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LA RIVOLUZIONE TOSCANA

del 27 aprile 1859 Christian Satto

1Le carte Dolfi, oggi conservate presso la Domus Mazziniana di Pisa, coprono, sostanzialmente, il periodo 1860-1869, anno della scomparsa di Giuseppe Dolfi. Cfr. A. Bocchi, Introduzione a a M. Grasso, A. Bocchi, L’archivio di un capopopolo. Inventario del fondo Giuseppe Dolfi presso la Domus Mazziniana, Pacini Fazzi, Lucca, 2009, p. XVII.

2Cfr. sul punto la voce Ferdinando Bartolommei redatta da Sergio Camerani per il Dizionario Biografico degli Italiani.

per molti aspetti, ma spesso tendente a ricondurre gli eventi descritti ad un’ottica particolare3. Tuttavia, questo materiale, pur con il limite evi-

denziato rimane una fonte di primaria importanza. L’unico studio di ampio respiro rimane quello di Raymond Grew,A Sterner plan for Italian Unity. The italian national society in the risorgimento, uscito nel 1963 per i tipi dell’Università di Princeton nel 1963, mai tradotto in italiano e severa- mente criticato da Rosario Romeo perché troppo spesso portato a «ricon- durre tutte le testimonianze provenienti dall’ambiente della Società Nazionale sotto la categoria penalistica del “millantato credito”»4. Lo

stesso Grew, qualche anno prima, nel 1956, aveva consegnato alla pagine della «Rassegna Storica Toscana» un articolo dedicato aLa società nazio- nale italiana in Toscana poi rifuso nel testo generale appena ricordato. Entrambi i contributi sono alla base delle pagine che seguono. Da segna- lare, infine, all’interno di un quadro generale ancora carente per quel che attiene strettamente alla Società Nazionale, il recente lavoro di Gabriele Paolini che ha il merito di mettere ordine negli eventi accaduti fra i patti di Plombières e la partenza del Granduca Leopoldo II d’A- sburgo-Lorena da Firenze presentando anche una utile appendice di documenti editi ed inediti5.

La Società Nazionale

Indipendenza e unificazione di Italia sotto il libero reggimento di Casa Savoia; tale è il programma che la Società Nazionale si impose fin dal suo nascere e che essa con saldo proposito sempre mantenne e difese6. Così iniziava ilManifesto del Comitato centrale toscano della Società Nazionale Italiana datato Firenze 27 febbraio 1860 e sottoscritto dai diri- genti di questo, ossia: Ferdinando Bartolommei (presidente); Tommaso Corsi; Emilio Cipriani; Carlo Fenzi; Tito Menichetti; Giacomo Cheleschi;

3Alcuni esempi sono: E. Poggi,Memorie storiche del governo della Toscana nel 1859-60, 3 voll., Nistri, Pisa, 1867; E. Rubieri, Storia intima della Toscana dal 1° gennaio 1859 al 30 aprile 1859, Alberghetti, Prato, 1861; M. Gioli Bartolommei, Il rivolgimento toscano e l’azione popolare, 1847-1860. Dai ricordi familiari del marchese Ferdinando Bartolommei, Barbèra, Firenze, 1905.

4R. Romeo, Cavour e il suo tempo, vol. III, Laterza, Roma-Bari, 1984, p. 278.

5Cfr. G. Paolini,Il Tramonto di una dinastia. La Toscana e il 27 aprile 1859, Le Monnier, Firenze,2010.

6IlManifesto è citato, in R. Grew, A sterner plan for Italian unity. The Italian National Society in the Risorgimento, Princeton University press, Princeton, 1963, p. ???.

manca numero

Alessandro D’Ancona; Piero Puccioni (segretario). Siamo ormai a dieci mesi dalla rivoluzione del 27 aprile 1859, terminata con la fuga di Leo- poldo II e l’affermazione delle tendenze liberal-nazionali incarnate dal governo provvisorio guidato da Bettino Ricasoli. Il Manifesto appena ricordato nasceva in coincidenza con la riorganizzazione su vasta scala della Società Nazionale voluta da Giuseppe La Farina al fine di poten- ziarne la presenza nei vecchi stati regionali in procinto di unirsi al Regno di Sardegna. Pochi giorni dopo, l’11 e il 12 marzo, com’è noto, avrebbe avuto luogo il plebiscito con il quale il popolo toscano si sarebbe dichia- rato a larghissima maggioranza «per l’annessione alla monarchia costi- tuzionale del Re Vittorio Emanuele».

