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La bottega di Ricci, da San Geremia alle Procuratie

I. 5 4 Gli stock-motif

II.1. La bottega di Ricci, da San Geremia alle Procuratie

Nell’approcciarsi al tema della bottega di Sebastiano Ricci, della sua composizione e del suo funzionamento, il primo interrogativo che spontaneamente ci siamo posti è stato dove questa si trovasse, e di conseguenza che aspetto avesse. In effetti, elaborare considerazioni sulla frequentazione dell’atelier e sul numero dei collaboratori contemporaneamente attivi e dunque presenti accanto al Maestro, non può prescindere, a nostro avviso, dal tentativo – perché di questo si tratta – di ricostruire, anche solo visivamente, l’ambiente fisico nel quale gli artisti operassero, e quali fossero gli spazi e gli strumenti a loro disposizione.

Come noto, la bottega non era soltanto il luogo della creazione, della produzione e dell’insegnamento ma, assieme ai negozi dei bottegheri, era anche la sede ufficialmente deputata alla vendita delle opere d’arte, così come prevedeva lo statuto del Collegio dei Pittori. Cosicché, sebbene la norma venisse aggirata sempre più di frequente, l’atelier doveva comunque fungere anche da luogo di esposizione dei lavori conclusi e proposti al mercato, e di contrattazione delle nuove commissioni. Un luogo dalle molteplici funzioni, dunque, che necessitava di spazi adeguati e bene organizzati, spesso adiacenti o coincidenti, non lo dimentichiamo, con l’abitazione stessa dell’artista1.

Ma venendo al Nostro, quale aspetto aveva la sua bottega? Come cambierà nel corso degli anni, e per quali ragioni? È doveroso premettere fin d’ora che le risposte a queste domande non saranno affatto soddisfacenti. Non vi è alcuna fonte al riguardo, e non resta che ancorarsi a pochi appigli documentari, prestando attenzione a non correre il rischio di sovrainterpretarli. Nondimeno, si avanzeranno di seguito alcune considerazioni, che riteniamo possano essere d’aiuto non solo ad arricchire l’analisi sull’organizzazione della bottega di Ricci, ma anche, in una prospettiva più ampia, a stimolare un interesse critico verso questo filone di studi, già

1 «Non dovendo ne meno ne giorni feriali essere venduti quadri in altro luogho che nelle botteghe aperte di detta

professione» (BMCVe, ms. Cicogna 2823, ms. IV 123, fol. 21, copia dello statuto). Cfr. BINION 1970,pp. 94-95; CECCHINI 2000, pp. 167-178; CECCHINI 2005, pp. 154-157; CECCHINI 2009,pp. 152-158.

proficuamente avviato per altri contesti storico-geografici, ma affatto carente per il Settecento veneto2. Sebastiano, artista che viaggiò dipingendo e dipinse viaggiando, parafrasando il noto

adagio dell’abate Lanzi, dopo le peregrinazioni di fine secolo si era stabilito dal 1695 circa a Venezia dove, stando ai documenti resi noti con la consueta perizia da Lino Moretti, aveva preso una casa in affitto a San Geremia, nel sestiere di Cannaregio3. La localizzazione dell’edificio si

può precisare ulteriormente consultando il catastico del 1711-1713, il censimento effettuato periodicamente dal Collegio dei Dieci Savi sopra le Decime in Rialto, dal quale risulta che alle Fondamenta di Cannaregio, tra calle de la Madonna e calle del Portico Scuro vive «Sebastian Rizzi Pitor affittual della sud[dett]a [Lucrezia Ballarin Pauluzzi, n.d.r.] si ritrova in Ingilterra [sic], con la Famiglia per informazion hauta paga alla d[ett]a D[ucati] 1504» [fig. 172]. Pare dunque

che, salvo spostamenti temporanei a Vienna e a Firenze, il pittore sia rimasto in questa casa da fine Seicento sino alla partenza per l’Inghilterra nell’ottobre 1711, continuando a pagare l’affitto anche mentre era all’estero. Verosimilmente, tornò a vivere a San Geremia anche una volta rientrato in patria, nell’autunno del 1715, prima di trasferirsi nella nuova dimora in Piazza San Marco, nel 1717.

