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SULLEMIGRAZIONE SENEGALESE IN ITALIA

Lei non è del Castello, lei non è del paese, lei non è nulla. Eppure anche lei è qualcosa, sventuratamente, è un forestiero, uno che è sempre di troppo e sempre fra i piedi, uno che vi procura un mucchio di grattacapi, che vi costringe a sloggiare le fantesche, che non si sa qua-li intenzioni abbia…

F. Kafka, Il castello.

Scopo del presente capitolo è quello di portare alla luce alcune dinamiche insite nell’emigrazione senegalese indirizzata verso le regioni del Bel paese. Nel corso de-gli ultimi decenni i flussi migratori senegalesi in uscita hanno conosciuto un costante e sempre maggiore interessamento per la destinazione italiana. Favoriti dalla relativa facilità sia d’accesso sia d’inserimento lavorativo nella penisola, i flussi di emigranti senegalesi verso territorio italiano si sono moltiplicati soprattutto a partire dalla se-conda metà degli anni ‘80. Tali flussi – stimolati dal susseguirsi a scadenze presso-ché costanti di provvedimenti sanatori nei riguardi degli immigrati in posizione irre-golare1 e dal successo economico dei primi emigranti senegalesi in Italia – si sono inizialmente indirizzati verso le regioni costiere meridionali, seguendo sovente reti e percorsi che, in assenza di canali ufficiali di reclutamento, hanno portato ad un’evoluzione nell’ombra della presenza senegalese in Italia.

L’importanza del settore terziario, dell’economia informale o sommersa che necessità di una forza lavoro malleabile e facilmente controllabile, la segmentazione del mercato del lavoro e, nondimeno, l’ampiezza e l’estensione delle coste italiane

1 Nel complesso, a partire dagli anni ’80, in Italia il numero di immigrati in possesso di un regolare

permesso di soggiorno cresce in modo piuttosto costante, ma registrando forti aumenti proprio in coincidenza delle numerose sanatorie che si susseguono ciclicamente ogni tre-cinque anni a partire dal 1986. In particolare, successivamente alla prima legge italiana sull’immigrazione datata appunto 1986, seguono nel 1990, 1995, 1998 e 2002 altri provvedimenti sanatori sino a giungere, nel settembre del 2009, alla recente regolarizzazione per colf e badanti extracomunitarie. Cfr. Asher Colombo, Giusep-pe Sciortino, Gli immigrati in Italia, il Mulino, Bologna, 2004, cap. 1, pp. 11-43.

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congiuntamente alla prossimità geografica con i territori nordafricani, sono un insie-me di eleinsie-menti che hanno contribuito alla trasformazione della penisola italiana in un paese d’immigrazione2. Anche se l’insieme composito di flussi migratori indirizzati verso coste ed entroterra italiano non ha interessato esclusivamente o in modo pre-dominante i cittadini senegalesi, tale componente è costantemente risultata tra le prime comunità presenti sul suolo italiano. Secondo le stime Caritas/Migrantes3, al 31 dicembre 2008 gli stranieri regolarmente presenti erano stimati fin a 4.329.000 individui; di questi, oltre 67.000 erano di provenienza senegalese. Pur tuttavia rap-presentando solo l’1,7% sul totale degli stranieri residenti in Italia, la comunità sene-galese rivela dinamiche d’accesso e lavorative peculiari che, nel corso degli anni, si sono consolidate e diversificate parallelamente all’incremento del numero di coloro i quali muovono dall’ex colonia francese. Nel corso delle prossime pagine, integrando aspetti quantitativi e descrittivi all’insieme di elementi qualitativi emersi nel corso delle interviste discorsive, provvederò a rendere conto delle principali tendenze e di-namiche che caratterizzano l’attuale presenza di cittadini senegalesi in Italia.

1.P

ERCORSI D

INGRESSO ED EVOLUZIONE DELLA PRESENZA

SENEGALE-SE IN

I

TALIA

Quale periodo iniziale dell’emigrazione senegalese in Italia si è soliti conside-rare gli anni ’80 poiché, precedentemente a tale data, sul suolo italiano si poteva in-dividuare esclusivamente una piccola quota di studenti originari delle città di Dakar e Rufisque4. Congiuntamente ad essi, erano presenti alcuni professionisti del commer-cio di artigianato africano, solitamente individui con un livello di istruzione medio-alto, perlopiù provenienti dalle aree urbane del Senegal. Negli anni immediatamente successivi, la presenza senegalese si allontana dall’iniziale nicchia di studenti e commercianti, assumendo gradualmente forma e sembianze di una vera e propria

2 Bruno Riccio, Les migrants sénégalais en Italie. Réseaux, insertion et potentiel de

co-développement, in Momar-Coumba Diop (a cura di), Le Sénégal des migrations, Khartala, Parigi,

2008, pp. 69-104.

