• Non ci sono risultati.

3 1 1708-1709 Un apprendista toscano tra Galeotti e Ricci: Agostino

È Gabburri, nelle Vite de’ pittori (1730-1742 c.), a informarci per primo di un soggiorno veneziano di Agostino Veracini (Firenze 1689-1762)79. Dopo un apprendistato nella città natale

presso il Galeotti (1675-1741), pittore di maggior grido a Firenze in apertura del nuovo secolo, il giovane Agostino «si portò a Venezia, ove fece gran profitto80». A precisare ulteriormente le

circostanze di tale viaggio è Marrini (1766), che rende nota la destinazione di Agostino: la bottega di Ricci. Secondo il biografo, infatti, che pure omette il periodo di studio dal Galeotti, Veracini apprese dal «celebratissimo professore Sebastiano Ricci» non solo i «precetti dell’arte» ma anche «la maniera di divenir valentuomo81», quasi che l’esperienza veneziana fosse stata per

l’apprendista una fondamentale iniziazione alla buona pittura. Inoltre, dato ancor più rilevante, Marrini precisa che Veracini si mosse a Venezia «sotto la protezione del Gran Principe Ferdinando di Toscana, che con generosa munificenza il mantenne in quella illustre città per tutto il tempo della dimora, che fu necessaria per li suoi studi82».

78 MARRINI 1764-1766,II, p. 33.

79 Sono ancora pochi gli interventi specificatamente dedicati a Niccolò Agostino Veracini, «famoso quasi più per la

sua attività di restauratore di opere medievali» che non di pittore (cit. in CIATTI et al. 2008, p. 89; si vedano in

proposito CONTI 1973,pp. 88-91 e BALDASSARRI 1992, p. 139, nota 1). Fondamentali sono comunque i contributi di BALDASSARRI 1992;Silvia Bartalucci in VIOLA 2005(per il ciclo di San Francesco a Castelfiorentino); BELLESI 2009, I, pp. 268-269 (con elenco delle opere). Agostino discendeva da una celebre famiglia di musicisti e compositori toscani. Il padre Benedetto (1663-1711), pittore e restauratore, era infatti figlio di Francesco di Niccolò (1638-1720), noto violinista. Da Francesco erano nati anche Antonio (1659-1733), compositore e violinista anch’egli, che ereditò la scuola di violino dal padre, Antonino (1671-1719), prete, cantante e musicista e Agostino, di professione farmacista, padre dell’ancor più celebre violinista Francesco Maria (1690-1768) (sulla genealogia del ramo “musicale” dei Veracini si vedano, ad esempio, WHITE 1972e HILL 1990). L’Antonio Veracini nato nel 1659 non è dunque, ad evidenza, fratello del nostro pittore, come asserisce la BALDASSARRI (1992, p. 139, nota 3), bensì suo zio. Cfr. la genealogia [fig. 201].

80 GABBURRI 1730-1742, I, c. 156v.

81 MARRINI 1764-1766,II, p. 33. La notizia è confermata anche dall’abate LANZI (1795, I, p. 258: «Agostino Veracini

scolare di Bastian Ricci») e tramandata dal DE BONI (1840, p. 1069: «Apprese gli elementi della pittura in Venezia, da Sebastiano Ricci, gli fu qualche tempo aiuto» -corsivo mio-).

82 MARRINI 1764-1766,II, p. 33, nota 2. Il passo sarà ripreso alla lettera nell’edizione aggiornata all’Abecedario

Il dato sollecita almeno due riflessioni. Anzitutto, non è questo l’unico caso in cui Ricci abbia accolto in bottega dei giovani pittori in erba sponsorizzati da illustri protettori. Come vedremo, anche il viaggio in Italia del viennese Daniel Gran sarà finanziato da un facoltoso mecenate, il principe austriaco Adam Franz von Schwarzenberg83. E non si trattava certo di

episodi isolati, bensì di una consuetudine assai radicata e frequente anche nel primo Settecento veneziano, come documentano, ad esempio, le raccomandazioni dello stesso Ferdinando de’ Medici al figlio di Fumiani per un soggiorno di studio a Roma nel 1702, ma anche, se vogliamo, la biografia stessa di Sebastiano, che aveva ricevuto da Ranuccio Farnese una “patente di familiarità” e una “pensione” di venticinque corone per il soggiorno a Roma84. O ancora, in una

prospettiva internazionale, i casi del giovane Joseph Scheubel, pittore tedesco raccomandato ad Antonio Balestra da Lothar Franz von Schönborn, o di Paul Troger, il cui viaggio in Italia fu finanziato dall’arcivescovo di Gurk85.

