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C APITOLO 2: I L PRECETTO , INDIRIZZO FORMALE E SCELTA DI SCRITTURA SOPRA LE PARTI

2.1. «Il Vaglio»

Nella rivista fiorentina «Il Vaglio», nel 1913, Bernasconi avrà modo di abbordare alcuni argomenti già affrontati nel ’10, con un’attenzione viva al ruolo dell’artista nella società. Il suo primo articolo su tale battagliera rivista, polemico contro la critica faziosa149, è letto ed ammirato da Grubicy, che gli scrive immediatamente: «l’articolo del “Vaglio” è nobilissimo e vibrante d’emozione nella chiusa»150. Così lo conclude Bernasconi, che è giunto in questo torno d’anni a riconoscere la propria vocazione di scrittore d’arte fuori dalle parti, e a siglarsela nei Pensieri della maturità:

Ciò che più sdegna e più urge contenere è il tentativo di portare in questo campo dell’arte […] quella malignità di intenzioni, quella ingiuriosa bassezza di modi, quella biliosa e invida parzialità di giudizi […]. Invece di dividere presuntuosamente il mondo in reprobi e eletti – gioverebbe ricercare in ogni opera d’uomo, sceverando il caduco, ciò che giustifichi il suo avvento e la sua durata nel mondo151.

Sul «Vaglio» – rivista la cui breve vita, nel ’13, si deve soprattutto alle forti istanze di reazione e all’esaurirsi delle sue risorse polemiche – è aspra la battaglia contro la critica lacerbiana che vuole «contrapporre alla precettistica tradizionalista una precettistica modernista»152: i Precetti di Bernasconi, che collabora con assiduità a

quella rivista, saranno allora stati presenti a chi scrive queste righe (Mario Tinti) come esempio in positivo di una critica non faziosa o di parte. Il futurismo, si comprende allora, per Bernasconi non è altro che un falso bersaglio, un discorso fatto alla nuora perché la suocera intenda: il messaggio è molto più generalmente rivolto a tutti gli artisti, da una posizione super partes. Massimo Bontempelli, che non risparmia critiche

149 UB, Critica cieca, cit.

150 Cartolina del 2 marzo 1913, Appendice, n. 87. 151 UB, Critica cieca, cit., p. 4.

152 M. TINTI, Né passatismo né futurismo: Arte, «Il Vaglio», I, 2, 15 marzo 1913, p. 1. Risalente ai mesi di

vita del «Vaglio» è una lettera di Tinti (AB, 024.001). Per una contestualizzazione critica della rivista fiorentina «Il Vaglio», mi permetto di rimandare al mio studio La collezione Sforni. Il «giornale pittorico» di un mecenate fiorentino, Firenze, Olschki, 2005, pp. 16-25 e al saggio di A. DEL PUPPO,

Emulazione e antagonismo. Episodi di bassa ricezione di Soffici e Papini nelle riviste effimere toscane, in Omaggio a Soffici, a cura di M. Richter, J.-F. Rodriguez, Prato, Pentalinea, 1999, pp. 93-96, che,

analizzando la vicenda del «Vaglio» dal punto di vista di «Lacerba», individua giustamente affinità e differenze con le formulazioni di Papini e di Soffici. Quella che negli scritti di Bernasconi su tale rivista viene qui definita come una «mozione sociologica» deve essere connessa idealmente insieme ai suoi articoli del ’10 su «Il Secolo», credo, più al discorso morale tolstoiano, assimilato alle riflessioni di Carrière e di Grubicy, che a proposte pratiche di riforma delle istituzioni artistiche.

al volumetto, giunge ad indovinare in poche parole il suo significato: «Questi di U.B. non sono Precetti e non van presi come tali: sono osservazioni dall'alto, sono bei filosofemi dal punto di veduta dell'arte già raggiunta». L’interesse più generale – sebbene mai teorico – dell’autore, moralista onniscente, predispone infatti i suoi scritti ad un vasto pubblico, che va al di là degli schieramenti artistici contingenti.

