Comune di Thiene
LE PORTE DELLA MEMORIA 2018
Iniziative per commemorare
il Giorno della Memoria e il Giorno del Ricordo
Programma
Giovedì 25 Gennaio
Teatro Comunale – Viale Bassani - Thiene
Proiezione del film OSCAR di Dennis Dellai, con la partecipazione di Rosa Marion Klein Conduce la prof.ssa Patrizia Ferronato, docente di storia e filosofia del Liceo F.
Corradini.
Iniziativa riservata agli studenti degli Istituti superiori e CFP di Thiene Venerdì 26 Gennaio
Teatro Comunale - Viale Bassani – Thiene
Proiezione del film OSCAR di Dennis Dellai, con la partecipazione di Rosa Marion Klein Conduce la prof.ssa Nicoletta Panozzo docente di lettere dell’I.C. di Thiene.
Iniziativa riservata alle classi terze delle scuole secondarie di primo grado di Thiene, Fara Vic.no, Sarcedo e Zugliano
Venerdì 26 Gennaio
Auditorium Città di Thiene “Fonato” - Via Carlo del Prete – Thiene PAROLE CHE UNISCONO, PAROLE CHE DIVIDONO.
A cura di Paola Valente, insegnante di scuola primaria, scrittrice e autrice di libri per ragazzi.
Iniziativa riservata agli studenti delle classi V delle scuole primarie di Thiene Sabato 27 Gennaio
Teatro Comunale - Viale Bassani – Thiene
Proiezione del film OSCAR di Dennis Dellai, con la partecipazione di Rosa Marion Klein e del regista Dennis Dellai.
Conduce il prof. Daniele Fioravanzo, docente di storia e filosofia del liceo F. Corradini Iniziativa riservata agli studenti degli Istituti superiori e CFP di Thiene
Domenica 28 Gennaio
Teatro Comunale - Viale Bassani – Thiene
16 GIOVANI DELLE BREGONZE DEPORTATI NEI LAGER TEDESCHI - il rastrellamento nazifascista del 26 agosto 1944.
Testimonianza di Antonio Guglielmi, unico dei deportati ancora vivente.
Conduce il prof. Ferdinando Offelli, letture della prof.ssa Valentina Maculan.
partecipazione di Luciano Zanonato.
Immagini delle Bregonze tratte dalla recente pubblicazione “Bregonze” a cura dei fotografi Giuseppe Stella e Valter e Luca Borgo.
Iniziativa in collaborazione con l’Istituto scolastico S.ta Dorotea rivolta alla cittadinanza – ingresso libero
Giovedì 8 febbraio
Teatro Comunale - Viale Bassani - Thiene
LA TRAGEDIA DEGLI ESULI GIULIANO-FIUMANO-DALMATI
In collaborazione con l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia.
A cura della prof.ssa Adriana Ivanov, scrittrice e testimone.
Conduce la prof.ssa Nicoletta Braga, docente di lettere dell'ITET A. Ceccato Iniziativa riservata agli studenti degli istituti superiori e CFP
A seguire incontro per le classi terze delle scuole secondarie di primo grado di Thiene e Zanè.
C’ERA UNA VOLTA AL DI LA’ DELL’ADRIATICO UN PEZZO D’ITALIA, ISTRIA, FIUME E DALMAZIA. CON LA GUERRA SONO VENUTE LE FOIBE E L’ESODO.
Conduce la prof.ssa Nicoletta Panozzo, docente di lettere dell’I.C. di Thiene.
Momenti musicali con il Gruppo Flauto e Coro della Scuola Media Ferrarin diretti da Fiorella Fragnito e Domenico Zamboni.
Venerdì 9 febbraio, ore 15
Auditorium Città di Thiene “Fonato” - Via Carlo del Prete – Thiene
IL PASSATO CHE NON PASSA. FASCISMO, COMUNISMO E QUESTIONE NAZIONALE IN EUROPA ORIENTALE NEL NOVECENTO.
A cura del prof. Francesco Privitera, docente di storia delle relazioni internazionali - Università di Bologna.
Conduce la prof.ssa Maria Luisa Nofrate, docente di storia e filosofia del liceo F.
Corradini.
Iniziativa in collaborazione con il liceo F. Corradini rivolta agli studenti di tutti gli istituti superiori e alla cittadinanza – ingresso libero
Venerdì 9 febbraio, ore 20.30
Auditorium Città di Thiene “Fonato” - Via Carlo del Prete – Thiene
QUALE SALVATORE: HITLER O CRISTO? Romano Guardini critico dell’ideologia A cura del prof. Giulio Osto, docente di Teologia, Facoltà Teologica – Padova.
Conduce Luca Bortoli, giornalista de La Difesa del Popolo.