La Società Nazionale mosse i primi passi nel 1856 ad opera di Daniele Manin (morto il 22 settembre 1857) con l’aiuto decisivo Giorgio Palla- vicino7. L’ex dittatore di Venezia fin dal 1855 insisteva con articoli opu-

scoli sulla necessità di trovare una soluzione di compromesso fra il «par- tito puro mazziniano» e il «partito puro piemontese» al fine di identifi- care un terreno ideale comune sul quale operare per il buon esito della causa nazionale. Da questa convinzione trassero origine le note lettere indirizzate al «Caro Valerio» e pubblicate su «Il Diritto», la prima delle quali uscì l’11 febbraio 18568, in cui Manin sosteneva la necessità della

costituzione di un Partito Nazionale Italiano al fine di tradurre in pratica il progetto politico sintetizzato dall’espressione «Indipendenza ed Uni- ficazione»9. Come si è appena visto, Manin parlava di Partito Nazionale

Italiano dato che la denominazione di Società Nazionale Italiana sarebbe stata adottata uffialmente a partire dall’agosto del 1857 nell’intento di dare prevalenza alla linea più strettamente moderata di Pallavicino e La Farina su quella democratico-moderata che era stata impostata da Manin. Il termine «partito», infatti, ricalcava troppo da vicino le organizzazioni mazziniane dalle quali si volevano prendere le distanze10.

La soluzione proposta da Manin, comunque, fu quella riassunta dal motto sopra richiamato, ossia «Indipendenza e unificazione di Italia sotto il libero reggimento di Casa Savoia» o più semplicemente «Italia e

7Sul rapporto fra i due cfr. Daniele Manin e Giorgio Pallavicino. Epistolario politico (1855-1857), a cura di B.E. Maineri, Bortolotti, Milano, 1878.

8La lettera è inLettere di Daniele Manin a Giorgio Pallavicino con note e documenti sulla Quistione italiana, Torino, 1859, pp. 125-126.

9Cfr. R. Ugolini,La via democratico-moderata all’Unità: dal «Partito Nazionale Italiano» alla Società Nazionale Italiana», in Correnti ideali e politiche della Sinistra italiana dal 1859 al 1861, Olschki, Firenze, 1978.

Vittorio Emanuele». In questo modo si sarebbero potute conciliare l’idea unitaria, propria della tradizione mazziniana, e quella monarchica, irri- nunciabile per il «partito piemontese» dato che il Regno di Sardegna era l’unico stato italiano con aspirazioni nazionali ed era, inoltre, retto da un regime liberale-costituzionale al quale sarebbe stato dannoso muovere guerra per i democratici. Non si tralasci il fatto che queste prese di posi- zione avvenivano in concomitanza della guerra di Crimea e delle sue con- seguenze sulla questione italiana. A Manin premeva rassicurare la monar- chia che nulla si sarebbe intrapreso contro di lei da parte dei patrioti, e questi ultimi della buona volontà della prima per la causa nazionale.

Il movimento promosso dalle idee di Manin, quindi, ebbe fin da subito un discreto successo potendo attirare una larga parte del mondo democratico deluso dagli esiti del 1848-49 e dai dibattiti successivi che accusavano e respingevano i metodi e le idee di Mazzini11. Il risultato

indubbiamente più importante fu l’adesione di Giuseppe Garibaldi, datata 5 luglio 185612, e confermata in modo continuativo. Garibaldi,

infatti, si era convinto che in quel frangente storico il realismo avrebbe dovuto prevalere sull’ideologia. E il realismo era incarnato dalla Società Nazionale. Emblematica in questo senso la lettera che indirizzò a Palla- vicino il 20 maggio 1857 da Caprera:

Io imparai a stimarvi ed amarvi dal nostro Foresti e dalle vicende del- l’onorevole vostra vita. Le idee che voi manifestate sono le mie, e vi fo padrone quindi della mia firma per la dichiarazione vostra.