La stessa predicazione di Bernasconi ai giovani pittori si inserisce in una concezione dell’arte in senso idealistico, in diretta polemica contro l’imitazione della natura e contro il fattore intellettualistico. Predicazione che in un caso è stata definita «ruskiniana»153: il lombardo difatti legge Ruskin in un’antologia Carabba del ’15 (peraltro un’antologia articolata come una silloge di brevi ‘pensieri’)154, ma le sue fonti, come si è visto, sono soprattutto francesi. Fra le prime, Carrière, Tolstoj (letto in francese), Grubicy, e le loro fonti, Brunetière e Guyau, di levatura estetica ben più alta. Nella questione della comunicatività dell’arte, e quindi del suo carattere morale e sociale, Bernasconi di fatto fa proprie molte delle teorizzazioni di Guyau, e nel testo L’art au point de vue sociologique (1889) riconosce alcuni punti centrali sui quali insisterà nei propri scritti, dai Precetti agli articoli fiorentini del «Vaglio», a quelli milanesi de «L’Esame».

I recenti studi monografici su Ugo Ojetti di Giovanna De Lorenzi155 hanno

permesso di accertare l’importanza degli scritti del nuovo idealismo francese di Guyau e Brunetière, che sul giornalista rampante hanno costituito la base teorica per gli interventi marzocchiani e per un programma di lavoro che, già chiarito nello scritto Diritti e doveri del critico d’arte moderna (1901), sarà di fatto rispettato in tutte le sue linee principali. Scriveva allora il critico:

L'arte non è un superfluo godibile solo dai ricchi per danaro o per cultura. L'arte non è separata da noi e chiusa nelle gallerie antiche o negli studi degli artisti. L'arte è, quanto la religione e la morale, con le quali alcuni traviati dal misticismo vorrebbero confonderla, una funzione sociale necessaria, le cui forme, come la nozione di Dio e la nozione del bene, mutano col mutar dei tempi. Non bisogna amarla col gusto d'antiquarii che accarezzano il frammento d'un avorietto medievale o rincollano i pezzi d'una stampa cinquecentesca, e nemmeno bisogna con gli esteti credere che la bellezza sia lo scopo del mondo. L'antica questione se il fiore sia lo scopo del seme o il seme lo scopo del fiore, è risolta nel senso che

153 S. LODOVICI, Storici, teorici e critici delle arti figurative in Italia (1800-1940), in Enciclopedia

biografica e bibliografica italiana, IV, Roma, Istituto Editoriale italiano, 1942, p. 52.

154 Cfr., in Il pensiero di Ruskin, pagine scelte e tradotte da E. Setti, Lanciano, Carabba, 1915 (AB,

Materiale a stampa), il commento di UB nelle prime pagine: «Ruskin: un galantuomo, forse troppo esclusivamente inglese – ma un galantuomo. Cosa piuttosto rara nel mondo intellettuale; perciò pregevolissima».

155 G. DE LORENZI, Ugo Ojetti e il Marzocco, cit., pp. 1077 ss. In riferimento a Grubicy, l’importanza del

pensiero estetico di Guyau per la teoria artistica italiana è stata sottolineata da A.M. DAMIGELLA, La

l'uno e l'altro hanno per scopo la consolazione dell'uomo. Se la misura del progresso umano è la diffusione della felicità, lavoriamo, tutti e ciascuno, alla diffusione dell'arte. Il gusto non è difficile ad acquistarsi: basta ricercare in un'opera d'arte quanta umanità, quanta anima vi sia racchiusa, per unirci ad essa con simpatia. [...] Mezzo di felicità, indice del nostro valore, difendiamo e diffondiamo l'arte156.

Tale la forma di critica auspicata da Ojetti, all’insegna della comuncabilità dell’arte, della «simpatia» («cordialità», dirà Bernasconi un ventennio più avanti157) fra

pubblico e artista, della moralità contrapposta all’élitartismo.

