• Non ci sono risultati.

2. No country for old man

2.2 Dal libro al film

Rispetto al libro di partenza, crediamo che la versione cinematografica di “Non è un paese per vecchi” opera strategie di sovrapposizione quasi totale, dal momento che il film ricostruisce e rispetta molte strategie di significazione del testo di partenza, pur operando una serie di scelte di

57Accade spesso, nei film d'azione o in generale nei racconti in cui il protagonista buono

deve affrontare un nemico in apparenza invincibile e che un primo scontro fra opposti si concluda con la sconfitta e la momentanea ritirata dell'eroe, che realizza qualcosa di nuovo su di sé o acquisisce la competenza necessaria per ottenere la riscossa e la vittoria finale.

ordine tecnico – dalla selezione del materiale narrativo ai tagli, alle aggiunte – ed estetico, che producono degli scarti rivelatori dell'autonomia espressiva e dello stile personale dei Coen. I fratelli registi assecondano la tendenza remissiva dell'enunciazione originale, che lavora per ellissi relegando al non detto alcuni dei fatti principali, primo fra tutti la morte di Moss. Se nel libro la dipartita del protagonista è preannunciata (anche) dalla misteriosa presenza di un gruppo di sicari messicani a bordo di una Barracuda nera, nel film essa sopraggiunge ancor più inaspettata58 e accentuano la tendenza all'ellissi, ad

esempio scegliendo di eliminare il momento preciso in cui Chigurh, alla fine della storia, uccide, in nome della parola data a Moss, l'innocente Carla Jean, la moglie del fuggitivo: McCarthy chiudeva la sequenza dell'incontro fra Carla e Chigurh con un secco ed essenziale “E le sparò”59, i Coen preferiscono

sostituire lo sparo con una piccola aggiunta, mostrando Chigurh che, una volta compiuto il fatto, controlla che le suole degli stivali non siano sporche di sangue.

In seguito alla morte di Moss, il racconto letterario vira definitivamente verso ciò che, in fin dei conti, era fin dall'inizio: il racconto di una vicenda che scuote profondamente e irrimediabilmente la coscienza di un uomo, una

58E' interessante notare come i Coen non resistano alla tentazione di introdurre anch'essi un

piccolo indizio prefigurante, chiudendo l'ultima scena che vede Moss vivo con una dissolvenza in nero, caso unico in tutto il film.

storia che, parole sue, “mi ha portato a un punto della vita dove non avrei mai pensato di arrivare”60, quest'uomo è ovviamente lo sceriffo Bell, le cui

riflessioni sono strategicamente collocate ad apertura e chiusura del romanzo, oltre ad essere intercalate a tutto il flusso narrativo, interrompendolo a mò di pausa; Bell è annichilito dalla comparsa di “un profeta della distruzione in carne ed ossa”61, impossibile da contrastare

perché misterioso ed inconoscibile. Lo sceriffo sente sulla sua pelle l'angosciante ineluttabilità della trasformazione della natura umana, osserva le aberrazioni prodotte da una modernità che è già degenerata, da un progresso che sembra proporre modelli etici e valoriali di gran lunga degenerati rispetto ai saldi principi dei padri fondatori americani.

Riteniamo significativo il fatto che sia proprio la figura di Bell, così centrale nel romanzo di McCarthy, ad essere oggetto di tagli abbastanza consistenti. Le riflessioni in prima persona di Bell, così ricorrenti nel libro, diventano la voce off che accompagna le prime immagini del film, amalgama di pezzi dislocati in diversi punti del libro. In McCarthy la narrazione dello sceriffo anticipa i fatti e, dunque, gli eventi si collocano in una dimensione temporale precedente al presente dell'enunciazione di Bell, e si finisce per avere l'impressione che tutto il racconto sia ascrivibile allo sceriffo stesso.

60McCARTHY 2005, p.4. 61Ibidem.

