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Rapporto tra tempo, coscienza e narrazione

Nel documento Etica narrativa e decisioni cliniche. (pagine 24-33)

La narrazione come metafora dell’esistenza

2.1 Rapporto tra tempo, coscienza e narrazione

verbalmente o per iscritto, la storia di vita di una persona, che si tratti del nostro

passato quindi in un’autobiografia o del trascorso di un altro individuo, semplice

biografia. Per questa ragione appare lecito chiedersi se la persona sia inseparabile

dalla propria vita, dal momento che le nostre vite sono cose che ci capitano, che

viviamo, e mentre le nostre esperienze possono essere raccontate come storie

dopo il fatto, forse, non può esserlo il sé che le sta vivendo.

È rispetto a queste risposte che la domanda: “le vite sono narrazioni?” troviamo

una risposta e dato questo, che importanza hanno queste narrazioni nelle decisioni

cliniche?

2.1 Rapporto tra tempo, coscienza e narrazione

Riporterò qui di seguito il pensiero di alcuni Autori in merito alla narrazione,

temporalità e coscienza che a mio avviso delineano in modo chiaro alcuni

passaggi fondamentali per arrivare a comprendere l’importanza del racconto nella

storia del pensiero dell’uomo da declinare in narrazione e racconto di malattia, e

comprenderne così l’importanza nelle decisioni cliniche.

Un contributo importante in merito ce lo fornisce Agostino nel libro XI delle

Confessioni, egli dà infatti una sua chiara visione del Tempo in relazione agli

eventi. “Il passato non è più e il futuro non è ancora: solo il presente ha una qualche esistenza, ma non esiste come realtà permanente, bensì si trasforma subito in altro, cioè in passato”. Eppure, osserva Agostino, “noi percepiamo lo scorrere

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del tempo e siamo in grado di misurarlo. Ciò avviene nella nostra anima, al cui interno, il tempo trova la sua vera realtà, la sua unica dimensione reale”, che Agostino descrive come “distendersi dell’anima” (distentio animi), che nel ricordo, nell’attenzione e nell’attesa ci dà il senso e la misura del succedersi degli eventi. Nell’anima infatti conserviamo la memoria degli eventi passati, prestiamo attenzione alle cose presenti e attendiamo le cose future, dando così unità, continuità e possiamo dire “spessore” alle tre dimensioni temporali. Agli occhi di Agostino quindi, ogni realtà esistente rimanda ad altro: è segno di un significato che la trascende. Quindi conclude, il tempo siamo noi, il tempo è dentro l’anima, il tempo è l’anima.

Da questa intuizione agostiniana possiamo far partire tutto quel filone di

interpretazione del tempo, inteso a rompere le delimitazioni e le cristallizzazioni

del tempo-orologio, per conquistare una concezione del tempo come tempo

“umano”, legato all’esperienza originaria ed inteso come forma originaria della

vita che esperisce il mondo.

E.Husserl riconosce che, ai suoi tempi, e diremmo anche ai nostri tempi, chiunque

volesse affrontare il problema del tempo non dovrebbe tralasciare di studiare i

capitoli 14-28 dell’undicesimo libro delle Confessioni di sant’Agostino, giacché

in questa materia “i tempi moderni, tanto orgogliosi del proprio sapere, non hanno

eguagliato l’efficacia con cui questo grande pensatore aggredì il problema, né

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che riguarda il tempo, “si nemo a me quaerat, scio, si quaerenti explicare velim,

nescio”.

Ciò che è certo, al di là di questa confessione della incapacità di spiegare cosa sia

il tempo, è che Agostino, nel tentativo di cercare e di definirne la realtà oggettiva,

finisce col chiarirne la natura soggettiva, legandolo all’anima nella quale soltanto

è possibile trovare la realtà del tempo, nella distentio della vita interiore

dell’uomo, attraverso l’attenzione, la memoria e l’aspettazione, nella continuità

interiore della coscienza, che conserva dentro di sé il passato e si protende verso il

futuro 20.

Anche Platone ci viene in aiuto attraverso un’attenta analisi di quelli

che sono i significati della narrazione, attraverso Mythos (certe cose

possono essere dette solo attraverso i racconti) e Logos, (visto come

aiuto ad interpretare il mito).

Il valore e il significato del mito si comprendono infatti dal punto di vista funzionale, considerando in ogni circostanza quanto sta alle spalle del racconto e la finalità che si prefigge il narratore. La funzione pedagogica del mito è riscontrata soprattutto sul versante del discorso politico: per Platone i racconti non solo sono destinati a circolare all’interno della città come patrimonio comune della cittadinanza, ma la stessa mitologia deve costituire elemento di coesione sociale e contribuire al processo di identificazione dei cittadini con la polis

20 E. Husserl. Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo. Parte I. Le lezioni sulla coscienza interna del tempo dell'anno 1905.Franco Angeli Edizioni

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Il mito, dunque, non è mai statico: il racconto si dirama in diverse direzioni, ha solide fondamenta e un percorso e una finalità ben precisa. Ha un passato storico e ontologico, esiste uno spazio in cui esso circola e si diffonde per una propria funzionalità. Questo spazio è teorico, ma si percepisce una dimensione in cui i fatti del racconto vivono ed evocano oggetti ben precisi, per motivazioni già premeditate.

