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CAPITOLO I – ASPETTI EVOLUTIVI DELLE RELAZIONI TRA

I. 5 – Il Marketing conflittuale

Dagli anni ’90 si registra una forte discontinuità rispetto alle condizioni ambientali che caratterizzano il periodo precedente. A livello macroeconomico, il tasso di crescita del reddito disponibile registra una forte inversione di tendenza,

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producendo un impatto molto negativo sull’andamento degli indicatori di sviluppo come il PIL, il reddito disponibile e soprattutto i consumi. I consumi, in particolare, vengono ridotti da molteplici elementi, tra cui le conseguenze dei numerosi provvedimenti di politica economica finalizzati alla riduzione del deficit pubblico e la diffusione di aspettative negative nella popolazione, dovute sia ad un contesto politico-istituzionale precario sia ad una situazione di incertezza per il futuro (Fornari, 1995).

In questa fase storica, che registra una riduzione quantitativa dei consumi, si afferma però una nuova cultura del consumo, che detiene una gerarchia dei consumi diversa da quella caratterizzante gli anni ’80 (Calvi, 1995). I consumi di status dimostrativi e di immagine basati unicamente sulla qualità percepita lasciano il campo all’acquisto di prodotti di maggiore qualità intrinseca. Vengono quindi scelti stili più sobri, volti alla ricerca dell’essenzialità e della funzionalità. L’evoluzione del consumatore, sempre più razionale e più informato, attribuisce crescente importanza ai processi di ricerca e selezione dei punti di vendita che, a parità di prodotti/marche trattate, possano offrire maggiori livelli di convenienza. Vengono quindi teorizzati tre modelli di consumo: preference oriented, economy oriented e bargain oriented (Vercelloni, 1995)13. Nel modello preference oriented,

il prezzo non assume un ruolo strategico, dato che il processo di acquisto è

13 Vercelloni L., “Evoluzione dei modelli di acquisto e crisi culturale del sistema marca”, in Micro

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guidato da fattori di tipo non-price, come qualità, servizio e immagine. Il secondo, economy oriented, è invece orientato a scegliere i prodotti proprio tenendo conto di convenienza e risparmio. L’ultimo modello, bargain oriented, invece, si propone di ottenere la qualità al minor costo possibile. Nella prima parte degli anni ’90 gli ultimi due modelli sono stati i più diffusi. Il consumatore ha una nuova immagine multidimensionale, più trasversale, meno prevedibile, meno condizionabile e tale da rendere inefficaci le politiche di marketing decantate dalle imprese negli anni ’80.

La modifica qualitativa dei modelli di consumo e di acquisto ha causato due grandi impatti sulle politiche di branding dei produttori. Il primo effetto è stata la riduzione del ciclo di vita dei prodotti, che ha rafforzato per molti mercati la fase di maturità. Il secondo effetto si concretizza nella diminuzione del grado di fedeltà ai prodotti di marca, dovuta sia alla più ampia mobilità dei consumatori tra le diverse marche, sia al rafforzamento dello store loyalty.

Il consolidamento di questi nuovi stili e comportamenti di consumo ha sancito la riduzione dell’attrattività simbolica della marca e quindi della conseguente apertura del consumatore a pagare un prezzo dei prodotti non corrispondente al loro valore intrinseco (Fornari, 1995).

Questo nuovo comportamento ha indotto il successo dei punti vendita discount, cioè di punti vendita che, nella versione originaria cosiddetta hard, hanno adottato

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una formula distributiva basata su un assortimento ridotto di prodotti di largo consumo, limitato a prodotti generici e a marche locali, ma con livelli di prezzo inferiori del 40-50% rispetto al supermercato tradizionale (Lugli, 1993). Il veloce ed ampio sviluppo di questo modello distributivo, favorito dalla difficile situazione congiunturale, ha causato una rottura degli equilibri commerciali dando i natali a nuovi meccanismi competitivi. A seguito della presenza dei discount da un lato è fortemente aumentata la concorrenza di prezzo tra le formule distributive moderne e dall’altro si sono sviluppati sempre più punti di vendita di grandi dimensioni, in particolare ipermercati, con la loro ampia offerta assortimentale, l’elevata rotazione delle merci e l’immagine evocativa di convenienza.

La nuova situazione competitiva del mercato distributivo vede quindi una posizione di rilievo per gli ipermercati, e quindi un andamento più favorevole al gruppo strategico della GD rispetto a quello della DO. Da ciò risulta anche una presenza dei distributori stranieri in aumento (Lugli e Pellegrini, 2002).

Il gap competitivo di cui era stata vittima negli anni ’80, viene recuperato dalla GD, innanzitutto grazie ad una maggiore disponibilità di risorse finanziarie, ma anche attraverso una maggiore dotazione di competenze tecnologiche e manageriali (Lugli, 1993). In particolare, è stato vincente il metodo delle imprese di questo gruppo strategico, che hanno integrato il controllo centrale della gestione operativa con l’adattamento del marketing alle specificità del mercato

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locale. In tal modo hanno ottenuto la flessibilità imprenditoriale che era il punto di forza della DO.

L’evoluzione del quadro competitivo della distribuzione ha avuto riflessi significativi sulle relazioni tra industria e distribuzione. Il primo effetto è la concentrazione del mercato distributivo sia sul piano delle vendite che degli acquisti. Il secondo aspetto è stato il rendere maggiormente autonomo il marketing della distribuzione nei confronti dell’industria. In passato il potere dominante dell’industria aveva falsato la politica di formazione degli assortimenti commerciali, spingendo i distributori a scegliere di mettere a scaffale i prodotti principalmente in base al peso degli incentivi ricevuti dai fornitori.

Dal cambiamento delle condizioni macroeconomiche e microeconomiche, è emerso un nuovo approccio alla formazione degli assortimenti, favorito dall’incremento negli organigrammi aziendali delle imprese distributive moderne di ruoli di marketing. In particolare, questo orientamento si è manifestato attraverso il passaggio da un’organizzazione degli acquisti per fornitore a un’organizzazione degli acquisti per categoria di prodotto, modificando il mix degli assortimenti dando maggiore importanza alle marche ed ai prodotti più dinamici e redditizi e rafforzando il posizionamento della marca commerciale, con un miglioramento del livello qualitativo e della quota di vendita (Fornari, 2009).

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Il cambiamento della composizione degli assortimenti commerciali nei punti di vendita moderni ha causato una nuova configurazione dei rapporti verticali, in cui la distribuzione ha da un lato una maggiore autonomia nel marketing e dall’altro un maggiore potere contrattuale nei riguardi dei produttori. Il potere di negoziazione nei rapporti di filiera si è quindi spostato dalla fase della produzione a quella della distribuzione. Per questo motivo, si parla di fase del marketing distributivo (Fornari, 2009).