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CAPITOLO III: LA TUTELA DEGLI APOLIDI NELL’ORDINAMENTO

3.1 Gli apolidi in Italia

Non esistono cifre precise né ufficiali riguardo gli apolidi in Italia, tuttavia secondo l’UNHCR175 si può ragionevolmente ritenere che la maggioranza di essi si trova

all’interno delle comunità rom originarie della ex Jugoslavia176. Il resto della popolazione

apolide in Italia proviene da paesi e territori quali l’ex URSS, la Palestina, il Tibet, l’Eritrea, l’Etiopia e Cuba.

Per quanto riguarda le comunità rom, la Comunità di Sant’Egidio177 nel 2013 stimava

che circa 15 mila discendenti di persone provenienti dalla ex Jugoslavia fossero privi di documenti e per questo potenzialmente apolidi. Questo numero, che corrisponde

175 Si veda il report Raccomandazioni dell’UNHCR sugli aspetti rilevanti della protezione degli apolidi in Italia, UNHCR, Roma, ottobre 2014, disponibile sul sito https://www.unhcr.it/wp- content/uploads/2016/01/AdvocacyStatelessnessItaly_It.pdf.

176 Il flusso migratorio di rom dagli Stati dell’ex Jugoslavia è storicamente riscontrato sin dagli anni ‘70, ma ha avuto una crescita significativa con la guerra civile jugoslava e il conseguente afflusso di sfollati di guerra, renitenti alla leva e rifugiati. Dopo la guerra non solo è stato difficile o impossibile rimpatriare una parte degli sfollati, ma si sono create condizioni di assenza o privazione della cittadinanza.

177 La Comunità di Sant'Egidio è un movimento laicale di ispirazione cristiana cattolica, dedito alla preghiera e alla comunicazione del Vangelo. Nata in Italia nel 1968, oggi è diffusa in più di 70 paesi in diversi continenti (Africa, Asia, Europa e America) ed è costituita da una rete di piccole comunità di vita fraterna, composte da circa 50.000 persone. La Comunità di Sant'Egidio ha dato vita nei diversi Paesi a numerose opere di sostegno ai poveri. Oltre a mense, scuole di lingua per gli immigrati, centri in cui si distribuiscono aiuti, scuole pomeridiane per bambini, centri per portatori di handicap, centri per anziani, ambulatori medici e centri per persone con disagio psichico, la Comunità offre i suoi servizi in campi nomadi, case famiglia per bambini e adolescenti, case alloggio per malati cronici e per senza fissa dimora, case per anziani non autosufficienti, case protette per anziani parzialmente autosufficienti. Tra i suoi scopi vi è anche il perseguimento della pace e la cooperazione tra i popoli. In particolare, la Comunità cerca di realizzare la solidarietà e l'aiuto umanitario alle popolazioni civili che soffrono a causa della guerra.

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all’incirca al 10% dei rom presenti nel territorio italiano178, include anche giovani nati e

cresciuti in Italia ma privi della cittadinanza italiana.

Questo perché da un lato, l’accesso effettivo delle comunità rom alle procedure per il riconoscimento della cittadinanza italiana o dello status di apolidia è spesso ostacolato da vari fattori come la mancata registrazione delle nascite (anche per mancanza di informazione o di documenti), la perdita dei documenti per i cittadini della ex-Jugoslavia, la perdita del lavoro e della residenza regolare, il mancato rilascio del passaporto da parte dei Consolati dei paesi di origine, o ancora, il timore di essere soggetti ad un’espulsione.

Dall’altro, risulta molto difficoltosa anche l’acquisizione della cittadinanza del paese di origine179. Ciò a causa sia dei requisiti richiesti dalla normativa di questi paesi, sia per le difficoltà riscontrate nella prassi ad interagire con le proprie rappresentanze diplomatiche in Italia e ad ottenere i documenti necessari. Per esempio ci sono dei casi dove per iscriversi anagraficamente o iscrivere il proprio figlio nato in Italia occorre recarsi direttamente nel paese di origine, ma nella situazione di irregolarità in cui si trovano spesso queste persone, ciò non è praticabile data l’impossibilità a rientrare in Italia.

178 Nonostante non esista un dato certo riguardo la presenza di rom e sinti in Italia e in Europa, il Consiglio d’Europa nel 2012 ha stimato che in Italia la popolazione rom e sinta è compresa tra le 120.000 e le 180.000 unità (pari a circa lo 0,2% della popolazione residente, una delle percentuali più basse d’Europa), mentre in Unione Europea si aggira tra i quattro e gli otto milioni (pari all’1,1% della popolazione residente). 179 Con lo smembramento e l’estinzione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, i cittadini di questo Stato hanno perso in modo automatico la propria cittadinanza jugoslava. Ciò è avvenuto in base alla regola di diritto internazionale in materia di trattati, la quale prevede che lo Stato che subentra nel governo di un territorio non è vincolato dagli accordi conclusi dai predecessori (chiamata anche regola della tabula rasa). Ne consegue che, nel momento della nascita delle Repubbliche balcaniche le persone che si trovavano fuori dal loro paese di origine non hanno ottenuto automaticamente la “nuova” cittadinanza. P. Farci, op.

cit., p. 315. Sul punto si veda altresì la Convenzione di Vienna sulla successione tra Stati rispetto ai trattati

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Così, un ampio numero di rom passa la propria vita in una sorta di limbo, senza accesso ad un riconoscimento ufficiale del proprio status e ai diritti connessi, né ad un qualche altro tipo di status legale.

