• Non ci sono risultati.

Storia dell’uso dell’energia e degli impianti storic

3 COMFORT E TECNOLOGIE IMPIANTISTICHE

3.2 Storia dell’uso dell’energia e degli impianti storic

il processo di produzione di tale com- bustibile più efficiente e sicura solo nei primi anni dell’Ottocento. Risale infatti al 1801 la realizzazione della prima “termolampada”, utile sia a il- luminare che a riscaldare, ad opera di Phillip Lebon25.

Appena pochi decenni più tardi le strade principali di molte città euro- pee godevano di un impianto di illu- minazione26 che prevedeva lo stoc-

caggio del gas purificato all’interno di grossi serbatoi, detti gassometri, e la sua distribuzione attraverso un re- ticolo di condotti sotterranei ai diver- si lampioni in ghisa, ormai prodotti in serie.

L’irregolarità nell’intensità della luce e l’eccessivo surriscaldamento dei corpi, portarono ad un ulteriore mi- glioramento della tecnologia utiliz- zata, grazie all’introduzione della re- ticella incandescente, inventata nel 1885 da C. Auer Von Welsbach27.

Nel corso del XIX secolo l’utilizzo del gas si limitò, tuttavia, ai grossi im- pianti pubblici, mentre per l’illumina- zione domestica si continuò a prefe- rire l’impiego dei combustibili a base oleosa.

Carla Benocci racconta come nel cen- tro di Roma, nei primi anni del Nove- cento, coesistessero impianti alimen- tati a petrolio, olio, gas ed energia

Fig. 27: Isolatori in porcellana sospesi a mensole infisse in facciata.

alimentazione autonoma fino alla creazione di reti strutturate e servite da un’unica fonte generatrice fu in- fatti breve.

I fili conduttori dell’impianto, in rame o altro metallo rivestito da materia- le isolante, portavano l’energia elet- trica nelle abitazioni poggiandosi su appositi pali o mensole di legno, cui erano collegati isolatori in ceramica o vetro (fig. 27). L’ingresso nei diversi edifici avveniva quindi con aggancio diretto o tramite l’utilizzo di tubi in ottone o acciaio rivestiti, collegati in apposite cassette di raccordo32.

Si arrivava infine ai corpi illuminanti appesi al soffitto, o montati a parete, all’interno delle diverse stanze. L’impianto domestico era completo di interruttori, deviatori, valvole e di tutto ciò che poteva servire per la sua gestione e sicurezza.

Come sottolinea Federico Butera, emerge dalla storia dell’uso dell’e- nergia come il bisogno di illuminare l’abitazione sia stato predominante, rispetto a quello di riscaldarla: «se nelle caverne abitate dai nostri ante- nati del Paleolitico non ci si curava del riscaldamento (...) nelle capanne pri- mitive mancava un focolare ma non un lucignolo; nel cubiculum romano non c’era un fuoco per scaldarsi, ma c’era il lucubrum. Quella di vincere le elettrica28. In effetti, in quel periodo,

agli ormai tradizionali sistemi di illu- minazione si andava ad affiancare il prodotto di una sperimentazione durata un secolo, nata dall’osserva- zione dell’effetto luminoso prodot- to da una scarica fra due elettrodi di carbonio29. Le cosiddette lampade

“ad arco” presentavano però nume- rosi inconvenienti, come la diversa velocità con cui i due elettrodi si con- sumavano e un’eccessiva intensità luminosa, che le rendevano inadatte all’uso domestico.

L’evento risolutivo è rappresentato dall’invenzione della lampadina ad incandescenza, avvenuta nel 1879 ad opera di Thomas Edison.

Il filamento delle prime lampadine era dato da un sottile cartoncino sot- toposto a carbonizzazione, succes- sivamente sostituito da fili realizzati con ossidi di diversi metalli, capaci di funzionare per diverse centinaia di ore con un effetto illuminante note- volmente superiore a quelli raggiunti fino a quel momento30.

Tuttavia il merito principale di Edison non fu tanto l’invenzione della lam- padina, quanto il fatto che egli «con- cepì e realizzò, in tutti i dettagli, un sistema completo che andava dalla centrale elettrica alla lampadina»31.

Il passo dall’impiego di manufatti ad

28. C. BENOCCI, L’illuminazione a Roma nell’800, supplemento a Storia dell’urbanistica, Edizioni Kap- pa, Roma 7(1986).

29. Allontanando lentamente i due elettrodi di un circuito chiuso ottenuto con una pila di Volta, si notò che una luce bianca e intensa si generava fra essi, mantenendosi accesa a intensità costante fino a che non veniva superata una determinata distan- za fra le due estremità. Il nome dato a tale fenome- no (arco voltaico) deriva dal ponte luminoso arcua- to verso l’alto che si ottiene quando gli elettrodi vengono posizionati in orizzontale, per via dell’aria calda prodotta dalla scarica elettrica.

