«Ognuna delle asseverazioni che compongono questa definizione (o tentativo di definizione) andrebbe analizzata» , 291 questa la raccomandazione di Luporini, in uno dei suoi ultimi interventi su Leopardi, relativamente al seguente passo:
Il lirico, primogenito di tutti; proprio di ogni nazione anche selvaggia; più nobile e più poetico d'ogni altro; vera e pura poesia in tutta la sua estensione; proprio d'ogni uomo anche incolto, che cerca di ricrearsi o di consolarsi col canto, e colle parole misurate in qualunque modo, e coll'armonia; espressione libera e schietta di qualunque affetto vivo e ben sentito dell’uomo .292
Si è visto nel capitolo precedente con quali argomenti, di ordine sia storico-genetico (primogenito di tutti; proprio di ogni nazione anche
selvaggia), sia teorico-tipologico (più nobile e più poetico d'ogni altro; vera e pura poesia in tutta la sua estensione), Leopardi ridefinisce la
teoria e la gerarchia dei modi e dei generi poetici all’insegna non solo della centralità e del primato della lirica, ma dell’uguaglianza
Cesare Luporini, Decifrare Leopardi, cit., p. 200.
291
Zib. 4234, 15 dicembre 1826.
stabilita tra i concetti di poesia e di lirica. Nei successivi punti di questo ‘tentativo di definizione’, Leopardi stabilisce prima di tutto il carattere universale della poesia-lirica, propria di ogni uomo anche
incolto. Indica, inoltre, due qualità essenziali della lirica, dalla cui
conciliata complementarità deriva in effetti la sua definizione formale: essa è motivata teleologicamente, cioè corrisponde al fine dell’uomo di ricrearsi o di consolarsi; e consiste nell’espressione libera e
schietta di ciò che si prova intensamente e vivacemente (qualunque affetto vivo e ben sentito). La saldatura che lega questi diversi aspetti
non è ovvia e rivela invece, a un’analisi più approfondita, basi profonde negli approdi della riflessione gnoseologica e antropologica di Leopardi, compiuti e ormai definitivi a quest’altezza cronologica.
Inoltre, verso la fine dello stesso pensiero la lirica è definita da Leopardi «prodotto dalla natura vergine e pura» e «sua legittima figlia», ribadendo ancora una volta la associazione di natura e poesia osservata nelle occorrenze del motivo della natura che parla lungo lo
Zibaldone e in particolare nel brano dell’I’ mi son un. Simili occorrenze
della parola ‘natura’ in luoghi cronologicamente bassi dello Zibaldone costituiscono uno dei luoghi problematici maggiormente discussi dalla critica, nonché dalle implicazioni più ampie in merito alla complessiva ricostruzione del pensiero leopardinao. Ben nota, al riguardo, la querelle che ha visto Solmi farsi sostenitore della tesi del perpetuarsi nel pensiero maturo di Leopardi di una concezione benefica e provvidenziale di natura, la quale affiancherebbe il manifestarsi di un pensiero pienamente materialista-pessimista ; 293
Due concetti ‘confusi’ in un unico termine.
tesi alla quale si è contrapposto Timpanaro, il quale rivendica invece la coerenza e la sistematicità complessiva della svolta leopardiana, che senza essere netta e lineare, segna ad ogni modo una transizione compiuta e intransigente tra le due concezioni di natura .294
Collocandosi nel solco dell’interpretazione di Timpanaro, ma sottolineando con particolare forza come essa contempli la «persistenza, in tutta la carriera dello scrittore, dell’idea di positività degli impulsi vitali dell’uomo e degli altri esseri viventi» , Emilio 295 Bigi ha invitato a intendere, nei passi dello Zibaldone in questione,
il termine ‘natura’ non tanto, come nella prima formulazione della teoria del piacere, come entità benefica e provvidenziale, quanto invece come una «passione elementare ed essenziale nel vivente» , come un innato insopprimibile istinto e un impulso 296
vitale di ogni essere vivente .297
Nel suo contributo, Bigi si sofferma sulle corrispondenze tra l’inclinazione dell’uomo alla vitalità, all’attività, al vigore, all’energia e l’opzione di Leopardi per una poesia sentimentale e malinconica. Egli privilegia gli aspetti tematici e stilistici della poetica leopardiana, e tratteggia sotto questo profilo l’emergere di un carattere poetico
Per un bilancio sintetico sull’argomento cfr. Cosetta Veronese, Il ‘sistema’
294
dello Zibaldone e i suoi lettori: Solmi e Timpanaro a confronto, in Lo
Zibaldone di Leopardi come ipertesto, Atti del Convegno internazionale, Barcellona, Universitat de Barcelona, 26-27 ottobre 2012, a cura di Maria de las Nieves Muñiz Muñiz, Firenze, Olschki, 2013, pp. 451-60.