Iniziativa per la cittadinanza – ingresso libero
Teatro Comunale – viale F.Bassani 18/22 - Thiene (VI) Auditorium Fonato - Via Carlo Del Prete – Thiene (VI)
Giorno della Memoria – 27 gennaio legge n. 211 del 20 luglio 2000
"Istituzione del "Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti"
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 177 del 31 luglio 2000
Art. 1
1. La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.
Art. 2
1. In occasione del "Giorno della Memoria" di cui all’articolo 1, sono organizzati
cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di
riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è
accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi
nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed
oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi
non possano mai più accadere.
“Istituzione del “Giorno del Ricordo” in memoria delle vittime delle foibe,
dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati”
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 86 del 13 aprile 2004
Art. 1
1. La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del Ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.
2. Nella giornata di cui al comma 1 sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende. Tali iniziative sono, inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell'Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano- dalmate residenti nel territorio nazionale e all'estero.
3. Il “Giorno del Ricordo” di cui al comma 1 è considerato solennità civile ai sensi dell'articolo 3 della legge 27 maggio 1949, n. 260. Esso non determina riduzioni dell'orario di lavoro degli uffici pubblici né, qualora cada in giorni feriali, costituisce giorno di vacanza o comporta riduzione di orario per le scuole di ogni ordine e grado, ai sensi degli articoli 2 e 3 della legge 5 marzo 1977, n. 54.
4. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Art. 2
1. Sono riconosciuti il Museo della civiltà istriano-fiumano-dalmata, con sede a Trieste, e l'Archivio museo storico di Fiume, con sede a Roma. A tale fine, è concesso un finanziamento di 100.000 euro annui a decorrere dall'anno 2004 all'Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata (IRCI), e di 100.000 euro annui a decorrere dall'anno 2004 alla Società di Studi fiumani.
2. All'onere derivante dall'attuazione del presente articolo, pari a 200 mila euro annui a decorrere dall'anno 2004, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l' accantonamento relativo al medesimo Ministero.
3. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Art. 3
1. Al coniuge superstite, ai figli, ai nipoti e, in loro mancanza, ai congiunti fino al sesto grado di coloro che, dall' 8 settembre 1943 al 10 febbraio 1947 in Istria, in Dalmazia o nelle
apposita insegna metallica con relativo diploma nei limiti dell'autorizzazione di spese di cui all'articolo 7, comma 1.
2. Agli infoibati sono assimilati, a tutti gli effetti, gli scomparsi e quanti, nello stesso periodo e nelle stesse zone, sono stati soppressi mediante annegamento, fucilazione, massacro, attentato, in qualsiasi modo perpetrati. Il riconoscimento può essere concesso anche ai congiunti dei cittadini italiani che persero la vita dopo il 10 febbraio 1947, ed entro l'anno 1950, qualora la morte sia sopravvenuta in conseguenza di torture, deportazione e prigionia, escludendo quelli che sono morti in combattimento.
3. Sono esclusi dal riconoscimento coloro che sono stati soppressi nei modi e nelle zone di cui ai commi 1 e 2 mentre facevano volontariamente parte di formazioni non a servizio dell'Italia.
Art. 4
1. Le domande, su carta libera, dirette alla Presidenza del Consiglio dei ministri, devono, essere corredate da una dichiarazione sostitutiva di atto notorio con la descrizione del fatto, della località, della data in cui si sa o si ritiene sia avvenuta la soppressione o la scomparsa del congiunto, allegando ogni documento possibile, eventuali testimonianze, nonché riferimenti a studi, pubblicazioni e memorie sui fatti.
2. Le domande devono essere presentate entro il termine di dieci anni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Dopo il completamento dei lavori della commissione di cui all'articolo 5, tutta la documentazione raccolta viene devoluta all'Archivio centrale dello Stato.
Art. 5
1. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è costituita una commissione di dieci membri, presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri o da persona da lui delegata, e composta dai capi servizio degli uffici storici degli stati maggiori dell'Esercito, della Marina, dell'Aeronautica e dell'Arma dei Carabinieri, da due rappresentanti del comitato per le onoranze ai caduti delle foibe, da un esperto designato dall'Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata di Trieste, da un esperto designato dalla Federazione delle associazioni degli esuli dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia, nonché da un funzionario del Ministero dell'interno. La partecipazione ai lavori della commissione avviene a titolo gratuito. La commissione esclude dal riconoscimento i congiunti delle vittime perite ai sensi dell'articolo 3 per le quali sia accertato, con sentenza, il compimento di delitti efferati contro la persona.
2. La commissione, nell'esame delle domande, può avvalersi delle testimonianze, scritte e orali, dei superstiti e dell'opera e del parere consultivo di esperti e studiosi, anche segnalati dalle associazioni degli esuli istriani, giuliani e dalmati, o scelti anche tra autori di pubblicazioni scientifiche sull'argomento.
Art. 6
1. L'insegna metallica e il diploma a firma del Presidente della Repubblica sono consegnati annualmente con cerimonia collettiva.
2. La Commissione di cui all'articolo 5 è insediata entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e procede immediatamente alla determinazione delle caratteristiche dell'insegna metallica in acciaio brunito e smalto, con la scritta «La Repubblica italiana ricorda», nonché del diploma.