30. D. FIORANI, op. cit., p. 254 e ssg.

31. F. M. BUTERA, Dalla caverna alla casa ecologica.

Storia del comfort e dell’energia, Edizioni Ambiente,

Milano 2007, p. 73.

32. D. FIORANI, op. cit., p. 256. 33. F. M. BUTERA, op. cit., pp. 87 - 88. 34. D. FIORANI, op. cit., p. 220.

35. Secondo D. FIORANI, il caminetto nasce dalla necessità di realizzare delle opere murarie per l’al- loggiamento del combustibile e per il condotto di tiraggio di un focolare addossato alla parete. (Ibi- dem).

36. Secondo G. Bigatti, l’esemplare più antico risale al 1185 ed era stato realizzato in Inghilterra. (F. M. BUTERA, op. cit., p. 35).

37. Il camino era costituito da una camera di com- bustione che alloggiava il focolare, aperta verso l’ambiente da riscaldare, i cui fumi venivano raccol- ti in un condotto inclinato per poi venire incanalati nella canna fumaria.

38. D. FIORANI, op. cit., pp. 220-226. 39. Ivi, p. 222.

tenebre fu la prima applicazione del gas, che solo in seguito fu anche ado- perato come fonte di calore e per cu- cinare. E’ stata l’illuminazione e non il riscaldamento la prima applicazione del petrolio. Né ebbe destino diver- so l’elettricità, che prima di tutto si affermò nell’uso domestico attraver- so la straordinaria capacità che offri- va: con un semplice gesto si poteva emulare in qualsiasi momento ciò che fino ad allora era stato possibile solo nella Genesi»33.

Il focolare posto al centro della grot- ta era infatti in grado di assolvere a diverse funzioni, fra le quali quella di mitigare la temperatura interna dell’ambiente risultava, con tutta probabilità, secondaria: il combusti- bile utilizzato, costituito da sterco e ossa di animali, consentiva di produr- re solamente un lieve innalzamento della temperatura, peraltro vanifica- to dalle correnti d’aria interne alla caverna. Gli abitanti erano dunque costretti a coprirsi con pesanti pelli anche durante la loro permanenza nell’abitazione.

La successiva evoluzione in bracie- re, pur aumentando l’efficienza nella produzione di calore del 20% circa34,

non risolveva il problema dello smal- timento dei fumi di combustione che, immancabilmente, rendevano

l’aria poco salubre.

Solamente l’invenzione del camino, naturale evoluzione del focolare35,

migliorerà le condizioni di comfort termico degli ambienti domestici. La datazione è ancora piuttosto incer- ta36, ma esemplari simili al caminetto

odierno37 erano presenti nell’Europa

centro-settentrionale già a partire dal XII secolo. Nel Trecento erano diffuse diverse tipologie, caratterizzate da una cappa aspirante che poteva esse- re più o meno sporgente o incassata nel muro38.

Nonostante l’utilizzo della legna come combustibile fosse ormai co- mune, il rendimento rimaneva co- munque basso, considerando che il calore prodotto veniva disperso per l’80% circa39. Non vi era infatti modo

di trattenere il tepore all’interno dell’abitazione per via delle aperture prive di vetri. Le bucature venivano generalmente schermate con scuri di legno, ma solamente la notte, quan- do si dormiva, mentre le dispersioni attraverso le pareti venivano argina- te da pesanti teli e arazzi; paglia e ra- moscelli venivano sparsi sul pavimen- to40.

Nel corso dei secoli immediatamente successivi il camino subisce modifiche di tipo prettamente decorativo, men- tre le migliorie tecnologiche riman-

Fig.28: Schema di un condotti obliquo per l’espul- sione dei fumi di combustione.

gono limitate alla canna fumaria: dai primi condotti obliqui, ricavati all’in- terno della muratura e terminanti in facciata (fig. 28), si passa al condotto verticale, capace di ottimizzare il ti- raggio e l’aspirazione dei fumi. Questo era generalmente costituito da un cavedio a sezione rettangolare (raramente circolare) ricavato nello spessore delle murature perimetrali; non mancavano tuttavia casi di con- dotti esterni, come era d’uso in In- ghilterra. A Venezia venivano invece utilizzati i cosiddetti “canoni”, ovve- ro degli elementi in terracotta di for- ma tronco-conica (impiegati anche per gli scarichi), impilati e collocati all’interno della muratura41.

