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Lo studio della fatica dei materiali per mezzo del concetto di danno o danneggiamento ha origine con la nota espressione di accumulo del danno proposta nel 1945 dal meccanico M. Miner, utilizzata per descrivere come i vari livelli di caricamento reali contribuiscano al danneggiamento del materiale:

(

)

=1

n i i i N n dove:

i

n :è il numero di cicli per il livello di caricamento σi;

i

N :è il numero di cicli a rottura ottenibili applicando il livello di caricamento

i σ .

Tale legge, pure trovando poco riscontro per i materiali bituminosi, è stata largamente impiegata per via della sua semplicità. Lo stesso P. S. Pell afferma in una pubblicazione del 1973 che, tra le teorie di accumulo del danno, non ve ne è una che mostri un’evidente superiorità all’ipotesi di sommare linearmente i rapporti dei cicli, così come proposto da Miner. C. Monismith suggerì di adottare la legge di Miner per valutare la vita a fatica di miscele bituminose sottoposte a carichi composti basandosi sulle deformazioni imposte e J. Deacon, a conclusione di una ricerca, ha affermato che “la sommatoria lineare dei rapporti di ciclo governa la fatica delle miscele bituminose soggette a stati deformativi multipli di entità variabile”.

Successivamente a Miner altri studiosi adottarono l’approccio alla fatica in termini di danno per descrivere il comportamento dei materiali bituminosi sottoposti a carichi ripetuti.

Nel report del Comitato Tecnico RILEM 182 PEB, H. Di Benedetto applica il metodo razionale da lui sviluppato presso l’ENTPE, per analizzare i dati ottenuti da tutti i laboratori coinvolti nella ricerca con l’approccio del danno. L’obiettivo è quello di determinare l’effettivo trend di danneggiamento per ciascun ciclo di carico, correggendolo dagli effetti fittizi che alterano il risultato a fatica, primo fra tutti il riscaldamento riscontrato durante la fase iniziale della prova. In pratica egli osserva le curve di evoluzione del modulo complesso misurato in funzione del numero di cicli di applicazione ed individua 3 fasi differenti e successive durante il test. Una FASE I o fase di adattamento in cui la rapida diminuzione del modulo non può essere dovuta alla sola fatica; il riscaldamento ed un fenomeno locale (tixotropia) intervengono significativamente nella perdita del modulo che, tuttavia, risulta del tutto recuperabile. Una FASE II o fase quasi-stazionaria in cui gli effetti fittizi coesistono, seppur in minima parte, con la fatica del materiale che risulta il fenomeno predominante nella diminuzione della rigidezza del provino. Da questa fase l’approccio proposto da Di Benedetto ricava l’evoluzione del

danneggiamento separando e correggendo gli effetti dei fenomeni fittizi. Tale correzione può avere segno positivo o negativo a seconda del modo di caricamento scelto. La FASE III o fase di rottura corrisponde alla propagazione della macro-fessura fino alla rottura del provino. La Figura 1.19 mostra un tipico andamento E – N in cui si distinguono innesco e propagazione.

Figura 1.19: Un tipico andamento E – N.

Prendendo spunto dal lavoro di Lemaître, Di Benedetto definisce un parametro isotropico di danno Dexp che caratterizza la variazione relativa di modulo tra lo stato iniziale e lo stato del materiale al ciclo N-esimo di una prova a fatica:

(

0

)

0

exp E E / E

D = − N

essendo:

D :il parametro di danno al ciclo N-esimo;

0

E :il modulo del modulo complesso allo stato iniziale non

danneggiato; *

E

exp

D necessita di correzione dagli effetti fittizi che intervengono nella fase di

adattamento ed in parte nella FASE II. In quest’ultima la variazione del modulo è pressoché lineare e può essere estrapolata linearmente fino al primo ciclo di carico individuando così il corrispondente modulo E . Il coefficiente 00 aT rappresenta la

pendenza della linea di danneggiamento della FASE II. Tale coefficiente può, secondo lo studio proposto, essere suddiviso in due addendi in cui uno tenga conto degli effetti fittizi sulla variazione del modulo (aBiased) ed uno descriva gli effetti

della reale fatica (aFatigue):

Biased Fatigue

T a a

a = +

Osservazioni sperimentali e considerazioni teoriche hanno permesso di affermare che gli effetti fittizi hanno un’evoluzione proporzionale alla variazione di energia dissipata e, pertanto, hanno un effetto positivo o negativo nel contributo allo scadimento dipendente dal tipo di caricamento adottato. L’espressione definitiva proposta da DiBenedetto per il calcolo della pendenza aF della linea di fatica è la

seguente:

(

E0 E00

)

/ E0 C a a aF = T + w − dove: w

a :rappresenta la pendenza della curva di dissipazione di energia per ciclo di

carico in funzione dei cicli di carico, normalizzata per l’energia dissipata estrapolata per il primo ciclo W ; 00

C :è un coefficiente che tiene conto della non-linearità del danneggiamento occorso nella FASE I del test.

Tale espressione consente di descrivere un’evoluzione del danno per intervalli di linearità in cui la curva E – N nella FASE II può essere convenientemente suddivisa.

In termini pratici Di Benedetto suggerisce di ricavare la legge di fatica dall’andamento di E registrato per prove in controllo di deformazione essendo noto come, per prove in controllo di tensione, si verifichino aumenti delle deformazioni e dell’energia dissipata per ciclo, al punto che, nella FASE II, la temperatura non riesce a stabilizzarsi.

Applicando la legge alle prove di T/C condotte nel round robin RILEM lo studioso francese ha riscontrato come fosse possibile confrontare prove in controllo di tensione con altre in controllo di deformazione per uno stesso materiale. Il ché è come naturalmente dovrebbe essere, essendo la resistenza a fatica del c.b. una proprietà intrinseca del materiale. La correzione apportata dal termine a alla pendenza w aT è variabile con l’ampiezza delle tensioni

(deformazioni) applicate e dipende dalle dimensioni delle superfici di scambio termico del provino oltre che dall’uniformità dello stato tenso-deformativo al suo interno; per test non omogenei è infatti possibile che alcune porzioni del campione siano già in FASE III ed aF risulti erroneo coesistendo nel provino sia l’innesco

che la propagazione.

Un secondo significativo aspetto dell’approccio proposto all’ENTPE è legato alla possibilità di ricavare il comportamento a fatica per prove non omogenee (per es. 4PB) dalla calibrazione del modello realizzata con prove omogenee (per es. T/C), a patto che sia disponibile uno strumento di modellazione strutturale (f.e.m.) della prima. È ad esempio possibile ottenere l’evoluzione del danno nell’intero travetto 4PB da una legge di danneggiamento espressa in funzione dell’ampiezza di deformazione, essendo quest’ultima variabile entro il volume del provino. L’analisi f.e.m. è richiesta per calcolare le variazioni di rigidezza nel travetto tramite la corretta integrazione dell’influenza di ciascun elemento di volume. Occorre però che il campo delle deformazioni resti entro quello delle prove T/C e non porti alla FASE III di propagazione nel travetto.

Di Benedetto ritiene che l’approccio razionale in termini di danneggiamento, pur essendo ulteriormente affinabile, rappresenti uno strumento molto più potente ed accurato dell’analisi classica dei risultati di prove a fatica. La separazione degli effetti fittizi dal fenomeno della fatica tende alla rappresentazione intrinseca della

fatica per il c.b. sottoposto a prova e può consentire anche un più agevole studio del fenomeno dell’autoriparazione dei materiali bituminosi.

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