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6 – Un approccio “evolutivo” nella RBV: l’economia della conoscenza e il

CAPITOLO II – LO STUDIO DELLE RETI INDSTRIALI:

II. 6 – Un approccio “evolutivo” nella RBV: l’economia della conoscenza e il

Il capitalismo delle reti fa parte ormai del nostro vissuto quotidiano. Nella società della conoscenza, le reti costituiscono, infatti, il sistema attraverso cui la conoscenza fluisce, si propaga e si rigenera, alimentando i processi produttivi e di consumo in cui siamo immersi. Conoscenza e reti sono dovunque, e forse, proprio per questo, rischiano di essere invisibili ai nostri occhi, un po’ come l’aria, l’acqua e la forza di gravità, la cui esistenza e azione diamo per scontate. Ma basta un attimo di riflessione, guardando le etichette dei prodotti che consumiamo, o osservando gli imponenti flussi di merci, persone e informazioni che attraversano i luoghi, per rendersi conto del fatto che la conoscenza impiegata nella produzione e nel consumo arriva a noi, e da noi riparte, viaggiando su un sistema di reti molto vasto e differenziato. Al contrario dei beni materiali che sono localizzati (nello spazio) e contingenti (nel tempo), la conoscenza moderna è una risorsa fluida che, propagandosi, percorre lo spazio e attraversa il tempo, moltiplicando i suoi usi e il suo valore grazie alle reti. Sono le reti che rendono redditizi gli investimenti in apprendimento, consentendo di spostare in avanti la frontiera del sapere individuale e collettivo. Questo è vero per tutti i prodotti e servizi che fanno parte della realtà contemporanea. Non solo per l’iPAD che ci viene fornito da supply chain globali, popolate di specialisti tecnologici, di operai low cost e di venditori

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all’avanguardia, ma anche per il vino doc, il mobile vintage, la casa ecologica, la consulenza organizzativa, il giornale quotidiano e il serial televisivo della domenica.

In effetti, dietro quasi tutti i prodotti-servizi acquistati per l’uso industriale o per il consumo personale risulta possibile intravvedere l’esistenza di lunghe e articolate catene produttive che mettono insieme centinaia di contributi e di conoscenze specializzate. In Italia, ad esempio, le medie imprese (ossia le imprese leader dei nostri distretti) acquistano da altri produttori, in outsourcing, l’81% di quanto vendono. Anche se si sottrae la quota di questi acquisti dovuta a materie prime ed energia, rimane un flusso molto elevato di acquisti per lavorazioni, semilavorati, componenti, conoscenze, servizi, per i quali l’impresa leader dipende dalle altre. Per ogni posto di lavoro interno dell’azienda ne vengono utilizzati dunque altri quattro in aziende esterne, con cui si hanno collegamenti a rete di diversa intensità e stabilità, in modo da sfruttare le reciproche specializzazioni. Ecco la rete e la sua funzione: l’integrazione delle conoscenze specializzate che fluiscono nel circuito della produzione e del consumo globali. Ogni ora di lavoro prestata nelle fabbriche o negli uffici fa ormai parte di un flusso di operazioni, precedenti e successive, che nel loro insieme danno valore a quello che ciascuno di noi pensa e fa, nel circuito produttivo a cui appartiene. Analogamente, ogni atto di consumo, compiuto nella sfera privata e familiare, presuppone il ruolo attivo, determinante,

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di reti di senso e di catene distributive che, confluendo in un certo momento e in un certo luogo, danno forma, significato e valore ad ogni singolo atto di consumo.

Bisogna tuttavia fare una precisazione: la parola rete oggi è usata in modo eclettico, a proposito e a sproposito, finendo per designare tutto e niente. Ai fini di questa indagine, il significato con cui verrà utilizzato questo termine è, invece, più limitato e preciso. La rete consiste dunque nella “trama che nasce dall’auto- organizzazione di soggetti che, insieme o singolarmente, investono per creare, rafforzare, estendere il reciproco legame”27.

La rete ha una sua specificità: essa mette in contatto le diverse intelligenze soggettive usando la “forza dei legami deboli”28, un concetto questo che può

risultare in apparenza contraddittorio, ma che rende conto abbastanza bene della natura specifica del rapporto di rete. Il legame “debole” che nasce tra le parti, quando fanno un’esperienza su cui hanno investito tempo, denaro e attenzione e che non vogliono concludere, ma riattivare nel corso del tempo, è il presupposto su cui, sommando legame a legame, si costruisce una rete. Ciò accade, ad esempio, quando le parti organizzano nel modo migliore un rapporto di fornitura che vogliono rendere stabile. O quando realizzano un’alleanza tecnologica destinata a durare. Ma allo stesso esito si arriva quando una pluralità di soggetti

27 Rullani E., “L’economia della conoscenza nel capitalismo delle reti”, in “L’impresa e la

conoscenza”, Sinergie n. 76, Italian Journal of Management, Maggio-Agosto 2008, pp. 67-90

28 Granovetter M., “The strength of weak ties”, American Journal of Sociology, vol. 78, n. 6, 1973,

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realizza un processo di innovazione condivisa, da consolidare e portare avanti nel tempo. In altri casi la rete nasce da una situazione di contiguità, mettendo in collegamento e in sintonia persone e imprese grazie alla comune appartenenza ad un territorio o ad una comunità virtuale.

