Parte seconda
UNA INTELLIGENZA MARCHIGIANA *
Vi ringrazio di avermi invitato, vi ringrazio di aver fatto questo bel convegno, qualcuno di voi avrà letto quello che ho scritto domenica sul “Corriere adriatico”. Era un pezzo breve, ma molto sentito. Ora siamo qua. Perché tutto questo scrivere? Forse un po’per grafomania, ma anche perché è vero quello che diceva Gastone Mosci un momento fa, e cioè che figure di questo tipo nelle Marche ce ne sono pochissime, a parte il carattere. E le ricerche che continuiamo a fare, con riviste e senza riviste, facendo politica, scrivendo libri, è quel regionalismo alto che ancora non viene fuori. Noi abbiamo avuto in questa mattinata due ex presidenti di regione, Adriano Ciaffi e Vito D’Ambrosio, il che non ci impedisce di dire che la regione è perennemente immatura, anche Mimmo Valenza, che è stato più di un presidente...
Insomma noi, come ha fatto Mosci e ancor più ampiamente prima Galeazzi, dobbiamo aggrapparci a questi protagonisti passati, per po-ter sperare che venga fuori una regione vera, una regione matura. Se ce la facciamo, bene, se no la buttiamo via, ma è peggio. Allora, vado rapidamente, vi ringrazio di avermi dato la parola adesso perché non sto benissimo e non vorrei ripetere lo stesso numero che ho fatto alla Loggia dei Mercanti, svenendo e portando via l’immagine a tutti gli altri, che non hanno potuto neanche finire.
Alfredo non fu una cometa che passa e non lascia traccia, semmai fu un meteorite, uno di quelli che arrivano, magari provocano panico e lasciano crateri e segni forti: poi se qualcuno riuscirà a utilizzarlo oppure no, lui il cratere l’ha lasciato, e non in senso negativo, ma positivo. Ciascuno di coloro che lo hanno ricordato ha avuto un
rap-porto di collaborazione, testimoniando (come diceva Galeazzi) che lui si impegnò - con la forza e con il carattere che ha avuto la fortuna di avere - in moltissimi fronti.
Oggi qui si tratta di tirare le somme di tutte queste cose, di capire quell’energia, quell’impegno dedicato soprattutto a dare un senso al concetto di uomo di cultura impegnato in una sua idea di politica che comprendeva vaste competenze culturali, dalle quali dedurre li-nee di condotta e concetti di azione, tutta roba che adesso non va più di moda, ma che all’epoca questo fu. Chiunque di noi lo abbia frequentato, sa dei differenti aspetti della sua non comune personalità, impegnata nel sociale, radicata in una religiosità moderna, dedita a costruire fatti, oltre che parole, sia detto en passant, non sono tanto d’accordo con quanto diceva Gastone, secondo cui Volpini non ha costruito niente: sarà perché io ho fatto “Marche oggi”, penso che chi fa una rivista fa una cosa seria, così “Il Leopardi” e “L’Osservatore romano” sono in diverso modo cose importanti. Se vogliamo dirla tutta, anche Sporchi cattolici, che io ho a casa con una dedica che qui ripropongo A Mariano avversario leale; infatti non è che fossimo dello stesso partito eppure andavamo d’accordo: così accade quando c’è la cultura di mezzo,
Ma torniamo a Trifogli. Le sue azioni, che non sono state tanto va-lorizzate questa mattina (penso all’Accademia marchigiana di lettere, scienze ed arti), ci ricordano il suo desiderio di avvicinare la sua Anco-na in modi a tutti comprensibili... Adesso non dico della Repubblica marinara, vera o presunta, ma sicuramente Ciriaco Pizzecolli e Ben-venuto Stracca, sono personaggi su cui ha fatto convegni e ha scritto relazioni, sono il retroterra anche dell’iniziativa universitaria. Sarà un caso, ma tutta questa roba Trifogli la spolverava, la riproponeva, e ce l’aveva dentro quell’idea alta di politica e di città di cui si è abbondan-temente parlato questa mattina. Si tratta, non so se lui volesse giocare la carta dell’egemonia di Ancona rispetto al resto della regione, ma di-rei proprio di no, ricordo che battagliava tanto... Passando alla Facoltà
di Economia, qualcuno ha ricordato che non fu facile superare le resi-stenze non solo di Urbino, ma degli amici di Urbino. Noi di estrema sinistra eravamo per Urbino e Ancona no, basta con tutte le facoltà in questa città, ed è paradossale e anche abbastanza divertente che poi tutto quanto il resto - dal Rettorato, dalla Politecnica, dalla stessa presidenza di questa nuova facoltà statale - è passato a protagonisti che venivano dalla nostra parte politica, è un po’ divertente la legge del contrappasso, degli sfilacciamenti, forse era anche quello spirito di Civitas che ha dato i suoi frutti migliori in questi personaggi. Io credo che il suo destino fu di avere cambiato la sua azione con la regione Marche puntando a fare di Ancona la città capoluogo della medesima, e questo dato territoriale per molti aspetti lo ha condizionato nel bene e anche un po’nel male: Ancona è quella che è, adesso avessi tempo su questo punto avrei tante cose da dire. Lui era profondamente anco-netano e tutte le cose dell’Accademia per molti versi si intrecciavano con la valorizzazione quasi disperata del passato di questa città, e però non ce l’ha fatta perché probabilmente non ce la poteva fare non solo a fare la rivista “Vita marchigiana”, ma ad essere un federatore di tutti i campanili, posto che sia un obiettivo da perseguire, è tutto da vedere, diciamo.