La somma che Sebastiano versava alla proprietaria, «Illustrissima Signora» Lucrezia Ballarin – che viveva in una casa con orto di proprietà, accanto a quella di Ricci, ma sulla quale non abbiamo reperito alcuna informazione aggiuntiva – è nettamente più alta della media degli affitti della zona, e molto maggiore di quelli generalmente corrisposti dai colleghi pittori tra Sei e Settecento5. Questo dato ci lascia intuire una condizione di benessere economico non comune,

raggiunto non solo grazie alla professione di artista e impresario, ma anche a una situazione matrimoniale affatto favorevole. Maddalena van der Meer, o Vandermeer, aveva portato in dote una somma di 8000 ducati, dei quali 3000 in contanti che, per fare “i conti in tasca” al Nostro, sarebbero bastati, da soli, per pagare vent’anni d’affitto nella casa a San Geremia6. Casa che era

2 Tra i molti contributi sulle botteghe d’artista, se ne segnalano solo alcuni, nei quali l’indagine sugli aspetti fisici e

materiali è particolarmente accurata, e intesa quale utile chiave d’interpretazione del contesto in cui il pittore operava. Si vedano ad es.: BORSI et al.1981(Bernini); MICHEL –MICHEL 1996e SPARTI 1996(Poussin); SPARTI 1997 (Da Cortona); AIKEMA – TAGLIAFERRO 2009, pp. 55-59 (Tiziano); DALLA COSTA 2012, pp. 183-215 (Veronese). In una prospettiva più ampia e trasversale, ricordiamo il fondamentale HÜTTINGER 1992 e i saggi in ZULIANI 2013, in particolare quello di LORIZZO 2013,più vicino ai nostri interessi.

3 MORETTI 1978, pp. 99-100. In un atto del 27 giugno 1697 il pittore si dichiara «degens Venetiis duobus circiter

ad hinc annis de Parochia Sancti Hieremiae» (ASPVe, Matrimonia forensium,1697, c. 367), cfr. MORETTI 2012, pp. 75-76.

4 ASVe, Dieci savi alle decime in Rialto, Catastici San Geremia 1711-1713, b. 429, c. 95r, n° 1035. Doc. cit. in

MONTECUCCOLI DEGLI ERRI, 1995 p. 107, nota 7, ma consultato in originale.

5 Sugli affitti dei pittori a Venezia tra Sei e Settecento, cfr. MONTECUCCOLI DEGLI ERRI 1992;CECCHINI 2000, pp.

178-184; e più in generale, sulle medie degli affitti a Venezia tra 1661 e 1740, CONCINA 1989, tavv. VI-VII (si noti che nella zona di San Geremia in cui vive Ricci, la percentuale di immobili in locazione a basso fitto, inferiore ai 19 ducati, oscilla tra il 50 e il 60%).

situata in una posizione piuttosto decentrata e povera rispetto al nodo dei commerci artistici di Venezia che, come sappiamo, si era sviluppato nell’area tra Rialto e San Marco, ma che comunque, nel corso del Settecento, stava assistendo a una evoluzione nel sistema abitativo, sempre più caratterizzato da lunghe sequenze di case e botteghe che ne rianimarono il tessuto commerciale7. Inoltre, l’area godeva di un evidente vantaggio logistico nell’immediata

accessibilità al canale di Cannaregio. Del resto, già da fine Cinquecento nella zona di San Geremia si erano addensate molte botteghe di tintori, grazie alla disponibilità di spazi aperti in cui far asciugare i tessuti; e anche Ricci, vivendo e lavorando davanti alle fondamenta, poteva godere di un’ampia area all’aperto, spazio necessario e ricercato dai pittori per poter far asciugare i propri dipinti. Non sappiamo se vi fossero motivi contingenti nella scelta della casa sul canale di Cannaregio, o tramite quali contatti Ricci l’avesse individuata, ma vorremmo ipotizzare che uno dei fattori sia stato proprio il suo posizionamento estremamente vantaggioso per l’attività di un pittore: oltre alla prossimità al corso d’acqua, segnaliamo infatti che, ancora nel 1740, nei pressi di calle della Madonna si trovavano un lanificio, una fabbrica di colori e una sbiacaria, manifatture che producevano le materie prime indispensabili ad un artista8. Sarebbe suggestivo