3 Caritas/Migrantes, Immigrazione. Dossier statistico 2009, Idos-Centro studi e ricerche, Roma, 2009.

4 Papa Demba Fall, Migration internationale et droits des travailleurs au Sénégal, disponibile in:

http://unesdoc.unesco.org/Ulis/cgi-bin/ulis.pl?database=&lin=1&futf8=1&ll=a&gp=0&look=default-&sc1=1&sc2=1&nl=1&req=2&au=Fall,%20Papa%20Demba.

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“rete etnica”5. Dati elaborati dal Ministero degli Interni e citati in un testo del 1994 di Ottavia Schmidt di Friedberg6 sembrano confermare tali aspetti: se, nel corso del 1981, la presenza di senegalesi non era ancora statisticamente influente, solo sei anni dopo i cittadini senegalesi erano divenuti la quindicesima comunità extracomunitaria per numero di presenze sul suolo italiano. Una presenza in continua evoluzione che, nell’arco di un decennio, ha portato i 28.041 cittadini senegalesi a rappresentare la quinta comunità nella graduatoria degli extracomunitari residenti in Italia al 1° gen-naio 1992. Allo stesso modo, le parole di Faty – emigrante senegalese di lunga data incontrato a Kaolack – appaiono confermare quanto indicato dalle rilevazioni stati-stiche: “[…] Noi, io e quelli che c’erano, noi siamo i primi senegalesi che sono anda-ti in Italia all’avventura. A Rimini, quando sono arrivato nell’82, eravamo solo cin-que senegalesi, solo cincin-que senegalesi in tutta la regione […]7”. Gli studi in merito appaiono concordi nell’individuare nel decennio compreso tra il 1980 e il 1990 l’exploit dell’emigrazione senegalese in territorio italiano. Sostanzialmente, i primi flussi hanno interessato individui che, dal vicino suolo francese, si sono indirizzati verso il Bel paese e, in un secondo momento, si è assistito alla nascita di flussi in u-scita dal Senegal e diretti prevalentemente verso Sicilia, Sardegna e Roma8.

L’insieme di cause che hanno portato i migranti internazionali senegalesi ad una graduale predilezione per la destinazione italiana sono riscontrabili in una molte-plicità di fattori e congiunture internazionali tra loro concatenate; sinteticamente, Ot-tavia Schmidt di Friedberg li ha riassunti nel modo seguente:

Le cause che hanno determinato la migrazione senegalese sono la diminuita produttività dei suoli, conseguente alla siccità che ha colpito il Senegal negli ultimi decenni, e la più generale crisi economica in cui versa il paese. È tuttavia indubbio che questa vera e propria fuga dalla desertificazione si è indirizzata verso l’Italia – o comunque ha registrato un notevole incremen-to (intervista A. F., senegalese, Roma, 1992) – dopo il 1986, anno in cui la Francia e la Germa-nia hanno reso obbligatorio il visto per i cittadini senegalesi (a seguito del trattato di Schen-gen), applicando al contempo misure politiche fortemente restrittive agli ingressi. In concomi-tanza, ma con politica ed esiti opposti, l’Italia dava il via alla prima sanatoria, che infondeva nuove speranze tra i potenziali migranti. Per essi, infatti, la scelta non era dovuta a un interesse

5 Ottavia Schmidt di Friedberg, Islam, solidarietà e lavoro. I muridi senegalesi in Italia, Fondazione

Giovanni Agnelli, Torino, 1994, pp. 47-80.

6 Ibidem.

7

Intervista a Faty, 12 marzo 2010, Kaolack.

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particolare per questo paese, o all’esistenza di condizioni particolarmente favorevoli, ma al

fat-to che emigrare nell’Europa settentrionale era diventafat-to più difficile9.

Le informazioni raccolte nel corso dell’osservazione partecipante e delle inter-viste discorsive sembrano confermare la relativa facilità di accesso al suolo italiano nel corso degli anni ’80-’90. Sostanzialmente, da quanto emerso, tre erano i requisiti fondamentali all’ingresso: in primis, il possesso di un valido passaporto rilasciato dalla competente autorità nel paese natale10, in secondo luogo, la disponibilità di una certa somma in denaro contante11 e, infine, il possesso di un biglietto aereo per il ri-torno. Ottavia Schmidt di Friedberg ha sottolineato come, fino al 1990, i migranti se-negalesi – e africani in generale – erano soliti giungere in Italia con un visto turistico, ottenibile con relativa semplicità presso ambasciate e consolati tricolori nelle regioni di partenza. E, una volta alla frontiera:

9 Ottavia Schmidt di Friedberg, op. cit., pp. 50-51. Le note in parentesi sono dell’autrice e presenti nel

testo originale.

