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1 RESTAURO ED EFFICIENTAMENTO ENERGETICO DELL’EDILIZIA STORICA: TEORIA E RECENTI APPLICAZION

2. TECNICHE BIOCLIMATICHE PREINDUSTRIAL

2.1 Archetipi mediterrane

21. N. MARZOT, Architetture scolpite. Alcune inva-

rianti del paesaggio mediterraneo, in “Paesaggi

d’architettura mediterranea” 7-8 (2003), Agorà Edizioni, La Spezia, p. 25.

22. L’inerzia termica di una muratura è la capacità che questa ha di accumulare e rilasciare calore nel tempo, contribuendo al contenimento delle oscilla- zioni della temperatura dell’ambiente interno. È data dall’azione combinata di attenuazione e sfasamento dell’onda termica sinusoidale che at- traversa la parete quando questa viene riscaldata. Questi due effetti dipendono dalla sua massa fron- tale e dalla conduttività dei materiali che la costi- tuiscono.

sti a Sud, e che spesso influenzano la distribuzione spaziale dell’intero manufatto.

In presenza dei tessuti insediativi compatti tipici dei centri storici, il controllo dell’irraggiamento solare estivo è demandato agli spazi d’om- bra generati dagli stretti vicoli che, per la loro particolare conformazio- ne, permettono di schermare i raggi più forti durante il giorno e di incana- lare le correnti fresche della notte. Il flusso ventoso è favorito dalle co- perture a cupola, funzionali anche al raccoglimento delle acque piovane. L’altezza degli edifici dipende sem- pre dalle dimensioni della pianta così da mantenere il grado ottimale di compattezza e non accrescere il valore del rapporto tra superficie e volume.

L’efficienza energetica dell’archi- tettura tradizionale mediterranea dipende quindi, strettamente, dal corretto equilibrio tra compattezza e “permeabilità” dell’impianto mor- fologico, ma anche dalle componenti murarie.

Queste ultime, realizzate con i mate- riali reperiti localmente (quindi pie- tra o laterizio), hanno generalmente una sezione compresa tra gli 80 e i 200 cm e consentono di mantenere nel periodo estivo una temperatura

interna costante.

L’importante massa perimetrale agi- sce, infatti, sfasando e smorzando il flusso di calore dovuto al soleggia- mento delle facciate, consentendo di limitare gli sbalzi termici negli am- bienti interni, in relazione alle escur- sioni giornaliere e stagionali del clima. Maggiore è l’inerzia termica22, minore

sarà la velocità con cui la temperatu- ra interna aumenta o diminuisce, in risposta ad una variazione della tem- peratura esterna.

Durante il giorno i muri dell’edificio immagazzinano calore che poi rila- sciano in un arco di tempo variabile a seconda delle caratteristiche della struttura (spessore, materiale, etc...). In un edificio ad alta inerzia termica, o “pesante”, il calore accumulato viene ceduto agli ambienti interni durante le ore più fresche; ciò, in estate, ral- lenta l’ingresso del calore durante le ore più calde della giornata, rilascian- dolo durante la notte e rendendo ne- cessario lo sfruttamento della venti- lazione naturale.

L’impiego di intonaci chiari nelle mu- rature esterne, specie se orientate a meridione, contribuisce a protegger- le ulteriormente la struttura dal sur- riscaldamento estivo: il basso valore di assorbenza del colore consente di allontanare parte della radiazione

solare incidente, attenuando così le temperature superficiali esterne dell’involucro.

Le aperture sono piccole e spora- diche, così da consentire l’illumina- zione degli ambienti interni in ogni stagione e, allo stesso tempo, pro- teggere dall’eccessiva incidenza so- lare diretta in estate.

Si nota, nelle costruzioni che hanno tenuto la facciata in pietra a vista, come gli stipiti di porte e finestre venissero tradizionalmente dipinti di bianco per sfruttare il medesimo principio di riflessione della radiazio- ne precedentemente esposto.