Nel caso specifico di Veracini, tuttavia, Marrini indica quale sponsor nientemeno che Ferdinando di Toscana, il grande mecenate fiorentino di Sebastiano. Ma, se abbiamo già poc’anzi rievocato i rapporti tra Ricci e il Gran Principe, quelli di quest’ultimo con il giovane Veracini rimangono invece ancora da verificare. Quale poteva essere la ragione di tale sponsorizzazione? Vi furono occasioni di contatto tra i due? Ebbene, se torniamo per un attimo alla genealogia familiare del Veracini, dovremo ricordare che lo zio di Agostino, Antonio, e suo cugino Francesco Maria, violinisti eccellenti, erano soliti esibirsi in occasione di raffinate accademie musicali organizzate da Ferdinando nella Stanza dei Cembali di palazzo Pitti, presentando anche composizioni inedite, realizzate specificatamente per quelle occasioni86.

Inoltre, sappiamo che i Veracini violinisti risiedevano nella stessa abitazione dei pittori di

83 Si veda cap. III.3. Converrà tuttavia anticipare che non sono documentati rapporti di conoscenza tra Sebastiano

Ricci e il Fürst von Schwarzenberg.

84 Su Fumiani e Ferdinando de’ Medici cfr. STROCCHI 2003, p. 14. Sulla patente di familiarità rilasciata dal Farnese

al Ricci il 2 marzo 1691, cfr. per prima GHIDIGLIA QUINTAVALLE 1957,pp. 410 e 415, nota 25. Un secondo diploma di familiarità sarà concesso al pittore da Francesco Farnese l’11 marzo 1701; cfr. sempre ibid., p. 415, nota 26.

85 Su Scheubel e Balestra, si veda da ultimo TON 2012, pp. 263-264. Per Troger, cfr. GARAS 1984,p. 121, nota 2 e

KRONBICHLER 2012,pp. 17-18, 608, doc. A299.

86 Cfr. SPINELLI 2013B, pp. 110-111. Le relazioni dei Veracini con il granducato di Toscana, sebbene poco

documentate, sono a quanto pare di lunga data. Anche Francesco di Niccolò, il capostipite della famiglia, era stato violinista mediceo (cfr. FABBRI 1963, p. 97), e il figlio Antonio era stato a sua volta ingaggiato come compositore dalla granduchessa Vittoria (HILL 1975, p. 546). I due erano tra i musici di Ferdinando a Pratolino già dal 1677, e sono forse tra gli effigiati nella tela del Gabbiani con I musici del Gran Principe Ferdinando de’ Medici (1685 c., Firenze, Gallerie dell’Accademia; cfr. HILL 1990,pp. 545-547 e fig. 1). D’altra parte, la fase matura della carriera di Antonio si svolgerà sostanzialmente ai margini della corte granducale (HILL 1990, pp. 546, 550). Lo stesso avverrà per il più giovane e dotato Francesco che, sebbene presente nel dipinto “gemello” del succitato, il Ritratto di musici con il Gran

Principe Ferdinando de’ Medici (c. 1685-86, Firenze, Gallerie dell’Accademia; Veracini sarebbe da identificare con il

primo personaggio a sinistra. Cfr. Riccardo Spinelli, in cat. mostra FIRENZE 2013, p. 148, n° 6), già dal 1711 cominciò a viaggiare tra Venezia, Londra e Dresda, costruendosi una carriera internazionale, lontano dai fasti della città natale (WHITE 1972;HILL 1975).

famiglia, e ne condividevano anche la bottega87. I contatti di Ferdinando con il giovane

apprendista pittore non furono forse diretti, ma è ipotizzabile che al Gran Principe fosse giunta notizia delle ambizioni del ragazzo tramite i suoi familiari, e che ne avesse promosso un proficuo soggiorno didattico nell’atelier riccesco88.