3. Al personale di segreteria della commissione provvede la Presidenza del Consiglio dei ministri.
l'anno 2004. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
3. Dall'attuazione degli articoli 4, 5 e 6 non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Alcune recensioni del film Oscar di Dennis Dellai
Alessandra Dall'Igna VICENZA
Grande emozione ed entusiasmo per la prima ufficiale del film “Oscar”, proiettato martedì sera al Ridotto del Comunale di Vicenza davanti ad una affollata platea di addetti ai lavori e rappresentanti delle istituzioni.
Il nuovo film del regista e giornalista del Giornale di Vicenza Dennis Dellai ha saputo raccontare, attraverso una scrittura, una regia e una fotografia autentiche e non edulcorate per uso e consumo del grande pubblico, un pezzo di storia vicentina sconosciuta ai più, accendendo il vivido ricordo dei rastrellamenti, delle code per la razione di pane, dell'oscurità dei rifugi antiaerei, del cieco odio verso gli ebrei. Ma anche del coraggio e della generosità di uomini e donne qualunque, dimenticati dalla Storia.
Un'opera corale nella quale ognuno dei personaggi possiede una propria personalità e soprattutto una dignità narrativa in grado di trascinare il pubblico dentro al cuore della storia, quella del musicista e jazzista ebreo Oscar Klein che al tempo della seconda guerra mondiale visse ad Arsiero con la sua famiglia per sfuggire alle deportazioni dei nazisti.
E se in un primo momento lo sguardo degli spettatori inevitabilmente vaga per lo schermo alla ricerca di luoghi e volti familiari, l'attenzione viene poi catturata dalla trama che regala lacrime e risate, colpi di scena e profonde riflessioni, e dalla convincente interpretazione del cast, buona parte del quale composta da attori non professionisti.
E questo è probabilmente l'aspetto più sorprendente e miracoloso di “Oscar”, ovvero che ci si trova di fronte ad un film in costume low budget che ha coinvolto 900 comparse, finanziato da una manciata di imprenditori coraggiosi, girato di domenica con telecamere poco più che amatoriali da una squadra di volontari che hanno dedicato sei anni della loro vita a questo progetto, curandone la post produzione e la colonna sonora originale.
«Riguardando il film ho rivissuto una ad una tutte le riprese - afferma Dennis Dellai - e le difficoltà incontrate in questi sei anni di lavoro. Di certo non è un film perfetto, ma mi auguro sia riuscito a trasmettere un’emozione. Ringrazio di cuore chi ha creduto fino alla fine in questo progetto».
L’immagine simbolo di questa serata, e del motivo profondo che ha spinto Dellai e la sua squadra a impegnarsi così duramente, è certamente l'abbraccio sul palcoscenico tra l'Oscar cinematografico - l'attore Leonardo Pompa - e la vera sorella Rosa Marion Klein.
«Io sono figlia di Alessandro e Agnese, sorella di Oscar - dice visibilmente emozionata la
signora Klein dopo la proiezione della pellicola - e a nome loro voglio dire grazie per questo
capolavoro che ha saputo raccontare la nostra vita. La cosa più incredibile è che Dennis,
pur non conoscendoli, ha saputo cogliere l'essenza della mia famiglia, e in particolare di
Oscar». Tanti i camei di personaggi più o meno conosciuti del Vicentino, su tutti un
gioviale giocatore di carte che apre il film: il sindaco di Thiene Giovanni Battista Casarotto.
Ora la pellicola verrà proiettata al cinema Verdi di Breganze, all'interno della rassegna
“Giornate di cinema 2016”, domenica 17 e lunedì 18 aprile.
“Oscar”, ovvero il coraggio di sognare
di Stefano Messuri 14.04.16
Summertime è la stagione che segna l'inizio di questo racconto: note immortali spezzano un silenzio di paura e salgono altissime a svelare una veduta aerea di perfetta armonia, come la natura senza l'uomo, un ‘suono' di colori; dalla stessa altezza il rumore osceno dei bombardieri rompe l'incantesimo, mitraglia inutilmente una piazza vuota e costringe alla fuga l'ultimo uomo, che suona.
Forme diverse della stessa materia umana creano il miracolo della musica e producono la follia di chi vuole zittirla.
Oscar è questo: un pezzo di vita attraversato dalla forza dei sentimenti; vergogna di leggi razziali e solidarietà, tradimento e vendetta, amore e distacco, forza del sogno e libertà, musica.
E necessità della memoria, unamemoria che può esprimersi tutta intera in una sola lacrima.
Sono temi noti, li abbiamo già incontrati al cinema, sui libri e nei ricordi, e proprio per questo difficili da maneggiare: da un lato funzionali alla presa sul pubblico, dall'altro esposti al pericolo del già visto, alle lusinghe della retorica.
Dennis Dellai ha corso questo rischio, ma ne esce vincente.