10 Condizione necessaria all’ottenimento del passaporto senegalese è quella di non aver compiuto reati

che prevedano due o più anni di reclusione. Dalle parole del mio testimone privilegiato è emerso come i controlli in merito da parte delle forze di polizia senegalesi siano accurati e meticolosi.

11 Alle volte, la disponibilità di denaro contante – condicio sine qua non per accedere senza particolari

intoppi al territorio italiano – poteva essere risolta direttamente in aereo. A margine di un’intervista, il mio testimone privilegiato mi ha spiegato come, alle volte, capitava che nel volo verso il territorio ita-liano – e/o europeo in generale – si potessero facilmente individuare connazionali senegalesi che viaggiavano con grandi somme di denaro. Questi ultimi, solitamente piccoli imprenditori o commer-cianti, al fine di non destare sospetti nel corso dei controlli aeroportuali, distribuivano agli altri conna-zionali una certa somma di denaro contante. In tal modo, nel momento dello sbarco e dei successivi controlli, si poteva ovviare ai problemi di entrambe le parti: il commerciante, disponendo di cifre non eccessive, destava minori perplessità e il resto dei connazionali, dotati di qualche biglietto verde, po-tevano tranquillamente dimostrare di poter soggiornare nel territorio italiano per il tempo previsto a seconda del visto ottenuto. Ovviamente, una volta al di fuori dell’aeroporto e scongiurati i pericoli, la somma prestata andava interamente restituita. Altre volte invece, il denaro necessario veniva rispar-miato direttamente dal migrante attraverso lunghi anni di lavoro o il migrante era preso in carico dalla famiglia, come nel caso di un intervistato incontrato a Kaolack: “I soldi? Voglio dire… qui se lavori per tuo papà lui non ti dà un salario, non ti dà un salario. Ma tu hai quello che prendi, tu quello che si prende lo prendi. Ma arrivato il momento in cui vuoi qualcosa, tuo papà può tirare fuori dei soldi e darteli. Voglio dire, non è un problema qui da noi voler andare all’estero o in Italia, anche se vuoi an-dare con le piroghe, non ci sono problemi qui da noi, sono i soldi della famiglia… delle strategie fami-liari… anche se tu hai un progetto, puoi chiedere a qualche fratello e lui se ce l’ha te lo da. Quindi, voglio dire, non erano dei soldi miei, non era del lavoro mio per pagarmi il biglietto d’aereo e il vi-sto… oggi non so neanche dirti come ho trovato i soldi per il viaggio, ma so che erano soldi della mia famiglia. Perché io ho lavorato tanto per la mia famiglia e al momento in cui avevo bisogno non c’era problema… hai capito? ( Intervista a Daouda, 12 marzo 2010, Kaolack)”. Altre volte invece, il denaro necessario poteva essere finanziato direttamente da un influente membro di qualche confraternita reli-giosa che, in un certo senso, considerava tale cifra come una sorta di investimento. Cfr. Ottavia Schmidt di Friedberg, op. cit., p. 54.

63 […] per il migrante tutto si risolveva in pochi minuti: se riusciva ad essere “convincente” nel proprio ruolo di turista, otteneva il visto d’ingresso, altrimenti veniva respinto. Occorreva, tra l’altro, dimostrare di essere provvisto del biglietto di ritorno e di una cifra, pari a uno o due

mi-lioni, tale da consentire il mantenimento durante il soggiorno in Italia12.

Nel corso di un’intervista svolta nella boulangerie da lui gestita, Pape Diop sembra confermare la relativa facilità nel giungere in Italia: nel suo caso, il percorso è stato spedito e lineare, senza tappe intermedie o particolari difficoltà; indubbiamen-te, la disponibilità di una certa somma di moneta sonante da esibire ai controllori ae-roportuali lo ha ulteriormente facilitato:

[Sono arrivato in Italia, ndr] In aereo, direttamente in aereo, perché in quel periodo lì in Italia non c’era il visto… nell’88 non c’era il visto e in quel periodo il biglietto costava 200 mila [Ffca, ndr]… e sono entrato, senza problema, avevo franchi francesi, tanti… perché mio zio commerciante a Dakar me li aveva dati… perché lui in quel periodo andava a comprare le scarpe a Napoli, allora lui mi ha dato tanti soldi in quel periodo… allora sono arrivato a Roma e ho detto [nel corso dei controlli in aeroporto, ndr] che vado a comprare le scarpe a Napoli. […] In dogana mi hanno chiesto “hai soldi?” e ho fatto vedere… avevo uno zaino qua… un marsupio… pieno di soldi, allora ho tirato fuori e mi hanno detto che andava bene così… e mi hanno messo il timbro sul passaporto e sono andato direttamente a Napoli (Intervista a Pape Diop, 8 marzo 2010, Kaolack).

