Trifogli figlio di un’epoca
Penso che siamo tutti d’accordo nel dire che un Convegno non dovrebbe avere un carattere evocativo-rievocativo, archeologico, però la difficoltà che abbiamo noi in questo contesto, in questo momento è che ci troviamo di fronte - parlando di Alfredo Trifogli - ad un’espe-rienza umana, intellettuale, politica, che effettivamente appartiene a un’altra fase della nostra storia repubblicana, perché tutto quello che abbiamo fin qui raccontato oggi non solo non c’è più per ragioni di evoluzione, di cambiamento, per ragioni anagrafiche (persone che non sono più con noi), ma è cambiato il ciclo politico. Trifogli oggi senza la cultura che sosteneva la Democrazia Cristiana, senza il respiro del mondo cattolico, sarebbe una persona capace di coltivare buoni studi, di avere la stessa passione, lo stesso impegno, la stessa testardaggine, tutte le cose che abbiamo detto fino adesso, ma non avrebbe il ruolo eminente che invece ha avuto. Questo vale per Trifogli, come per tan-te figure della nostra storia più recentan-te. Quindi, noi dobbiamo sfor-zarci di capire che senso ha svolgere questa rievocazione, cercando di mettere a verbale qualcosa che serva a immaginare una riflessione più approfondita, una critica, un’autocritica. È un compito molto difficile.
Trifogli è stato sindaco per sette anni: oggi il sistema delle auto-nomie locali poggia sulla legge 142 del 1990 che Adriano Ciaffi ha contribuito a fare, e oggi noi in base alla retorica che si è attaccata a queste riforme, dovuta ai sindaci che l’hanno interpretata per primi (chi di noi non ricorda la stagione del “partito dei sindaci”?) siamo
abituati a pensare che la stabilità è il prodotto dell’elezione diretta dei sindaci. Ecco, noi abbiamo avuto sindaci di piccoli paesi che sono stati sindaci per trenta anni. Si dice: ma questo riguarda sindaci di piccoli comuni, no riguarda anche sindaci di medie città, di importanti città, cito soltanto Boni, sindaco di Brescia per 30 anni, parliamo di una città capoluogo di provincia importante.
Trifogli è stato amministratore locale per molti anni, vicesindaco prima e sindaco per sette anni, se non ricordo male, e lo è stato fa-cendo l’esperienza, che è la condizione che porta ad avere una qualità nell’amministrazione, perché questa idea che noi scegliamo il sindaco perché lo peschiamo porta a porta, sarà pure suggestiva in termini di spettacolo, ma non funziona, non attecchisce, perché prima che tu impari che cos’è una delibera comunque passa del tempo, e prima di capire che la delibera ha bisogno dell’istruzione dei dirigenti e dei fun-zionari passa del tempo, e prima di capire che senza il visto del segreta-rio comunale non puoi andare in giunta passa del tempo, e dietro tutti questi passaggi vi deve essere anche la capacità dell’amministratore di non perdere il filo rosso della capacità d’iniziativa, e queste cose non si inventano.
Quindi, la formazione non è qualcosa di aggiuntivo, di casuale: Tri-fogli era figlio di questa stagione, cioè figlio di un’epoca in cui non si concepiva l’idea che tu facevi l’amministratore locale se prima non eri passato attraverso un’esperienza o di associazione del mondo cattolico, come è il caso di Trifogli, o successivamente, negli anni 60/70, attra-verso il filtro dell’esperienza di partito, cioè se non eri stato militante, avendo imparato che cosa era la lotta politica, che cosa significava la raccolta del consenso, l’organizzazione di quel tipo di politica che non poteva prescindere dalla capacità di ascolto della società civile. Tutto questo noi oggi - diciamoci la verità - lo consideriamo un reperto ar-cheologico, perché siamo affascinati dall’idea che c’è una istantaneità del fare, che prescinde dalla formazione e dall’esperienza.
L’Istituto internazionale “Maritain”
Ma io devo parlare del Trifogli promotore delle iniziative maritai-niane, e lo farò brevemente dicendo questo: io l’ho conosciuto nel periodo in cui è stato sequestrato Aldo Moro, lui era senatore, era un amico di Aldo Moro, lui dal Senato all’Istituto Maritain (saranno poco più di cinquecento metri) veniva a piedi non appena riusciva a liberarsi dal Senato, in quei giorni molto difficili, era sempre cupo.
