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1. IL TRADING FINANZIARIO: STORIA RECENTE ED EXPERTISE ATTUALE

2.6 Le Adaptive Market Hypothesis di Andrew Lo

2.6.3 Applicazioni concrete delle AMH

Il nuovo framework di Andrew Lo, dato l’innovativo contesto appena presentato, non può che essere retto dai seguenti pilastri (Lo, 2005):

I. Gli individui agiscono nel proprio interesse personale (unico punto di contatto con le EMH).

II. Gli individui commettono errori (non vi è più razionalità comportamentale). III. Attraverso il proprio comportamento, imparano dagli errori e si adattano.

IV. La competizione tra individui è un input fondamentale per adattamento ed innovazione.

V. La selezione naturale modella l’ecologia di mercato. VI. L’evoluzione determina le dinamiche di mercato.

Il carattere pervadente ed influente attribuito al comportamento umano consente un’immediata applicazione pratica: individui ed istituzioni agiscono e si muovono nel mercato sviluppando preferenze, in particolare relative alla propensione al rischio, le quali non sono costati ma si evolvono nel corso del tempo. Una delle sfide delle AMH è quella di riuscire a modellizzare tali risk preferences mediante un approccio non più unidimensionale (funzione di utilità attesa) ma mediante un’aggregazione complessa di una pluralità di fattori. L’approccio neuro scientifico suggerisce che, seguendo le analogie con la struttura del cervello umano33, si può giungere ad una corretta misura e

gestione delle preferenze, grazie alla combinazione degli approcci quantitativi di natura psicologica (le cui indagini sono finalizzate a catturare quante più caratteristiche comportamentali possibili) ed economica (i cui scopi sono lo studio delle preferenze dei consumatori e dei loro profili di rischio).

Un ulteriore applicazione concreta, concernente in maniera più diretta il campo dell’asset management, riguarda la relazione tra rischio e rendimento, non più costante nel tempo ma variabile e funzione delle preferenze dei partecipanti al mercato, dell’ambiente di riferimento e degli aspetti istituzionali che regolano tale ambiente. A corollario di ciò, lo stesso equity risk premium non è un parametro universale ma variabile in base ai fattori appena esposti. Questa condizione rappresenta sicuramente una rottura con la visione economica classica della relazione rischio-rendimento (ad alto rischio corrisponde un alto rendimento, e viceversa) poiché situazioni e comportamenti degli agenti di mercato possono portare a plurime violazioni. In figura 2 vengono

33 Si veda Lo (2005), pagg. 27-29 per i riferimenti completi di tali studi. In questa sede

vengono riportati i principali spunti e congetture sulla base delle quali si sono sviluppate le AMH.

riportati rendimenti e deviazioni standard del CRSP Value-Weighted Index Returns e si evidenzia come, in alcuni periodi storici, la relazione tra rischio e rendimento sia negativa (la correlazione tra le due serie è di -59,9%).

Sotto le AMH, la spiegazione di tale fenomeno riguarda il comportamento che una consistente porzione degli investitori assume in periodo di galoppante volatilità azionaria: tali individui migrano le proprie risorse verso investimenti più sicuri o disinvestono i capitali dal mercato dell’equity, secondo un fenomeno finanziario definito

flight to safety. Questo processo di disinvestimento produce un downgrade dei prezzi

azionari e una pressione al rialzo nei prezzi degli asset meno rischiosi, causando così una rottura della relazione rischio-rendimento. Viene dunque dimostrato che è l’interazione tra gli agenti in gioco nell’ambiente di riferimento che determina la relazione trai due fattori, risultato che non preclude alla relazione rischio-rendimento di seguire gli usuali binari della teoria classica in certi periodi ma che evidenzia come tale relazione sia mutevole ed adattiva.

Una seconda implicazione relativa all’asset management riguarda le opportunità di arbitraggio, assenti nel framework delle EMH ed invece qui, data la complessa dinamica

Figura 2: rendimenti e deviazioni standard annualizzati dell’indice CRSP Value-Weighted Index Returns, dati dal 19 marzo 1930 al 31 dicembre 2010 ed aggregati secondo rolling windows di 1250 giorni (Fonte: Lo, 2012).

descritta dalle AMH, esistenti e sfruttabili. Come esposto precedentemente (v. pag. 28), già Grossman e Stiglitz avevano presentato aspre critiche alle EMH sull’impossibilità, da queste teorizzata, di ottenere extra profitti sfruttando tali opportunità, condizione invece esistente in un mercato attivo e liquido come quello dei capitali. Secondo la nuova prospettiva evoluzionistica, un’attenta ed accorda asset allocation34 che sfrutti

tali opportunità può portare ad un surplus di valore per quegli investitori in grado di adattarsi al contesto economico. Tali opportunità sono mutevoli, si presentano e si esauriscono una volta sfruttate, seguendo i vari cicli che caratterizzano i mercati: periodi di forte trend, bolle azionarie, crolli finanziari, nascita e declino di nuove “specie”, cambiamenti istituzionali e regolamentari. La realtà complessa dei mercati impone lo sviluppo di strategie adattive che sfruttino le opportunità di profitto, e solo le strategie più efficaci permetteranno la sopravvivenza nel sistema.