La coincidenza di tali formulazioni con i contenuti degli interventi giornalistici del Nostro è pressoché assoluta (la vicinanza alle idee del critico del «Corriere» sarà da lui stesso esplicitata, vedremo, nel ’23158) e rivela le comuni fonti francesi. Se non ritengo qui di dover insistere su tali basi teoriche è perché la nozione di ‘rinascita dell’idealismo’ nella critica italiana fin de siècle, illuminata dai recenti studi degli ultimi decenni cui si è accennato, mi sembra un dato ormai assodato: si è visto come Bernasconi nel ’10 si inserisca in un dibattito marzocchiano sul carattere sociale e morale dell’arte (e dell’educazione dell’artista) che è il cavallo di battaglia della rivista fiorentina fin dagli ultimi anni del secolo precedente, e che vede coinvolti, fra gli altri, nomi di spicco quali Angiolo Orvieto, Segantini e Thomas Neal (conosciuto e letto dal Nostro a Firenze)159. Fra le letture parigine di Bernasconi è anche Brunetière, rimeditato a Firenze nella lettura datane da quest’ultimo160. L’arte – nel caso specifico la letteratura – è qui dichiarata indissolubile dalla società:

Il letterato è un animale sociale e s'indirizza ad altri uomini che sono pure bestie sociali. [...] tutta l'attività individuale è opera d'imitazione [...] dei gusti e degli istinti che il lavorio lento ma incessante della vita sociale, che la perpetua lotta per l'esistenza e l'implacabile travaglio dei secoli deposero nel fondo dell'organismo umano. Queste sono le forze vive e vere che presiedono al sorgere, al fiorire, al decadere dei generi letterari e delle mode in letteratura come in politica, in religione come in morale. [...] Della società e per la società e nella società vivono l'arte e la letteratura [...] io convengo che l'arte se tende a isolarsi dal mondo e a sopraffare tutte le altre forze sociali, è fatalmente condannata a perire pe' suoi eccessi, come un organo ipertrofico161.

156 U. OJETTI, Diritti e doveri del critico d’arte moderna, «Nuova Antologia», XCVI, 4, 16 dicembre

1901, pp. 734-742; ora in P. BAROCCHI, Testimonianze e polemiche figurative in Italia. II. Dal

Divisionismo al Novecento, Messina-Firenze, G. D'Anna, 1974, pp. 136-139.

157 UB, Le presenti condizioni della pittura in Italia, cit., p. 19.

158 UB, Lettera aperta a Ugo Ojetti, «Corriere Italiano», 20 settembre 1923, p. 3.

159 I saggi di Thomas Neal (pseudonimo di Angelo Cecconi) sul «Marzocco» sono riuniti in Studi di

letteratura e d’arte, Firenze, «Il Marzocco», 1898, testo, che, posseduto da UB, reca la dedica dell’autore:

«A Ugo Bernasconi, scrittore e pittore d’ottimo gusto e di forza gentile. Firenze, 12 Maggio 1912» (AB, Materiale a stampa).

160 Cfr. (in AB, Materiale a stampa) F. BRUNETIÈRE, La Moralité de la Doctrine évolutive, Paris, Firmin-

Didot, 1896 (UB: «Paris, Mars 1901»).

161 T. NEAL, Parthenogenesi e letteratura, «Il Marzocco», III, 2, 13 febbraio 1898: lo scritto è la

recensione al Manuale dell'istoria delle lettere francesi di Brunetière. Alle stesse conclusioni giunge il saggio Morale e arte (in Studi di letteratura e d’arte, cit., pp. 3-11), che UB, nel volume di sua proprietà, definisce «ottimo».

