Etica narrativa: un metodo per l’etica clinica?
4.1 L’approccio ermeneutico-fenomenologico-casistico-narrativo Questo lavoro si iscrive in una precisa cornice metodologica definibile come un
approccio che è insieme, fenomenologico, ermeneutico, casistico e basato sulla narrazione.
Confrontarsi tutti i giorni con pazienti affetti da malattie croniche o ad esito infausto, porta medici, infermieri e operatori diversi a confrontarsi con situazioni
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diverse tra loro, ogni caso è a sé, e questo porta ad un agire morale pluralistico
dove gli orizzonti assiologici dei vari attori morali sono spesso assai distanti gli
uni dagli altri e spesso in contrasto. In questo senso la vivace dialettica
etico-clinica presente nell’ambito delle cure riabilitative con pazienti con Sclerosi
Laterale Amiotrofica(SLA) e neurologiche con pazienti Sclerosi Multipla
conducono verso due mondi distinti, da un lato quello della SLA, ad esito infausto
dove tutto il “lavoro” dell’équipe verte verso la qualità della vita e a costruire una
relazione tra paziente, famigliari, operatori, il cui obiettivo è seguire il paziente e
i suoi familiari nel percorso decisionale di cura, in modo da rendere le decisioni
cliniche assistenziali più complete, personalizzate, appropriate ed efficaci, in
merito alle preferenze di trattamento di fine vita, PEG e Trachoetomia.
Dall’altro tutto il mondo Sclerosi Multipla, patologia divenuta cronica, ed è su
questa cronicità che l’équipe deve lavorare, su cosa significhi vivere la propria
vita con una malattia cronica.
L’approccio narrativo crea innanzitutto un legame forte, un legame che
quantomeno permette di riconoscere vicendevolmente la legittimità della
posizione morale dell’altro. Struttura quindi le condizioni di possibilità per una
“negoziazione etica”, per concordare quindi su di una scelta etica possibile, dove
ognuno degli attori morali possa rinunciare a qualcosa per arrivare ad una opzione
possibile, ad una strada concretamente percorribile che permetta di superare il
dissidio o il dilemma. È opportuno evidenziare come questa funzione della
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quindi delle dinamiche e dell’agire dell’équipe, ma anche nella relazione
diversamente difficoltosa tra curanti e pazienti. In questo senso l’ascolto della
loro storia delle loro ragioni crea, innanzitutto, uno spazio possibile di reciproca
comprensione. La comprensione tuttavia ha bisogno di identificare il senso e le
ragioni di quello che, durante la valutazione morale, appare, si mostra all’analisi
razionale. C’è bisogno quindi di approfondire il senso di quello che viene narrato.
Senso che nell’esperienza umana si richiama sempre ad una dimensione
simbolica. Il mondo simbolico dell’uomo è quell’universo appunto generativo di
senso e che inquadra gli atti e gli accadimenti all’interno di una cornice di
comprensione che implica un significato ulteriore, un rinvio ad un piano più
generale49.
Da questo punto di vista, l’approccio fenomenologico - ossia di come la vita nella
sua plasticità e soggettualità diventi non oggetto del discorso, ma luogo fontale
dove la vita si fa soggetto - ed ermeneutico - il richiamo ad una necessaria
interpretazione riflessiva sulla vita - permette di evidenziare come il significato
ultimo della norma morale rinvii simbolicamente ad un orizzonte di senso
trascendente, “un bene ultimo che è voluto perché creduto, e il cui compimento
può essere solo sperato”, che l’uomo ricerca sempre, implicitamente ma
costantemente nel corso dell’esistenza, specie nella relazione interpersonale”.50
49 E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, Firenze, La Nuova Italia, 1961
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Tutto correrebbe il rischio di rimanere però, in un contesto clinico, in una
dimensione di astrattezza. Per allontanare questo pericolo è necessario quindi
coniugare questi approcci con un robusto ricorso alla casistica 51 . La casistica
infatti permette di dare concretezza clinica al ragionamento morale, costruendo
una galleria ideale di casi di riferimento. Casi che non hanno chiaramente valore
paradigmatico ma che costituiscono un serbatoio orientativo importante del
ragionamento etico in situazione, consentendo di concentrarsi sulle specificità del
caso individuale, avvalendosi per le sue caratteristiche generali di analisi e
valutazioni meditate e consolidate.
L’incontro tra medico e paziente si inserisce necessariamente all’interno di questo
rapporto narrativo, ogni resoconto di questo incontro (sia esso l’annotazione in
cartella clinica dell’anamnesi o il referto di un consulto) viene a strutturarsi come
un racconto. Il paziente narra la sua storia al medico, il medico raccoglie la storia
del paziente e narra al paziente altre storie di pazienti che lui ha seguito e curato
nella sua vita professionale. Il racconto diventa un dono, a volte l’unica modalità
di aiutarsi reciprocamente. La narrazione – la propria ascoltata e quella altrui
ascoltata – riveste così un ruolo terapeutico: aiuta il soggetto a collocare l’evento
(nel nostro caso l’esperienza di malattia) all’interno della sua esistenza e permette
di scoprire come affrontarlo in quella particolare circostanza. Perciò affinché ci
51 A. Jonsen, S. Toulmin, The Abuse of Casuistry. A History of Moral Reasoning, University of California Press, Berkeley 1998
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possa essere una buona decisione bisogna aiutare le persone a raccontare le
proprie storie.
Alla domanda sempre più impellente nei luoghi di cura: “Che cosa è bene fare?” è
necessario in prima battuta rispondere: “Dipende. Raccontami la tua storia e lo
scopriremo”.
Il dibattito filosofico contemporaneo intorno all’essere umano in quanto tale, e
alla sua modalità di “essere al mondo”, è molto ricco. Prendendo in
considerazione i contributi offerti dalla riflessione ermeneutica e personalistica,
per cercare di comprendere come l’uomo venga a capo di sé, giungendo a
decidere, o meglio a decidersi. Infatti anche nelle scelte ordinarie – non solo nelle
fasi finali della vita, dove risulta più evidente, ne va del soggetto. Partendo da
un’interpretazione della nascita dell’individuo grazie alla relazione, cioè da una
considerazione insieme genealogica ed ermeneutica, la definizione di Ricoeur
dell’uomo come identità narrativa, è essenziale per esprimere la condizione
dell’Io concreto, la cui soggettività si esprime nella cifra fondamentale del
movimento. Infatti, tra l’identità del soggetto e la relazione con l’altro si dà un
nesso di circolarità virtuosa, in quanto l’altro è anzitutto il corpo, che è la prima
forma di esperienza del sé; è poi è anche il tu, un altro che è un altro se stesso ed è
infine un noi, dato che ogni relazione singolare è inscritta in un sistema di
relazioni sociali e comunitarie che costituiscono il primo accesso della coscienza
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È pertanto da sottolineare come non si dia esperienza morale se non all’interno di
un contesto ambientale, e all’interno di un movimento temporale. È dunque nel
processo di riconoscimento tra identità e alterità che si costituisce l’ipseità, ossia
l’identità narrativa dell’uomo, che ha quindi un profilo soggettivo secondo cui si è
costruiti dai racconti degli altri individui, così che a nessuno è possibile essere
origine assoluta della propria narrazione52.