Però noi andiamo alla ricerca di qualche d’uno che costruisca un contesto regionale, e abbiamo nomi importanti. Lui no, è anconeta-no, è profondamente anconetaanconeta-no, ma profondamente capace di far fruttare questa sua identità con l’Università e con tutte le cose che sono state dette. Quindi per i pragmatici non c’è niente di meglio di queste Marche che confinano con tutto, non si mescolano con niente, e che tengono basso il loro registro consolidando l’aurea mediocritas e all’interno di quest’aurea mediocritas lasciano che crescano personaggi come Trifogli e come altri, ma senza mai dare spazio a quella rete che poi è la regione.
Il fatto che anche a questo tavolo non ci sia l’Autorità regionale, a parte un telegramma, la dice lunga su quanto ancora ci sia da fare, cioè
coniugare l’idea di città di Maritain, di Trifogli, di tutti quanti noi, con qualche cosa che unifichi. Con Adriano abbiamo fatto questa re-gione, anzi l’ha fatta lui veramente, io ero un garzone che frequentava, e la “città regione” non è solo Ancona e non è nemmeno tutto il resto contro Ancona, o Pesaro contro Ancona; purtroppo ancora siamo a queste miserie e quindi come diceva Gastone invece di “piccole lotte ma grandi disegni” oggi ci sono lotte trascurabili ma disegni niente.
Altre considerazioni sono quelle che ho già espresso sul quindicina-le “Presenza”, e che qui ripropongo.
Nel periodo in cui fu amministratore di Ancona trasformò la vita universitaria cittadina da una sola Facoltà, quella di Economia, sede staccata dell’Università di Urbino, al polo autonomo con Medicina, Ingegneria e altre ancora, dando ad ogni Facoltà sedi e ruoli fino ad allora inesistenti. In quegli anni mi capitò di vivere l’esperienza di componente del consiglio di amministrazione del nascente ateneo, e oggi ho ricordi ancora intrisi di giudizi e di sentimenti complessi in ordine a quanto riuscimmo a fare tutti assieme, ciascuno nel suo ruo-lo, e di quanta parte ebbe Trifogli in un ruolo dinamico, creativo e appassionato, che tutti gli riconoscono senza peraltro metterne a fuoco l’originalità e perfino - a volte - la temerarietà.
Nell’elencare i ruoli che Alfredo Trifogli volle avere, ricoprendoli sempre con il suo piglio inconfondibile e con la sua invidiabile ener-gia, mi permetto di ricordare gli anni attorno al 1988, quando a lui fu affidata la presidenza dell’AMAT, l’Associazione Marchigiana per le Attività Teatrali, avendo come vice il sottoscritto. Ho avuto in quegli anni il raro privilegio di convivere con lui nella stessa stanzetta di via Orsi, nella scrivania di fronte alla sua, e di quella esperienza pur così lontana negli anni conservo memoria.
Almeno tre fatti andrebbero ricordati per cogliere faticosamente, tessera dopo tessera, il senso del complicato mosaico del suo modo molto particolare di gestire le organizzazioni culturali. L’impianto del
circuito teatrale nel contesto del lavoro di riapertura della rete dei tea-tri storici; il lavoro di presenza unitaria dell’associazione affinché fosse accolta da tutti gli enti locali interessabili al di là dei diversi colori politici, e il dibattito interno all’associazione, sulle linee portanti della modernità teatrale marchigiana.
