• Non ci sono risultati.

3. The road

3.1 L'apocalisse di McCarthy

Con La strada siamo di fronte ad una ulteriore deviazione rispetto al genere al quale McCarthy ci ha abituato: se Non è un paese per vecchi era ambientato quasi ai giorni nostri, ma conservava tratti tipici del western – in particolare, nei personaggi del cowboy Moss e dello sceriffo Bell e per l'ambientazione al confine tra Stati Uniti e Messico - La strada si avvicina ai territori della fantascienza e della distopia. Lo scrittore di El Paso propone

una metafora estrema del mondo contemporaneo fatto di stupri, omicidi, e cannibalismo, una cupa critica della società americana nel momento in cui la società stessa è andata in pezzi e non rimangono che individui, il passato non esiste più ed il futuro non è mai stato più incerto.

La prosa asciutta ed al contempo efficacemente evocativa, così tipica dello stile di McCarthy, costruisce uno schema narrativo basato sulla ripetizione, una trama essenziale eppure ricca di sfumature emotive e tensioni filosofico-morali. Il racconto letterario procede per brevi sequenze narrative, separate da ellissi di portata variabile - segnalate anche visivamente attraverso l' impaginazione, che lascia uno spazio bianco fra i piccoli blocchi narrativi – e, caso particolare nella produzione di McCarthy, si assiste ad un continuo slittamento di voci: l'enunciazione del Narratore Implicito si scioglie nei pensieri del padre, espressi in prima persona. Se in Non è un paese per vecchi le pause riflessive affidate alla voce di Bell erano separate dal racconto ascrivibile al Narratore e segnate anche graficamente dall'uso del corsivo, ne La strada le due voci si mescolano senza soluzione di continuità:

“Rimasero a terra, in ascolto. Ce la farai? Quando sarà il momento? Quando sarà il momento non ci sarà tempo. E' questo il momento. Bestemmia Dio e muori. E se si inceppa? Non può incepparsi. Ma se si

inceppa? Saresti capace di fracassare quel cranio adorato con un sasso? C'è un essere simile dentro di te? Di cui tu non sai nulla? Ci può essere? Tienilo stretto. Ecco, così. L'anima è un soffio. Abbraccialo. Bacialo. Svelto.”65

Questa scelta stilistica, oltre che rendere centrale i sentimenti e il punto di vista del padre, sembra essere diretta conseguenza del contesto diegetico in cui McCarthy colloca le sue figure: il mondo sta scomparendo, il “sacro idioma” (la lingua) è stato “privato dei suoi referenti e quindi della sua realtà”66, le parole servono a designare cose che non esistono più. Cosa

resta allora? Resta un padre, il suo amore, i suoi sentimenti, le sue emozioni. I suoi pensieri.

McCarthy sfrutta alcune delle caratteristiche del genere post- apocalittico, la suspense e la tensione derivante dal bisogno di sopravvivere in un mondo estremamente ostile ma, come suo solito, opera degli scarti, delle deviazioni, degli spostamenti. Due esempi su tutti: il vero perno intorno a cui si struttura il racconto, il punto centrale della storia, non è la ricerca di una soluzione al caos in cui il mondo è precipitato, ma il rapporto padre- figlio; il desiderio di conoscenza del lettore viene continuamente frustrato, gli viene negato gran parte del passato che precede la tragedia, non vengono svelate le cause della fine del mondo, addirittura non vengono nemmeno

65McCARTHY 2007, pp. 87-88. 66Ibidem, p. 68.

rivelati i nomi dei due personaggi, né proposto un finale che concluda inequivocabilmente la vicenda.

3.

2

Dal libro al film.

Quando, nel 2009 il regista australiano John Hillcoat affronta l'adattamento del libro di McCarthy, deve confrontarsi con un testo molto articolato e complesso, costruito su più livelli di significato. Il film rispetta la trama originaria, pur con le licenze necessarie al passaggio di genere, conservando molti dei temi di fondo del libro, primo fra tutti la centralità del rapporto padre-figlio. L'elemento fondamentale che ci sembra necessario sottolineare, nell'analisi del passaggio dal libro al film, è relativo all'organizzazione del contenuto narrativo, alla messa in successione degli eventi, organizzata in un modo che potremmo definire canonico, corrispondente alla classica struttura in tre atti, o meglio, alla formulazione – più complessa rispetto alla semplice articolazione inizio, sviluppo e fine – che ne ha dato la recente scuola americana di sceneggiatura.

In sostanza, se i fratelli Coen, adattando la materia letteraria alla propria sensibilità stilistica, riuscivano a far emergere la perturbante profondità della scrittura di McCarthy, la versione cinematografica de La strada sembra essere più calligrafica, più legata a forme di articolazione e strutturazione formale consolidate, rassicuranti, rodate, e quindi il film risulta

meno denso semanticamente, meno capace di rispondere alla poeticità del libro attraverso l'estetizzazione del piano dell'espressione.