Vogliate contraccambiare co’ miei affettuosi saluti Manin, Ulloa e La Farina, ch’io vo superbo d’accompagnare in qualunque manifestazione politica13.

«La solenne adesione di Garibaldi a’ nostri principi è un fatto im- menso», chiosava Pallavicino notando come, «oggi Mazzini è un pericolo minore, quantunque anche il mazzinismo s’agiti senza posa con grave discapito della causa nazionale»14. La linea della Società Nazionale, quindi,

si era rivelata vincente e si sarebbe rafforzata negli anni successivi, anche grazie all’opera del ricordato Giuseppe La Farina. Egli, approdato dopo gli

11Sul punto cfr. l’ormai classico F. Della Peruta,I democratici e la rivoluzione italiana. Dibattiti ideali e contrasti politici all’indomani del 1848, Angeli, Milano, 2004.

12Cfr. G. Monsagrati, Giuseppe Garibaldi, in Dizionario Biografico degli Italiani, ad vocem.

13La lettera di Garibaldi è riportata in Giorgio Pallavicino a Daniele Manin, Torino 19 giugno 1857. InDaniele Manin e Giorgio Pallavicino, cit., p. 312.

eventi del 1848-49 ad una posizione unitaria e filopiemontese, dal giugno 1856 in poi pubblicò «Il Piccolo Corriere d’Italia», che divenne di fatto l’organo ufficiale della Società nella quale svolse il delicato ruolo di segre- tario a partire dal 1 agosto 185715, e tenne i contatti con Cavour. Infatti, a

partire dal 12 settembre 1856 Cavour e La Farina discussero spesso in incontri segreti della situazione politica della Penisola stringendo un legame di collaborazione molto solido e proficuo per la causa nazionale, tanto che il patriota siciliano avrebbe assunto «col tempo le funzioni di vero e proprio capo del partito cavouriano in tutta Italia»16. Insomma

grazie alle doti innate di organizzatore e di propagandista messe in luce da Giuseppe La Farina, la Società Nazionale riuscì a svolgere «un’opera di propaganda e di coordinamento attiva ed efficace in una serie di regioni, dal Piemonte ai Ducati alla Lombardia alla Toscana alle Romagne»17.

La tragedia di Sapri del 1857, infine, incrinò definitivamente la presa di Mazzini sul mondo democratico e determinò il convogliarsi di una consistente parte di questo, non tutto, nella Società Nazionale che in quel momento sembrava indicare l’unica strada percorribile per la causa italiana18.

La Società Nazionale e il 27 aprile 1859

Il 1857 segnò anche per la Toscana il declino del tradizionale modello mazziniano, compromesso dal fallimento del moto livornese previsto per il 30 giugno di quell’anno e inserito nel quadro insurrezionale che avrebbe dovuto avere nello sbarco di Sapri il momento più importante. Livorno, quindi, rientrava in una strategia di più ampio respiro – era prevista un’in- surrezione anche a Genova che ebbe gli stessi esiti fallimentari19– elabo-

rata da Mazzini per provare a scuotere la Penisola in almeno tre punti20. 15Cfr. G. Monsagrati,Giuseppe La Farina, in L. Rossi (a cura di), Giuseppe Garibaldi. Due secoli di interpretazioni, Gangemi, Roma, 2010, p. 217.

16Cfr. R. Romeo,Cavour e il suo tempo, vol. III, cit., p. 277. 17Ivi, p. 279.

18Cfr. A. Scirocco,I democratici italiani da Sapri a Porta Pia, ESI, Napoli, 1969, cap. I. 19Su Genova cfr. G. Monsagrati,L’insurrezione urbana: il caso di Genova, in P.F. Gior- getti (a cura di),L’Arco Latino e il Risorgimento. Realtà ed echi dei moti mazziniani del 1857, ETS, Pisa, 2007, pp. 19-32.