È bene inoltre ricordare, che all’origine della loro posizione di non regolarità vi è una responsabilità congiunta sia dell’Italia che dei Paesi di provenienza.

Quanto all’Italia, la soluzione che adottò in relazione al flusso migratorio che si era originato a causa della guerra civile svoltasi dal 1991 al 1999 in Jugoslavia, fu prevalentemente quella del rilascio di un permesso di soggiorno umanitario di durata annuale e rinnovabile, che consentiva di lavorare sul territorio italiano.

Le autorità italiane, però, misero in atto fin da subito una disparità di trattamento escludendo dai beneficiari la minoranza rom. A detta loro tali popolazioni, a causa del loro presunto nomadismo, non possedevano i requisiti per procedere al rilascio del permesso in questione, pur a fronte di condizioni economiche e di persecuzione etnico- religiosa di particolare gravità.

Così, quando a partire dal 1998 sono state avviate le prime politiche di stabilizzazione dei detentori di permesso di soggiorno umanitario, impossibilitati a tornare in patria per varie ragioni (per la situazione di conflitto persistente nel Paese o perché ancora a rischio di discriminazione e persecuzione), venne offerto loro la possibilità di convertire il permesso di soggiorno umanitario in permesso per ragioni di lavoro (per coloro che riuscivano a dimostrare di averne uno). Da questa regolarizzazione i rom, che non avevano ottenuto neppure il primo permesso umanitario, furono automaticamente esclusi.

Per i pochi che invece erano comunque riusciti ad accedervi, la fortissima marginalizzazione cui sono stati soggetti (il confinamento nei campi, la sottoposizione a

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controversi provvedimenti normativi di natura speciale, eccezionale ed emergenziale180) ha spesso impedito di poter accedere ad un lavoro regolare e tale da poter garantire le soglie di reddito minime richieste per la regolarizzazione del soggiorno (proprio e dei propri familiari).

Quanto alla responsabilità dei Paesi di provenienza, essa deriva dalle politiche che allo stesso tempo si avviarono in quegli Stati, tra le quali: la frammentazione del territorio congiunta al tentativo di caratterizzazione etnica di ciascuno dei nuovi Stati; il rafforzamento dell’obbligo di leva (che nel corso di una guerra civile significa obbligo di combattere contro i propri amici e familiari); le pratiche di discriminazione di intere etnie e minoranze; la distruzione dell’Anagrafe e dei Registri di stato civile volta al fine di impedire il rientro di persone non più gradite nei nuovi Stati181; le nuove leggi di cittadinanza che escludevano la possibilità di attribuirla agli emigrati e ne impedivano il riacquisto.

Di qui, molti di coloro che hanno perduto la cittadinanza jugoslava non hanno mai avuto accesso alla cittadinanza di uno dei nuovi Stati, e altri hanno incontrato enormi difficoltà a dimostrare la propria cittadinanza originaria (chi per il rogo dei relativi documenti, chi per la mancata collaborazione dello Stato di provenienza).

180 Merita di essere ricordato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 maggio 2008 (cd. “Decreto emergenza nomadi”), sul cui impianto è intervenuto il Consiglio di Stato con una sentenza di annullamento (sent. n. 6050 del 16 novembre 2011).

181 La Repubblica federale jugoslava sovrapponeva alla cittadinanza federale quella di ciascuna delle Repubbliche federate, la cui titolarità era generalmente collegata all’iscrizione nei registri. Dato, però, lo scarso peso attribuito a questa seconda cittadinanza, molti jugoslavi omettevano di registrarsi in caso di circolazione all’interno della Federazione. A seguito della scissione, però, l’iscrizione anagrafica è diventata il primo criterio attributivo della cittadinanza nei nuovi Stati. Bonetti P., Simoni A., Vitale T., La

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Il risultato è che una larga parte di rom attualmente presenti in Italia, pur essendo nata e sempre vissuta qui, vive in una condizione di assoluta oscurità giuridica, isolata nei campi, senza un documento d’identità, un certificato di residenza ed un lavoro. Tutte condizioni che, a loro volta, impediscono di poter accedere a qualunque forma di regolarizzazione o di poter svolgere un qualunque progetto di vita legale, gettando così gli individui in una spirale di progressiva marginalizzazione ed impossibilità di accesso ai diritti.

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