immaginare anche un contatto del Ricci con la famiglia Nani, il cui palazzo si trovava proprio a due passi dalla casa del pittore, sempre sulle fondamenta. Se non altro perché Moretti aveva individuato, proprio nell’inventario dei quadri di palazzo Nani Mocenigo a Cannaregio (1765), «nel quinto camerone, nel soffitto compartiti in intagli bianchi, e d’oro di grand[ez]ze diverse. Quadri n° undeci di Bastian Rizzi rapresentanti varie deità9», valutati 120 ducati. Peccato però

che si tratti, inequivocabilmente, del noto soffitto di Francesco Maffei con undici tele con varie divinità e allegorie, oggi ricomposto a Ca’ Rezzonico. Paradossale, in questa vicenda, è il fatto che l’inventario con le stime dei quadri Nani-Mocenigo fu affidato a Gaspare Diziani, il fedele allievo e, a tratti, imitatore di Ricci, che a quanto pare non fu in misura di distinguere lo stile del

7 CONCINA 1989,pp. 66-67; 173-175, 197-202, 211. Sebbene un poco più tardi rispetto al momento di cui ci stiamo

occupando, il Rollo dei pittori del 1724 circa ci mostra che, di tutti i pittori registrati nel Collegio, a quel tempo soltanto tre risiedevano a San Geremia, e di questi solo uno (Francesco Polazzo, di cui diremo) era pittore matricolato, mentre due (Domenico Pasquali e Francesco Perazzol) erano contribuenti ma non matricolati. Cfr. FAVARO 1975, pp. 225-228.

8 CONCINA 1989,tav. X.Per la sbiacaria, o “casa di biacca”, in cui si produceva il bianco di piombo utilizzato dai

pittori, cfr. anche ASVe, Dieci savi alle decime in Rialto, ‘Catastici San Geremia 1711-1713’, b. 429, c. 94r, n° 1018 [calle de la Madonna]: «Sbiacaria tenuta ad affitto dalli Signori Rubbi, et Quatrini, affittanza giurata 1707 marzo, paga al N. H. S. Tomaso Querini d. 180».

9 ASVe, Archivio privato Nani Mocenigo, b. 159, vol. DD, n° 39, ‘Inventarij e stime delli mobili, argenti, et altri effetti

di ragione dell’eredità del fu N. H. Filippo Nani’, cc. n.n.. Doc. cit. in MORETTI 2012, pp. 120-121, ma consultato in originale.

Maestro da quello inconfondibile del Maffei10; per giunta, nello stesso camerone si trovavano,

stando al Diziani, altre due sovrapporte assegnate allo stesso Ricci (non identificate), e quattro monocromi questa volta attribuiti correttamente al Polazzo, anch’essi trasferiti nella sala del Brustolon di Ca’ Rezzonico. Sfuma così, almeno per il momento, la possibilità di una committenza Nani e di un rapporto del pittore con il ramo della famiglia residente a San Geremia.

Ma tornando alla casa-bottega dell’artista, con lui vivevano sicuramente la moglie Maddalena e la figlia di questa, che morirà in Inghilterra, ma è ipotizzabile che già attorno al 1700-1705 anche Marco, il nipote di Sebastiano, si fosse trasferito nella stessa casa, mentre nel 1708 vi arriverà anche l’apprendista toscano Agostino Veracini, e su questo punto torneremo più avanti. Inoltre, Sebastiano poteva anche permettersi il lusso di un cameriere personale, quel Pietro Mangiaracina che abbiamo già citato quale suo servitore in palazzo Farnese a Roma, e che lo seguì a San Geremia almeno fino al 1697, rimpiazzato in seguito da Giovanni Battista Garbini, cameriere e agente di Sebastiano fino ai suoi ultimi giorni11.

Per arricchire queste scarne considerazioni sul contesto in cui Ricci viveva e operava nel primo decennio del nuovo secolo, e in mancanza di qualsiasi dettaglio aggiuntivo sulla sua prima dimora veneziana, ci sembra comunque interessante riflettere su una serie di circostanze apparentemente fortuite che determinarono il radunarsi, attorno alla bottega di Sebastiano, di alcune figure chiave nella biografia del pittore [si veda la pianta in fig. 172]. Dall’autunno 1708, giungerà a Venezia, stabilendosi a San Geremia, il marchese romano Pietro Gabrielli, dopo l’evasione e una fuga rocambolesca dal carcere di Urbino, dove era stato rinchiuso per una condanna d’eresia12; una decina d’anni più tardi, lo vedremo, Gabrielli sarà uno dei più prestigiosi

e stravaganti committenti di Ricci. Ma verso il 1709, sempre nella stessa parrocchia si trasferirà anche il canonico Orazio Marucelli, uno dei fratelli della nobile famiglia che, solo pochi anni

10 Si ricorda comunque che Diziani era avvezzo alla pratica della stima di opere d’arte. In particolare, assieme al

mercante Domenico Fontana aveva inventariato e stimato i quadri rimasti in casa di Ricci dopo la sua morte. Si veda infra.