Impressione che sembra essere confermata dal fatto che, verso la fine, la voce di Bell si sostituisce all'enunciazione (quasi) impersonale62 del narratore

onnisciente che tesse le fila della vicenda, il lettore è stato condotto ad aderire al punto di vista cognitivo-morale dello sceriffo Bell sulla vicenda. Il film, invece, preferisce rendere meno totalizzante questa adesione: ad esempio, il sogno di Bell che chiude il romanzo viene messo in scena dai Coen che trasformano il discorso in prima persona della voce di Bell in un dialogo fra lo sceriffo stesso e la moglie Loretta. Impedire allo spettatore di identificarsi completamente con una figura che, per quanto catastrofico e pessimista, offre un punto di vista sul mondo univoco, è una scelta coerente con una certa tendenza all'allontanamento, all'ottenimento di effetto straniante caratteristico dei Coen, che restituiscono un senso di indecifrabilità, costruiscono un vuoto semantico. I Coen hanno a disposizione anche altre armi per produrre effetti di messa in distanza, in particolare un'ironia tagliente e un po' grottesca ed il gusto per l'insolito, il dettaglio bizzarro: come non pensare al ridicolo taglio di capelli di Chigurh che stride profondamente con le terribili azioni che il killer compie oppure alla

62Dico quasi perché, per quanto la tendenza generale dell'enunciazione narrativa di

McCarthy si collochi esternamente ai fatti raccontati, talvolta l'enunciazione stessa apre a squarci semantici attribuibili al narratore implicito, all' enunciatore: “Le montagne di pietra grezza nell'ombra del tardo pomeriggio e vesto est l'ascissa scintillante delle pianure desertiche, sotto un cielo dove cortine di pioggia si allungavano scure come fuliggine lungo tutto il quadrante. Vive in silenzio il dio che ha purgato questa terra con sale e cenere”,

tragicomica opposizione fra l'allegro motivo intonato dai Mariachi oltre il confine e la misera figura sanguinante e stravolta di Moss. Gli esempi sono numerosi,ma limitiamoci a questi che sembrano essere indicativi di una tendenza generale.

Se da un lato, quindi, i Coen reinventano alcune situazioni per esprimere la propria sensibilità, notiamo come, nell'aderire al costrutto narrativo del romanzo, lo stile visivo si asciuga, la regia è calibrata per costruire una gestione del sapere spettatoriale equivalente a quella del libro.

Caratteristica dello stile di McCarthy è una narrazione che sembra appartata ed imparziale che non dà spazio all'interiorità dei personaggi, non precisa il loro punto di vista che semmai può essere dedotto dalle azioni che essi compiono: sono poche le inquadrature marcate, a livello di messa in scena e messa in quadro non ci sono particolari espedienti che sottolineano momenti cruciali della vicenda. Prendiamo come esempio due momenti fondamentali della storia, che corrispondono ad altrettante scelte di Moss, la prima quella di tenersi il malloppo, la seconda quella di tornare sul posto della sparatoria per portare da bere al sopravvissuto: nel primo caso, impossessarsi del denaro sembra l'unica cosa possibile, quasi inevitabile e in questo senso fatale, Moss si limita a rispondere “sì” d una domanda interiore che lo spettatore non conosce. La seconda scelta, relativa al ritorno sul

posto, seppur giustificabile da un indefinito slancio di generosità, appare illogica, assurda: l'uomo a cui Moss si premura di portare l'acqua è quasi certamente morto, chi tornerebbe indietro col rischio di mettere in pericolo la sua vita e quella dei suoi cari? Moss stesso dice alla moglie “sto per fare una cazzata, ma la farò lo stesso”. Assistiamo dunque ad una storia che si sviluppa senza che siano chiare fino in fondo le relazioni logico-causali tra i fatti, una storia in cui alcune delle domande fondamentali restano irrisolte (di chi sono i soldi? Per chi lavora Chigurh? Chi è Chigurh?) ed in cui più che la volontà cosciente, a determinare le scelte sembra essere il caso, un caso che assume progressivamente i contorni di un destino inevitabile. Ancora un esempio: Chigurh annuncia al telefono a Moss che la sua ora è vicina, la sua morte non è considerata una possibilità ma un fatto certo, una conseguenza inevitabile di una relazione causale che si fonda su principi di funzionamento esterni alla storia raccontata. Chigurh: “Lo sai come andrà a finire, vero?”, e, poco dopo, “Non sto dicendo che tu puoi salvarti. Perchè non puoi”.