Emilio Bigi, La teoria del piacere e la poetica del Leopardi (2001), in Id., Una
295
vita più vitale. Stile e pensiero in Leopardi, a cura di Cristina Zampese,
Venezia, Marsilio, 2011, p. 40. Zib. 2434, 8 maggio 1822.
296
Emilio Bigi, La teoria del piacere e la poetica del Leopardi, cit., p. 42.
‘moderno’, contrapposto all’’antico’ . L'accezione di ‘natura’ 298 secondo la quale essa si identifica con l’impulso dell’individuo esistente per la vita è, in un certo senso, ciò che permane dell’idea di una natura benefica e provvidenziale dopo la decostruzione e la confutazione di quell’idea . Si veda il seguente passo del 31 ottobre 299 1823, opportunamente citato da Bigi al riguardo:
L'amor della vita, il piacere delle sensazioni vive, dell'aspetto della vita ec. delle quali cose altrove, é ben consentaneo negli animali. La natura é vita. Ella é esistenza. Ella stessa ama la vita, e proccura in tutti i modi la vita, e tende in ogni sua operazione alla vita. Perciocch'ella esiste e vive. Se la natura fosse morte, ella non sarebbe. Esser morte, son termini contraddittorii. S'ella tendesse in alcun modo alla morte, se in alcun modo la proccurasse, ella tenderebbe e proccurerebbe contro se stessa. S'ella non proccurasse la vita con ogni sua forza possibile, s'ella non amasse la vita quanto più si può amare, e se la vita non
Cfr. ivi, p. 40: «direi, per esporre subito la tesi del presente intervento,
298
che una funzione primaria nell’esprimere, potenziare e soddisfare questa tensione a una vita vitale sia attribuita dal Leopardi alla poesia, e non solo alla poesia antica, ma anche proprio alla poesia moderna, sentimentale e malinconica».
Cfr. Cesare Luporini, Decifrare Leopardi, cit., p. 199: «Sembrerebbe
299
davvero potersi concludere che quel costrutto (nesso di poesia e filosofia, agli alti livelli) non abbia più bisogno di siffatto puntello [la natura]. Epperò sarebbe una conclusione semplicistica, smentita da testi rilevantissimi zibaldonici degli anni seguenti [al 1823]. La questione è più complessa. Proprio in rapporto alla poesia ‘lirica’, di cui in quegli anni sempre più argomentatamente farà l’esaltazione – proclamandone un assoluto primato quale, in sostanza, l’unica vera poesia (ma quasi senz’avvedersene compie anche una riforma dell’idea di liricità, rispetto alla canonizzata tradizione letteraria) – assistiamo a una ricomparsa in senso positivo della nozione di ‘natura’, tale che in certi momenti sembra contraddire del tutto la critica della natura ‘matrigna’ e il contrasto assiologico con essa».
fosse tanto più cara alla natura, quanto maggiore e più intensa e in maggior grado, la natura non amerebbe se stessa (vedi la pagina 3785. principio), non proccurerebbe se stessa o il proprio bene, o non si amerebbe quanto più può (cosa impossibile), né amerebbe il suo maggior possibile bene, e non proccurerebbe il suo maggior bene possibile (cose che parimente, come negl'individui e nelle specie ec., così sono impossibili nella natura). Quello che noi chiamiamo natura non é principalmente altro che l'esistenza, l'essere, la vita, sensitiva o non sensitiva, delle cose. Quindi non vi può esser cosa né fine più naturale, né più naturalmente amabile e desiderabile e ricercabile, che l'esistenza e la vita, la quale é quasi tutt'uno colla stessa natura, né amore più naturale, né naturalmente maggiore che quel della vita. (La felicità non é che la perfezione il compimento e il proprio stato della vita, secondo la sua diversa proprietà ne' diversi generi di cose esistenti. Quindi ell'é in certo modo la vita o l'esistenza stessa, siccome l'infelicità in certo modo é lo stesso che morte, o non vita, perché vita non secondo il suo essere, e vita imperfetta ec. Quindi la natura, ch'é vita, é anche felicità.). E quindi é necessario alle cose esistenti amare e cercare la maggior vita possibile a ciascuna di loro. E il piacere non é altro che vita ec. E la vita é piacere necessariamente, e maggior piacere, quanto essa vita é maggiore e più viva. La vita generalmente é tutt'uno colla natura, la vita divisa ne' particolari é tutt'uno co' rispettivi subbietti esistenti. Quindi ciascuno essere, amando la vita, ama se stesso: pertanto non può non amarla, e non amarla quanto si possa il più. L'essere esistente non può amar la morte, (in quanto la morte abbia rispetto a lui) veramente parlando, non può tendervi, non può proccurarla, non può non odiarla il più ch'ei possa, in veruno