Il mito consente in questo caso una scansione temporale. Si intuisce come il racconto possa frazionare il tempo, declinare cioè, nel tempo stesso la realtà secondo la cadenza del pima e del poi. È come se si azzerassero le distanze tra mythos e logos, fino al punto in cui essi si incontrano eliminando le differenze tra dimostrazione e racconto21.

Nella Poetica di Aristotele, raccontare significa “transitare dal tempo prefigurato del mondo al tempo rifigurato della mente attraverso

il tempo configurato della narrazione”. L’obiettivo consiste dunque nel

costruire la mediazione tra tempo e racconto, dimostrando il ruolo

mediatore che la costruzione del mythos (racconto) svolge nel processo

delle mimesis (riproduzione dei significati)22.

Scrive Paul Ricoeur in Tempo e Racconto, “il tempo diviene tempo umano nella

misura in cui è articolato in modo narrativo; per contro il racconto è significativo

21 K. Morgan, Myth and Philosophy from the Presocratics to Plato, Cambridge University Press, 2000

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nella misura in cui disegna i tratti dell’esperienza temporale” 23. Il concetto preso

in esame da Ricoeur è quello “dell’identità narrativa” che nasce da una riflessione

sulla temporalità, connessa alla questione dell’identità personale, rilevante per il

tema della narrazione.

Nei tre volumi di Tempo e Racconto, attraverso indagini fenomenologiche, storiografiche e letterarie, Ricoeur riconduce l’attività di costruzione della memoria personale alla facoltà spirituale di “narrare storie”. Noi siamo in quanto raccontiamo, solo in questa maniera riusciamo a ricondurre in unità la molteplicità delle esperienze vissute, dandogli ordine e facendone emergere un senso. Questa attività spirituale implica tre fasi distinte, chiamate da Ricoeur Mimesis I, II e III, ovvero Figurazione, il rapporto spontaneo e immediato col mondo, esperito emotivamente, Configurazione costruzione narrativa e organizzante, e Rifigurazione ovvero ritorno al mondo dell’agire e del patire, forti però dell’esperienza precedente, che permette di comprendere il mondo in maniera differente.

Damasio ne Il sé viene alla mente, parla del Sé Autobiografico, le autobiografie ci dice, “sono costituite da ricordi personali, la somma totale delle esperienze della nostra vita, comprese quelle dei progetti che abbiamo fatto per il futuro, specifici o vaghi che siano”. Il sé autobiografico è dunque un’autobiografia resa cosciente, attinge dall’intero orizzonte della nostra storia memorizzata, remota e recente. In quella storia, sono comprese le esperienze sociali di cui siamo stati parte, o di cui

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avremmo voluto fare parte; vi sono ugualmente compresi i ricordi che descrivono le nostre esperienze emozionali più raffinate, e precisamente quelle che hanno i requisiti per essere definite spirituali. Il sé autobiografico è come se conducesse una doppia vita, a un estremo, può essere esplicito, dando luogo alla mente cosciente nella sua espressione più alta e profonda umana; all’altro estremo, può rimanere dormiente con le sue innumerevoli componenti in attesa del proprio turno per attivarsi. Questa seconda vita del sé autobiografico si svolge in privato, lontano dalla coscienza accessibile, e forse è proprio lì, in termini di luogo e di tempo, che il sé matura grazie alla progressiva sedimentazione e alla rielaborazione della memoria. Nel momento in cui, le esperienze vissute sono ricostruite e ri-esperite, sia nel corso della riflessione cosciente, sia in una elaborazione non cosciente, la loro sostanza viene rivalutata e inevitabilmente riorganizzata, e subisce modificazioni che, in termini di composizione fattuale e accompagnamento emozionale, possono essere minimi o molto significative. Durante questo processo entità ed eventi acquistano un nuovo peso emozionale. Ecco perché nel corso degli anni la nostra storia viene impercettibilmente riscritta. Ecco perché i fatti possono acquisire un nuovo peso e perché oggi la “musica” della memoria è diversa da quella dell’anno scorso. In termini neuro scientifici, questo lavoro di costruzione e ricostruzione si svolge in larga misura come elaborazione non cosciente e, per quello che ne sappiamo, forse ha luogo anche nei sogni e può in qualche caso affiorare a livello della coscienza.