Naturalmente Alfredo non era un tipo ridanciano dalla simpatia im-mediata, aggiungiamoci che in quel periodo la situazione era per tutti molto cupa, un momento di grande difficoltà per il Paese. Ricordo che mi colpì un fatto: dopo la vicenda di Moro, un giorno venne in Istituto, era particolarmente incupito, e disse che siccome si stava vo-tando il nuovo Presidente della Repubblica, non condivideva nulla e lui aveva votato Lazzati; infatti durante la votazione di Pertini uscì un voto a Lazzati: era il voto di Trifogli, il quale voleva dire che in questo momento, dopo la morte di Moro, ci voleva un segnale forte, e lo fa-ceva con la carica che gli era tipica.
Trifogli è stato il fondatore, assieme ad altri, dell’esperienza mari-tainiana associativa, l’Istituto Internazionale Jacques Maritain, che è l’esperienza più compiuta, più articolata, più organica, oggi è qui pre-sente Gabriele Papini, che è l’assistente attualmente del segretario ge-nerale Curcio dell’Istituto internazionale, il quale non è potuto venire.
Questa esperienza nasce qui, nasce ad Ancona, nasce da intellettuali e da amici che si conoscono da tempo, e tutto questo si trova dentro un involucro di diverse sensibilità che magicamente finiscono per in-cardinarsi su una figura, quella di Roberto Papini, il quale apporta un contributo che dobbiamo riconoscergli, penso, cioè quello della sen-sibilità dell’organizzatore culturale con apertura internazionale. Aveva fatto studi a Parigi, era tornato ad Ancona, e questo è il punto su cui Trifogli mette a verbale la sua diffidenza sempre. Le iniziative maritai-niane hanno questa oscillazione tra una vocazione romana (l’Istituto internazionale da lì a breve si trasferisce a Roma, e si trasferisce a Roma
anche qui con l’aiuto di Trifogli, che parla con il cardinal Palazzini, il quale parla col Pio Sodalizio dei Piceni, che mette a disposizione un piccolo ufficio, con un affitto modesto, ma siamo sempre dentro questo fiume anconetano marchigiano, e Papini spinge sul tasto della internazionalità, invece Trifogli, che non era contrario in via di prin-cipio, dice: sì, va bene, mai siamo radicati in questa nostra specifica realtà, e quindi Maritain per noi deve essere letto, interpretato e vissu-to come intellettuale, come punvissu-to di riferimenvissu-to in relazione ai nostri bisogni, alle nostre attese, alle nostre prospettive. Figuriamoci quando interviene una legge dello Stato che attribuisce a vari Istituti, tra i quali l’Istituto internazionale Jacques Maritain una dotazione, all’epoca non indifferente, che c’è ancora, ma non è così cospicua come all’epoca.
Allora Trifogli, non solo mette a verbale la sua diversità di approccio, ma dice “Scusate, ma i soldi dello Stato italiano, che vanno all’Istitu-to Internazionale Maritain non dovrebbero andare agli amici che in Italia fanno un lavoro attorno alla figura di Maritain? Perché questi soldi servono a finanziare prevalentemente attività internazionali? Noi ci spostiamo, facciamo, andiamo in giro per il mondo, tutte cose im-portanti, ma noi dobbiamo fare in modo che queste risorse vengano impiegate perché qui si faccia un lavoro di scavo, di approfondimento:
questa era la dialettica.
Avviene allora una cosa particolare: che per reggere quest’urto (io un pochino la semplifico e naturalmente l’appoggio ai miei ricordi, sicuramente sarò contestato magari da Roberto Papini, se Roberto fos-se stato qui avrebbe dato un contributo importante) nasce l’idea che la Sezione italiana dovesse un po’rafforzarsi nella sua autonomia: era stata affidata ad Armando Rigobello, figura importantissima, da tutti rispettato, ma non aveva la vocazione alla organizzazione culturale, in-somma la sezione italiana era un’esperienza teorica, non aveva una vita propria, e le spinte che c’erano erano tutte determinate da una volon-tà: facciamo in modo che lo specifico italiano sia salvaguardato. Allora la manovra difensiva che viene tenuta per un pochino è quella di dire:
va bene, la rafforziamo, però il presidente italiano diventa Antonio Pavan, che era il collaboratore principale di Roberto Papini;Pavan era ed è ancora una persona di grande valore, ma dal punto di vista poli-tico interno l’Istituto Maritain veniva considerato l’alterego di Papi-ni, quindi questa operazione che porta alla presidenza di Pavan viene considerata una mezza misura, e non viene accettata da Trifogli, per essere molto sinceri. Questo rafforzare la sezione italiana con Pavan non convince Trifogli. Personalmente mi trovo a condividere quel pas-saggio e casualmente per amicizia (io ero più giovane di Pavan), faccio io il segretario dell’istituto italiano.