20Sul fallimento del moto livornese cfr. F. Bertini,L’insurrezione urbana: il caso di Livorno, in ivi, pp. 33-40. Cfr. anche F. Bertini, Risorgimento e questione sociale. Lotta nazio- nale e formazione della politica a Livorno e in Toscana (1849-1861), Le Monnier, Firenze, 2007, pp. 462 ss. e G. Paolini,Mazziniani, assolutisti e costituzionali nella Livorno di metà Ottocento: il moto del 30 giugno 1857, «Rassegna Storica Toscana», 2002, 1, pp. 87-106.

All’insuccesso livornese seguì un’ondata di arresti che permise alla polizia di Leopoldo II di disarticolare la rete cospirativa che aveva fino ad allora fatto perno sul porto labronico, rete cospirativa alla quale se ne sostituì una diversa, tutta fiorentina e rinnovata dal punto di vista dei dirigenti, tra i quali emerse presto la figura di Giuseppe Dolfi21.

Il 1857, quindi, fu un anno decisivo per il successo della Società Nazionale in tutta la Penisola. In Toscana, secondo Raymond Grew, la Società ebbe un inizio stentato pur contando fin dal 1856 aderenti illu- stri quali Vincenzo Malenchini e Carlo Fenzi. Un comitato a Firenze sorse appunto nel 1857. Questi sviluppi piuttosto cauti e tutto sommato lenti erano testimoniati anche dal fatto che nel materiale propagandi- stico dei primi due anni di vita della Società, i riferimenti alla Toscana fossero piuttosto scarsi o, comunque, molto vaghi. Scelta frutto, secondo lo storico americano, di una strategia volta a rassicurare coloro i quali non erano convinti della soluzione unitaria – in Toscana esisteva una forte tradizione autonomista – che però rischiava seriamente di lasciare disorientati quelli che invece avevano aderito alla Società proprio per lo scopo dichiaratamente unitario e nazionale22.

Fu solo sotto la presidenza di Ferdinando Bartolommei che la Società iniziò ad agire in modo più efficace anche nel Granducato. Egli, infatti, oltre ad una fama indiscussa di patriota, provata dalle vicende che lo ave- vano portato per ben due volte all’esilio23, poteva contare su una serie di

21Su Dolfi oltre il Dizionario Biografico degli Italiani,ad vocem, cfr. il datato, ma documentato G. Valeggia,Giuseppe Dolfi e la democrazia in Firenze negli anni 1859 e 1860. Quattro lezioni all’Università Popolare di Firenze (aprile-maggio 1913) con un’appendice di docu- menti, La Stella, Firenze, 1913. Cfr. inoltre: A. Salvestrini, Giuseppe Dolfi. Un capopopolo nella rivoluzione dei signori, «Rassegna Storica Toscana», 1969, 2, pp. 221-232. A. Bocchi, Introduzione, cit., pp. VII-LIV. P. Finelli, Spontaneismo, reti cospirative e azione diretta per una sto- ria del movimento democratico in Toscana (1849-1859), «Rassegna Storica Toscana», 2010, 2, pp. 310-311.

22R. Grew, La Società Nazionale Italiana in Toscana, p. 79.

23Cfr. la voce Ferdinando Bartolommei inDizionario Biografico degli Italiani di Sergio Camerani. «Tornato in Toscana, fu il promotore della commemorazione dei morti di Cur- tatone e Montanara organizzata il 29 maggio 1851 nella chiesa di S. Croce. Come è noto, l’opposizione del governo e la repressione della polizia dettero a quella manifestazione un valore e una risonanza superiori al suo effettivo contenuto e contribuirono al distacco fra la popolazione e la dinastia. Il B. fu arrestato e condannato a sei mesi di confino nella sua tenuta di Val di Nievole; ma appena rientrato in Firenze riprese l’attività politica, impiantò una tipografia clandestina nel suo palazzo e incominciò a diffondere scritti sov- versivi. La tipografia non fu scoperta, ma il B., accusato di diffondere manifesti sediziosi, fu arrestato ancora, processato e condannato a sei mesi nella fortezza di Piombino (1852). La condanna fu commutata in un anno di esilio».

relazioni personali importanti con l’élite nobiliare liberale fiorentina e su un cospicuo patrimonio personale al quale ricorse con continuità per sostenere le iniziative promosse dalla Società.