11 Su Mangiaracina, rimandiamo a cap. I, note 203, 216. Sul tempo dell’avvicendamento con il Garbini, che potrebbe

coincidere con le nozze di Mangiaracina nel 1697, si veda il documento citato da MORETTI (2012, p. 132, nota 35): si tratta di una dichiarazione rilasciata nel 1752 da tale Giovanni Coradin, cameriere in Ca’ Ottoboni, il quale dichiara di conoscere Garbini perché era stato al servizio di Rizzi per circa quindici anni nella stessa parrocchia di San Geremia, quindi dal 1700 circa.

12 FRASCARELLI TESTA 2004, pp. 19-20, nota 13. Si precisa, tuttavia, che nella già citata Redecima del 1711 non

abbiamo individuato il nome del Gabrielli né tra i residenti proprietari, né tra gli affittuari della contrada di san Geremia. Forse perché la sua precaria situazione giudiziaria lo aveva obbligato, almeno inizialmente, a uno stato di clandestinità? Resta fermo il fatto che, comunque, all’anno della morte nel 1734 sarà sepolto in quella parrocchia, nella chiesa di Santa Maria degli Scalzi.

prima, aveva commissionato a Ricci le decorazioni del palazzo fiorentino di via san Gallo13. Ma

non è tutto, perché è proprio in casa di Marucelli che vivrà Francesco Polazzo, fidato collaboratore di Sebastiano di cui più tardi ci occuperemo14. Insomma, sembra che nella

contrada di San Geremia, specialmente dopo il 1708, Ricci abbia potuto tessere e coltivare una serie di proficui contatti, con l’intraprendenza e quello spirito di estroversa disinvoltura che, come abbiamo osservato, gli furono propri sin dalla giovinezza.

Del resto, anche dalle terre d’Oltremanica, dove soggiornò tra l’inverno del 1711 e la primavera del 1715, Ricci non smise di intrattenere rapporti con Venezia, sovrintendendo con oculatezza alla gestione del proprio patrimonio finanziario, affidata al suo interveniente Andrea Allegri. Da Londra, il 29 settembre 1713 il pittore aveva provveduto a far investire ben 7050 ducati per l’acquisto di terreni agricoli a Sala presso Mirano15. Lo stesso del resto faceva anche

Gianantonio Pellegrini, che poco prima, il 30 gennaio 1713, dall’Inghilterra incaricava la cognata Rosalba Carriera di investire per suo conto una somma – ben più modesta – di 1900 ducati16.

E prima di rientrare dall’Inghilterra con i lauti compensi ottenuti dai patron britannici, secondo il Pascoli Ricci fu addirittura obbligato a versare un «grosso dazio» sull’esportazione del denaro17.

Insomma, le condizioni economiche di Sebastiano, che già nel primo decennio del Settecento – lo abbiamo visto – godeva di una inusuale agiatezza, migliorarono sensibilmente, così come la sua ambizione ad emanciparsi dalla condizione di semplice pittore o impresario teatrale, per divenire uomo di società e cultura a tutto tondo, sulla scia dell’ultima nobiltà veneziana. La prima forma di manifesta e consapevole affermazione del suo status di grand viveur e del prestigio

13 Grazie alla Redecima del 1711, apprendiamo che Marucelli risiedeva «in Isola» (ovvero nella zona tra il Canal

Grande e i rii dei Sabbioni, che poi vennero interrati): «Ill[ustrissi]mo Sig[no]r Marchese Abbatte Orazio Maroceli affitual del d[ett]o [N. H. S. Renier Zen, n.d.r.], affitanza giurata 1712 7bre, paga per casa con horticelo al d[ett]o D[ucati] 93» (ASVe, Dieci savi alle decime in Rialto, ‘Catastici San Geremia 1711-1713’, b. 429, c. 59v, n° 203). Dalla Redecima del 1740, risulta invece che dal 1725 si era trasferito vicino alle Chioverete e a calle san Zuane, in una «grande casa» di proprietà della Scuola di San Giovanni Evangelista, il cui affitto ammontava a 230 ducati all’anno (ASVe, Dieci savi alle decime in Rialto, ‘Catastici San Geremia 1740’, b. 436, n° 1073). Cfr. anche MORETTI 1985, pp. 390-391.