La rete è dunque una condizione di interdipendenza che le parti non cercano di sciogliere o di semplificare, ma di governare in modo che possa essere riprodotta nel corso del tempo, rendendola più facile e affidabile, senza che, tuttavia, esista un obbligo o una condizione di irreversibilità talmente rilevante da impedire la libertà di movimento e di scelta dei soggetti coinvolti. Le barriere di entrata e di uscita che identificano l’ambiente di rete devono essere, insomma, né tanto basse da rendere indifferente il confine tra interno ed esterno (in questo caso ci si troverebbe in un rapporto di mercato, non di rete), né tanto elevate da rendere vincolante il rapporto, precludendo l’uscita e la ricerca di relazioni sostitutive con operatori esterni (in questo caso ci si troverebbe in una condizione non di rete, ma di subordinazione ad un comando gerarchico insediato al centro del sistema delle relazioni considerate).

Proprio la persistenza, nel tempo, di questa (condizionata, ma rilevante) libertà di scelta tra interno ed esterno dà forza ai legami deboli interni alla rete: se ciascuno sa che i suoi interlocutori possono uscire dal rapporto, sia pure a prezzo di qualche sacrificio, sarà incentivato a comportarsi in modo da tenere conto anche del punto

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di vista e dell’interesse dei partner, così da riprodurre continuamente le ragioni dello stare insieme. È fondamentale per questo che il legame di rete sia ottenuto con impegni e investimenti di qualche rilievo da parte dei partner coinvolti, in modo che abbiano interesse a valorizzarlo e non ad abbandonarlo o sostituirlo alla prima occasione. E l’uso produttivo della conoscenza, per sua natura, richiede appunto impegni e investimenti non effimeri da parte di coloro che intendono lavorare insieme in questo campo. Bisogna infatti fare investimenti comuni o per lo meno convergenti:

- in comunicazione (linguaggi, codici, canali, immagine, reputazione);

- in logistica (sistemi di trasferimento delle persone, delle merci e delle informazioni nello spazio e nel tempo);

- in sistemi di auto-regolazione e di governance del rapporto per creare le

premesse di fiducia e di garanzia necessarie all’uso condiviso della conoscenza29.

I soggetti hanno la possibilità di investire nelle proprie idee e di coltivare la propria creatività differenziale se e solo se hanno a disposizione queste risorse connettive, ossia se hanno accesso ad un sistema efficiente di reti che è in grado di fornirle a condizioni convenienti. Sviluppando le reti si sviluppano le capacità

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creative dei soggetti, che moltiplicano il loro valore grazie alle reti stesse. Il network è dunque una soluzione vantaggiosa in tutti i casi in cui serve un rapporto personalizzato e affidabile tra produttori e utilizzatori, ottenuto con soluzioni che mobilitano una vasta gamma di intelligenze soggettive, in modo da non immobilizzarsi con troppi “sunk cost” e da avere a disposizione una gamma flessibile e creativa di competenze e di idee, da adattare alle circostanze30. Questa

via è sempre più rilevante man mano che l’economia attuale si sposta verso l’uso produttivo della conoscenza. La conoscenza, in effetti, non si produce, non si scambia e non si condivide facilmente attraverso la mediazione impersonale del mercato, che è troppo astratta e occasionale per riuscire a sincronizzare e auto- regolare il comportamento di tanti diversi specialisti, ciascuno dei quali deve accettare di dipendere dagli altri, nella produzione di valore per il cliente finale. La rete, superando l’inaffidabilità del mercato e scavalcando i confini proprietari della gerarchia, è un tipo di relazione particolarmente adatto a favorire forme di condivisione e di scambio della conoscenza destinata a usi produttivi. I network aziendali stanno diventando nel tempo la forma “normale” della produzione e del consumo di conoscenza, che ha bisogno di legami ma al tempo stesso richiede flessibilità, creatività, apertura. Ecco perché le reti sono dovunque, anche se possono avere diversi gradi di forza e intensità. In un contesto del genere, sono mercato e gerarchia, nelle loro forme pure, a diventare casi speciali di rete, e in un

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certo senso eccezioni. Il mercato può essere visto come una rete cognitiva che ha ridotti legami al suo interno, e basse barriere di ingresso e di uscita verso l’esterno. La gerarchia, invece, può essere considerata come una rete cognitiva che limita il grado di apertura verso l’esterno, restringendo di conseguenza le possibilità di scelta dei suoi singoli nodi interni. Rete, mercato e gerarchia sono forme competitive ma anche complementari31. Una filiera produttiva ha tutto da

guadagnare se invece di opporre queste diverse soluzioni e “filosofie” organizzative, prova a utilizzarle insieme, differenziando le soluzioni nelle diverse funzioni, e legando in modo appropriato il tutto.