Il tiraggio della canna fumaria veni- va favorito dall’elemento terminale, il comignolo, alto da 1 a 3 metri, po- sto alla sua estremità superiore. Per via della sua collocazione all’esterno dell’edificio, in copertura, esso assun- se una forte connotazione simbolica, essendo l’unico elemento tecnologi- co visibile al di fuori dell’abitazione. La sua progettazione e le diverse soluzioni formali adottabili vengono ampiamente illustrate nella trattati- stica rinascimentale da autori quali Vignola e Palladio, a testimonianza di come il riscaldamento a caminetto «sia stato nel tempo l’unico tipo di

impianto assunto a vera dignità ar- chitettonica»42. Esso rappresentava,

d’altronde, l’elemento centrale della casa, attorno al quale si svolgevano le attività domestiche e si trascorre- va il poco tempo che si passava all’in- terno dell’abitazione.

Dal Settecento in poi il camino è soggetto a diverse migliorie, quali l’aumento della superficie radiante e l’introduzione di una presa d’aria esterna capace di eliminare le cor- renti d’aria che si creavano nell’am- biente per via del forte tiraggio. Tali innovazioni ebbero come protagoni- sti Benjamin Thompson e Benjamin Franklin, che si adoperarono per mi- gliorare la resa del camino, riducen- do, allo stesso tempo, il consumo di legna.

Un esempio di camino particolar- mente interessante è dato dal siste- ma Lhomond, diffuso in Francia a fine Ottocento43; pur essendo molto sem-

plice, introduce degli accorgimenti che rimarranno d’uso comune per diverso tempo, come l’inserimento di un rivestimento refrattario (in pia- strelle o lastre di ghisa) sul piano del focolare e sulla parete di fondo, o l’utilizzo di un contenitore dotato di griglia e sportello per la raccolta della cenere44. Tuttavia, per migliorare ul-

teriormente l’efficienza del camino45

41. Ibidem.

42. D. FIORANI, op. cit., p. 224.

43. G. DEBESSON, Le chauffage des habitations-

Étude theorique et pratique des procedes et apparil empoyes pour le chauffage des edifices, des maison, des appartements, Dound, Parigi 1908, Vol. I, p. 116.

44. P. A. CETICA, L’architettura dei muri intelligenti.

Esperienze di climatizzazione sostenibile nell’Otto- cento, Angelo Pontecorboli Editore, Firenze 2004,

p. 50 e ssg.

45. Fino al XIX secolo il camino utilizzava esclusiva- mente l’energia radiante proveniente dalla combu- stione della legna, con una resa di attestava attor- no al 5-10% (Ivi, p. 51).

46. Ivi, p. 53.

47. D. FIORANI, op. cit., p. 234. 48. Ivi, p. 236.

si pensò di sfruttare i fumi di combu- stione che, prima di allora, venivano dispersi nell’atmosfera, ancora cal- di. Si decise di incanalarli all’interno di un tubo metallico, collocato in un cavedio posto alle spalle del camino. Il tubo, aperto in basso verso l’ester- no e comunicante con l’ambiente interno tramite la sua estremità su- periore, emetteva nell’abita zione un flusso d’aria calda generato dai moti convettivi interni ad esso, provocati dalla differenza di temperatura fra la fredda aria esterna e i fumi caldi. Il sistema Fondet (fig. 29) prevedeva invece l’inserimento di un insieme di tubi di ghisa a sezione quadrata di- rettamente all’interno del caminet- to. Anche in questo caso venivano sfruttati i moti convettivi generati at- traverso i tubi, pur non incanalando i fumi di combustione ma sfruttando semplicemente il surriscaldamento dell’apparecchio dovuto al contatto diretto con la fiamma46.

Permettendo la diffusione di un flus- so d’aria calda in ambienti anche re- lativamente lontani da quello fornito di caminetto, questi apparati rappre- sentano un primo sistema di riscalda- mento centralizzato ad aria, sostan- zialmente nato da una rivisitazione dell’ipocausto romano47: un reticolo

di canali interni alla muratura distri-

buisce nei diversi ambienti l’aria calda derivante da un singolo generatore di calore.

Generalmente tali condotti non supe- ravano i 40 metri di lunghezza, ave- vano un andamento verticale quando correvano all’interno delle pareti e orizzontale, con una leggera penden- za, nei tratti a pavimento. Il tiraggio era favorito dal collegamento alla canna fumaria.

Spesso le bocchette di emissione ve- nivano schermate da particolari ser- rande, utili alla regolazione del flusso d’aria, e da tessuti necessari a tratte- nere la polvere.

Tuttavia tali impianti presentavano un’alta probabilità che si innescas- se un incendio nei condotti, per via degli inevitabili depositi di fuliggine presenti al loro interno; risultavano inoltre poco efficienti nel caso di abi- tazioni basse ed estese in larghezza48.