Moss assomiglia ad un eroe tragico: è un uomo buono e capace ma imperfetto, e il suo destino dipende direttamente da questa dicotomia: la sua intelligenza gli permette di trovare l'ultimo uomo e dunque il denaro; uno slancio di generosità lo spinge a tornare sul posto e ad essere individuato; piuttosto che rivolgersi alla polizia si illude di poter sfuggire al male assoluto.

In questo senso una delle scene iniziali è già prefigurazione dell'esito finale: Moss è a caccia di antilopi, sembra essere un cacciatore competente, un esperto, eppure fallisce il colpo. Questo errore, questa sconfitta, anticipa e conduce alla sconfitta decisiva: la morte.

Lo stesso sceriffo Bell ha una funzione affine a quella di un coro tragico, sembra essere più uno spettatore, osserva la tragedia senza poter intervenire su di essa; sempre in ritardo sull'azione, si limita a fare congetture che non sono nemmeno utili allo spettatore che conosce in anticipo, rispetto allo sceriffo, alcuni dettagli, come ad esempio l'arma usata da Chigurh. I Coen rendono ancora più inerme lo sceriffo che rinuncia completamente e a capirci qualcosa; infatti, nel libro, Bell si reca più di una volta sulle scene del crimine, mentre nel film declina per due volte l'invito ad accompagnare gli agenti dell'antidroga nei loro sopralluoghi.

Così tratteggiato, il film dei Coen sembrerebbe un oggetto freddo e distante che non attiva strategie di coinvolgimento emotivo-cognitivo nei confronti dello spettatore; in realtà, il film è attraversato da un clima di forte tensione, riesce a produrre l'equivalente carica emotiva di alcune scene del libro mettendo a frutto procedimenti specifici del cinema, creando scene ricche di pathos e suspanse. Una lunga sequenza in montaggio alternato lega le azioni di Moss e Chigurh: rientrando nel motel la sera prima, Moss si

accorge che c'è qualcuno nella sua camera e allora decide di cambiare momentaneamente motel. Il giorno dopo, Moss vuole recuperare il denaro; intanto, Chigurh, guidato dal segnale di una trasmittente, si avvicina pericolosamente al motel dove intanto è ritornato anche Moss che, armato di un lungo bastone e con una complicata manovra, cerca di riprendere il denaro nascosto nel condotto di aerazione, raggiungibile da una camera scelta ad hoc. Il ritmo si fa via via più serrato e mentre Moss compie queste scomode operazioni, Chigurh giunge al motel, irrompe nella vecchia camera di Moss, fa fuori i sicari messicani che, a loro volta, avevano seguito il segnale della trasmittente, contemporaneamente Moss riesce, all'ultimo istante, ad agguantare la valigetta e a darsela a gambe.

Ancora un esempio: Moss è, come al solito, nascosto in un motel, ha appena scoperto la trasmittente fra le banconote, ma è troppo tardi: Chigurh è già sulle sue tracce, avanza lentamente lungo il corridoio fino ad individuare la stanza dove si trova Moss e il suo avvicinamento è annunciato dal suono emesso dalla ricevente che si fa sempre più forte e crea un effetto di ansia, angoscia, tensione.

Anche in Non è un paese per vecchi, in continuità con la produzione di McCarthy, il paesaggio ha un ruolo molto importante: lo sguardo dell'autore vaga sconsolato e attento tra le distese di polvere e gli aridi deserti al confine

tra Messico e Stati Uniti, un assoluto in cui l'uomo sembra quasi fuori posto, incapace di darsi risposte adeguate, sopraffatto dalla potenza di spazi eterni ed immutabili, agite da morte e violenza. Alla dialettica uomo-natura si affianca quella uomo-città, per mezzo della variante urbana delle ambientazioni (motel, parcheggi, asfalto) e tale dicotomia viene trattenuta e sviluppata dai Coen anche a livello visivo: ora le inquadrature sfruttano l'ampiezza e l'orizzontalità per disperdere i personaggi nello spazio aperto dominato da tonalità cromatiche calde, ora gli interni dei motel appaiono angusti ed opprimenti, in penombra e con forti contrasti chiaroscurali.