Anche Mor, giunto a Roma nel corso del 1986, mi ha narrato un similare per-corso che dal Senegal lo ha portato direttamente in Italia:

Ah… ho preso l’aereo [a Dakar, ndr] e sono [arrivato, ndr] a Roma, perché in quel tempo non serviva neanche il visto… chiedevano sempre solo cosa fai qua in Italia e basta, io dicevo che sono venuto qua per visitare e poi ritorno al mio paese… chiedevano solo cosa fai qua in Ita-lia… era più facile di adesso (Intervista a Mor, 7 marzo 2010, Darou Fall).

Tuttavia, non sempre il percorso migratorio che porta in Italia i migranti sene-galesi risulta così semplice e spedito. Al contrario, sovente, precedentemente alla de-cisione di abbandonare il continente natìo, i potenziali migranti intercontinentali se-negalesi muovono innanzitutto verso destinazioni intracontinentali. A tal proposito, la narrazione di Momar sembra essere eloquente ed esplicativa:

Dopo 7 anni [di scuola, ndr] ho iniziato subito a lavorare qui, in Senegal, appena finita la scuo-la. Poi, verso i 17-18 anni ho cominciato ad uscire: sono andato in Guinea-Bissau, in Gambia, in Costa d’Avorio… ho cominciato a comprare le cose e venderle nei mercati, prima lo facevo solo qui in Senegal, compravo e vendevo qui. Poi, verso 17-18 anni ho cominciato ad uscire, sono andato in Guinea-Bissau a fare l’immigrato, è stato il primo posto dove sono stato, perché

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il mio babbo vive lì… sono andato da lui, a casa sua, ho lavorato con lui… poi sono uscito e sono andato verso la Mauritania. Io compravo la merce a Dakar, i pantaloni dei Baye Fall, co-nosci? Li compravo e li portavo lì [in Mauritania, ndr] per venderli… ho fatto due anni così e poi sono partito per Parigi (Intervista a Momar, 15 marzo 2010, Kaolack).

Alle mie domande circa la situazione in Mauritania e alle richieste di delucida-zioni in merito alla sua esperienza all’interno dello spazio africano, Momar continua così il suo racconto:

In Mauritania non era tranquillo, era un casino! Sono delle persone chiuse, non è facile… ne-anche entrare, per il visto è facile… ma sono le persone che hanno dei problemi. Sai, il razzi-smo, non capiscono niente… ce ne sono in Mauritania. Non è che la Mauritania non mi piaces-se, più che altro mi piaceva il lavoro che facevo lì, era bello… era la gente che non mi piaceva. Ogni giorno avevo dei problemi con la gente, con la polizia… non è un paese tranquillo. Poi ho fatto due-tre anni lì e poi sono uscito per andare a Parigi, perché mio fratello lavora a Marsi-glia, lui è il primo figlio del mio babbo. Sono stato lì sei mesi a casa sua e poi sono venuto in Italia. […] Nel ’96, era nel 1996. […] Avevo un visto per la Spagna […]. Allora, sono partito da Dakar in aereo, sono arrivato in Spagna, a Palma di Maiorca, poi da là sono andato verso l’interno per poi arrivare a Marsiglia, ma sempre di passaggio. Ho fatto sei mesi a Marsiglia e poi sono andato in Italia da degli amici. […] Certo [sono passato, ndr], da Ventimiglia, sì. So-no passato perché avevo un visto di quasi sei mesi, soSo-no entrato tranquillamente dalla Francia senza problemi (Intervista a Momar, 15 marzo 2010, Kaolack).

