Il contenuto
L’ultima parte dell’intervento di Alcibiade costituisce ciò che, in termini retorici300, viene
definito ἐπίλογος del discorso suasorio, la perorazione finale, che in questo caso presenta solo alcuni degli elementi che di norma la connotano: l’appello diretto all’uditorio (ὑμᾶς, πειρᾶσθε VI, 18.6), con l’invito a non dare ascolto alle parole dell’avversario (VI, 18.6)301 e
la formulazione finale della proposta (VI, 18.7).
Il λόγος di Alcibiade non presenta una vera e propria ἀνακεφαλαίωσις, che riproponga i punti principali dell’argomentazione. Introduce invece in maniera polare il tema del rapporto tra vecchi e giovani, già trattato precedentemente da Nicia (VI, 12.2 e VI, 13.1) e finora solo sfiorato da Alcibiade nella difesa della propria giovane età (VI, 17.1). Se Nicia aveva posto l’accento sul dissidio generazionale tra gli anziani e i giovani, rimproverando a questi ultimi, ed allusivamente ad Alcibiade, la loro inadeguatezza a gestire il comando (ἄλλως τε καὶ νεώτερος ὢν ἔτι ἐς τὸ ἄρχειν VI, 12.2), Alcibiade invece individua nella collaborazione di generazioni diverse un elemento di forza per Atene. Questo convincimento viene espresso sia sul piano concreto contingente che sotto il profilo gnomico: gli antenati resero grande l’impero attraverso deliberazioni unanimi di giovani e vecchi, e a questo esempio bisogna adeguarsi nel presente (VI,18.6)302, perché le potenzialità di un’unità di intenti e decisioni sono molte, mentre risultano del tutto annullate da una condotta discorde (νεότητα μὲν καὶ γῆρας ἄνευ ἀλλήλων μηδὲν δύνασθαι, ὁμοῦ δὲ τό τε φαῦλον καὶ τὸ μέσον καὶ τὸ πάνυ ἀκριβὲς ἂν ξυγκραθὲν μάλιστ᾽ ἂν ἰσχύειν VI, 18.6).
Per quel che riguarda l’appello allo stato d’animo dell’uditorio, ovvero quella parte in cui l’oratore indica i sentimenti che devono animare l’assemblea (πάθη), Alcibiade condanna con forza l’ἀπραγμοσύνη, che è un sentimento sterile e nocivo, ribadendo invece con decisione l’invito all’azione e all’adesione alle proprie tradizioni (τὴν πόλιν, ἐὰν μὲν
300 Cfr. n.240.
301 In questa affermazione di Alcibiade parte della critica ha intravisto una notevole e voluta distorsione del
reale contenuto di ciò che Nicia ha detto. Hornblower, tra tutti, afferma che Nicia non avrebbe invitato l’assemblea a quell’ἀπραγμοσύνη di cui lo accusa il collega, ma piuttosto avrebbe consigliato di concentrare i propri sforzi militari in un contesto di guerra meno rischioso e più accessibile (cfr. e.g. VI, 10.5). Al contrario Wade-Gery sostiene che the leadership of the ἀπραγμοσύνη, after the son of Melesias’death, devolved to
some extent on Nikias (p. 266). Lo studioso, per supportare la propria affermazione, cita anche il passo
V, 16.1, in cui lo stratega esorta gli Ateniesi a stipulare quella pace che da lui prende il nome.
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ἡσυχάζῃ, τρίψεσθαί τε αὐτὴν περὶ αὑτὴν ὥσπερ καὶ ἄλλο τι, καὶ πάντων τὴν ἐπιστήμην ἐγγηράσεσθαι VI, 18.6).
Sulla sintassi e lo stile
L’ultima parte del discorso di Alcibiade presenta caratteristiche formali sostanzialmente analoghe a quelle delle sezioni precedenti.