Utilizzando la terminologia di Vanoye potremmo dire che da un romanzo moderno è stata tratta una sceneggiatura classica: la sensazione è che lo sceneggiatore di La strada, Joe Penhall, si sia affidato a quell'insieme di regole che nel tempo sono diventate una sorta di vademecum per gli scrittori di cinema, regole che permettono di strutturare in modo “corretto” e coerente la storia, caratterizzare in modo netto e preciso i personaggi e le loro motivazioni, definire i punti di svolta narrativi, dare unità all'insieme e condurre senza tentennamenti la vicenda verso la sua conclusione.

Prendiamo come esempio l'incipit del film.

Così scrive Field in riferimento alle regole che devono guidare lo scrittore nella costruzione del primo atto:

“Il primo atto è un'unità di azione drammatica che imposta la storia. Nelle prime trenta pagine di una sceneggiatura, si deve delineare il soggetto; vanno introdotti i personaggi principali, si stabiliscono i presupposti drammatici, si crea la situazione, e si disegnano scene e sequenze che costruiscono e ampliano le informazioni.”67

Anche Robbiano è dello stesso parere:

“Il primo atto corrisponde a quanto abbiamo definito come introduzione. Dobbiamo quindi rappresentare rapidamente quelle condizioni a partire dalle quali la vicenda, il problema, il conflitto si sviluppano. Ciò comporta la definizione di altri aspetti utili a inquadrare la nostra trama, a renderla riconoscibile.”68

Questo è esattamente ciò che succede nei primi cinque minuti di film, che catapultano lo spettatore nell'universo narrativo del racconto: in un film che parla di un mondo futuro e regolato da leggi che ancora non si conoscono, lo spettatore viene guidato quasi per mano nella diegesi. La situazione è subito esposta in maniera chiara, immediatamente accessibile, e presentata in opposizione al mondo al quale siamo abituati (il flashback che apre il film aiuta, per contrasto, a fare esperienza diretta del mondo della storia).

Un montage di scene selezionate da più punti del romanzo ha il solo scopo di impostare la situazione drammatica: vediamo il padre ed il figlio vagabondare per il mondo devastato che fa da sfondo alla narrazione, alla ricerca di cibo, vestiti ed un riparo dal freddo; come se non bastasse, la Voce Over del padre racconta allo spettatore la situazione disperata in cui sono precipitati, loro malgrado, i protagonisti della storia. Così recita la voce:

“Gli orologi si erano fermati all'1.17, il cielo trapassato da una luce abbagliante, poi una serie di scosse profonde. Credo sia Ottobre, ma non ne ho la certezza. Sono anni che non ho un calendario. Ogni giorno è più grigio del precedente. Fa freddo, e il freddo aumenta man mano che il mondo lentamente muore. Non sono sopravvissuti animali, e le coltivazioni sono da tempo sparite. Presto tutti gli alberi del mondo cadranno. Le strade sono popolate da profughi che trascinano carrelli, e bande di uomini armati, in cerca di carburante e cibo. Nel giro di un anno erano comparse sulle creste delle montagne roghi e macabre litanie allucinate. Era arrivato il cannibalismo, il cannibalismo è la grande paura. La mia maggiore preoccupazione è il cibo. Sempre il cibo. Il cibo, il freddo e le nostre scarpe. A volte racconto al bambino vecchie storie di coraggio e giustizia, ormai così difficili da ricordare. L'unica cosa che so è che il bambino è la mia garanzia. E se non è lui il verbo di Dio allora Dio non ha mai parlato.”

Il romanzo è essenzialmente un racconto con due soli protagonisti in cui le altre figure umane o sono dei mostri senza scrupoli pronti a nutrirsi dei propri simili oppure sono comprimari o compaiono solo nei sogni. La versione cinematografica, dal momento che mette in scena i personaggi, che restituisce loro una presenza fisica, richiede senz'altro uno sviluppo,

un'espansione dei ruoli che sono sì secondari, ma fondamentali nello sviluppo della storia e nella definizione del carattere dei personaggi principali. L'espansione più significativa è quella subita dalla Madre, che diventa una figura centrale per la prima parte della storia.

Una prima osservazione: i flashback assumono una rilevanza fondamentale nell'economia del racconto; risaltano, in maniera decisiva, sia per contrasto cromatico rispetto al resto del racconto (colorati e brillanti in opposizione ai grigi edel mondo dopo l'apocalisse), sia a causa della durata relativa che assumono all'interno del film: se nel libro i flashback corrispondono ad alcuni tormentati sogni del protagonista ed occupano poche pagine, nel film coprono più di otto dei circa trenta minuti che compongono il primo atto, dunque quasi un terzo. Appare allora quasi inevitabile che, una volta scelto di inserire dei flashback, essi assumessero una certa rilevanza.