Oscar emoziona lasciando addosso un groviglio di sentimenti che non va più via; conduce la sua vicenda particolare al significato universale che tutti (ri)conosciamo, con la forza della semplicità;
l'esatto opposto del semplicismo, o della banalità.
Raccontare in modo semplice significa conoscere la materia che si modella, liberarsi da scorie retoriche e ideologiche, calpestare la stessa terra che si descrive, respirare la stessa aria di quelle persone, parlare la loro lingua, ascoltarne la voce.
Ilfilm prende le mosse da una storia vera, ma non sarebbe bastato questo a renderlo “credibile”: lo diventa in mano ai suoi autori perché rispetta il principio ineludibile di coerenza interna del racconto, mantiene il patto con lo spettatore, la prima regola da osservarsi per chiunque prenda in mano una penna o una macchina da presa.
Per riuscirci serviva la collaudata alchimia del duo Dellai‐Turbian, la loro competenza nella scrittura e nella regia, l'onestà intellettuale e l'umiltà di chi racconta senza mettersi in cattedra, di chi mostra senza giudicare e senza appoggiarsi al facile puntello del senno del poi.
La scrittura e la regia di Oscar offrono un fedele autoritratto dei suoi autori, che firmano una sceneggiatura solida, antiretorica e priva di eccessi o caricature; convincente anche nelle figure chiave più difficili, nei chiaroscuri narrativamente ‘pericolosi' da affrontare in una prospettiva storica ancora pulsante. È molto efficace, ad esempio, la descrizione di quei funzionari in buona fede abbandonati a se stessi da uno stato fantoccio, costretti dall'«alleato» all'osservanza di leggi inconcepibili, fino allora (in parte) mitigate dal buon senso popolare e dalla solidarietà tra simili;
diventano quindi credibili la rappresentazione del loro sconcerto, la certezza del rifiuto di ordini illegittimi e infami.
Non manca la scena ‘dura', comunque calibrata in funzione narrativa, perché sempre di tragedia
stiamo parlando; il contrappunto delle sequenze di alleggerimento (la festa in piazza, i momenti di
allegria, la ‘normalità') evidenzia per contrasto l'assurdità di una guerra incomprensibile alla gente,
e la pericolosa china assolutoria nei confronti della violenza cui porta ogni conflitto, a prescindere
dalle appartenenze: “niente processo per i traditori”. In questo Dellai conferma un equilibrio di stile già chiaro nel fortunato precedente di Terre Rosse.
La sua regia (affiancata dall'immancabile aiuto Davide Viero) è sicura e naturale, mai debordante, precisa nelle sequenze corali, misurata e rispettosa nei ritratti intimi e nei dialoghi.
Dellai controlla da professionista la luce e la macchina da presa, rivela di amare il cinema e i suoi maestri. Non sfugge l'omaggio a Spielberg e all'indimenticabile cappottino rosso di Schindler's List [anche Schindler si chiamava Osc(k)ar], qui tuttavia rievocato in funzione salvifica e risolutiva;
la colonna sonora attraversa ogni inquadratura, una musica che diventa (anche) condivisione, segno di solidarietà che si materializza nel vinile ‘proibito' di Gershwin, simbolo e testimone di un sogno di libertà e della volontà di perseguirlo.
Una bella fotografia accompagna e sostiene la linea narrativa, alternando con maestria toni e luci, il montaggio ‘scompare' abilmente nelle sequenze di azione.
Il cast è in stato di grazia. Leonardo Pompa e Sara Lazzaro offrono un'interpretazione intensa ed equilibrata; Piergiorgio Piccoli padroneggia la scena, Anna Zago è all'ennesima conferma, Davide Dolores, Guido Laurjni e Loris Rampazzo tra i ruoli più riusciti, Carlo Properzi Curti crea un personaggio difficile da dimenticare. Nel cameo finale l'indiscutibile spessore di Mariano Rigillo.
«Eravamo pieni di sogni, volevamo solo la libertà di poterli vivere» ‐ dice Oscar.
Con grande impegno, forza e passione Dennis Dellai ha raggiunto il suo.
In «Oscar», la storia scritta dalle persone, oltre l'ideologia
Di Luca Bortoli www.difesapopolo.it
Denis Dellai ha completato in sei anni il suo secondo film dedicato all’ultima guerra. Il cineasta amatoriale thienese racconta la vicenda del jazzista ebreo Oscar Klein che, con la sua famiglia, riesce a scampare alla deportazione ad Auschwitz degli internati che erano stati raccolti nel campo di lavoro di Tonezza del Cimone. La soddisfazione e la fatica di girare nei ritagli di tempo mettendo assieme tutti gli attori, tra cui 940 comparse, restando all’interno di un budget davvero ristretto.
È l’inverno del ’43. Un gruppo di partigiani fa irruzione in osteria, all’orario di chiusura. La notte è già scesa sulla Valdastico e copre il rapimento dell’oste Giovanni, trombettista scalzato dalla banda del paese dall’ebreo Oscar Klein. È l’invidia cieca a fare di Giovanni la spia che denuncia all’occupante nazista la presenza della famiglia austriaca di origini giudaiche in paese ad Arsiero:
una denuncia che paga con la morte, giustiziato dagli stessi partigiani.
