caso di allarme. I bombardamenti alleati ci hanno sempre risparmiati, eppure la fabbrica era molto grande; hanno interessato le città di Graz, Linz e altre.

Ricordo un avvenimento che mi fece molta impressione. Le fiancate e le torrette venivano stampate a caldo da presse enormi. Ricordo che un Russo che lavorava con me si è sistemato sopra una lamiera appena trattata per riscaldarsi, ma con l’allarme veniva staccata la corrente elettrica e la pressa è venuta giù …schiacciandolo.

Una volta alla fine del lavoro, siamo tornati al campo e mi ero appena disteso sulla branda quando c’è stato un allarme aereo; siamo andati al rifugio dove siamo rimasti dalla sera alle sei alla mattina alle sei, in tempo per andare al lavoro.

Un mese prima che la guerra finisse mi hanno portato a scavare fossi anticarro, verso Vienna, per cercare di rallentare i Russi che si stavano avvicinando. Ci assegnavano dei tratti da fare e finito il tratto potevamo tornare al campo di concentramento, a piedi. Non avevamo più alcuna energia e voglia di lavorare perché ci mancavano le forze.

Mangiavamo pochissimo; il pane era in filoni e ad ognuno di noi davano una fettina (con le mani cerca di dare l’idea della quantità di pane che riceveva, misure da fetta biscottata), un piccolo mestolo di acqua e rape, rare volte c’erano anche delle carote, ma più spesso solo rape. Alla sera al lager ancora minestra di rape. Al lager prendevo il rancio con una bella ciotola di terracotta. Ricordo che nella fabbrica il pavimento era ricoperto da un tavolato di legno, ormai mal ridotto, per cui i tedeschi hanno deciso di eliminarlo e di sostituirlo. La tavole da sostituire venivano tagliate in pezzi abbastanza lunghi. Senza essere visto sono riuscito a nascondere sotto la giacca alcuni pezzi, nascosti anche dalla coperta che mi mettevo sulle spalle e li ho portati nella baracca dove avevamo una stufa che funzionava con carbone coke, però per noi introvabile. Se mi avessero scoperto a rubare i pezzi di legno avrei avuto dei bei problemi!

I lavori per i fossi anticarro venivano fatti di notte e al mattino, eravamo in aprile, tempo adatto per piantare le patate, le loro Kartoffeln, stavamo tornando al campo e siamo passati vicino a campi dove da poco erano state piantate le patate. Noi abbiamo cercato di prenderne, ma i Tedeschi si sono accorti e si sono fatti minacciosi e abbiamo lasciato perdere….

Noi non abbiamo mai visto i Russi, ma un contatto c’è stato. Si è trattato di un mitragliamento fatto dai Russi diretto verso la fabbrica; una pallottola ha colpito l’orologio Nella fabbrica c’era l’orologio e una pallottola ha colpito un orologio da parete. Otto, dieci anni dopo la fine della guerra ho fatto una viaggio con la moglie, una figlia, che poi è mancata, e suo marito e ho visitato anche la zona della fabbrica. Volevo visitare

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l’interno della fabbrica, ma non mi hanno lasciato entrare, ma da fuori ha visto l’orologio ancora con l’ammaccatura della pallottola.

Prima che finisse la guerra i Tedeschi ci hanno radunati e caricati su carri bestiame e portati verso il Tarvisio. Ci hanno portati al confine, prima ancora che arrivassero gli Americani, perché temevano che ci rivoltassimo contro di loro.