Come già specificato l’economia italiana è caratterizzata da imprese di piccole- medie dimensioni. Alla luce di quanto detto si può considerare qualsiasi piccola impresa come di per sè una rete informale: essa infatti fa parte di un sistema più grande (distretto, catena di fornitura, sistema territoriale ecc.) da cui riceve una parte fondamentale delle proprie risorse. Una piccola impresa dunque, proprio per le proprie piccole dimensioni, tende naturalmente a specializzarsi nell’esecuzione di una o più fasi produttive, che costituiscono così la propria catena del valore. A sua volta questa catena del valore si inserisce a monte, a valle o internamente rispetto a una sorta di catena del valore più ampia, comprendente tutte le fasi produttive che portano una materia prima a diventare un prodotto finito

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disponibile per il cliente finale. E dunque, tutti i soggetti che intervengono a vario titolo nella realizzazione delle fasi produttive a monte e a valle di quelle realizzate dalla singola impresa costituiscono un sistema del valore32, il quale può essere

considerato a tutti gli effetti un network di aziende con relazioni tra di loro a intensità variabile. Le imprese di questa rete possono ovviamente essere consapevoli o meno del proprio ruolo all’interno del sistema e possono avere relazioni meramente transazionali rispetto ai propri fornitori e clienti. Quando invece questi legami diventano più forti e si passa a un certo grado di collaborazione tra i vari soggetti della rete, il network acquista forza e riesce a riallocare risorse e conoscenze in maniera efficiente. La piccola impresa, alla luce di quanto detto, dunque:

- lavora in filiera, più o meno consapevolmente, con altri specialisti di

grande e piccola dimensione, del manifatturiero e dei servizi;

- prende dal territorio le proprie conoscenze e relazioni (capitale sociale,

imitazione, lavoro qualificato, servizi);

- mobilita le persone, mettendo le relazioni familiari e interpersonali al

servizio della produzione.

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La crisi del modello distrettuale italiano, come accennato, è un chiaro indizio del fatto che nel contesto attuale queste reti non bastino più: esse devono necessariamente estendersi in senso trans-settoriale e trans-territoriale, cercando nuovi interlocutori da inserire nel network33. È evidente tuttavia che per fare

questo sia inevitabile passare attraverso un processo di innovazione e cambiamento organizzativo e culturale che dovrebbe coinvolgere attivamente tutti i membri della rete. E come ogni cambiamento si possono trovare degli ostacoli nel percorso di innovazione. In particolare, il primo nodo da sciogliere riguarda sicuramente la necessità di operare degli investimenti adeguati alle esigenze della transizione. A tale riguardo quelli che sono stati fino ad oggi punti di forza del sistema industriale italiano rischiano di mutarsi in ostacoli al cambiamento, infatti:

- le reti locali non sono più sufficienti per rendere convenienti gli investimenti nel nuovo, in quanto sono di dimensioni ridotte e non sfruttano i fattori più convenienti;

- il territorio resiste per sua natura all’innovazione, e per questo motivo non

investe o non lo fa nelle direzioni giuste, diventando un problema piuttosto che una risorsa;

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- le persone invecchiano nel tempo e possono inibire la crescita autonoma

dell’azienda, che spesso necessariamente richiede un ricambio delle persone e delle competenze, per il quale sarebbe necessario un ulteriore investimento34.

Come si può intuire da quanto detto, il tallone d’Achille dell’attuale capitalismo del territorio è dato dalla debolezza di fondo del modello distrettuale nel favorire la propagazione delle conoscenze con politiche di investimento in capitale sociale (intellettuale e relazionale). D’altro canto, una caratteristica del modello distrettuale è stata proprio il ricorso al sistematico sfruttamento di capitale sociale accessibile a costo zero nei sistemi locali. Investire in capitale sociale però non è di per sé sufficiente: per attuare la transizione occorre sicuramente investire anche in conoscenze originali (innovazioni, marchi, comunicazione, sperimentazione, qualificazione del personale e del management) e propagarne l’utilizzo in reti estese (reti tecnologiche, reti di fornitura e co-produzione, reti commerciali e di servizio), che richiedono ulteriori investimenti.

Le famiglie e le imprese oggi si trovano di fronte un sentiero in salita di investimento nelle proprie capacità, con un fabbisogno che supera i mezzi finanziari a cui hanno normalmente accesso. Il problema di fondo del sistema distrettuale italiano, in definitiva, individuata la problematica e avendo compreso

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la strada da intraprendere verso il cambiamento, sta nell’individuare dei soggetti in grado di far fronte agli investimenti necessari alla transizione.

II.7 – Introduzione al caso di studio: le domande di ricerca e la