È in questa scena che si concentra il messaggio più puro di Oscar, la seconda opera del cineasta amatoriale thienese Dennis Dellai, giornalista de Il Giornale di Vicenza che bissa il successo di Terre rosse con un lungometraggio in cui torna a raccontare gli anni bui della seconda guerra mondiale nell’Alto Vicentino.
Oscar, presentato il 5 aprile a Vicenza, tra domenica 17 e lunedì 18 ha ricevuto il tributo del numerosissimo pubblico che ha affollato per quattro proiezioni in due giorni il cinema Verdi di Breganze. «Anche questa volta – spiega il regista – abbiamo scelto di raccontare la storia dei singoli, degli individui, non quella delle ideologie. Emerge quindi la vicenda personale di chi, più che in base alla divisa, ha vissuto e agito a partire dalle relazioni e dalle proprie convinzioni personali».
Il bianco e il nero, con cui siamo abituati a dipingere la storia, nel film di Dellai assumono invece un tono più vero che ripercorre molte delle esperienze che fra il 1940 e il 1945 hanno vissuto i paesi e le contrade venete: su tutte quella del podestà di Oscar, costretto a ubbidire all’occupante eppure compiacente con l’ebreo, amico dei suoi figli.
Già perché il film descrive, romanzandola, la biografia del jazzista di successo Oscar Klein, che con la sua famiglia è scampato al rastrellamento del campo di lavoro di Tonezza (raccontato da Dellai) durante il quale 40 ebrei vennero deportati ad Auschwitz nel ’44 senza far più ritorno. Una narrazione suggerita da Giannico Tessari, anima de “Le porte della memoria” con cui Thiene ricorda ogni anno la
Shoah e l’eccidio delle foibe, e apprezzata da Rosa Marion Klein, sorella di Oscar interpretata da Eleonora Fontana, che da anni porta la sua testimonianza nelle scuole della provincia.
La soddisfazione di Dellai è palpabile, ma il regista non nasconde nemmeno la fatica. «Abbiamo concluso un’odissea di sei anni – confessa – Girare nei ritagli di tempo, mettere insieme tutti gli attori, tra cui le 940 comparse (una comunità come l’ha definita Stefano Messuri, presidente del Cineforum di Breganze, ndr) è stato tutt’altro che facile. Arduo in particolare mantenere il filo della narrazione e fare i conti con l’evoluzione della tecnologia digitale: abbiamo sostituito quattro telecamere nel tempo, il che ha significato rendere omogeneo materiale molto differente a livello fotografico».
E poi non va dimenticato l’aspetto economico: lontano anni luce non solo dalle faraoniche produzioni hollywoodiane, Oscarè un prodotto da 50 mila euro finanziato da quattro imprenditori locali. «È per quest’atto di fiducia, oltre che per l’“armata Brancaleone” di folli che mi segue in queste avventure che non ho mollato durante la lavorazione».
Nei ricordi di Dellai, assistito da Davide Viero come aiuto regista e dallo sceneggiatore Giacomo Turbian, rimarrà la collaborazione con Mariano Rigillo, grande professionista che con umiltà si è calato in quello che è ben di più di un cammeo, e ha portato con sé sul set anche la moglie e la figlia.
Oscar è in sala al cinema Odeon di Vicenza domenica 24 (ore 20.30) e lunedì 25 aprile (ore 19.30). Alcune proiezioni sono in fase di programmazione anche fuori provincia.
Oscar: quando la musica ti può salvare
Di Paolo Perlini
Tanti dubbi e poche ma solide convinzioni, questo è il mio credo. E sono sempre più convinto che in qualsiasi attività artistica siano necessarie due qualità: una buona storia (o una buona musica, un soggetto da ritrarre) e passione, tanta. Tutto il resto è benvenuto ma non necessario. Ne riscontro la prova sempre più spesso ascoltando musicisti sconosciuti che suonano negli angoli delle strade o che si fanno conoscere attraverso il web oppure illustratori, disegnatori che, sempre attraverso la rete rendono pubblici i propri lavori.
La stessa cosa succede nel cinema: se hai una buona storia, la voglia di raccontarla e un gruppo di amici che ti segue, puoi impiegare sei anni per produrre un film, spendere un budget ridicolo e realizzare un’opera che non ha nulla da invidiare ai colossal hollywoodiani.
È questo il caso di "Oscar", secondo lungometraggio del regista Dennis Dellai che torna ad emozionarci dopo "Terre Rosse".
Oscar Klein è un giovane musicista ebreo al confino ad Arsiero, un paese dell’Alto Vicentino. Il suo talento lo scopriamo nei primi minuti, quando una festa di paese viene interrotta dall’arrivo di due aerei militari. La sirena invita tutti a scendere nel rifugio, la piazza resta deserta, con gli strumenti a terra e gli spartiti che svolazzano. Lui passa di lì, vede la tromba, la tentazione è forte e inizia ad intonare Summertime, un pezzo che ci accompagna numerose volte nel film.