La musica è quasi completamente assente, mentre è molto elaborata la fitta trama di suoni e rumori associati ad ogni scena che amplificano lo spazio ed evocano un preciso sfondo in cui le azioni si collocano.

Soffermiamoci ancora su alcuni temi centrali che ricorrono nel film come nel romanzo: nei primi minuti di film Chigurh fugge dopo essere stato catturato e, verso la fine, fugge dal luogo in cui è avvenuto lo strano incidente d'auto che lo ha coinvolto direttamente; per tutto il film Moss fugge, fuggono le antilopi dal suo mirino, ha tentato la fuga il sopravvissuto messicano che porta con sé la valigetta. Tutti sembrano scappare da qualcosa e il mondo è dominato da un caos solo in apparenza ordinato dalle tensioni continue che lo attraversano: la tensione di Moss verso il denaro, quella di Chigurh verso

Moss, quella di Bell verso entrambi.

Un altro tema ricorrente riguarda la dialettica cacciatore-preda e l'intercambiabilità di queste posizioni: Moss è un cacciatore a cui verrà data la caccia; lo stesso dicasi di Carson Wells, l'esperto segugio ingaggiato da un misterioso uomo per arginare Chigurh di cui però sarà egli stesso vittima. Bell, del resto, avverte Carla Jean che perfino nei rapporti uomo-animale il cacciatore può diventare preda, “anche nella lotta con la natura il risultato non è così scontato”. Del resto, l'arma preferita da Chigurh è una pistola ad aria compressa usata nella macellazione degli animali, come a dire che tutti gli uomini sono, in fin dei conti, delle prede, carne da macello.

Chigurh, il killer spietato, come interpretare questo personaggio atipico e inquietante? Il killer sembra incarnare il male puro, ci viene mostrato come una sorta di demone della morte capace di violenze brutali e illimitate che, con il suo agire, sovverte le relazioni tra crimine e giustizia, che sono pur sempre fondate su un assunto comune e cioè la stessa idea di bene; il male leggibile, interpretabile è quello che conosce la legge che vìola, che possiede un'idea di bene e deliberatamente sceglie il male. I criminali a cui Bell era abituato, nel momento in cui sfidano la legge, in un certo senso la affermano, non si collocano al di là, al di sopra del bene e del male che è invece quello che fa Chigurh: uno straniero senza passato che non fa differenza tra buoni e

cattivi, colpevoli ed innocenti, amici o nemici; la sua condotta non è motivata da ragioni egoistiche o personali (soldi, potere), non guadagna nulla nell'uccidere la moglie di Moss o il mandante di Wells, le sue azioni rispondono a dei principi tanto solidi quanto misteriosi ed inconoscibili. E' lo stesso Chigurh a metterci di fronte alla dimensione sovrumana dei suoi principi ed a sottolineare l'inefficacia delle regole che seguono gli altri; difatti Chigurh chiede a Wells: “Se le regole che hai seguito ti hanno portato a questo punto, a che servivano quelle regole?”; ma quali sono allora le regole che segue Chigurh? Proviamo a capire qualcosa di più osservando due sequenze speculari: la prima è quella della stazione di servizio, in cui Chigurh viene infastidito da una domanda amichevole rivoltagli dal benzinaio: “Ha trovato tanta pioggia sulla strada?”; l'altra sequenza è quella in cui Chigurh uccide Carla Jean. Questi due episodi sembrano suggerire che Chigurh abbia, tutto sommato, dei sentimenti vagamente umani: pare infatti voglia uccidere il benzinaio e sembra avere una sorta di compassione nei confronti della giovane donna; in entrambi i casi Chigurh sottomette i suoi desideri alla sua legge: il Caso. E' questo il suo principio fondante, quello che lo rende invincibile e invulnerabile e questo principio deve vincere su ogni desiderio; significativo in questo senso questo scambio di battute: Carla Jean: “Tu non sei obbligato” Chigurh: “Mi stai chiedendo di essere vulnerabile e questo non

lo posso fare”.