14 Si veda sempre MORETTI 1985, pp. 390-391, ma anche DE ROSSI 2004A, pp. 20, 22.

15 I duecento campi erano di proprietà del N. H. Antonio Francesco Farsetti, al quale furono ceduti a livello con

interesse annuo del 3%. Si trattava sostanzialmente di un prestito di denaro con ipoteca sui terreni. Il Farsetti pagò regolarmente gli interessi dovuti a Ricci, ed estinse definitivamente il suo debito nel 1717, restituendo al pittore la somma prestata di 7050 ducati. Cfr. MORETTI 1978, pp. 110-111; STEFANI 2015, pp. 173-174, 235-236 doc. 28. Ancora da indagare sono altri possibili legami tra Ricci e il Farsetti. Antonio Francesco (16675-1733), figlio di Filippo, apparteneva alla nota famiglia di nuova nobiltà veneziana, e aveva ricoperto la carica di Capitanio di Vicenza dal 1703 al 1708. Nel 1699 aveva acquistato da Marina Bragadin il palazzo in contrada di San Luca lungo il Canal Grande (CHAUVARD 2005, p. 122, nota 123) mentre nel 1710 ottenne dalle eredi Fonseca e Cortizos villa Contarini e le proprietà adiacenti a Santa Maria di Sala, valutate in 85.000 ducati, ad estinzione dei debiti che la famiglia portoghese aveva da tempo contratto con i Farsetti (RUSPIO 2013,p. 15,note 76-77). Su villa Farsetti, si veda VEDOVATO 1994.

16 Cat. mostra PADOVA 1998,p. 225. 17 PASCOLI 1730-1736,II,p. 381.

sociale raggiunto, fu certamente la sua nuova abitazione, un sontuoso appartamento alle Procuratie Vecchie18, nel vero cuore di Venezia.

Invero, una volta tornati da Londra, Ricci e la Vandermeer, probabilmente assieme a Marco, vissero ancora per qualche tempo nella casa di Cannaregio. Ma il pittore, vera star nel panorama internazionale e nel pieno dei suoi successi, non poteva più evidentemente accontentarsi di quel contesto abitativo modesto e periferico, inadeguato al ricevimento degli ospiti come pure alla gestione di una bottega sempre più operosa. E così, l’11 marzo 1717 il Nostro acquistò al pubblico incanto, per la cifra di 3760 ducati, l’appartamento in un «soler di sopra» delle Procuratie Vecchie, sul lato in cui si trovava la chiesa di San Geminiano, accessibile da calle del Salvadego; una volta partito l’affittuario Pietro Francesco Grandis – non senza resistenze –, nell’agosto del 1717 la famiglia Ricci prese finalmente possesso della nuova dimora, assistita da un cameriere, una serva, un cuoco e altro personale di servizio19 [fig. 171]. Ed è

proprio questo lussuoso appartamento che ci interessa, perché fu a un tempo il luogo in cui Sebastiano viveva e intratteneva relazioni sociali, ma conduceva anche la propria carriera di pittore, accogliendovi probabilmente allievi e collaboratori. Se la casa può corrispondere all’animo di chi la abita, nel caso del Nostro il suo duplice «carattere di serietà e di applicazione non disgiunto da sociabilità e cortesia20» si doveva riflettere perfettamente nella doppia funzione

dell’appartamento delle Procuratie. Lì Ricci dipingeva, affiancato dai suoi aiuti, assolvendo con impegno indefesso alle sempre più numerose commissioni della maturità. Ma la dimora del pittore era, allo stesso tempo, il palcoscenico in cui mettere in scena i rituali della conversazione erudita, del dialogo tra connoisseur e collezionisti, e pure il salotto in cui abbandonarsi alla leggerezza dei piaceri del gioco, della musica, dello spettacolo21.