L’anno decisivo fu il 1859, quando gli associati in Toscana si aggira- vano intorno ai 200, dei quali solo una cinquantina realmente attivi. Infatti, già dal febbraio di quell’anno Giuseppe La Farina, d’accordo con Cavour, scriveva da Torino a Bartolommei di iniziare i preparativi per agire in Toscana e per predisporre l’invio di volontari poiché “è molto probabile che s’entri in campagna nei primi di aprile”24. Alla missiva era

allegato un appunto di Cavour stesso nel quale si diceva che:

Il tempo di agire in Toscana è giunto […] Bisogna ordinare l’agita- zione in modo che l’avvenire rimanga intatto; che si fondi più sopra idee di nazionalità e d’indipendenza che sopra principii di libertà; che sia tale che tutti i liberali, a qualunque frazione appartengano, possano parteci- parvi; che i militari possano accettarla senza tradire l’onore militare25. Procedendo «prima per via di petizioni, e di dimostrazioni poi» biso- gnava convincere Leopoldo II ad allearsi con Vittorio Emanuele II per «promuovere coi mezzi diplomatici, ed in difetto anche colle armi»26la

causa italiana.

In particolare, la Società appoggiò tra il marzo e l’aprile del 1859 l’in- tenso movimento di volontari che lasciavano il Granducato per arruolarsi nell’esercito sardo in vista dell’auspicata guerra contro l’Austria. La dimensione delle partenze raggiunse cifre veramente cospicue, coinvol- gendo giovani provenienti da tutto il territorio toscano, a tal punto che il debole e incerto governo di Leopoldo II cercò, senza riuscire, di pro- testare con il governo sardo27. Ferdinando Bartolommei fu il vero regista

delle partenze alle quali contribuì finanziando coloro i quali non erano in grado di affrontare le spese di viaggio di tasca propria28. A questo fine

24Giuseppe La Farina a Ferdinando Bartolommei, Torino 12 febbraio 1859. InEpi- stolario di Giuseppe La Farina, vol. II. p. 128.

25Ivi, p. 127. 26Ibid.

27Cfr. G. Paolini,Il tramonto di una dinastia, cit., p. 84.

28M. Gioli Bartolommei, Il rivolgimento toscano e l’azione popolare, 1847-1860, cit., p. 227. «Intanto, ai primi sentori di guerra, il Bartolommei da solo aveva concepito e messo in pratica il modo di inviare in Piemonte i volontari toscani. Quelli di loro che ne avevano i mezzi sopperivano alle proprie spese di viaggio e di mantenimento, fino al momento in cui si trovavano al soldo del Governo sardo; per aiutare chi non poteva fare altrettanto, da prima provvide il Bartolommei con non poco danno del suo patrimonio,’ finché cominciarono a venire in soccorso i denari provenienti da una sottoscrizione

fu anche aperta una sottoscrizione che dal 16 marzo al 28 aprile raccolse la ragguardevole cifra di 46.173 lire.

L’altro infaticabile organizzatore di volontari fu Vincenzo Malenchini che operando a Livorno gestiva la fase vera e propria delle partenze. Il momento culminante di questo forte movimento di volontari, avvenuto alla luce del sole, senza che il governo prendesse provvedimenti, avvenne il 16 aprile 1859 quando ben 700 uomini, agli ordini di Malenchini stesso e di Livio Zannetti, lasciarono il porto labronico per Genova29.

Ogni partenza era divenuta occasione di manifestazioni politiche ostili al governo e all’Austria tanto che gli stessi organizzatori dovettero ricorrere a dei volantini che invitavano a mantenere la calma onde non creare i presupposti per un intervento repressivo delle autorità.