Grazie alla musica conquista la simpatia di Vittorio e della sorella Emma, figli del podestà, ed entra a far pare della banda del paese diretta dal parroco don Franco. Dopo l’8 settembre le cose cambiano, arriva l’occupazione tedesca ed Oscar e la sua famiglia sono costretti a fuggire, grazie all’aiuto di Emma, il parroco e una rete di partigiani.
Il regista ama definire il suo come un “cinema di comunità” perché in molti hanno partecipato a questo progetto, gratuitamente e con quello che potevano offrire: la comparsata, un aiuto sul set o nel trasporto dei materiali, la realizzazione delle scenografie, la fornitura di oggetti da collezione, divise e vestiti dell’epoca, nonché le armi. Un film low budget che ha coinvolto quasi mille comparse, girato nel tempo libero, ovvero la domenica perché non vivendo di cinema tutti hanno un altro lavoro che li impegna. Un film che narra una storia vera, con qualche licenza dovuta ad esigenze narrative e la cui realizzazione è un’altra storia a parte.
“Cinque anni di riprese, un anno di post produzione. In tutto questo tempo abbiamo visto i figli crescere” ha detto il regista dopo la proiezione.
Numerosi sono gli aneddoti che rendono questo film una storia nella storia, perché quando si hanno pochi soldi bisogna ingegnarsi: se ti serve un treno ferroviario per girare una delle scene più complesse e spettacolari, non puoi chiederlo a Trenitalia, il noleggio ti costerebbe quanto l’intero film. Però, se casualmente vieni a sapere che un prete della Bassa Veronese (per chi non lo sapesse, secondo il proverbio i veronesi sono tutti matti, a modo loro e in modalità diversa) tiene in giardino sei vagoni dismessi da Trenitalia diventa logico muoversi, andare a spiare oltre le siepi, consultare sacrestani e perpetue. E alla fine questo prete lo trovano ed è vero quanto si dice, nel giardino non tiene Biancaneve e i Sette Nani ma proprio i vagoni di un treno, che gentilmente mette a disposizione.
Curiose sono state anche le difficoltà per ottenere il visto della censura, giudizio più volte respinto non per la qualità o i contenuti del film ma perché non erano rispettate sciocchezze come la lunghezza dei titoli di coda, inevitabilmente lunghi dato il numero di partecipanti e comparse che avevano lavorato gratuitamente e la troupe intendeva ringraziare.
Un film in cui ci sono omaggi a registi illustri: la sagoma di Vittorio e la storia che gira intorno al disco di Summertime ricorda il trombettista amico del "Novecento" di Tornatore; la bimba con il cappotto rosso richiama "The Schindler List". Citazioni che il regista non nasconde, anzi, le trasforma in un omaggio ai grandi del cinema.
Una storia che commuove, che ci fa capire come siamo tutti uguali e tutti diversi e basta poco per diventare traditori o eroi, nonostante gli sforzi di don Franco, che ai musicisti della banda diceva: “Qui siamo tutti uguali, la musica ci unisce”.
Un desiderio che nel film si è infranto. Nella realtà invece, il trombettista ebreo Oscar Klein, diventato un jazzista di fama, suonerà insieme a Romano Mussolini, jazzista, figlio di colui che promulgò le leggi razziali. Infine un film che ti fa capire quanto una buona storia e tanta passione producano bellezza. Il resto e tutto trucco.
La memoria non basta
di Paola Valente
Il ricordo di ciò che ha informato la vita degli esseri umani è scritto nei documenti della storia, insieme alle varie interpretazioni. E’ la memoria oggettiva, fatta di date, di cifre e di avvenimenti. C’è anche un ricordo più profondo, il ricordo del cuore, inciso nella carne di chi è stato protagonista e spesso vittima della storia. E’ un ricordo che si tramanda di generazione in generazione e che non finisce mai di bruciare, iscritto nelle cellule corporee come una mappa del dolore.
Chi non ha vissuto la shoah è un testimone che non sa, ma immagina e la sua sofferenza è appunto immaginativa: si mette in qualche modo nei panni di chi ha perso la vita, la dignità, la famiglia, il senso di appartenenza all’umana congerie e si batte perché ciò non succeda mai più.
I testimoni diretti del massacro operato dai nazifascisti sono quasi scomparsi. Restano coloro che hanno raccolto i loro racconti, guardato le foto, letto i documenti, coloro che desiderano sapere e comprendere come la divisione delle persone in gruppi abbia potuto determinare la sopraffazione dei più deboli.
C’è anche un altro tipo di testimone indiretto. E’ colui che nega la shoah, che la minimizza, che giustifica i torturatori perché, in qualche modo, le vittime se la sono andata a cercare, perché è convinto che esistano razze inferiori che premono ai confini nazionali per minare il suo benessere faticosamente costruito, perché i torturatori
“hanno anche fatto molte cose buone”. Commemorare il martirio degli ebrei, dei rom, degli omosessuali, delle persone che non appoggiavano il nazifascismo non è sufficiente per ricostruire un rapporto sano con tutta l’umanità.
