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Il metodo dell’energia dissipata durante una prova di fatica di laboratorio per lo studio della fatica è di tipo meccanicistico. Diversi autori avanzano l’ipotesi che esista un’unica relazione tra la vita a fatica di un provino bituminoso e l’energia totale dissipata durante il test fino alla rottura. Secondo A. Tayebali tale approccio può condurre a risultati più coerenti con la realtà rispetto al caso tradizionale. Durante la sollecitazione di un provino in conglomerato bituminoso si può, in effetti, riscontrare una dissipazione energetica dovuta al comportamento visco- elastico del materiale. La Figura 1.16 mostra la differenza tra il comportamento di

un materiale elastico ed uno visco-elastico sottoposti ad un carico impulsivo: nel secondo caso è presente un cappio isteretico per cui una parte dell’energia immessa nel sistema è persa e corrisponde all’area racchiusa tra i rami di carico e scarico.

Figura 1.16: Differenza tra il comportamento di un materiale elastico ed uno visco-elastico sottoposti ad un carico impulsivo.

Per una sollecitazione di tipo sinusoidale come quella generalmente adottata per prove a fatica l’energia dissipata durante un ciclo può essere calcolata attraverso la seguente espressione: i i i i w =πσ ε sinφ essendo: i

w :l’energia dissipata durante il ciclo i-esimo;

i

σ :l’ampiezza della tensione al ciclo i-esimo;

i

ε :l’ampiezza della deformazione al ciclo i-esimo;

i

φ :lo sfasamento tensione-deformazione al ciclo i-esimo.

La dissipazione di questa energia è in gran parte associata alla deformazione viscosa del materiale che la dissipa in calore, ma anche alla formazione di micro- lesioni nel materiale che condurranno alla rottura. L’entità dell’energia dissipata

caricamento sia in controllo di tensione o di deformazione. Nel primo caso l’energia dissipata per ciclo aumenta, nel secondo decresce. Questo comportamento è coerente con la riduzione della rigidezza del provino e con la variazione del ciclo isteretico durante la prova. La Figura 1.17 seguente è qualitativa.

Figura 1.17: Energia dissipata.

I primi studi condotti sull’energia dissipata furono condotti da Chomton e Valayer nel 1972 e successivamente da Van Dijk. La legge di fatica proposta dai primi esprime la relazione che intercorre tra l’energia dissipata in complesso fino alla rottura e il numero di cicli di carico:

z f N A W = ⋅ dove:

W :è l’energia dissipata totale pari a:

∑i(

πσiεisinφi

)

;

f

N :è il numero di cicli a rottura;

Secondo gli autori l’energia dissipata è funzione delle caratteristiche del materiale, ma, discutibilmente, indipendente dalla configurazione di prova scelta, dalla temperatura (dai 10 ai 40°C), dal modo di caricamento (controllo di tensione o di deformazione) e dalla frequenza (dai 10 ai 50 Hz).

Van Dijk e Visser nel 1977 condussero ulteriori studi e verificarono che non era possibile impiegare una medesima relazione per ogni materiale ed introdussero un indice adimensionale Ψ funzione della rigidezza del conglomerato e del tipo di prova cui esso è sottoposto:

W w Nf 0 / = Ψ dove: 0 0 0 0 =πσ ε sinφ w essendo: 0

σ :l’ampiezza iniziale della tensione; 0

ε :l’ampiezza iniziale della deformazione; 0

φ :lo sfasamento iniziale.

L’indice Ψ tiene conto della variazione di tensione, di deformazione e di sfasamento durante la prova e dipende principalmente dall’evoluzione della rigidezza nel test e dal tipo caricamento: Ψ < 1 per prove in controllo di tensione e Ψ > 1 per prove in controllo di deformazione. Ψ = 1 per ambedue i modi di caricamento quando la rigidezza del materiale è superiore ai 26 GPa.

Un secondo tipo di approccio energetico basato sulla dissipazione è stato sviluppato da P. Hopman nel 1989, ripreso da G. M. Rowe nel 1993 e completato da A. Pronk nel 1995. Secondo H. Di Benedetto questo approccio alla fatica è attrattivo restando, tuttavia, di difficile applicazione nel caso di prove a controllo di deformazione. A seguire se ne descrivono i punti salienti.