Una terza implicazione è l’efficacia relativa delle strategie di investimento, adatte e profittevoli in certi contesti ma dannose e sotto-performanti in determinati altri. Questo è un ulteriore punto di rottura rispetto al paradigma fondamentale di investimento, poiché ancora una volta viene ribadito come l’efficacia della strategia dipende incontrovertibilmente dalle condizioni dell’economia/ecologia nella quale è applicata, e se in certi periodi può condurre a considerevoli perdite, in certi altri può tornare a produrre profitti considerevoli. In Lo (2004, 2005) viene riportato uno studio a supporto di questa affermazione, presentando i coefficienti di autocorrelazione di primo ordine

34 L’asset allocation è quel processo decisionale mediante il quale si distribuiscono le

risorse a disposizione fra le varie possibilità di investimento (strumenti finanziari o attività reali). Vi sono tre possibili sottocategorie di asset allocation, ovvero:

I. Asset allocation strategica, orientata su un orizzonte di medio-lungo periodo e finalizzata ad individuare quelle asset classes le cui performance presentano maggior stabilità in tale arco temporale;

II. Asset allocation tattica, orientata su un orizzonte di breve periodo e contingente rispetto ad una visione strategica, adattando le scelte di portafoglio strategiche ai trend ed alle forze in atto nel mercato;

III. Asset allocation dinamica, anch’essa orientata nel breve periodo ma finalizzata ad una completa adattabilità delle scelte di portafoglio in base alle condizioni di mercato, e sarà tanto più efficace quanto più sarà adeguato il timing di intervento del gestore di portafoglio.

dei rendimenti mensili dello S&P Composite Index, considerando delle rolling windows di cinque anni e per il periodo compreso tra gennaio 1871 e aprile 2003 (figura 3 seguente).

Seguendo i costrutti delle EMH (i prezzi seguono un modello random walk e sono serialmente indipendenti, 𝜌q2 prossimo o uguale a zero a seconda del grado di efficienza

del mercato), ci si aspetterebbe di osservare valori elevati di correlazione nei periodi iniziali, progressivamente tendenti a zero all’aumentare dell’efficienza del mercato statunitense. Al contrario, nella pratica, si apprezza un andamento ciclico della correlazione seriale, e l’efficienza secondo le EMH si raggiunge solo in alcuni periodi (primi anni del 1900, l’immediato dopoguerra degli anni ’50, i primi anni ’90 dove si registra una correlazione quanto meno prossima allo zero). Tale evidenza empirica conferma in pieno il concetto di ciclicità del mercato abbracciato dalle AMH ed evidenzia la necessità di ristrutturare ed adattare continuamente le proprie strategie di asset

allocation al contesto di riferimento.

Un’ultima diretta implicazione delle AMH per la gestione dell’asset allocation è che i

fattori di rischio non sono costanti nel tempo ma sono mutevoli, ed in determinate

Figura 3: coefficiente di correlazione seriale dei rendimenti del S&P Composite Index, aggregati con rolling window di cinque anni, dati dal gennaio 1871 ad aprile 2003. (Fonte: Lo, 2012)

situazioni caratteristiche quali crescita e valore possono essere considerati indicatori di rischio: se per le EMH esistono fattori di rischio e fattori risk free, il framework introdotto dalle AMH non pone restrizioni in tal senso. A stabilire quali fattori, in determinati contesti, siano da considerare rischiosi e dunque presentino un risk premium maggiore, è la natura della popolazione degli investitori e l’interazione tra le loro preferenze e le risorse presenti nei mercati. Ad esempio, durante la bolla tecnologica statunitense di fine anni ’90, le preferenze degli investitori erano concentrate sulle azioni in forte crescita delle imprese operanti in campo informatico, salvo poi invertirsi una volta scoppiata la bolla speculativa. Se dunque una fetta consistente degli investitori esprime preferenze per i titoli in crescita, il prezzo di quei titoli incorporerà un risk premium sempre maggiore, salvo poi decrescere sia per l’entrata nel mercato di nuovi investitori con diverse preferenze sia per l’uscita del mercato degli investitori già presenti. Sebbene il lavoro di Lo non fornisca un metodo quantitativo per determinare quali e quante caratteristiche siano prezzate e considerate o meno risk factors e risk premium – ed è un fatto conseguente alla natura delle AMH – tuttavia lo studioso espone alcune linee guida qualitative (Lo, 2005): si rende necessario, secondo Lo, costruire delle misure di sintesi che colgano trasversalmente le preferenze degli individui e le condizioni del mercato esistenti ed ipotetiche, sviluppando così una descrizione completa dell’ambiente economico e dei fattori di rischio determinanti, sfruttati dagli individui che in tale ambiente operano.

2.6.4 Sopravvivenza e nuove tecnologie: sfide rinnovate per il portfolio management