L’impostazione del periodo è prevalentemente paratattica e frequentemente articolata mediante la congiunzione καί o l’asindeto. Il paragrafo VI, 18.6, presenta una struttura più ampia ma nel complesso lineare. Tre forme verbali reggenti, infatti, tutte introdotte da καί (καὶ ἀποτρέψῃ, καὶ πειρᾶσθε e καὶ νομίσατε) sono semplicemente seguite da una serie di infinitive coordinate al primo livello di subordinazione (μὲν δύνασθαι, δὲ ἰσχύειν, καὶ τρίψεσθαι303, καὶ ἐγγηράσεσθαι, δὲ προσλήψεσθαι, καὶ ἕξειν).
Nel complesso il periodo in VI, 18.6, dal punto di vista formale, mostra quello che è stato definito da Tompkins Alcibiades’normal style304, uno stile che nella sua linearità comunica sicurezza, credibilità e fiducia.
Ancor più semplice la struttura sintattica del breve paragrafo conclusivo VI, 18.7, in cui si succedono due γνώμαι che sintetizzano in maniera icastica le convinzioni di Alcibiade (γιγνώσκω): l’ἀπραγμοσύνη è nociva, l’adesione alle proprie consuetudini da’ sicurezza. Dal punto di vista stilistico si rivela la presenza di alcune personificazioni che attribuiscono vitalità e spessore alle nozioni astratte che esprimono:
- la personificazione delle tre età dell’uomo, che assumono potere e forza reciproca nella collaborazione (δύνασθαι, ξυνκραθεν, ἰσχύειν);
- la personificazione della scienza, che invecchia in una città inattiva (ἐγγηράσεσθαι); - la personificazione della città, che è destinata a consumarsi (τρίψεσθαι) nell’ἀπραγμοσύνη,
mentre si consoliderà nell’azione (προσλήψεσθαι).
303 È interessante notare il parallelo tra questo passo e il discorso indiretto riportato da Tucidide, nel quale
Alcibiade si rivolge a Tissaferne ed utilizza una forma verbale analoga a quella inserita in VI, 18.6. Si legge infatti αὐτοὺς περὶ ἑαυτοὺς τοὺς Ἕλληνας κατατρῖψαι (VIII, 46.2).
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Sul lessico
L’epilogo del discorso di Alcibiade focalizza due temi, come abbiamo visto, il rapporto tra vecchi e giovani e la necessità di evitare l’ἀπραγμοσύνη.
- Per quanto riguarda il primo punto, osserviamo in poche righe la presenza insistente del binomio νέοι / πρεσβύτεροι (γεραίτεροι), anche nella dimensione astratta νεότης / γῆρας, un binomio che Tucidide inquadra prima nella prospettiva negativa della διάστασις305 presentata da Nicia (διάστασις τοῖς νέοις ἐς τοὺς πρεσβυτέρους ἀποτρέψῃ VI, 18.6), poi nell’ottica positiva della collaborazione (ξυνκραθέν) proposta da Alcibiade (ὁμοῦ δὲ τό τε φαῦλον καὶ τὸ μέσον καὶ τὸ πάνυ ἀκριβὲς ἂν ξυγκραθὲν μάλιστ᾽ ἂν ἰσχύειν VI, 18.6). La presenza della forma ἠγγηράσασθαι (VI, 18.6) è evidentemente congruente alla presenza della tematica vecchi/giovani, che viene estesa alla personificazione della ἐπιστήμη (πάντων τὴν ἐπιστήμην ἐγγηράσεσθαι).
- In relazione al secondo motivo, Alcibiade coagula le sue conclusioni nella nozione di ἀπραγμοσύνη che sostituisce con un’accezione più marcata in senso negativo il termine ἡσυχία, più volte evocato da Nicia in direzione positiva e dallo stesso Alcibiade in direzione negativa. L’ἀπραγμοσύνη è per Alcibiade l’immobilismo, la mancanza di azione, la passività, condizioni queste che non possono che nuocere ad una città che deve saper competere (ἀγονίζεσθαι) e difendersi (ἀμύνεσθαι).