Nello suo approccio energetico alla fatica P. Hopman ha introdotto il concetto di “Energy ratio” per definire, in prove a controllo di deformazione, il numero di applicazioni di carico (N1) per cui si considera innescata la fessurazione. Ciò

avviene quando le micro-lesioni che interessano il conglomerato bituminoso si traducono per coalescenza in una marco-fessura che da quel momento in poi si propaga fino alla rottura. L’”Energy ratio” è definito come il seguente rapporto: Energy ratio = n

(

wo wi

)

=n

(

πσ0ε0sinφ0

) (

πσiεisinφi

)

essendo:

n :l’i-esimo ciclo;

0

w , w i :rispettivamente l’energie dissipate al primo ed all’i-esimo ciclo.

Graficando l’Energy ratio in funzione dei cicli di carico si rileva l’esistenza di un numero di cicli N1 per cui la curva mostra una variazione significativa di

pendenza. Secondo Hopman, in base ai suoi studi, tale punto corrisponde ad una riduzione del 40% del modulo complesso estensionale ed all’inizio della propagazione della macro-fessura.

Considerando che le tensioni possono essere espresse in funzione dei moduli complessi e che, nel caso di prove in controllo di deformazione, l’ε0 non cambia, l’espressione dell’Energy ratio può anche assumere la forma:

Energy ratio = n

(

πE ε sinφ

) (

Eiε sinφi

)

2 0 0 2 0 0 + + ⋅

da cui, condensando i fattori costanti in una unica costante senza che la forma della curva sia alterata e tenendo conto che la variazione disin è piccola se φ paragonata a quella di *

E , ne consegue che, secondo Rowe, l’espressione

dell’Energy ratio per l’identificazione di N1 può essere ridotta alla seguente:

*

i i n E

definendo N1 come il punto in cui la pendenza della curva Rin

ε devia dalla

linearità.

In modo del tutto analogo Rowe ricava l’espressione della Reduced Energy ratio per prove in controllo di tensione:

*

i i n E

Rσ = ⋅ per prove in controllo di tensione.

In tale caso, l’ampiezza della tensione resta costante e, a seguito dell’innesco della fessura, il livello tensionale in corrispondenza della sua punta aumenta rapidamente ed il punto N1 può essere agevolmente identificato sul

pianoRin

σ come il picco della curva ottenuta. La Figura 1.18 mostra

l’andamento delle curve ora definite e l’identificazione del ciclo N1

corrispondente all’innesco della fessura nei due casi.

Figura 1.18: Identificazione del ciclo N1 corrispondente all’innesco della fessura.

Secondo Rowe il fatto di definire la vita a fatica in corrispondenza di N1 è di forte

attrattiva in quanto i dati ottenuti dai due tipi di test rappresentano il materiale nella medesima condizione di danno piuttosto che ad un’arbitraria riduzione del

modulo del 50 o del 90%, peraltro inficiata dalla difficoltà di misurare il modulo iniziale con precisione.

Un’ulteriore semplificazione del Reduced Energy ratio nel caso di prove in controllo di tensione è stata proposta nel 1997 da A. C. Collop e J. Read i quali hanno dimostrato come l’andamento di R in funzione del numero di cicli di iσ

carico possa essere agevolmente assimilato a quello del rapporto N Δs tra il

numero del ciclo di carico n-esimo ed il corrispondente abbassamento assiale del campione (nel caso di prove ITFT). Tale risultato semplifica radicalmente la determinazione del punto di innesco della fessurazione nel caso di configurazioni di prova a trazione indiretta in cui non sia prevista la misurazione delle deformazioni orizzontali del provino, ma soltanto lo spostamento verticale del coltello superiore di carico.

Circa l’approccio energetico proposto da Hopman, H. Di Benedetto avanza alcune perplessità in merito al fatto che, per via della proporzionalità diretta tra la vita a fatica ed il Modulo di dissipazione, alcune miscele bituminose, in linea teorica particolarmente elastiche, possano esibire risultati a fatica eccellenti al contrario di quanto accade nella realtà. Secondo la teoria del Reduced Energy ratio i materiali perfettamente elastici, infatti, non possono raggiungere la rottura per fatica. All’atto pratico, l’energia dissipata non causa solo la rottura dei legami interni al materiale, ma riscalda per gran parte il provino.

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