Infine, a chiudere il cerchio Ricci-Medici-Veracini, avanzeremo un’ulteriore ipotesi, che pure potrebbe essere oggetto di smentita, riguardo un possibile contatto diretto tra i due pittori, già negli anni fiorentini. Abbiamo già osservato che Sebastiano si era recato a Firenze certamente dall’estate del 1706, ma probabilmente anche nel settembre 1704 e nell’estate 1705, per affrescare alcune stanze di palazzo Marucelli nonché, come si diceva, per porsi al servizio dello stesso Ferdinando de’ Medici. Stando al Gabburri, fonte alquanto “vicina” in termini spazio- temporali alla nostra vicenda, e alla quale tendiamo a confidare un certo credito, Agostino Veracini avrebbe esordito nella sua carriera di pittore sotto l’egida di Sebastiano Galeotti89.

Questo primo apprendistato si deve collocare indicativamente attorno al 1705-07, e comunque, crediamo, entro il 1708. Infatti, contrariamente a quanto asserito dalla Baldassarri, che vorrebbe il Galeotti già fuori Firenze nel 1706, il pittore era ancora stabile in città almeno fino al 1709, quando pagava ancora la tassa d’iscrizione all’Accademia del Disegno e prendeva parte a una causa giudiziaria in qualità di «giudice confidente»90. Come anticipato, recenti indagini di Bigazzi

e Ciuffoletti sui pagamenti elargiti dai fratelli Marucelli a favore di artisti coinvolti nella campagna decorativa del loro palazzo, hanno portato alla luce una ricevuta di pagamento per colori in favore di Sebastiano Galeotti, datata 1° marzo 170791. I due storici ipotizzano dunque

cautamente un possibile coinvolgimento del pittore fiorentino nell’esecuzione dell’episodio riccesco con Venere e le Grazie nel soffitto con La giovinezza al bivio, che ci sembra tuttavia troppo forzato; abbiamo già osservato, infatti, che certe morbidezze nelle figure femminili di casa Marucelli rispondono in pieno allo stilema di matrice giordanesca adottato da Ricci in molti

87 HILL 1990, p. 550.

88 Va comunque precisato che i libri di entrate e uscite a carico di Ferdinando, conservati nel fondo Depositeria

Generale, Parte antica dell’Archivio di Stato di Firenze, registrano movimenti dal 1671 al 1705 e non oltre. Si è rivelata

pertanto infruttuosa la ricerca di note di pagamento in favore di Veracini da parte del Delfino.

89 Sulla modalità di redazione delle Vite gabburriane, e in particolare sulle fonti d’informazione del Gabburri e sui

suoi corrispondenti, si vedano i carteggi pubblicati da Bottari (in BOTTARI –TICOZZI 1822-1825,vol. II, passim), come pure, tra gli altri, i contributi di BORRONI SALVADORI 1974; PERINI 1998;CECCONI 2008;CECCONI et al.

2008; GELLI 2008.Precisiamo comunque che la Baldassarri, non a torto, ridimensiona l’impatto di questo breve alunnato presso il Galeotti, difficilmente avvertibile nelle prove giovanili del Veracini (BALDASSARRI 1992, pp. 140- 141).

90 BALDASSARRI 1992,p. 140. Nel 1705 Galeotti rientra a Firenze da Bologna, e s’iscrive all’Accademia del Disegno

(cfr. DUGONI 2001, pp. 35, 252). Si trasferirà a Piacenza nel 1710 (Ibid., pp. 38, 254).

dipinti da soffitto tra il 1690 e il 1705 circa92. Sia come sia, è comunque innegabile che Galeotti,

pittore della cerchia medicea, fosse stato impiegato dai Marucelli nello stesso anno in cui anche Sebastiano lavorava al palazzo. Non è inverosimile che i due si siano conosciuti, e che proprio tramite Galeotti l’apprendista Veracini, all’epoca all’incirca diciottenne, sia stato introdotto all’attenzione del Ricci. Rimane, questa, una mera suggestione, probabilmente mai dimostrabile, ma indicativa ad ogni modo di alcuni possibili rapporti tra colleghi intrattenuti “dietro le quinte” dal Bellunese negli anni fiorentini.