Al di là di piccole aggiunte, in particolare le primissime immagini che mostrano la serenità della coppia nella loro vita pre-catastrofe – inserite nella nella misura in cui contrastano con la desolazione in cui padre e figlio sono precipitati-, una sostanziale differenza tra libro e film sta nel modo in cui vengono descritte le motivazioni della donna, quando sceglie di abbandonare la famiglia e morire. Nel libro le decisioni della moglie vengono raccontate in

maniera secca ed essenziale, come fossero una logica conseguenza della condizione disperata e senza scampo in cui si trovano, e la donna stessa appare distaccata, fredda; nel film, invece, la scelta sembra più sofferta, si collega direttamente all'interiorità e alla psicologia del personaggio che non si accontenta di sopravvivere e preferisce una morte dignitosa alla prospettiva di essere violentata e mangiata. La musica contribuisce fortemente a caricare emotivamente la scena, che risulta fondamentale anche per quel che riguarda lo sviluppo narrativo.

La macro-sequenza che contiene il flashback della scelta della madre, costituisce la svolta narrativa che segna il passaggio dal primo al secondo atto: veniamo a sapere che è stata la madre, tramite quello che Greimas chiamerebbe un atto di manipolazione, ad assegnare all'uomo il compito di condurre il figlio verso Sud (madre: Destinatore, padre: Destinatario, salvezza del figlio: Oggetto Valore). Inoltre, è nella misura in cui l'uomo riesce a lasciar andare l'ingombrante ricordo della moglie, a sollevarsi dai sensi di colpa - momento visivamente sottolineato dalla scena in cui l'uomo si libera della fede nuziale e dell'unica foto che ha di lei – che l'uomo può assumere pienamente il compito assegnatogli e cercare di condurre il figlio verso Sud sano e salvo.

svolto dalla musica composta da Nick Cave e che accompagna buona parte del film; questa tendenza alla drammatizzazione, alla rilettura in chiave patetica di alcuni elementi della vicenda, percorre l'intera pellicola, marcando uno degli scarti più significativi tra libro e film.

Si tratta di modifiche a volte minime, ma che riescono ad aumentare la drammaticità di alcune situazioni, conducono lo spettatore verso picchi di ansia e di agitazione, sentimenti che nel testo letterario sono certamente più diluiti, sembrano meno forzati.

Proponiamo due esempi: durante uno dei tanti vagabondaggi di casa in casa alla ricerca di cibo, padre e figlio si imbattono in una grande villa che sembra ancora abitata, nella quale scovano una botola chiusa da un lucchetto. Convinto che lì sotto siano nascosti dei viveri, il padre forza la botola e i due scendono a controllare. La scoperta è delle più inquietanti: un gruppo di persone completamente nude ammucchiate in un angolo, qualcuno di loro giace agonizzante su dei tavoli da lavoro, gli arti mutilati,. Si tratta di prigionieri che finiranno dritti sulle tavole di altri esseri umani, gli stessi che ora stanno facendo rientro nella villa, minacciosi e armati. Fin qui l'azione segue quella del libro, tranne poi discostarsene. McCarthy permette a padre e figlio di uscire dall'abitazione un attimo prima di essere visti, per poi essere costretti a restare nascosti a pochi metri di distanza, evitando così che quelli

all'interno della casa possano vederli. Lo sceneggiatore del film decide di rendere questa scena ancora più tesa: padre e figlio non riescono ad uscire prima dell'arrivo dei cannibali, così si nascondono ai piani alti. Qualcuno però sta già salendo le scale e allora il padre punta una rivoltella alla testa del figlio, intenzionato a fare fuoco pur di risparmiargli le violenze che certamente gli saranno riservate. Quando tutto sembra ormai perduto, alcuni prigionieri riescono momentaneamente a fuggire dalla botola, creando lo scompiglio necessario a distrarre gli uomini della casa e permettere a padre e figlio di darsi alla fuga.

Ad un certo punto del racconto letterario, mentre sono accampati in un bosco, il padre viene svegliato dal rumore di alberi che cadono:

“Lo scrocchio secco e prolungato dei rami che si spezzavano. Poi un altro schianto. Allungò il braccio e scrollò il bambino. Svegliati, disse. Dobbiamo andare.

Il bambino si strofinò via il sonno dagli occhi con il dorso delle mani. Cosa c'è?, disse. Cosa c'è, papà?

Vieni. Dobbiamo andarcene da qui. Cosa c'è?