Dunque, la gran parte dei migranti senegalesi presenti in Italia nel corso degli anni ’80-‘90 sono degli overstayer, ovvero individui che, una volta ottenuto un rego-lare permesso di soggiorno per turismo o transito, rimangono sul suolo nazionale al di là del termine stabilito per legge. Quello che appare emergere nei flussi di emi-granti senegalesi che hanno interessato il suolo italiano nei primi anni ’90 è che la Francia – un tempo meta preferenziale – ha gradatamente assunto il ruolo di porta d’accesso per l’installazione nel Bel paese, soprattutto grazie all’intermediazione dei passeurs tra Nizza e San Remo, attorno al valico frontaliero di Ventimiglia13. Si trat-ta di un aspetto che è ripetutrat-tamente emerso nel corso delle interviste discorsive e, nei fatti, le modalità di passaggio tra la Francia e l’Italia sono differenziate: talvolta – come nel caso di Alì – libere e autonomamente gestite:

[Sono arrivato, ndr] Con l’aereo, certamente. Avevo un visto di un mese per la Svizzera, sono arrivato a Ginevra, ho fatto una settimana tra Basilea, Ginevra e Zurigo… tutto per andare in Italia. […] Sono entrato anche in Francia, ho fatto tante città… Marsiglia… tutte quelle cose

13 Serigne-Mansour Tall, La migration internationale sénégalaise: des recrutements de main-d’œuvre

aux pirogues, in Momar-Coumba Diop (a cura di), Le Sénégal des migrations, Khartala, Parigi, 2008,

65 lì… ma in Francia solo per passare perché la mia destinazione era andare in Italia. Però non ho avuto il visto per l’Italia ma per andare in Svizzera… quindi sono andato in Francia e poi in I-talia. […] Eh… [sono passato, ndr] da Ventimiglia! Tutti passano da Ventimiglia eh! (Intervi-sta con Alì, 9 marzo 2010, Kaolack).

Altre volte, invece, tramite l’intermediazione di speculatori e passeurs:

Eh… [sono arrivato in, ndr] aereo, aereo. Sono arrivato in Francia, ho fatto Francia e poi Ita-lia… e dalla Francia all’Italia ho passato la frontiera via macchina. […] Perché era più facile per la Francia, era più facile averlo per la Francia [il visto, ndr], ecco. Dopo, dalla Francia all’Italia con la macchina… ci sono persone che aiutano a fare passare le frontiere senza per-messo…

…e come funziona per passare?

Eh… 1.000… 1.000 franchi si paga… 1.000 franchi francesi perché allora c’era ancora quello

(Intervista a Sény, 9 marzo 2010, Kaolack14).

L’aumento dei controlli ai valichi frontalieri con la Francia e le maggiori diffi-coltà d’accesso ad esso dovute, hanno ulteriormente contribuito a differenziare le porte d’accesso alla penisola italiana. In tal modo, anche grazie alla relativa facilità di circolazione all’interno dello spazio europeo, per quanti sono in possesso di una qualche sorta di visto per l’area Schengen, l’accesso in uno dei paesi della comunità europea può divenire il primo passo per giungere in Italia. Così, ad esempio, è stato nell’esperienza della donna senegalese intervistata nella provincia di Vicenza, la qua-le, ottenuto un visto turistico di otto giorni per la Spagna, si è celermente recata in I-talia:

[In Senegal, ndr]] ho lavorato per cinque anni in una scuola con i bambini, ho fatto la maestra e dopo cinque anni ho chiesto disponibilità per venire in Spagna, otto giorni solo. […] Sì, sono partita… in aereo. Ho avuto un visto di otto giorni solo, e sono venuta in Spagna nel 2000, set-tembre 2000, sono venuta e ho fatto due giorni in Spagna solo. Ho chiamato, avevo un cugino a Genova, ho chiamato e mi ha detto di prendere l’aereo per l’Italia. […] Sì, perché è difficile trovare il visto per l’Italia. Siccome sono un’insegnante, è facile per me di darmi un visto per la Spagna per otto giorni, una settimana… perché siamo in vacanza… è solo per questo periodo che loro ti danno il visto (Intervista ad Aminata, 30 luglio 2010, provincia di Vicenza).

Le difficoltà di tale percorso a tappe sono poi emerse dalle parole con le quali Aminata ha proseguito la sua narrazione: ritrovarsi in un contesto estraneo e radical-mente altro da quello natale, magari essendo la prima volta che si esce dal paese na-tale, può essere la causa diretta di un insieme di disparati intoppi:

14

Le parti in corsivo sono i miei interventi nel corso dell’intervista. Tale prassi verrà seguita per tutti i brani di intervista citati nel presente capitolo.

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No no, sono arrivata [in Spagna, ndr], ho preso l’albergo per due giorni e dopo ho chiamato un taxi, non sapevo la lingua e gli ho detto di portarmi all’aeroporto di Madrid, perché prima ave-vo comprato un biglietto perché aveave-vo detto che deave-vo andare in Italia, e mi hanno venduto un biglietto e sono andata all’aeroporto. Non sapevo la lingua… ho avuto difficoltà… perché non