Mentre da un lato si deprecano i fatti accaduti quando in Europa imperversavano i totalitarismi, dall’altro si erigono muri per difendere ciò che è chiamato “identità nazionale”, senza rendersi conto che tale divisione crea il rischio che tali fatti si ripetano. Mettere un’etichetta a un essere umano definendolo in base al sesso, alla religione, all’etnia di appartenenza, alle idee espresse significa che quell’essere umano non è considerato per ciò che sente e ciò che fa, ma per ciò che il pregiudizio gli attribuisce. Sei un migrante? Ebbene, sei automaticamente uno scansafatiche che ha attraversato il mare con il telefonino in tasca per approfittare della nostra accoglienza.
Sei un rom? Automaticamente sei un ladro. Sei un omosessuale? Automaticamente sei un pervertito. Sei una donna? Automaticamente sei una proprietà del maschio. Sei un musulmano? Automaticamente sei un terrorista. E così via.
Il pregiudizio impedisce qualsiasi dialogo ed è il muro più alto e invalicabile che esista.
“Non sono razzista, ma …” era un tempo il refrain di chi viveva di pregiudizi. Ora il razzista si vanta di esserlo perché ha trovato una valvola di scarico alla propria infelicità. Quando si alimenta dentro di sé l’odio contro qualcuno, si crea un mostro sempre più affamato, che invade la mente con tentacoli innumerevoli. Quando gli odiatori si riuniscono in gruppi, danno forma all’odio, trasformandolo in ideologie e in politica, ideologie e politica che la gente semplice accetta appunto perché sono idee
semplici, efficaci, divisive. E’ molto più semplice e efficace attribuire pregi e difetti a una categoria che conoscere gli uomini a uno a uno.
I morti nei campi di sterminio avevano una propria, meravigliosa unicità che non ci è più dato di conoscere. Il nazismo si preoccupò, prima di uccidere, di cancellare l’unicità dei prigionieri: ne cancellarono prima il nome, sostituito da un numero; quindi uniformarono i corpi rasando i capelli, vestendoli tutti uguali, affamandoli, sfruttandoli, infine bruciandoli tutti insieme, che si mescolassero in un ammasso indistinto di cenere. Era il loro modo, crudele e inumano, di ribadire come quelle persone appartenessero a un’unica categoria da distruggere senza pietà. Non importava se i bambini subivano la stessa fine: erano pur sempre ebrei, sarebbero cresciuti, avrebbero propagato la loro “razza”. L’idea di razza come connotazione di inferiorità non risparmia neppure i bambini, gli innocenti.
La memoria non basta e non bastano neppure le innumerevoli, per fortuna, testimonianze storiche. Prova ne sia, fra l’altro, il rigurgito fascista e nazionalista che pervade il nostro Paese. Non si difende la propria identità culturale senza sapere che tale identità è un insieme di prestiti da tantissime altre culture. Non esiste una cultura omologata e chiusa in se stessa e, se esistesse, sarebbe destinata ben presto a perire, soffocando se stessa in idee e norme rigide e obsolete. Bisogna perciò partire dai più giovani, lasciarli liberi di esplorare il mondo senza inculcare in loro idee pregiudiziali, rispondere alle loro domande non con teorie ma con i fatti.
Non è raccomandando di rispettare gli altri che noi insegniamo ai più giovani il rispetto. Le prediche sono assolutamente inefficaci. E’ l’esempio che conta: i nostri figli rispetteranno gli altri nelle misura in cui li rispettiamo noi. Rispetteranno l’ambiente perché vedono che noi lo rispettiamo. Leggeranno e si informeranno in proporzione a quanto lo facciamo noi. Combatteranno contro le disuguaglianze e le prepotenze se anche noi lo faremo. Per gli adulti, questa si chiama responsabilità.
Il 26 agosto 1944 un grande rastrellamento nazifascista ha colpito le colline delle Bregonze e 16 giovani sono stati deportati e costretti al
lavoro coatto.
Mi capita sempre più spesso di riconoscere che senza l’istituzione del Giorno della Memoria, il 27 gennaio di ogni anno, istituito con legge dello Stato nel 2000, molte storie e molte vicende della Seconda Guerra Mondiale sarebbero andate perse per sempre.
Il pericolo che un momento di riflessione e di fare memoria possa diventare rituale e diventare una celebrazione retorica è sempre presente, ma pensiamo alle numerosissime iniziative e ricerche che ogni anno vengono proposte e fatte conoscere in ogni angolo d’Italia, sulla spinta dell’appuntamento del 27 gennaio.
Ultima della serie il rastrellamento delle Bregonze del 26 agosto 1944 che ha significato la deportazione e il lavoro coatto per almeno 16 giovani dei Comuni di Carrè, Zugliano e Lugo di Vicenza.