Se da questo punto di vista il contributo di Bernasconi appare come la tessera di un mosaico già definito nelle sue linee essenziali, non così appare dalla diversa prospettiva cui fin dalla premessa si è deciso di guardare ad esso: prospettiva formale, non contenutistica. Ed è proprio la forma dell’aforisma, del precetto, a portarci in un’altra direzione, in un’area culturale parallela: quella degli scrittori di massime, i moralisti classici francesi. Autori come Pascal, La Rochefoucauld, Vauvenargues, Chamfort, che, eccettuato il primo, non si trovano nei manuali di filosofia, perché non hanno costruito un sistema: i loro ‘pensieri’ sono rivolti all’attualità, o se non altro alla vita degli uomini. Il riferimento, allora, ad autori letti e universalmente dibattuti dalla generazione dei «marzocchini» è certo d’obbligo per comprendere molti motivi degli interventi bernasconiani nelle loro costanti e nelle loro affinità con la critica coeva, ma non è forse il più adatto a connotare le matrici culturali, temperamentali si direbbe, dello scrittore. La stessa diversa lettura che questi fa di tali testi, documentata dalle annotazioni sui libri – fittissime ad esempio le glosse nei testi di Pascal, La Rochefoucauld, Tolstoj, Carrière, sommarie le sottolineature in Guyau e in Brunetière – e dalle numerose trascrizioni nei taccuini, testimonia un’attenzione decisamente più viva nei confronti della filosofia ‘in spiccioli’ delle massime, che il Nostro giunge anche a tradurre. Indirizzo culturale di grande pregnanza morale e di notevole fortuna nel panorama letterario italiano e, vedremo, in quello più ristretto delle amicizie del canturino; scelta ‘temperamentale’ si è detto, peraltro non affatto in contraddizione con i motivi chiave della propria generazione. Questi contenuti si rafforzano, anzi, si sostanziano del bagaglio culturale del moralista.

2.2. Precetti e pensieri ai giovani pittori, 1910.

Direttamente eredi di tali letture condotte «a mano armata», delle lunghe e varie lezioni di Carrière, degli insegnamenti di Grubicy negli anni inquieti di gioventù, sono i Precetti del ’10, scritti nel primo decennio del secolo a Parigi, a Roma, a Firenze, da appunti presi nell’apprendimento dell’arte. Quello che colpisce di questo testo è la sentenziosità, pur nel tono squillante e fresco dell’esperienza vissuta: sembra che il ‘giovane pittore’ (-scrittore) cerchi – e mostri ai suoi colleghi – una via di saggezza dove nessuno avrebbe mai pensato di trovarla: in alcuni semplici insegnamenti d’arte.

«Voi non dovete dipingere ciò che vi sta davanti – ma ciò che vi sta dentro»162, predica

il precetto d’esordio.

Il Dizionario della critica d’arte di Luigi Grassi e Mario Pepe dà la seguente definizione del «precetto»:

Precetti. Norme, princìpi, insegnamenti d’ordine teorico e pratico inerenti alla cognizione sulle arti figurative. Si tratta, in altri termini, di quel patrimonio di esperienze, che dalle botteghe e scuole dei maestri della pittura scultura architettura è stato formulato in una successione di regole istituzionali, in base a diversi sistemi costitutivi dei trattati d’arte163.

Citando i modelli cinque-seicenteschi del Lomazzo, Armenini, Poussin, Scannelli, il precetto si circoscrive intorno alla nozione pratica dell’arte: in un caso difatti – ne L’Arte del marmo, si vedrà – i Precetti bernasconiani costituiranno l’impalcatura morale di un insegnamento pratico, volgendo le ricette e le istruzioni in ammaestramento ideale. Per il resto però, più che alla trattatistica artistica, è necessario rivolgersi a quella forma di prosa morale già definita da Croce come «un consiglio», o «una riflessione filosofica, una osservazione psicologica e sociale, una legge empirica, che si stima opportuno ricordare sia a un singolo individuo in una determinata situazione, sia in generale ad ascoltatori e lettori, perché l’accolgano nell’animo e la richiamino alla memoria e la tengano presente nelle deliberazioni da prendere»164. Infatti, i contenuti del volumetto riguardano sì il fare pittura, ma la forma e la tecnica pittorica rimangono sullo sfondo e non costituiscono certo il centro dell’interesse dello scrittore. Sono del tutto assenti istruzioni tecniche o ricette di colori, perché «in quanto alla materia – il meno è il meglio» e «la materia dell’opera non è che il tramite»165. Se alcune notazioni di tecnica pittorica si possono leggere fra le righe, sono quelle – sulla resa della luce, sul modo di «dedurre la figura dal fondo», sulla necessità di fare il bozzetto direttamente sulla tela, sull’uso del «color di zolla», del nero166 – ricavate

dall’insegnamento di Carrière, più volte citato, come un ritornello: «C’est l’arabesque de la lumière qui constitue le tableau»167. L’interesse dell’autore però è qui per la prima

volta di carattere morale: egli stesso annota nel suo taccuino di appunti: «Essi fanno

162 UB, Precetti, cit., p. 3.

163 L. GRASSI-M. PEPE, Dizionario della critica d’arte, vol. II, Torino, Utet, 1978, p. 424. 164 B. CROCE, Storia dell’età barocca in Italia, Bari, Laterza, 1929, p. 144.