Ci fu una fase caratterizzata dalla presa di contatto con la moltepli-cità dei teatri storici marchigiani che venivano restaurati grazie al la-voro congiunto della Soprintendenza ai monumenti guidata da Maria Luisa Polichetti. In quegli anni si scoprì che un passato molto ricco di attenzioni ci aveva tramandato più di sessanta teatri storici, che, op-portunamente restaurati, avrebbero potuto essere inseriti in una rete che avrebbe garantito la circolazione di spettacoli qualificati. Quella rete fu l’AMAT, voluta e tenuta in vita da tecnici quali Velia Papa, Ornella Pieroni e Raimondo Arcolai, e con un tetto di tipo politico, regionalista ed esperto dei mille problemi che ogni giorno si presen-tavano. Ricordo un convegno sulla storia e sulle politiche dello spet-tacolo che tenemmo come AMAT (e del quale esistono gli atti) dove relatori del calibro di Maria Luisa Polichetti, di Alessandro Mordenti, di Francesco Sorlini e di molti altri ancora, me compreso (modestia a parte) inserirono il restauro dei teatri nella storia della nostra regione, segnando confini e traguardi che Trifogli riprese e rilanciò, sia nella prefazione del volume degli “atti” che nella successiva azione ammi-nistrativa nei ministeri romani e nel sistema dei comuni della Regio-ne allo stato nascente. ContemporaRegio-neamente Trifogli era presidente dell’Accademia marchigiana di scienze, lettere ed arti, e si impegnava da par suo nell’Istituto Maritain (cittadino, internazionale, nazionale e regionale) e in molte altre iniziative.
A me è capitato di succedere a Trifogli alla presidenza dell’AMAT, dopo una accesa discussione sull’opportunità di investire una somma che ci sembrò esagerata in una produzione teatrale da affidare al regi-sta Orazio Coregi-sta Giovangigli e all’attrice Francesca Benedetti. Trifogli aveva usato tutta la sua energia e passione per far passare quel progetto
nel direttivo dell’AMAT, e si dimise quando lo giudicammo troppo costoso, e lo sostituimmo con un lavoro di Leo De Berardinis. Oggi che sono scomparsi sia Orazio Costa Giovangigli sia Leo De Berar-dinis può sembrare fuori tempo massimo rievocare quella disputa e probabilmente potremmo evitare di riesumare l’episodio, se non fosse a suo modo esemplare del modo di fare di Alfredo Trifogli, e se dietro la questione dei costi di quella produzione non si nascondesse il vero tema del tipo di modernizzazione che si voleva garantire al teatro mar-chigiano.
Se vogliamo ricordare tutti gli aspetti del personaggio, non possia-mo evitare di sottolineare la sua sostanziale solitudine, la sua difficoltà nel lavorare in équipe confrontandosi davvero con i collaboratori e con chi si trovava a fianco non tanto per sua libera scelta quanto per le ragioni della politica. È un aspetto che non può essere trascurato, e nemmeno condensato nella formula che usa Giancarlo Galeazzi (“...
anche certe intemperanze relazionali gli hanno nociuto, ma il carattere più di tanto non si modifica”). A me, suo vice e poi suo “successore”, quel carattere impedì di svolgere il mio lavoro non sempre facile con serenità e collegialità. Se arrivammo a contrapporci la cosa accadde perché due modi diversi di interpretare la modernità culturale non si amalgamarono. E un analogo intoppo del resto si verificò a livelli più alti, quando si formò in Comune la Giunta Monina soprattutto perché Trifogli non volle allearsi con il Pci, pur essendo di formazione morotea.
Oggi, a distanza di così tante svolte in politica e nella cultura mar-chigiana, ha poco senso fare di alcuni episodi il fulcro di un giudizio sul personaggio Trifogli, il quale fece di alcune sue importanti realiz-zazioni (si pensi al “Premio Marche”) la cartina di tornasole per giudi-care una intelligenza marchigiana, che in molti casi crebbe senza il suo appoggio e in polemica netta con le sue posizioni.
Ma a me invece pare importante suggerire una pista capace di con-durre chi oggi si sofferma su quel passato a un giudizio fatto di ombre
e di luci, in una fase di confronto non sempre sereno tra differenti modi di interpretare le tappe necessarie a far crescere la cultura mar-chigiana in modo moderno e plurale.
Va detto, soprattutto da coloro che lo stimarono (ed io mi onoro di annoverarmi tra quelli) che Alfredo Trifogli fu una delle figure più rappresentative del mondo cattolico anconitano, e che ha fatto il pos-sibile e l’impospos-sibile per far crescere la città dove è nato, diventando davvero capoluogo delle Marche. Il dato di fatto che non ci sia riuscito non credo sia dipeso dal suo carattere. È dipeso dal carattere di una città più aspra e spigolosa di quanto non si veda a prima vista, sistema di borghi che non vuole farsi città, e capoluogo di un non luogo fatto di campanili inquieti e diffidenti, e di valvassini, valvassori e servi della gleba.
Il testo, tratto dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore
Testimonianze
FRANCO AMATORI
ALFREDO TRIFOGLI AMICO CARISSIMO