Accanto a Bartolommei e Malenchini operavano anche altri impor- tanti personaggi. Secondo la prefettura di Firenze, infatti, si era costituita una vera e propria società con lo scopo di reclutare giovani volontari per l’Armata Sarda, della quale erano membri, oltre a Bartolommei, Cele- stino Bianchi, Luigi Guglielmo di Cambray Digny, Carlo Fenzi, Bettino Ricasoli e Vincenzo Salvagnoli. Insomma, un’associazione trasversale che vedeva fianco a fianco liberali moderati e Società nazionale30e che

dimostra come i collegamenti tra le varie tendenze politiche avevano tro- vato terreni comuni sui quali collaborare proficuamente.

La Società Nazionale, inoltre, si adoperò per guadagnare alla causa patriottica il piccolo ma ben organizzato esercito toscano, che in virtù degli accordi con l’Austria era stato ricostituito a partire dalla riforma De Laugier del 1849-1851 e posto sotto il comando di un militare imperiale quale Federico Ferrari da Grado. «Un esercito piccolo ma solido», come lo ha definito Piero Pieri, di 11.616 effettivi che, se fosse stato leale a Leo- poldo II, avrebbe costituito un serio ostacolo ai disegni del fronte patriot- tico. Sarebbe, infatti, stato più che sufficiente per stroncare efficace- mente una qualsiasi manifestazione sediziosa. Tuttavia, i soldati toscani, soprattutto gli ufficiali, maturarono un forte sentimento nazionale, dovuto anche ai gloriosi momenti di Curtatone e Montanara e all’odio per la sottomissione all’Austria, personificata dal comandante. A tutto questo si aggiunga il disinteresse e le scarse attitudini di per la vita mili-

con la quale si poté far fronte alle ingenti spese che occorrevano per la spedizione dello straordinario numero di volontari». Cfr. T. Kroll,La rivolta del patriziato. Il liberalismo della nobiltà nella Toscana del Risorgimento, Olschki, Firenze, 2005, p. 388.

29Cfr. F. Bertini,Risorgimento e questione sociale, pp. 535 ss. Sull’episodio dei 700 cfr. ivi, p. 547.

tare mostrate da Leopoldo II e dall’erede al trono Ferdinando, caratte- ristiche queste poco asburgiche che contribuirono a tenerli lontani dalle simpatie del loro piccolo esercito.

Proprio queste circostanze ideali permisero agli uomini della Società nazionale di guadagnare gran parte degli ufficiali e della truppa alla causa patriottica inondando le caserme con volantini inneggianti alla guerra a fianco dell’Armata Sarda contro gli odiati austriaci. L’opera- zione non fu facile, tanto che ancora a pochi giorni dal 27 aprile, Bon Compagni, inviato sardo in Toscana che teneva i collegamenti fra Cavour e i patrioti, manifestava al conte la paura che l’esercito fosse ancora fedele a Leopoldo II, cosa che avrebbe reso tutto più complicato.

In questo caso un notevole aiuto all’opera della Società Nazionale venne dal mondo democratico fiorentino che si era allontanato dall’or- todossia mazziniana e che aveva trovato un capo nel fornaio Giuseppe Dolfi, personaggio interessantissimo, capace di stabilire negli anni suc- cessivi uno stretto rapporto di collaborazione con il governo provvisorio retto da Ricasoli31. Dolfi, che non entrò a far parte della Società Nazio-

nale pur lavorando in contiguità con essi32, si distinse, infatti, nella rior-

ganizzazione del fronte democratico all’indomani di Sapri e delle con- seguenze del fallimento livornese del 1857 spostando il baricentro della rete su Firenze33. In particolare la sua abilità e il suo fiuto politico si rive-

larono fondamentali per far convergere la galassia democratica toscana verso le posizioni della Società Nazionale instaurando proficui rapporti personali con Ferdinando Bartolommei e Vincenzo Malenchini e impo- nendo ai suoi il primato dell’Unità nazionale, insomma l’adesione al

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