I Sassi di Matera

Un valido esempio di sfruttamento e adattamento alle peculiarità del sito scelto per l’insediamento è senza dubbio quello dei cosiddetti “Sassi” di Matera (fig. 15), un insieme di cir- ca 3000 abitazioni quasi interamente scavate nella roccia: dove il banco tufaceo è più duro vi sono le grotte naturali, dove questo è più tenero e quindi scavabile, sono state realizza- te le abitazioni più articolate.

Originariamente il sito era deputato all’agricoltura: la struttura dei Sassi

corrisponde ad un complesso siste- ma di raccolta delle scarse acque pre- senti nel territorio mentre i terrazza- menti erano occupati da giardini e orti coltivati.

La migliorata salubrità del sito con- sente, in epoca successiva, la sua conversione in centro abitato.

La sottrazione degli spazi all’agricol- tura prevede anche che alcune cister- ne vengano rivisitate in forma d’abi- tazione mentre altri alloggi verranno scavati nella roccia, generando una caratteristica «commistione tra i tipi architettonici delle cisterne e quelli delle case»23.

Le grotte artificiali non si sviluppano in orizzontale ma si articolano all’in- terno della roccia con lunghe galle- rie, in maniera obliqua e con un anda- mento a ferro di cavallo.

Tale conformazione consente, quan- do il sole invernale è più basso all’o- rizzonte, che i raggi penetrino sino in fondo scaldando e illuminando gli ambienti. Per contro, d’estate il sole più alto investe con i suoi raggi solo l’ingresso mantenendo freschi gli ambienti.

Di notte le cavità funzionano da “ac- cumulatori” di umidità atmosferica che, condensandosi nelle cisterne terminali degli ipogei, rimane dispo- nibile come scorta d’acqua, anche

23. P. LAUREANO, Giardini di pietra, ed. Bollati Bo- ringheri, Torino 1993, p. 111.

in assenza di canalizzazioni. Il tufo estratto in fase di cava viene usato per chiudere l’ingresso e per rivesti- re la cavità interna, voltandola a bot- te. Durante questa fase costruttiva prende piede il cosiddetto “lamione” ovvero la cellula base, addossata alla grotta e voltata, anch’essa a botte, che costituisce un prolungamento della grotta verso l’esterno.

Le spinte della volta sono contenute dalle spesse pareti di roccia, più alte della copertura in tegole.

Alcuni Sassi presentano più di die- ci cavità sovrapposte, collegate fra loro attraverso pozzi e dispositivi di aerazione in verticale.

Il paesaggio urbano è determinato dall’accostarsi di diversi lamioni, su più piani: può capitare che il tetto delle case poste a quota inferiore ar- rivi al ciglio del giardino di quelle so- vrastanti.

Ogni piccola porzione di terreno pia- neggiante disponibile è stata sfrut- tata per la coltivazione di un piccolo orto o di un frutteto.

Alcune abitazioni attigue chiudono completamente lo spazio prospicien- te, dando origine ad una sorta di con- dominio aperto su una corte, altre si fondono insieme in un’unica grande facciata che, nonostante l’aspetto palaziale, nasconde cunicoli e grotte.

Fig. 15: Sassi di Matera, veduta dell’abitato.

I Trulli della Puglia

Spesso in area mediterranea la co- struzione dei sistemi di captazione e conservazione dell’acqua precede la localizzazione delle abitazioni tradi- zionali, influenzandone forma e arti- colazione.

La costruzione dei Trulli (fig. 16) inizia con lo scavo di una cisterna di raccol- ta, protetta da muri calcarei e da una copertura a cupola che raccoglierà l’acqua piovana utile alla sua stessa alimentazione.

L’intero manufatto è realizzato in pietra: i conci di medie dimensioni vengono utilizzati a secco, senza malta, per le spesse murature a dop- pio paramento; quelli più grandi e resistenti vengono utilizzati per gli spigoli e per gli architravi; le lastre di medio spessore vengono posate sul pavimento, quelle più sottili in coper- tura.