Dal Tarvisio abbiamo fatto il viaggio fino a casa tutto a piedi. Avevamo i piedi fasciati da stracci perché non avevamo più scarpe. Delle donne lungo la strada ci hanno chiesto da dove venivamo e ci hanno offerto da bere e da mangiare. Siamo arrivati a Padova e poi Vicenza. Potevamo tagliare la strada, evitando Padova, ma avevamo paura di incontrare gli Americani e di essere portati a Udine per il periodo di quarantena. In effetti gli Americani li abbiamo visti a Pontebba, vicino al Tarvisio, diretti in Austria. Arrivati a Vicenza, con me c’erano, Cornolò Placido di Carrè e un Manzardo chiamato Ganassa, alto, magro, di Lugo, morti anche loro, abbiamo incontrato uno con un biroccio. Nonostante l’incitamento di una donna a nostro favore affinché costui ci desse un passaggio, lui tirò dritto. Arrivati a Thiene abbiamo incontrato Mattio Ciappacan (Matteo Contro una figura mitica della Thiene di allora, il 1° Maggio portava sempre un garofano rosso sul bavero della giacca, fedele al suo credo politico n.d.r.), che ci ha accolti con calore e che ha chiamato un’ambulanza

per portarci fino a casa, tutti e tre. Sono arrivato a casa a sera e la voce del mio ritorno si è sparsa subito.

Ho evitato di entrare in casa perché ero pieno di pidocchi e sono andato nell’orto a cambiarmi. I pidocchi li chiamavamo “la croce uncinata”. Era il 12 maggio 1945.

Del gruppo catturato il 26 agosto, siamo stati i primi a tornare e poi sono tornati anche gli altri. Fortunatamente tutti vivi.

Ricordo che Battista Binotto è tornato dopo qualche giorno e subito qualcuno è venuto ad avvertirmi del suo arrivo, incredulo, perché Battista indossava bellissimi stivali neri.

Lettera inviata alla famiglia tramite la Croce Rossa Internazionale. Manca la data, ma la residenza di Antonio Bruck an der Mur, colloca questa lettera nel primo periodo

dell'internamento, quando il lager era Papierfabrich, presso una cartiera. Si noti l’eliminazione del nome del lager mediante ritaglio della carta. Antonio attribuisce questo alla censura.

Il retro della lettera era destinato alla risposta da parte della famiglia. In questo caso non è stato usato.

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L’apparenza era questa. Ma in realtà il povero Battista aveva fatto la strada a piedi nudi e aveva piedi e gambe nere per il fango e lo sporco!

A pochi giorni dalla liberazione Battista era stato spostato in un altro luogo, non so dove e non so il motivo per cui non siamo tornati assieme.

Tornando ai miei compagni di sventura, Angelo Brazzale e Aldo Sella, dopo un breve periodo passato assieme a me, durante il quale venivano mandati a lavorare in fonderia sempre della Böhler a Sankt Marein im Mürztal, un centro non molto lontano da dove mi trovavo (n.d.r. la distanza tra i due centri è di 13 Km percorsi in treno), sono stati spostati in un lager nelle vicinanze della fonderia. Ricordo che Grazian un giorno è tornato dal lavoro nella fonderia ed è andato in infermeria perché un getto di materiale fuso lo aveva colpito al piede. Battista Binotto era nel mio stesso campo e ha lavorato nello stesso capannone dove lavoravo io, ma in un’altra campata, e usava una macchina a carburo che ritagliava le lamiere. Pietro Crosara e Giuseppe Turle sono stati divisi dal nostro gruppo e inviati a lavorare in Germania. Un compagno, non ricordo il paese, ha avuto un grave infortunio e ha perso una gamba. Per questo fatto è stato rimpatriato.

Con me, nello stesso campo c’era anche Giacometto Dal Santo di Centrale, classe 1925, che dopo il ritorno ha fatto il collocatore. Nella fabbrica faceva il mio stesso lavoro e ci alternavamo nel controllo delle saldature. Lui mi è sempre stato grato perché l’ho aiutato, nel viaggio di ritorno, quando non riusciva a reggersi in piedi per la debolezza. Il carro bestiame che ci trasportava verso l’Italia, scoperto, era stracolmo e Giacometto non aveva trovato un posto per sedersi, allora gli ho ceduto il mio posto. Arrivato al Tarvisio è stato ricoverato in ospedale per cui è tornato qualche tempo dopo.