Del resto, se la letteratura sul Galeotti non fa menzione di Veracini quale suo allievo, è comunque interessante, quale termine di confronto, la notizia di un altro scolaro del pittore, Vincenzo Meucci (1694-1766), i cui primi spostamenti al seguito del maestro furono permessi grazie alle elargizioni del marchese Bartolini Salimbeni, secondo la consueta modalità di protezione. Ancor più curioso è il rapporto di sfruttamento che, stando al Marrini, Meucci subiva nella bottega del Galeotti, il quale «senza nulla insegnargli cominciò a tenerlo in luogo piuttosto di servo, che di scolare», tanto che l’apprendista versava in uno stato «di tristezza e di disperazione, che avea egli già risoluto d’abbandonare il precettore e lo studio, e di vestir l’abito religioso93». Si tratta di una testimonianza interessante, seppur indiretta, sul rapporto

professionale – e umano – intrattenuto tra capo-bottega e apprendista nel primo Settecento. Certo, se anche Veracini avesse subito lo stesso trattamento, non ci stupirebbe che fosse questa una delle cause del suo repentino trasferimento a Venezia, ad altra bottega.

Tenuto conto di queste premesse, Veracini dovette giungere in Laguna poco tempo dopo il suo nuovo maestro, entro la prima metà del 1708. Tale cronologia è accertata già dalla Baldassarri sulla base dei registri dell’Accademia del Disegno di Firenze, dai quali risulta che nel 1706 il pittore aveva fatto domanda di ammissione alla prestigiosa istituzione, e che nel 1708 si trovava temporaneamente a Venezia94. La richiesta di adesione del pittore verrà accolta solo nel

1711, anno in cui è documentata con certezza la sua presenza a Firenze. La collocazione della partenza di Veracini dalla Toscana nel 1708 trova inoltre inaspettata conferma anche in un documento d’archivio reso noto nel 1993, ma ignorato nella letteratura successiva, e che altera, o arricchisce, il contesto della sponsorizzazione di Agostino. Tra le carte della famiglia Guicciardini, residente a Firenze a Palazzo Valori, detto dei “Visacci”, tra il 1704 e il 1710 si

92 Rivedi sopra, p. 126. Del resto, la stessa Dugoni, ignorando il pagamento ricevuto dai Marucelli, sottolinea che

le decorazioni riccesche nel palazzo fiorentino rappresentano «l’influenza più significativa sullo stile di Galeotti» ai primi del ‘700 (DUGONI 2001, pp. 36-37, 41).

93 MARRINI 1764-1766, II, p. 7, cit. in DUGONI 2001, p. 42. Più in generale, sulle maestranze assoldate da Galeotti,

cfr. ibid., pp. 87-90.

94 ASFi, Accademia del Disegno, Debitori e Creditori, 131. All’indice, alla voce «Pitt[or]e Agostino di Benedetto

trova più volte menzionato Benedetto Veracini, pittore e padre del nostro, perlopiù in qualità di restauratore di dipinti per ordine di Giovan Gualberto Guicciardini, allora proprietario del palazzo e promotore del suo generale rinnovamento. Nei registri contabili, al 27 febbraio 1708 è indicato un pagamento in favore di Benedetto di «scudi uno lire cinque per supplire alle spese che ha nel mandare a Venezia il suo figliolo allo studio della pittura95». Il viaggio del giovane

Veracini, finalizzato allo “studio della pittura”, è dunque finanziato anche, almeno in parte, dal marchese Guicciardini96.

Abbiamo già detto che Ricci a quel tempo risiedeva e aveva bottega a Cannaregio, nella parrocchia di San Geremia, dove solo un anno dopo, singolarmente, si trasferirà in via definitiva da Firenze anche Orazio Marucelli. È lì che Veracini affianca il pittore, assolvendo certo a semplici mansioni di garzonato, ma dedicandosi anche, pensiamo, alla copia da composizioni di Sebastiano secondo una prassi che, lo vedremo, troverà rapido consolidamento negli anni successivi97. Sebbene non rimangano attestazioni concrete sulle attività svolte da Agostino in

bottega, esiste comunque una chiara testimonianza dell’impatto esercitato dall’esperienza lagunare sul giovane fiorentino. Come hanno già rilevato la Baldassarri e, prima di lei, Improta, l’eco più significativa dell’esperienza veneziana è sicuramente l’Estasi di san Francesco di Sant’Jacopo sopr’Arno98 [fig. 202]. Si tratta dell’opera d’esordio di Veracini al ritorno in

Toscana, ma forse addirittura della più riuscita in tutto il suo curriculum. La composizione della tela, databile con certezza nel 170999, è infatti evidentemente ispirata all’Estasi di Sebastiano ora

a Praga, Národní Galerie, un dipinto di suggestione magnaschesca ma dalla committenza sconosciuta, e la cui storia collezionistica si arresta purtroppo agli anni ’30 del secolo scorso100

[fig. 204].