Gli alberi. Stanno cadendo.

Non è niente, disse l'uomo. Dobbiamo solo sbrigarci.”69

Diversamente accade nel film, dove padre e figlio vengono quasi attaccati dagli alberi che precipitano, rischiando seriamente di finire schiacciati da un enorme tronco che cade su di loro. Si salvano per un pelo.

In definitiva, protagonisti vengono spinti in scene che li conducono ai limiti della disfatta, salvo poi uscirne indenni grazie all'intervento del classico deus ex machina.

Al di là della tendenza alla spettacolarizzazione, indice del tentativo di confezionare un prodotto che tutto sommato andasse incontro alle esigenze del grande pubblico del mainstream, la trasposizione cinematografica de La strada ha comunque il merito di restituire la gran parte dei temi di fondo del libro e di ruotare, come del resto fa il romanzo, intorno al rapporto padre- figlio (per quanto ne risulti stemperata una certa conflittualità latente tra i due personaggi presente nel libro).

Di fronte alla mancanza di senso, di fronte all'annientamento del mondo come lo conoscevamo e agli interrogativi che questa nuova, barbara condizione post-sociale pone, le possibili risposte sono due: o il nichilismo, l'annullamento, la sconfitta oppure la speranza. E' chiaro che il padre abbia scelto questa seconda strada, alla ricerca di una ragione su cui poggiare

l'esistenza, e tale ragione si presenta nel rapporto con il figlio. Un amore misterioso, indecifrabile, eppure incredibilmente vero, vivo, presente, travolgente. La strada, in questo senso, è la celebrazione di una insopprimibile voglia di vivere, è una storia di sopravvivenza in cui gli eroi portano come valore la forza della vita stessa e dei sentimenti più nobili, metaforicamente evocati come un fuoco che i due si portano dentro e che accende la speranza anche nelle situazioni più critiche.

Il padre di La strada è una figura nuova, non è più colui che decide cosa è giusto o sbagliato, che ha l'ultima parola sul senso della vita o della morte, non più colui che impone la legge (le condizioni, le interdizioni), figura il cui superamento permette il processo di maturazione del figlio; è un padre che sopravvive e, prendendosi cura materialmente del bambino – lo ciba, lo riscalda, lo lava, lo protegge – testimonia il desiderio di vita; la sopravvivenza stabilisce direttamente un orizzonte, una possibilità futura.

I sentimenti che legano i protagonisti sono assoluti, totali, ed in virtù di questa sproporzione, di questa eccedenza, che il padre può continuare a lottare, anche senza un'immagine precisa del futuro. L'unicità del loro rapporto è ciò che li spinge a proseguire, diventa certezza di vita.

La cura che l'uomo ha del bambino ha a che fare con l'esistenza di Dio; non certo il Dio delle religioni, non il Dio che scende sulla terra e si incarna in

un bambino, ma un Dio la cui stessa esistenza è permessa dall'esistenza del bambino. Il bambino è l'unico depositario di una residua capacità di immedesimarsi nell'altro, di riconoscere il prossimo come proprio simile e non come nemico, di sentire che la sua paura e la paura di chi gli sta di fronte è esattamente la stessa.

E' lo stesso padre ad aver instillato ed alimentato nel figlio valori appartenenti al mondo pre-apocalittico che però sembrano ora essere fuori luogo se non controproducenti in un mondo dove contano solo lo spirito di sopravvivenza e la legge del più forte. Il ragazzino è così legato ai valori di bontà e giustizia che, quando il padre uccide l'uomo che lo aveva minacciato con un coltello alla gola, si chiede: “Siamo ancora noi i buoni?”70.

Da un punto di vista visivo, il film ha il merito di non scadere nel cliché di genere insistendo su architetture grandiose e apocalittiche, scene di disastri poderose ed imponenti, preferendo rendere il senso della precarietà, della fine per mezzo dei dettagli: corpi sporchi e magri, vestiti logori, dotazioni misere – carrelli, coperte, teli di plastica – offrono uno sguardo ai particolari che è proprio anche di McCarthy.

Per alludere all'impotenza dell'uomo ed alla strada infinita che i personaggi hanno davanti a sé, la messa in quadro configura campi lunghi e

lunghissimi. Per rendere equivalenza al mondo ricoperto di cenere descritto da McCarthy, il film è girato con un filtro grigio ed i colori sono fortemente desaturati e nonostante ciò il fuoco dei bivacchi – metafora del fuoco che padre e figlio portano dentro - appare sempre caldo e vibrante. Anche una lattina di Coca-Cola sembra aver perso il suo rosso; quando giustapposti a quelli caldi, brillanti del flashback, i toni del mondo post-apocalisse sono davvero devastanti.

Documenti correlati