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Considerata l’abbondanza delle registrazioni riguardanti il nostro passato vissuto e il nostro futuro anticipato, è una fortuna che non occorra rievocarle tutte, e nemmeno la maggior parte, ogni volta che il nostro sé opera nella modalità autobiografica. Facciamo, invece, affidamento su alcuni episodi chiave (in realtà su una raccolta di episodi): a seconda delle esigenze del momento, ci limitiamo a rievocarne alcuni in quanto rilevanti rispetto a quello nuovo. In certe situazioni, il numero degli episodi richiamati può essere elevatissimo, un’autentica inondazione di ricordi permeati delle emozioni e dei sentimenti originariamente associati agli episodi stessi.

Antonio Damasio definisce il Sé nucleare, nella corporeità tesa a

durare, nella corporeità intenzionata istante dop o istante a prendersi

cura di sé e quindi del tutto nel quale il sé accade. Poiché, davvero, il

tempo è come circondato dal niente, fuori dal tempo nulla è e se anche

fosse non sarebbe pensabile24.

Come avviene quindi secondo Damasio la costruzione di una mente cosciente? È utile ci dice, cominciare con un’ipotesi generale, articolata in due parti, la prima stabilisce che il cervello costruisce la coscienza generando un processo del sé all'interno di una mente in stato di veglia. L'essenza del sé sta nella concentrazione della mente sull'organismo materiale in cui essa ha sede. Lo stato di veglia e la mente sono componenti indispensabili della coscienza, ma il suo elemento distintivo è il sé.

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Nella seconda parte, l'ipotesi propone che il sé sia costruito per gradi. Lo stadio più semplice emerge dalla parte del cervello che generano sentimenti spontanei (sentimenti primordiali) riferiti al corpo vivente. Il secondo stadio risulta dall'instaurarsi di una relazione tra l'organismo (rappresentato dal proto-sé) e qualsiasi parte del cervello rappresenti un oggetto da conoscere. Il risultato è il sé nucleare. Il terzo stadio infine, consente l'interazione con il proto-sé di molteplici oggetti precedentemente registrati come esperienza vissuta o come futuro anticipato e genera abbondanti pulsazioni del sé nucleare: il risultato è il sé autobiografico.

Tutti e tre gli stadi sono costruiti in spazi di lavoro cerebrali distinti ma coordinati: si tratta degli spazi delle immagini, l'arena in cui sia la percezione in corso, sia le disposizioni contenute nelle regioni di convergenza-divergenza esercitano la loro influenza 25.

Interessante è anche la visione di William James, psicologo e filosofo, il quale descrive la mente cosciente come “un fiume in piena che corre trascinando con sè degli oggetti, i quali però, non hanno tutti la stessa rilevanza. Alcuni sono come ingranditi, altri no. Essi inoltre non sono disposti tutti allo stesso modo rispetto a me: alcuni sono collocati in una certa prospettiva nei confronti di un me materiale. Fatto ugualmente notevole, alcuni oggetti sebbene non tutti, sono accompagnati da un sentimento che li connette in modo inequivocabile al mio corpo e alla mia mente. Questo sentimento ci dice, senza che venga pronunciata una sola parola,

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che io possiedo gli oggetti, per tutto il tempo, e che se voglio posso agire su di essi. Questo è letteralmente: sentire ciò che accade”26.

In ultimo possiamo definire la coscienza come consapevolezza che l’uomo ha sia dei propri stati mentali, percezioni, idee, sentimenti e volizioni, sia degli oggetti

del mondo esterno27. Etimologicamente il termine esprime sia la conoscenza che

la consapevolezza, che il termine coscienza, vede come entrambi necessari. Il

significato però è più complesso, perché coscienza significa anche la relazione

intrinseca all’uomo nella sua interiorità e rapporto della mente con se stessa, per

cui può conoscersi e giudicarsi. Da qui nascono considerazioni inerenti l’Io,

l’essere, la persona e domande quali: io sono il mio cervello? Ho una mente o

sono una mente? Sono un corpo o ho un corpo? Una persona che non ha più

coscienza di sé, è persona? Una persona con una coscienza differente da prima

posso definirla una persona nuova o è la medesima identità che si esprime

diversamente? Analizzarne il funzionamento e le caratteristiche significa

analizzare il comportamento umano, strategia che l’organismo utilizza per arrivare

ai propri obiettivi. La coscienza può essere descritta come qualità, ovvero per stati

corporei o livelli intellettuali come i disturbi della memoria, caso paradigmatico di

restrizione della coscienza, o mancanza di coscienza del tempo, fattore chiave del

26 W. James, The principles of psychology, Publisher London Macmillan, 1891.

27M.A. Maieron, Alla ricerca dell’isola che non c’è. Ragionamenti sulla mente, p.25-46. Mimesis Filosofie

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funzionamento mentale in quanto il rapporto tra memoria e coscienza, è il

rapporto tra coscienza ed esperienza.

In ultimo, la coscienza per la neurologia può essere definita come consapevolezza

di sé e dell’ambiente circostante e la si esplora facendo parlare il soggetto ed

eseguire ordini e osservando infine, le sue reazioni riflesse.

Nel documento Etica narrativa e decisioni cliniche. (pagine 24-33)