- Come Nicia conclude il suo λόγος con la metafora del medico riferita al pritano (VI, 14.1), così Alcibiade evoca simmetricamente alcuni concetti di matrice medica a chiusura del suo discorso.
Con l’espressione ὁμοῦ δὲ τό τε φαῦλον καὶ τὸ μέσον καὶ τὸ πάνυ ἀκριβὲς ἂν ξυγκραθὲν μάλιστ᾽ ἂν ἰσχύειν (VI, 18.6) Alcibiade sembra adattare al “corpo politico” la teoria in base alla quale la buona salute dipende da un corretto mescolamento di elementi diversi
305 La parola διάστασις è formata dalla preposizione δια- “attraverso” e dal sostantivo στάσις, un termine di
grande peso semantico in quanto viene solitamente utilizzato da Tucidide per indicare la guerra civile e i conflitti interni ad un’entità politica cittadina o statale. Particolarmente significativo per comprendere il valore di questa parola e ciò che essa veicola è la disquisizione sui fatti di Corcira, scenario di una terribile guerra civile (III, 82). Nel λόγος alcibiadeo, come abbiamo visto, lo stratega vi fa ricorso quando parla dei possibili dissidi tra genti di razze diverse nel contesto siciliano (στασιάζων 17.3 e στασιάζουσιν 17.4). Si veda anche Chantraine, s.v. στάσις.
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e dal loro conseguente equilibrio306, mentre il nesso ἀπραγμοσύνης μεταβολῇ (18.7), fa riferimento a the right sort of change of medical regime307.
306 Cfr. e.g. Hp. VM. 13 e 18. Analogamente anche nell’opera De Aere aquis et locis, nella quale Ippocrate
tratta principalmente del clima e dell’influenza che esso esercita sul corpo umano, si parla dei benefici effetti che un clima moderato esercita sul temperamento umano (Aer. 12). Ma la dottrina secondo la quale il retto agire è costituito dal giusto mezzo tra enti e valori estremi rappresenta un principio di ben più ampio respiro nella civiltà e nella cultura greca, teorizzato anche da uno dei suoi più noti filosofi, ovvero Aristotele (si veda in particolare Pol. 1282a25, in cui tale principio è applicato proprio al contesto politico). Per un’analisi approfondita del passo tucidideo e del ricorso di Alcibiade a questa immagine che connette la politica al linguaggio della medicina si veda DeRomilly, 1976, pp. 93-105.
307 Così Hornblower, 2008, p. 353. Ha letto una corrispondenza tra i due discorsi nei riferimenti di carattere
medico R. Brock (2006, pp. 351-359), il quale ritiene che nell’ἐπίλογος del proprio intervento Alcibiade abbia voluto rispondere, attraverso queste due immagini, alla metafora inserita dal “dottor Nicia” in chiusura del suo discorso (cfr. VI, 14.1, in particolare τῆς δὲ πόλεως <κακῶς > βουλευσαμένης ἰατρὸς ἂν γενέσθαι). A favore di tale ipotesi interpretativa - decisamente affascinante – vi è l’evidente parallelismo tra le due sezioni conclusive dei λόγοι, nelle quali ricorrono in modo incisivo espressioni del linguaggio medico, e l’indiscussa abilità retorica dell’autore, capace di organizzare il dibattito con grande simmetria; d’altro canto, se nel capitolo 14 Nicia si esprime attingendo esplicitamente dal mondo della medicina, come si evince dall’uso di una metafora che verte sul termine ἰατρὸς, Alcibiade invece si limita ad inserire parole e forme inerenti a questo campo semantico, in maniera coerente a numerose scelte lessicali e stilistiche intraprese dall’autore all’interno delle Storie che vanno in questa direzione.
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