La massa muraria, che può raggiun- gere i 3 metri di spessore, funziona da volano termico accumulando con grande lentezza il calore estivo, per poi rilasciarlo all’interno del trullo du- rante l’inverno.

Allo stesso tempo le camere d’aria presenti tra un concio e l’altro funzio- nano da isolante. L’effetto combina- to di questi due fenomeni consente

di misurare temperature interne esti- ve notevolmente più basse rispetto a quelle esterne (superiori ai 30° C).

I Dammusi e il giardino pantesco

Gli Arabi abitarono l’isola di Pantel- leria per circa cinquecento anni, a partire dal VIII secolo a. C., cambian- done profondamente il paesaggio agricolo: una buona parte del territo- rio dell’isola venne sottoposto a bo- nifica e successivamente terrazzato per consentire la coltivazione di viti e ulivo.

Le pietre risultanti dalla bonifica, di origine lavica, vennero utilizzate per la realizzazione di numerosi terrazza- menti e per le tipiche abitazioni pan- tesche: i dammusi (fig. 17).

Si ripropone lo schema della cellula base cui afferiscono diversi vani di servizio e, in questo caso come negli altri, l’inerzia della muratura, spessa mediamente 80 cm, mitiga il clima caldo e ventoso dell’isola.

La tecnica di realizzazione dei muri è detta “a casciata” e consiste nel- la realizzazione di due paramenti di conci appena sbozzati, con ri- empimento di pietrame minuto e informe, costipato. Ne risulta un

Fig. 16: Trullo ad Alberobello.

Fig. 17: Dammuso, Pantelleria.

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muro considerevolmente compat- to e refrattario a calore e rumore. Il dammuso si mostra come un’abi- tazione quasi completamente chiusa all’esterno, non presentando delle vere e proprie finestre bensì delle piccole feritoie, con dimensioni di 40x50 cm, posizionate a circa 180 cm da terra, così da permettere l’illumi- nazione diurna e facilitare il raffresca- mento naturale degli ambienti inter- ni durante la notte.

La ventilazione naturale è aiutata dalla canna fumaria del focolare che favorisce, con moti ascensionali, l’e- spulsione dell’aria calda per richia- marne di fresca dalle piccole apertu- re. La copertura è a cupola, con uno spessore totale compreso tra i 35 e i 40 cm. E’ realizzata in pietra, rico- perta da uno strato di terra rifinito con un impasto impermeabilizzante e isolante di pomice vulcanica, tufo rosso e latte di calce.

La conformazione a cupola contribu- isce a mantenere fresca la parte bas- sa dell’abitazione, raccogliendo l’aria calda verso gli strati alti, in prossimi- tà della copertura.

Alcune volte i dammusi sono ester- namente protetti, a Sud, da un ampio portico con due archi a tutto sesto o da pergole di vite.

Una particolare importanza è rive-

stita dal giardino pantesco (fig. 18) una struttura indipendente di forma tronco-conica, realizzata in pietra a secco e priva di copertura. Accessi- bile mediante un piccolo ingresso, la struttura accoglie uno o due alberi di agrumi.

L’alto muro di recinzione (general- mente 4 m di altezza per 2,50 m di spessore) protegge dagli intensi e frequenti venti, fornendo allo stesso tempo il giusto grado di ombreggia- mento (in sinergia con la chioma de- gli alberi) fondamentale per evitare l’evaporazione dell’acqua presente nel sottosuolo (data dalle piogge in- vernali e dalla condensa notturna).

Le case a volta della Costiera Amal- fitana

Già a partire dal XIII secolo la costa di Amalfi ha mostrato gli evidenti segni dell’intervento dell’uomo che, grazie ai tipici terrazzamenti, è riuscito a rendere coltivabili gli scoscesi pendii che, da sempre, la rendono singola- re.