165 Precetti, cit., pp. 34, 46. 166 Ivi, pp. 24, 38, 83, 85, 95-96. 167 Ivi, pp. 21, 38, 39.

della pittura, della scultura, dell’architettura, della letteratura – dell’ingegneria – ma nessuno fa della moralità»168, e avverte in un precetto:

Badate che in fondo ad ogni questione umana è sempre una questione di morale. Questo è il cominciamento di ogni intrapresa umana – il cominciamento e il fine.

Voi non avrete sviscerato il problema finché non sarete arrivati a quel nocciolo169.

Il «nocciolo» è appunto una visione ‘attiva’ dell’arte: «Tu sei un uomo che vuole agire sugli altri uomini. Per questo fai dell’arte»170. L’arte diventa una «profezia», un

modo per disegnare un mondo, ricostruito nell’armonia della mente del pittore:

Né alcuno è veritieramente artista fin che non sente l’opera sua come una causa efficiente del mondo avvenire, ma solo come un inutile e fragile e ingombrante duplicato di ciò che è presente.

Arte è profezia171.

Il fine stesso del libretto, che reca l’epigrafe «altrui con parole aggiunger vigore», è parenetico. Le varie tipologie formali dei precetti – la massima morale, la definizione, la citazione172, il dialogo – confluiscono nell’esortazione. Alcuni esempi:

Amate.

Perocché ritroverete e nei fiori e nelle piante e nelle nuvole e negli uomini e perfino nei macigni e negli atti dei cani e di tutte le bestie, il riso e il pianto del vostro amore173.

Consideratevi come i primitivi di una pittura a venire174.

Siate instancabili incrollabili e fidenti. L’aria è satura di primavera.

Lo sbocciamento dei grandi alberi è prossimo175.

Alcuni appunti per i Precetti si trovano in un taccuino fiorentino degli anni 1907-8. Il taccuino, intitolato in copertina «1908. Pittura. Firenze», è cominciato a Firenze nel novembre 1907, ma inizialmente compilato solo in una pagina, con due pensieri:

Disegnare = vuol dire stabilire dei rapporti di spazio fra tono e tono.

168 Taccuino fiorentino, 1907-8.

169 Precetti, cit., p. 89. Cfr., a tale proposito, quello che ricorderà Mario Puccini molti anni più tardi dei

Precetti (M. PUCCINI, Ugo Bernasconi narratore e pittore, in Milano, cara Milano!, Milano, Ceschina,

1958, p. 299): «E un libro nacque, anzi un libretto, che tutti i pittori a suo tempo lessero con interesse: “Consigli ai giovani pittori”. [...] Problemi di indole morale ma anche di indole tecnica; e tuttavia non separati; per Bernasconi, la tecnica è anche, è forse soprattutto un fatto morale [...]».

170 Precetti, cit., p. 91. 171 Ivi, p. 108.

172 Le citazioni (dichiarate) nei Precetti sono da Carrière (pp. 21, 38, 39, 101), Ruskin (p. 35: «Voi dovete

essere interessati alla vita stessa delle creature, non a ciò che capita loro»), Carlyle (p. 39: «ogni cosa che esiste ha un’armonia nel suo cuore, o altrimenti essa non potrebbe mantenere la sua coesione ed esistere»), Balzac (p. 53: «Chaque roman vécu, c’est un roman de moins qu’on écrit»), Schlegel (p. 66: «Imitare la natura – se la natura è presa nel suo senso più degno, non come una massa di produzioni – ma come la forza stessa produttrice»), Lamenais (pp. 73, 94: «Tout le monde regarde ce que je regarde, mais personne ne voit ce que je vois»), Leonardo, Platone (p. 95: «Ogni forma bella è la manifestazione di uno spirito buono»).