L’Istituto italiano “Maritain”
Nel frattempo decidiamo, per dare più corpo a questa autonomia, di passare dalla denominazione di Sezione italiana dell’Istituto Inter-nazionale Maritain a Istituto Italiano Maritain, e qui vorrei dire la cosa conclusiva, che fa capire la personalità di Trifogli. Il punto più alto della presidenza Pavan (che durò poco: due, massimo tre anni), fu di organizzare un convegno molto importante sulla ricomposizione dell’area cattolica: la questione era stata sollevata da padre Bartolomeo Sorge, in tutta Italia si erano svolte varie iniziative sulla ricomposizio-ne dell’area cattolica, parliamo della firicomposizio-ne degli anni settanta, parliamo di una fase in cui la Democrazia Cristiana senza Moro subiva scossoni interni, sistematici, insomma il mondo cattolico tendeva a ritrarsi, si frantumava, c’era l’onda lunga del Concilio, l’autonomia, il plurali-smo, la rottura del collateralismo che era avvenuta già dieci, quindi-ci anni prima. Ebbene, p. Sorge parla della ricomposizione dell’area cattolica. A questo punto l’Istituto italiano nel 1981 organizza un Convegno sulla ricomposizione dell’area cattolica, convegno che vie-ne apprezzato, tanto che successivamente padre Sorge scrive un libro che raccoglie i suoi discorsi, le sue proposte e dice testualmente che
“l’iniziativa dell’Istituto italiano Jacques Maritain è stata la cosa più organica e culturalmente forte che si è avuta in questi ultimi anni
at-torno al tema della composizione dell’area cattolica”; il “Corriere della Sera” citò in un editoriale, cioè in prima pagina, questo Convegno, che fu il punto più alto della versione politica dell’azione dell’Istituto:
ma questo è il punto più alto che terrorizza Roberto Papini: questa esposizione massima dell’Istituto, come punta di diamante di un’azio-ne, di una ricomposizioun’azio-ne, di un disegno che aveva un impatto poli-tico non il modo in cui nella mente di Roberto Papini dovesse essere rappresentato all’esterno l’Istituto Maritain. A questo punto Trifogli dovrebbe essere d’accordo su questa linea, invece Trifogli non solo non è d’accordo, perché mantiene un atteggiamento freddo.
Di lì a qualche mese o forse un anno si passa finalmente alla pre-sidenza Trifogli, perché Roberto Papini dice: “se dobbiamo accettare una politicizzazione nascosta dell’Istituto, tanto vale che andiamo alla fonte, e stabiliamo che chi ha fatto politica, chi fa politica, e quindi Trifogli assuma la presidenza, e questo avviene. Ma il primo Convegno che fa Trifogli è sul pensiero teologico di Maritain, cioè sposta comple-tamente l’asse! La posizione che la parte maritainiana francese conte-stava agli italiani era: voi fate di Maritain sempre il Maritain politico:
l’aveva detto don Gianni Baget Bozzo al Convegno del ‘76 a Venezia, c’è un consumo politico del maritainismo in Italia, noi l’abbiamo con-sumato politicamente, quindi i francesi ci dicevano che noi continua-vamo su questa strada. Trifogli, che pure era il politico più politico di tutti cambia l’asse, era nelle sue corde. Il primo convegno che fa è sulla teologia, sul pensiero teologico e filosofico di Jacques Maritain.
Conclusione
Io finisco qua, perché poi Trifogli ha fatto tante cose, e le ha fatte con l’Istituto italiano Maritain, ma ciò che rimane intatto - su questio-ni a mio avviso sigquestio-nificative per capire la dialettica di quegli anquestio-ni - è che il punto della coralità dell’azione politica rimane costante. Quan-do nell’86 viene fatto un Convegno dell’Istituto su “Valori morali e democrazia”, Trifogli è tra i più forti assertori di una ripresa della
mo-ralità e la stessa cosa avviene nel 96, quando fa forse l’ultima dichiara-zione pubblica di un certo rilievo. Anziano, Trifogli dice: “La Chiesa ci parla e ci ricorda che dobbiamo fare uno sforzo in nome della lotta alla corruzione e dobbiamo impegnarci tutti”. Ecco perché è attuale Trifogli oggi, e non c’è dubbio, perché questa ripresa del senso morale dell’azione politica è fondata sula roccia e non sull’effimero.
* Il testo, tratto dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.
GASTONE MOSCI