L’opera umana, organicamente in- tegrata con la morfologia del sito24,

è il risultato degli intensi scambi avvenuti con l’Oriente in epoca me-

24. G. FIENGO, G. ABBATE, Case a volta della costa di

Amalfi, Centro di Cultura e Storia Amalfitana, Amal-

Fig. 18: Giardino pantesco.

dievale e del successivo isolamento che, a partire dal Quattrocento per arrivare fino all’Ottocento, ha reso la Costiera immune dai cambiamen- ti che hanno modificato il disegno insediativo del resto della Penisola. Paesaggio e costruito compongono, quindi, «un raro esempio di sistema urbanistico-edilizio che ha salvaguar- dato, insieme alla struttura territo- riale ed agli immobili originari, forme peculiari, come le volte estradossate, tecniche costruttive, come l’uso del lapillo battuto, apprestamenti difen- sivi, opere idrauliche e rete viaria an- tichi»25 tanto da far risultare l’edilizia

residenziale moderna fortemente di- pendente da quella tradizionale. Una delle peculiarità del tessuto in- sediativo della zona, e conseguente- mente del paesaggio, è senza dubbio il ripetersi di volte estradossate (a crociera, a vela, a schifo o a botte) (figg. 19 e 20), realizzate in pietrame, battuto di lapillo26 e latte di calce,

spesso affiancate fra loro e in succes- sione, caratterizzanti la locale edilizia tradizionale. Roberto Pane, descri- vendo tali abitazioni, scrive: «mentre i modi di struttura e di distribuzione planimetrica seguirono la tradizione latina e bizantina (...) le forme ester- ne e gli ornati musivi e ceramici ac- colsero con favore l’influenza della

25. Ivi, p. 8.

26. «Conglomerato impermeabile facilmente lavo- rabile, costituito da inerti vulcanici, calce e pozzo- lana», tratto da P. FRAVOLINI, C. GIANNATTASIO, H. ROTOLO, I lastrici di battuto di lapillo della Cam-

pania, in Atlante delle tecniche costruttive tradi-

zionali, (a cura di) G. FIENGO, G. GUERRIERO, Arte Tipografica Editrice, Napoli 2008, tomo II, p. 785. 27. R. PANE, Capri. Mura e volte, Napoli, II ediz., 1965, p. 15.

28. M. DALLA COSTA, G. CARBONARA (a cura di),

Memoria e restauro dell’architettura: saggi in onore di Salvatore Boscarino, Francoangeli, Milano 2005,

p. 145.

29. R. PANE, op. cit., p. 36.

30. G. FIENGO, G. ABBATE, op. cit., p. 74. 31. Ibidem.

32. Le maestranze locali realizzavano i “battuti” a partire da una miscela di pomice locale, inerti e cal- ce spenta da otto giorni, mescolata più volte e la- sciata riposare per diverse ore. Una volta preparata la miscela, la si stendeva sull’estradosso delle volte, in uno strato di circa 15 centimetri e «non si comin- ciava a battere che 24 ore dopo, affinché abbia ac- quistata la consistenza e fermezza sufficiente a po- tervi camminare sopra» (da L. RAGUCCI, Principi di

pratica di Architettura, seconda ediz., Napoli 1859,

p. 299.). Secondo Pane, l’opera di battitura durava tre giorni e veniva effettuata con la “mazzoccola”, una spatola di legno utilizzata con la faccia piana durante la prima giornata, di taglio nella seconda e nuovamente di piatto nella terza. Durante tali ope- razione la superficie veniva continuamente irrorata con latte di calce e infine coperta con paglia e erba affiché asciugasse lentamente, fino a ridurre il suo spessore ad un terzo di quello iniziale (R. PANE, op. cit., pp. 32 e 33).