- Il signor Antonio mostra documenti e corrispondenza della prigionia, soddisfatto per averli conservati per tutti questi anni e commentando che non tutti hanno conservato questi cimeli! Fa notare il timbro della censura e delle parti ritagliate perché non risultasse il lager dove era rinchiuso.

Ho ricevuto delle lettere da casa e in alcune venivo informato che sarebbero arrivati dei pacchi con vestiario e cibo. In una - che mostra - si annuncia l’arrivo di vestiario pesante e tabacco. Il tabacco avrebbe fatto comodo per scambiarlo con cibo. Ma non è mai arrivato nulla! I pacchi e le lettere venivano spediti da Bolzano per mezzo di uno di Grumolo che lavorava a Bolzano, Piero Comberlato “Pierin dea Nea”, pensando che la posta sarebbe arrivata prima. Non mi risulta che qualcuno dei miei compagni di sventura siano mai arrivati pacchi.

- Gli è capitato di chiedersi come faceva a farsi la barba in Germania, perché ricordava di non avere avuto né rasoio né altro, ma poi, pensandoci bene, ha trovato la risposta: non aveva bisogno di tagliarla, perché non era ancora cresciuta! Antonio Guglielmi compì i 18 anni, il 4 novembre 1944, da lavoratore coatto!

      

1 Si tratta del rastrellamento che aveva come obiettivo la distruzione di un reparto garibaldino segnalato nella zona di Marola, proveniente dalla Val Leogra e diretto sull’Altopiano di Asiago.

Nello scontro persero la vita due partigiani. Con l’occasione i nazifascisti vollero colpire le forze partigiane che sulle Bregonze si stavano rafforzando.

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        Vedi Ferdinando Offelli, 70° Anniversario della Battaglia di Marola (1944-2014), a cura dello SPI CGIL, del Comune di Chiuppano e dell’ANPI.

Vedi inoltre sito Centro studi Anapoli - Montecchio Precalcino

2  Nazareno Leonardi e Giovanni Thiella “Grumolo Pedemonte, Storia di una comunità civile e religiosa”, Tip. Sumanin Conselve, dicembre 1984, pag.156. Vengono riportate alcune parti della relazione che il parroco don Gasparo Zonta ha inviato al vescovo di Padova alla fine della guerra, il 27 settembre 1945. Questa la breve citazione: “...nel rastrellamento del 26 agosto 1944, furono deportati in Germania 7 parrocchiani e fu bruciata una stalla con fienile per avervi trovato vecchie armi nascoste...”.

3 Nell’agosto 1944 ci fu un bando per l’arruolamento dei nati nel primo semestre 1926. Il secondo semestre 1926 in realtà non venne mai chiamato alle armi dalla RSI. Guglielmi Antonio, Crosara Pietro, Turle Giuseppe sono tutti del secondo semestre 1926 per cui non erano renitenti alla leva.

Tuttavia i Tedeschi avevano un gran bisogno di mano d’opera per cui tutte le occasioni erano buone per inviare in Germania giovani necessari al loro sforzo bellico.

Antonio Guglielmi al suo ritorno si è avvalso della dispensa del servizio militare essendogli stata riconosciuta la deportazione ai fini dell’assolvimento del servizio militare.

4 Il fatto è ricordato anche da Fulvio Calgaro “Risso” classe 1936 che nell’incontro del 6 novembre 2017 ha aggiunto: ”il poveretto ha appoggiato le mani bruciate sulla porta della chiesa di Marola implorando la Madonna di aiutarlo”.

5 Vedi testimonianza di Lorenzo Rubechi, IMI di Città di Castello

http://www.lanazione.it/umbria/cronaca/2014/01/27/1016881-lavoravo_fonderia_scheletro_morte_fame_ecco_come_sono_salvato.shtml

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Sabato 26 agosto 1944 prima dell’alba le colline delle Bregonze furono

investite da un grande rastrellamento nazifascista e sedici giovani

Nel documento LE PORTE DELLA MEMORIA 2018 (pagine 34-40)

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