173 Precetti, cit., p. 3. Cfr. E. CARRIERE, Écrits, cit., p. 11: «L’amour des formes extérieures de la nature

est le moyen de compréhension que la nature m’impose».

174 Ivi, p. 19. 175 Ivi, p. 60.

Ingenuità pittorica = vedere il mondo come uno sviluppo cromatico di masse176.

Ripreso in mano ad Olgiate Comasco esattamente un anno dopo, si leggono al giorno 25 novembre 1908 alcuni pensieri già definitivi, che si ritroveranno nel testo a stampa, pressoché inalterati177. La versione a stampa, lamenterà molti anni più avanti Vanni Scheiwiller, è un’«orribile edizione – zeppa di errori fin nella errata corrige»178 (del resto a quelle date il libretto è introvabile anche per il giovanissimo editore bibliofilo). Qui, la forma più frequente, come si vede già dagli esempi citati, è quella della massima sentenziosa, definitiva, cui segue una spiegazione che impegna lo scrittore in più paragrafi, o un susseguirsi di definizioni, spesso sinonimiche, a rafforzarne il grado assertivo. L’invito ai pittori a non praticare il virtuosismo si esprime in una sequenza di aforismi, che riga dopo riga accentuano il carattere morale dell’esortazione:

Dove incomincia il facile e il difficile – finita è l’arte. La virtù del pittore non è nella mano – ma negli occhi. Non è il modo di dipingere che conta – ma il modo di vedere. Ricordati – che arte è ingenuità, e la furbezza è al polo opposto. Dipingere con l’animo dei santi genuflessi in preghiera179.

In altri casi le definizioni si incastrano come sillogismi seguendo il ragionamento dell’autore. Si veda come questi giunga, per passaggi successivi, a spiegare la necessità di costruzione di armonia nell’opera d’arte:

L’Arte – tutte le arti, musica, pittura, danza, architettura o poesia – è pur sempre la rappresentazione della vita entro leggi numerali.

L’armonia è la logica dell’arte.

Qual è la legge che tiene unito il mondo e lo fa uno? L’equilibrio delle parti nel tutto – l’armonia.

Fare dell’arte – edificare un’armonia, nella quale si contenga l’impeto vitale delle creature. Quand’è ch’una creatura è bella? Quando si muove – vive – tenendosi in armonia180.

o l’inopportunità di lavorare dal vero, con consigli derivati direttamente dall’insegnamento e dalla pratica del maestro Grubicy:

L’emozione estetica essendo il risultato di uno stato contemplativo Il lavoro essendo il frutto di uno stato d’animo attivo

Stato attivo e stato contemplativo essendo contraddittori – uno influendo a distruggere l’altro: è preferibile non lavorare «dal vero» – il vero non avendo altro scopo che di farci entrare nello stato contemplativo, e il lavoro tendendo a farcene uscire per la necessità di uno stato attivo. Così che l’una necessità turba ed ostacola l’altra.

I due momenti ugualmente necessari non possono essere contemporanei, ma successivi181.

176 Taccuino fiorentino, 1907-8 (AB, M4). 177 Cfr. Precetti, cit., pp. 25-26.

178 V. SCHEIWILLER, Il curriculum di uno scrittore parco, cit., pp. 5-6. 179 Precetti, cit., p. 34.

180 Ivi, p. 38. 181 Ivi, p. 73-74.

In alternativa al sillogismo, per spiegare le sue affermazioni concise, o per chiarire il significato di una citazione, lo scrittore ricorre talvolta a dei curiosi parallelismi, presi dalla vita quotidiana: la facoltà dell’artista di «crearsi delle immagini interne» è accostata al lavoro del falegname, ma, ben più curiosamente, all’opera del barbiere, che se non avesse «la facoltà di crearsi nella mente questa forma della vostra barba, la sua opera non perverrebbe mai ad un fine, e voi partireste ogni volta con un ceffo sinistro»182.

L’esortazione, rivolta anche a se stesso, può anche essere ‘in negativo’, a non

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