decorazione araba»27. La tipologia

più semplice ha infatti la forma di un parallelepipedo allungato, articola- to generalmente su due livelli, con superfici esterne lisce ma copertura «intensamente movimentata, grazie al gioco delle crociere estradossa- te»28. Sul lato posteriore, la fabbrica

si presenta, di norma, addossata al terrapieno, mentre il prospetto an- teriore e quelli laterali si aprono all’e- sterno tramite porte e finestre, un tempo ornate da colonnine e decori. Nell’abitazione di dimensioni medio- grandi generalmente si riscontra- vano, fino a qualche decennio fa, quattro ambienti orientati, compati- bilmente con l’orografia del terreno, nella direzione Est-Ovest, secondo la logica bioclimatica dello sfruttamen- to/difesa dalle caratteristiche clima- tiche del sito: la stanza posta sulla testata Est era la più ampia, dedicata allo svolgimento delle attività quo- tidiane della famiglia e quindi più bisognosa di illuminazione naturale durante tutto l’anno; gli ambienti più interni erano invece destinati a funzioni che non avevano particolari esigenze di illuminazione: la cisterna, adiacente al lavatoio (balneum) e la cantina (buctaria), dedicata alla pre- parazione e conservazione del vino; trovavano poi spazio, verso Ovest, la

Fig. 19: Casa a volta estradossata, litografia. cucina col forno e la stalla per gli ani-

mali impiegati nei campi.

Un tavolato in castagno, collocato all’altezza delle imposte delle volte, dava luogo ad un sottotetto desti- nato al deposito dei prodotti agrico- li, risultando funzionale, allo stesso tempo, all’isolamento termico del- la copertura nonchè alla riduzione del volume da riscaldare all’interno dell’abitazione (come accadeva nei dammusi panteschi).

Un altro espediente utilizzato dai muratori capresi per migliorare il proporzionamento degli ambienti è il ricorso al sesto ribassato, o “in- gannato”, che stabilisce l’altezza massima della volta in un terzo della larghezza dell’ambiente interessato. Ne risulta una volta abbassata di un sesto rispetto al semicerchio, utile a contenere volumi e altezze29. Si ottie-

ne quindi un ambiente relativamente facile da riscaldare durante i mesi più freddi, con una superficie voltata che consente di reiraggiare maggiore ca- lore rispetto ad una copertura piana o a falde, durante i mesi caldi (cfr. § 2.1). Pur rispecchiando, per diversi aspetti, la tradizione bioclimatica vernacolare, si nota tuttavia come le case a volta della Costiera si discosti- no dalla comune prassi mediterranea di realizzare murature estremamen-

te massive: «quel che impressiona (...) è il ridotto spessore delle loro strutture verticali e orizzontali; esi- guità che contrasta vivamente sia con il magistero murario ad opera incerta, ovvero di scheggioni calcarei variamente assortiti e mai lavorati, sia con l’impiego, in entrambi i piani componenti abitualmente le residen- ze tradizionali, di volte spingenti (...). Le curve superfici di calpestio e di copertura si segnalano ancora di più, denunciando sezioni costantemente sottili, che talvolta non superano i 10 o 12 centimetri»30.

Tali caratteristiche di resistenza sono da attribuire alla qualità della partico- lare malta impiegata31, ottenuta con

un impasto di calce, inerti vulcanici e pomice rinvenibili sul posto che, con tutta probabilità, avevano anche il pregio di migliorare le prestazioni termiche dei vari elementi costrut- tivi, contrastando il passaggio del calore attraverso murature e coper- ture. Queste ultime, in particolare, venivano realizzate con la tradizio- nale tecnica del “battuto”32 di lapillo

che consentiva di ottenere strutture di spessore ridotto ma altissima den- sità, con caratteristiche di buona im- permeabilità alle pioggie e capaci di schermare i raggi solari incidenti sulle volte.

La casa a corte della Sardegna

Il clima della Sardegna è notevol- mente influenzato dalla sua insulari- tà: il mare esercita una forte azione mitigatrice, particolarmente sentita nelle zone costiere: la temperatura media minima può oscillare dai 2°C dell’area montana ai 12°C della pianu- ra costiera33.