A questo proposito, una fonte particolarmente utile, parzialmente commentata nel 2005 da Favilla e Rugolo e citata più di recente da Stefani, è la Vita di don Pietro Antonio Toni (Varana, Modena 1692-Venezia 1748), giunto a Venezia nel 1722 e intimo amico del Nostro. Autore della biografia, scritta con affettuosa riconoscenza, è il pittore Pietro Antonio Novelli, di cui il sacerdote modenese era stato precettore a Venezia. Dal manoscritto, che precede

18 Usiamo intenzionalmente il termine “appartamento” perché proprio in questi anni si assiste all’introduzione del

vocabolo nei documenti catastali, in parallelo all’evoluzione di tale nuova tipologia abitativa nella Venezia del primo Settecento. Si veda in proposito CONCINA 1989, pp. 206-207.

19 ASVe, Deputati ed aggiunti sopra l’esazione del denaro pubblico, ‘Presidenti alle vendite’, reg. 213, f. 29v. Cit. in MORETTI

1978, p. 111. Si vedano anche ZAMPETTI 1960, p. 231, nota 4; STEFANI 2015, pp. 174-175, con notizie inedite su un breve contenzioso tra il Grandis e Ricci, risoltosi in favore di quest’ultimo. Il cameriere dei Ricci era il già citato Giovanni Battista Garbini, la serva tale Maria Martinelli, un altro servo Tomaso Zane (MONTECUCCOLI DEGLI ERRI 1995, p. 109).

20 GIRARDI 1749, p. 70.

21 Su questo, e sugli ospiti che frequentavano la casa di Ricci, cfr. anche le considerazioni di MONTECUCCOLI DEGLI

l’autobiografia del Novelli, apprendiamo ad esempio che Sebastiano era solito intrattenere gli ospiti in serate di «commedie de’ Pulcinelli», e che aveva un certo interesse per il gioco d’azzardo22; scrive infatti il Novelli che «aveva il già nominato Sebastiano Ricci pittore il gusto

di veder a giuocare più che a giuocare lui medesimo, e faceva che D. Pietro giocasse per lui lasciandogli tutte le vincite e pagandogli tutte le perdite23». Inoltre, don Toni frequentava

«l’Accademia del Nudo, ed egregiamente disegnò assieme col Ricci e col Pittoni24», fermandosi

spesso a pranzo a casa dei due pittori, e copiando i loro disegni. Ma ancora, Novelli ci informa addirittura del fatto che don Toni «rifiutò una Pieve sul Modenese, così un Capellanato, e di starsene lautamente in casa del Signor Sebastiano Ricci celebre, ricco e generoso Pittore, essendo da tutti amato e desiderato, ma stabilì di morir povero senza lasciar neppure un quattrino25». Ci

appare così, in filigrana, un profilo inedito del nostro Ricci, che non solo si diletta a pranzare, giocare e disegnare con un amatore – e possiamo immaginare che simili intrattenimenti si fossero svolti anche con altri amateur, da Mariette a Zanetti –, ma che dopo anni passati a beneficiare della protezione di vari patron, si atteggia ora a sua volta a munifico protettore, offrendo vitto e alloggio all’amico sacerdote. Un profilo, va precisato, perfettamente coerente con l’attitudine sociale di Sebastiano a cui già abbiamo accennato.

Ma per tornare al nostro punto, ovvero l’abitazione di Ricci alle Procuratie, un’altra fonte assai preziosa è la copia dell’inventario dei beni stilato dopo la morte del pittore, tra il 19 e il 20 maggio 1734; un documento portato alla luce da Pietro Zampetti, citato e commentato in buona parte della letteratura riccesca, e che diviene particolarmente interessante ai nostri fini, perché illuminante sugli spazi domestici in cui operava il pittore26. Invero, seguendo un approccio già

22 BSPVe, ms 877.25 ex 788.25, Pietro Antonio Novelli, Vita del Reverendo Sacerdote D. Pietro Antonio Toni da Varana

(1790). Doc. cit. in FAVILLA – RUGOLO 2006, pp. 195-198; STEFANI 2015, pp. 29-30, ma trascritto solo parzialmente. Originario del modenese, uomo ricolmo di virtù e votato ai valori di povertà e carità, don Toni era