Andrà tuttavia segnalato, senza volerlo per forza identificare con il dipinto in questione, che un quadro del medesimo soggetto è indicato nelle volontà testamentarie di Gian Girolamo Zannichelli (1672-1729), farmacista all’Ercole d’oro a Santa Fosca, che così si esprime: «Lascio

95 ASFi, Panciatichi, b. 101, alla data 1708, 27 febbraio. BELLESI 1993, p. 28, nota 3, ha citato per primo il documento

(consultato in originale).

96 Va comunque precisato che i libri di entrate e uscite a carico di Ferdinando, conservati nel fondo Depositeria

Generale dell’ASFi, buste 433-439, registrano movimenti dal 1671 al 1705 e non oltre. Cfr. in proposito EPE 1990, p. 270. Si è rivelata pertanto infruttuosa la ricerca di note di pagamento in favore di Veracini da parte del Delfino attorno al 1708.

97 Per approfondite considerazioni su questo aspetto, si rimanda al capitolo IV.1. 98 IMPROTA 1986,p. 76; BALDASSARRI 1992, p. 142.

99 Come ha rilevato BALDASSARRI (1992, p. 142, nota 16), il dipinto è citato in un elenco delle opere realizzate nel

1709 per il rinnovamento della chiesta, inserito nel cosiddetto Diario fiorentino di Francesco Settimanni. Vi si legge infatti: «In quest’Anno 1709 Fu restaurata la Chiesa di S. Jacopo Sopr’Arno […]. La 3° tavola è S. Francesco d’Assisi di mano d’Agostino Veracini» (Memorie fiorentine dell’anno MDXXXII […] insino all’anno MDCCXXXVII. ASFi,

Manoscritti, Ms 141, c. 459 r. (consultato in originale).

al N.H. ser Christin Martinello per memoria della mia antica servitù, il quadro dipinto dal signor Sebastian Rizzi celebre pittore, del transito di S. Francesco, che so, benché tenue cosa, non sarà di dispiacere a S.E., mentre è ricolmo di virtù, di carità e d’amore101». La notizia, come anche

l’attribuzione a Ricci, ci pare piuttosto attendibile, se non altro per la relativa contiguità cronologica, ma soprattutto perché è ipotizzabile una conoscenza diretta tra il pittore e il farmacista. Andrà infatti notato che, solo qualche anno dopo, proprio il figlio di Gian Girolamo, Gian Giacomo (1695-1759), frequenterà assiduamente il pittore durante gli anni della malattia e nei giorni dell’operazione che gli sarebbe poi costata la vita. Lo si deduce in modo inequivocabile dalla accurata testimonianza resa da «Gio. Giacomo Zannichelli» nel corso del processo per l’eredità riccesca del 1742, nella quale lo spicier afferma anche che Ricci era stato «mio grandissimo amico, e che assistei fino agli ultimi momenti della sua infermità102».

Ma lasciando da parte l’ipotesi di identificazione del dipinto Zannichelli con l’Estasi ora a Praga, la datazione della tela riccesca è tutt’altro che sicura, e oscilla tra il 1707 proposto dal Daniels e il 1690-95 suggerito dalla Scarpa. Ad ogni modo, è sicuramente da collocare, su basi stilistiche, prima del 1708. Non sappiamo se Veracini riuscì a vedere il dipinto ancora esposto nella bottega di Ricci, ma poté certamente fare riferimento a disegni o bozzetti rimasti nello studio del maestro. Al dipinto sono infatti tradizionalmente accostati due fogli: uno, ora agli Uffizi, è vicinissimo alla realizzazione finale – fatta salva l’assenza del panneggio che nella tela andrà a coprire le nudità dell’angioletto –, ed è dunque ritenuto studio preparatorio per l’intera composizione; l’altro, alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, si configura piuttosto come ricordo o libero pensiero non necessariamente contestuale all’elaborazione del dipinto103 [figg.