Tale differenza climatica si rispecchia nelle tipologie costruttive tradiziona- li presenti nell’Isola, caratterizzate da una variegata differenziazione in base alla zona geografica di diffusio- ne. Osvaldo Baldacci, nei primi anni cinquanta del Novecento, scrive in relazione alle abitazioni rurali sarde: «dal piano alla montagna si sviluppa una gamma di soluzioni, che in ogni più piccola modifica manifestano la loro spiccata sensibilità alle condi- zioni d’ambiente variate dal fattore altimetrico; la casa rurale reagisce immediatamente, con la stessa pron- tezza con cui risponde ad uno stimo- lo un tessuto vivo e vitale»34.

Come il suo predecessore Maurice Le Lannou35, anche Baldacci cataloga il

costruito isolano in base alle caratte- ristiche riscontrate nelle diverse aree geografiche storiche, passando però da tre36 a quattordici categorie (fig. 21).

Ma se tale classificazione, ritenuta

valida ancora oggi, ha rappresenta- to la base di partenza per ulteriori approfondimenti legati prevalente- mente alle modificazioni subite nel tempo dal costruito (alla luce di nuo- ve conoscenze di carattere archivisti- co e antropologico)37, ai fini del pre-

sente lavoro si ritiene interessante approfondire l’analisi agli aspetti bio- climatici già noti allo stesso Baldacci. L’utilizzo prevalente, per ragioni cul- turali, pratiche ed economiche, del materiale da costruzione reperito in

loco identifica due grandi categorie:

“la cultura della terra cruda”, tipi- ca della pianura del Campidano, e la “cultura della pietra”, diffusa nel re- sto dell’Isola38. Le relative tipologie

costruttive rappresentano caratteri estremamente diversi fra loro, mo- strando condizionamenti dovuti sia alle caratteristiche meccaniche del materiale, sia a quelle morfologiche del sito. Le case della pianura si svi- luppano generalmente su un solo pia- no sia per la possibilità di estendersi su di un territorio privo di criticità orografiche, sia per la limitata capa- cità di carico dei mattoni in ladiri39; al

contrario quelle in pietra della collina e della montagna si sviluppano in al- tezza, sostenute dalle capacità mec- caniche di trachite, scisto e granito, su tre o quattro piani, per ovviare

33. ARPAS, Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Sardegna, Analisi agrometeo-

rologica e climatologica della Sardegna. Analisi delle condizioni meteorologiche e conseguenze sul terri- torio regionale nel periodo ottobre 2010 - settembre 2011, Dipartimento Specialistico Regionale IdroMe-

teClimatico Servizio Idrometeoclimatico.

34. O. BALDACCI, La casa rurale in Sardegna, Centro di Studi per la Geografia Etnologica, Firenze 1952, p. 184.

35. M. LE LANNOU, Patres et paysans de la Sardei-

gne, Arrault, Tours 1941.

36. Le Lannou individua «tre grandi tipi di casa rura- le (...) la casa montana sviluppata in altezza, (...) la casa a cortile chiuso nella pianura e negli altopiani coltivati; una casa molto più semplice (...) a nord ovest di una linea immaginaria da Cabras al Golfo di Olbia».

37. A. SANNA, Caratteri tipologici e costruttivi

dell’architettura tradizionale della Sardegna. Ma- teriali per un manuale del recupero, Cuec, Cagliari

1992, p. 6. 38. Ivi, p. 12

Fig. 21: Forme tipiche della casa sarda: 1 - “Cuili” della Nurra;

2 - tipo elementare di collina (Anglona); 3 - “stazzu” della Gallura;

4 - tipo “palattu” della Sardegna settentrionale; 5 - tipo elementare con vani giustapposti in profondità; 6 -tipo unitario di pianura (Bosa);