istante dell'esser suo; per la stessa ragione per cui egli non può odiar se stesso, proccurare, amare il suo male, tendere al suo male, non odiarlo sopra ogni cosa e il più ch'ei possa, non amarsi, non solo sopra ogni cosa, ma il più ch'egli possa onninamente amare. Sicché l'uomo, l'animale ec. ama le sensazioni vive ec. ec. e vi prova piacere, perch'egli ama se stesso .300
Si può cogliere innanzitutto la transizione tra un pensiero della natura che si avvale di categorie assolute e astratte, nella prima parte, e la sua riduzione in termini più rigorosamente analitici, per cui ‘natura’ smette di essere concettualizzata coma un’entità per sé, ed è concepita invece esclusivamente come una determinata proprietà attribuibile a esistenti individui ed empirici, le cose esistenti ne' diversi
generi, i rispettivi subbietti esistenti, ciascuno essere esistente, l'uomo, l'animale. Il passaggio è segnalato da un’espressione (Quello che noi chiamiamo etc.) che spesso ricorre, con minime variazioni, nei luoghi
dello Zibaldone in cui Leopardi si applica a una precisazione concettuale e terminologica delle parole chiave del suo pensiero . 301 Ricusata ogni ipostatizzazione di ordine provvidenziale, l’idea di natura viene ricondotta all’inclinazione del vivente per la vita stessa, ovvero a una proprietà di qualcosa che esiste ed è, senza per ciò essere universale, comprovata dall’esperienza e dalla ragione. Come si vedrà meglio nel seguito, tale inclinazione è per Leopardi una delle forme nelle quali si manifesta la forza elementare dell’esistenza per
Zib. 3813-3815, 31 ottobre 1823.
300
Cfr. il passo citato nel precedente capitolo: «Quando io dico: la natura ha
301
la quale l’individuo esistente si am[a] quanto più può […] am[a] il suo
maggior possibile bene, e […] proccur[a] il suo maggior bene possibile.
Ogni attività dell’uomo si riconduce a questo principio cardine dell’antropologia leopardiana, fondamentale principio dinamico dell’esistenza individuale, che usualmente Leopardi designa ‘amor proprio’.
La riflessione sull’amor proprio costituisce uno degli ambiti più considerevoli e consistenti dell’intero Zibaldone, che ne è percorso dalle primissime pagine fino alla fine. Leopardi argomenta ripetutamente la sua universalità e si interroga senza posa sulle implicazioni che dal principio dell’amor proprio discendono sul problema della felicità, ossia sulle condizioni di perfezione dell’esistenza. Fin dall’elaborazione della ‘teoria del piacere’, la cui prima esposizione compiuta risale al 1820 , Leopardi giunge alla 302 conclusione che la spinta dell’amor proprio è intrinsecamente contraddittoria, e dunque controproducente sotto il profilo eudemonico. L’amor proprio spinge incessantemente l’uomo verso una vita animata dal piacere, ma tale spinta verso la felicità produce invariabilmente una costante infelicità, poiché ogni piacere esistente è sempre deludente rispetto al desiderio con cui l’individuo lo persegue.
Stante questa conclusione, lungo un corso parallelo ma non contraddittorio dello Zibaldone viene tuttavia a delinearsi una
Cfr. Zib. 165-183, 12-23 luglio 1820. In Zib. 3813-3815, appena citato, non
302
si perita di richiamare questa conclusione che resta tuttavia assodata e implicita al ragionamento. Si può forse tenere presente al riguardo la sospensione nel rapido cenno in Zib. 3814: «E il piacere non é altro che vita ec.».
prospettiva eudemonica modellata secondo una vitalistica circolarità. Come si legge nel lungo pensiero appena citato, Leopardi si sofferma su una felicità che ‘naturalmente’ la vita ricerca e che coincide con la vita stessa: la felicità […] é in certo modo la vita o l'esistenza stessa […] la
natura, ch'é vita, é anche felicità. Un ‘circolo’ della felicità e della vita
che ricopre, circonda, si dispone tutt'intorno, per così dire, al centro vuoto della certa impossibilità della felicità stessa.