101 ASVe, Notarile, Testamenti, notaio Girolamo Marcello, b. 612, n. 343, 22 dicembre 1728, c. 3 r. (MINUZZI 2008,

p. 224, nota 56, ma consultato in originale). Segnaliamo anche, nell’eredità Zannichelli, l’inedita presenza di altri due dipinti di Sebastiano, che nel legato testamentario sono destinati a Francesco Grimani (MINUZZI 2008,p. 228). La storica manca però di precisare i soggetti di questa coppia di dipinti, che pure sono indicati nel testamento: «due quadri di Pittura del valente Sig[no]r Sebastian Rizzi, che sono un’Armida, e una Danae con la pioggia d’oro» (c. 2 v.). Difficile al momento identificarli con opere note di Ricci: la Danae di Wiesbaden (SCARPA 2006, pp. 343-344, n° 558), non è bagnata da una pioggia d’oro ma affiancata dalla vecchia con il vassoio di monete; non sono invece documentate tele con la sola Armida, ma un Rinaldo e Armida già in collezione Suida Manning (SCARPA 2006, p. 258, n° 329, non ripr., ill. in DANIELS 1976A, fig. 211). Sull’identificazione del dipinto Zannichelli con l’Estasi ora

a Praga, rimangono comunque alcune perplessità, se non altro per le dimensioni del dipinto praghese (209,5 x 157,5 cm), poco usuali per una tela devozionale privata quale doveva essere quella del farmacista, da lui stesso del resto definita una «tenue cosa». In alternativa, si potrebbe identificare con un’altra e più giovanile Estasi di san Francesco già a New York in collezione Spark, e recentemente transitata sul mercato inglese (SCARPA 2006, p. 257, n° 327; Christie’s, Londra, 30 settembre 2014, lotto n° 247).

102 MONTECUCCOLI DEGLI ERRI (1995, pp. 134-135), per una trascrizione parziale del documento, che fa parte del

cosiddetto Libro Rizzi, in collezione privata e attualmente a me irreperibile.

103 Il primo, agli Uffizi, fondo Santarelli: sanguigna, penna e inchiostro nero e acquerello grigio su carta bianca;

360x265 mm; inv. 7203S, già attribuito a Sebastiano Galeotti. CIRILLO –GODI 1979, p. 12, nota 14 (come Sebastiano Ricci); RUGGERI 1998, p. 151, nota 11 (come «di evidente gravitazione riccesca»); SCARPA 2006, pp. 286 e 405, fig. 90 (come Sebastiano Ricci). Il secondo, dall’album di Zanetti alle Gallerie dell’Accademia: penna e inchiostro bruno, acquerello bruno su carta bianca; 205x153 mm; inv. SR 24; Aldo Rizzi, in cat. mostra UDINE

205-206]. Se l’attribuzione di quest’ultimo foglio è incontestabile, quella dell’esemplare fiorentino ci sembra invece quanto meno rivedibile. Il ductus secco della penna, frammentata in linee angolate e asciutte, la resa di dettagli anatomici quali le mani dalle dita “sforbiciate” o il profilo spigoloso dell’angelo, e pure l’uso così esuberante e incontrollato della sanguigna, sono piuttosto inusuali per Ricci, che già nelle prove giovanili mostrava di saper padroneggiare la penna con risultati di maggior morbidezza ed elasticità pittorica del tratto. Del resto, anche Ugo Ruggeri si era espresso in modo prudente circa la paternità riccesca del foglio che, lo segnaliamo, era entrato agli Uffizi con un’attribuzione, guarda caso, a Sebastiano Galeotti; assegnazione respinta dalla Dugoni, ma a nostro avviso del tutto comprensibile vista la cifra stilistica, che riteniamo in qualche modo più vicina al fare incisivo dell’artista toscano che non a quello del Nostro104. Lo si confronti, ad esempio, con alcuni primi fogli sicuri di Galeotti, quali il Trionfo

della felicità pubblica sempre del fondo Santarelli degli Uffizi (1708 c.) e il Miracolo di santa Teresa di

Palazzo Rosso (1715 c.), o con un esemplare paradigmatico del suo stile quale il Giovane seduto

su una nube passato da poco sul mercato antiquario105 [figg. 207-210]: tutti sono caratterizzati

dalla stessa linea di contorno slegata, dagli occhi accennati in piccole fessure, dalle stesse estremità allungate e zigzaganti che ritroviamo nel disegno in esame. Al di là della chiara corrispondenza tra il dipinto di Ricci e lo schizzo degli Uffizi – fatto che ha determinato in via automatica la sua assegnazione al nostro Sebastiano –, un’obiettiva analisi stilistica ci impone dunque di espungere definitivamente il disegno fiorentino dal catalogo del Bellunese, ritenendo