Chigurh è talmente pericoloso che è sufficiente vederlo per essere condannati a morire e sembra che egli sia ben consapevole di ciò, tanto da tentare di dominare il senso della vista altrui: durante la telefonata con Moss dice all'avversario: “You have to come to see me”63. I Coen recepiscono il

senso di morte che la vista di Chigurh porta con sé64, tanto che aggiungono,

quando il killer uccide il mandante di Carson Wells, un personaggio spettatore che chiede a Chigurh cosa abbia intenzione di fare con lui, e Chigurh gli chiede: “Tu mi hai visto?”. Wells è colpito dal fatto che Moss sia ancora in vita dopo aver visto Chigurh, Carla Jean capisce a prima vista che l'uomo che le siede di fronte la ucciderà; ai ragazzini che lo soccorrono, infine, dopo l'incidente d'auto, Chigurh dice: “Voi non mi avete visto. Io me n'ero già andato”. Bell, infine, arriva ad un passo dal vedere Chigurh, ma il faccia a faccia non si verifica, e così lo sceriffo si salva. Si tratta di una delle sequenze più misteriose del film: Bell ritorna nel motel dove Moss è stato ucciso (è interessante notare come questo sia l'unico momento in tutto il film in cui Bell è solo), intuendo che Chigurh tenterà di recuperare la valigetta, che non è stata ancora ritrovata. Arrivato sul posto, nota subito che la maniglia

63Riportiamo la frase originale perché nella traduzione italiana (“Devi venire da me”) non

viene restituita l'allusione al fatto che vedere Chigurh rappresenti una condanna a morte.

64Significativo il fatto che nella locandina del film campeggiano gli spaventosi occhi di

della porta è stata forzata in un modo che reca la firma di Chigurh. Infatti vediamo il killer nascosto in un angolo buio all'interno della camera. La macchina da presa propone un surreale campo/controcampo del buco nella porta, che visto dall'esterno suggerisce il buio della stanza, dall'interno il foro è attraversato da un fascio di luce. Bell entra nella stanza, la sua ombra sdoppiata e proiettata sul muro. Eppure all'interno non sembra esserci nessuno, eppure l'unica finestra è chiusa dall'interno. Che fine ha fatto Chigurh? Questa domanda non ottiene risposta, Chigurh per tutto il film si muove come un fantasma, appare e scompare senza che nessuno sappia dove va e da dove è venuto.

Avevamo accennato al fatto che al centro del romanzo sta lo sgomento dello sceriffo che deve ammettere qualcosa che esiste ma di cui non riesce a concepire l'esistenza, un male assoluto e inarrestabile. Oltretutto assiste impotente alla distruzione del tessuto sociale, al degrado morale dell'America contemporanea, alla scomparsa di ogni valore di riferimento. Per quanto retto e coraggioso lo sceriffo non ha più la forza per rispondere con le azioni al richiamo del dovere morale e si rifugia nel ricordo dell'epoca lontana di cui egli stesso fa parte, carica di valori positivi e fondanti. Il confine un tempo era una frontiera inesplorata e selvaggia ma ancora conoscibile, in cui era possibile portare la legge e giustizia. Ormai il

West è addomesticato ed alla vecchia, semplice, banale criminalità se ne è aggiunta una nuova, un male moderno che si è radicato inesorabilmente nella società come un cancro al punto che non si può nemmeno più fingere di credere di riuscire a combatterlo.

Numerosi dunque gli elementi che sembrano dire allo spettatore che l'umanità ha perso per sempre la possibilità di salvezza: i toni estremamente cupi, l'assenza di musica, la violenza cruda e implacabile, l'impossibilità di un confronto risolutivo fra bene e male, la ritirata dello sceriffo. Eppure i Coen conservano lo spiraglio di speranza aperto da McCarthy, anche quando la verità e la giustizia sembrano non essere più sufficienti per salvare il mondo dai venti mortali del cambiamento. La speranza è una forma di promessa, un patto che l'uomo stipula con sé stesso, nel caso del romanzo rappresentato da un abbeveratoio di pietra di cui Bell ha un saldo ricordo: colui che lo ha realizzato deve aver lottato continuamente contro le avversità che attraversano un paese che non ha mai conosciuto la pace, eppure l'uomo è

Documenti correlati