Qualcosa di questo rastrellamento si sapeva, qualche ricerca era stata fatta, ma per avere la consapevolezza delle dimensioni e della durezza di quel rastrellamento bisognava avere davanti i nomi e i volti delle vittime, dei giovani catturati e deportati.
Otto mesi di lavori forzati hanno segnato questi giovani per sempre, nel fisico e nel morale.
Sono tornati distrutti e non hanno raccontato nulla o quasi o forse non hanno trovato chi stesse ad ascoltarli. Il disastro della guerra era stato così grande, con famiglie che avevano avuto i figli a combattere e a morire in mezzo mondo e chi era tornato vivo non faceva notizia perché alla fin fine era stato fortunato.
Antonio Gugliemi è l’ultimo di loro ancora fra noi e anche lui ha raccontato poco;
fortunatamente, all’età di 90 anni, ben portati, ha deciso che la sua storia e quella dei suoi compagni doveva essere conosciuta.
La ricerca ha voluto comprendere tutti i giovani che quel sabato 26 agosto sono stati catturati e deportati, uno era padre di un bambino di pochi mesi, altri avevano 17 o 18 anni, altri ancora erano soldati che con l’8 settembre avevano deciso che non volevano più saperne di fare la guerra, avevano già sofferto abbastanza.
E’ stato possibile, grazie ad Antonio Guglielmi e ai famigliari dei compagni di sventura ricostruire qualcosa della loro prigionia, poco per la verità, per il motivo che ho detto e anche perché la maggior parte di loro è deceduta, ancora giovani, da molti anni, fra gli anni ‘70 e ’90. Però almeno un quadro di questa dura e disumana vicenda ora è stato disegnato.
Non è l’unico caso di deportazioni dimenticate o rimosse. A fine febbraio 1945, ben 10 Thienesi, quasi tutti della Conca sono stati catturati nelle loro case, deportati nel lager di Bolzano e costretti a lavorare per i Tedeschi. Anche di questo rastrellamento è rimasto nella memoria molto poco. E si potrebbe continuare.
Per chi non ha vissuto la guerra, ormai non c’è più nessun testimone, viene da pensare che la nostra zona, abbia sì patito, scontri, deportazioni, morti ed esecuzioni, ma non nella misura reale; c’è l’idea che siamo stati risparmiati da sorti peggiori che toccarono ad altre zone del Paese. Per molti giovani addirittura la Guerra da noi non è mai esistita!
Non è così, ricerca dopo ricerca emerge che la nostra terra ha sofferto e ha pagato un tributo di sangue molto grande; è bene saperlo e soprattutto ricordarlo.
Giannico Tessari
10 FEBBRAIO: DEDICATO AD EGEA
Guardare indietro per guardare avanti non è un paradosso, ma la lezione di vita che la storia vorrebbe insegnare ad ognuno di noi, per trarre l’insegnamento da imitare, per spazzar via l’errore e l’orrore da non ripetere. E le commemorazioni, le date simbolo, gli anniversari mirano ad individuare una pagina del passato che bussi alla porta della nostra conoscenza, della nostra coscienza, della nostra umanità, sollecitando il sapere, la consapevolezza, la riflessione. E’ quanto auspica la data del 10 Febbraio, che dal 2004 coincide con il Giorno del Ricordo, istituzionalizzato con voto quasi unanime del Parlamento, al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’ esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.
Nella giornata…sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado…
I giovani, sì, non solo quelli attuali, ma anche quelli ormai adulti e maturi che per sessant’anni, fino appunto al fatidico 2004, non hanno trovato cenno nei loro testi scolastici della tragedia delle foibe e dell’esodo, per una congiura del silenzio - come la definì l’ allora presidente Napolitano - che non perdonava agli esuli il fatto di esser fuggiti al 90% in quasi 350.000 dalle loro terre, ormai jugoslave e sottoposte al regime comunista del maresciallo Tito, come se fossero tutti fascisti.
Privati dei diritti fondamentali, perseguitati in quanto italiani, unici tra i connazionali ad aver sperimentato sulla loro pelle non solo il nazifascismo come il resto della nazione, ma anche il comunismo reale, pagarono il prezzo della sciagurata guerra cui Mussolini ci aveva condotto anche con la perdita del suolo natale, un territorio che equivale quasi ad una regione come le Marche.
Pagarono agli errori del fascismo il prezzo in assoluto più alto di tutto il conflitto, proprio loro
accusati di essere fascisti in fuga. Erano in fuga da un altro totalitarismo, frutto dell’ espansionismo
nazional- comunista di Tito, pur avendo compiuto dopo il fatidico 8 settembre 1943 scelte sofferte e
diversificate come tutti gli altri connazionali: non solo repubblichini di Salò per difendere il confine
orientale dalle mire dei partigiani di Tito, ma anche combattenti tra le fila della Resistenza, forze
regolari a fianco degli anglo- americani nel risalire la penisola, internati IMI nei campi di prigionia
germanici per essersi rifiutati di collaborare coi tedeschi…