Questi inconvenienti vennero meno con l’utilizzo del riscaldamento cen- tralizzato a vapore, sperimentato nel XVIII secolo da James Watt, William Cook e John Hoyle.

Il sistema sfruttava il calore ceduto durante la condensazione, all’inter- no di un reticolo di tubi, del vapore generato da un bollitore. Il generarsi di una crescente pressione all’inter- no dei condotti, con la conseguente

Fig. 29: Sistema di riscaldamento Fondet.

Fig. 30: Schema di un termosifone con condotto di aerazione.

Immagine coperta da Copyright

espansione delle tubature, e il loro rapido raffreddamento, rendeva però necessaria la presenza costante di personale specializzato. Tali diffi- coltà nella gestione di questi impianti portarono all’utilizzo dell’acqua cal- da come vettore, a partire dalla metà dell’Ottocento.

Questi sistemi sfruttavano il calore ceduto dal fluido che scorre nei tubi, riscaldato da bollitori posti general- mente nei piani interrati mentre nel sottotetto era presente la cisterna di raccolta dell’acqua. Gli elementi radianti, addossati alla parete degli ambienti da riscaldare, erano talvol- ta celati da grate decorate ma spes- so lasciati a vista; dapprima costituiti dagli stessi tubi di circolazione del fluido, vennero successivamente sostituiti da veri e propri elementi terminali, i radiatori, inizialmente in ghisa, poi in ferro e materiali meno pesanti. Il calore prodotto dal sur- riscaldamento dei radiatori veniva diffuso nella stanza grazie ai moti convettivi generati dai cambiamenti di pressione dovuti alla differenza di temperatura fra le masse d’aria pre- senti. Spesso tali moti erano favoriti dall’ingresso d’aria fresca generato dalla presenza di bocchette comu- nicanti con l’esterno e poste sotto il radiatore (fig. 30). Tuttavia i sistemi

basati sullo sfruttamento dei moti convettivi non erano in grado di assi- curare un riscaldamento omogeneo dell’ambiente.

Un impianto centralizzato ad acqua calda più efficiente era senza dubbio il tempering che, mantenendo i tubi all’interno della parete, riscaldava l’ambiente per irraggiamento e quin- di in maniera più uniforme, senza pe- raltro interferire sul grado di umidità dell’aria49.

Un generatore di calore alternativo al caminetto è quello che prevede l’u- tilizzo di una camera di combustione chiusa: la stufa. Tale accorgimento consentiva di raggiungere un’effi- cienza del 70/80%50, senza bisogno di

grossi volumi d’aria per l’alimentazio- ne del focolare.

Nata con tutta probabilità nel XV secolo51, la stufa trova larga diffusio-

ne nell’Italia settentrionale, in Ger- mania, Austria, Svizzera52, Russia e

Cina53.

I primi esemplari erano realizzati in muratura rivestita da intonaco, spes- so ricoperta da elementi in terra- cotta (vasi, piatti e scodelle) utili ad aumentarne la superficie radiante, progressivamente sostituite da vere e proprie piastrelle e maioliche deco- rate.

La forma era generalmente conica

49. E. LONGO, G. SCHIPPA, Sperimentazioni nel

presente e lezioni del passato: la sfida del miglio- ramento energetico nell’edificato storico, Tesi di

laurea magistrale, relatrice V. PRACCHI, Facoltà di Architettura e Società, Politecnico di Milano, a. a. 2008/2009, p. 204.

50. Ivi, p. 226. 51. Ibidem. 52. Ibidem.

o cubica e presentava una camera d’aria al di sotto della cella di com- bustione, efficace nell’incrementare i moti convettivi dell’aria calda pro- dotta. Parallelamente a quanto suc- cesso al caminetto, anche la stufa subì, nei secoli successivi, attenzioni di tipo quasi esclusivamente esteti- co, mostrando una persistenza co- struttiva sostanzialmente invariata fino al XVIII secolo, periodo nel quale si cercò di migliorarne il tiraggio e il rendimento.

La stufa trovava spazio in un angolo della stanza generalmente attiguo alla cucina (o ad un altro ambiente di servizio) da cui si effettuava la ri- carica di combustibile tramite l’aper- tura di un apposito sportello; veniva inserita una griglia per l’accensione della legna, all’interno della camera di combustione, mentre la cenere si deposita ad un livello più basso, con- sentendo una facile raccolta. Si inizia- va a preferire la stufa in ghisa a quella in muratura, prodotta in serie grazie alla facile assemblabilità dei diversi elementi; il nuovo materiale entrava a regime velocemente, ma presenta- va lo svantaggio di mantenere il ca- lore meno a lungo rispetto al cotto, inconveniente che si cercò di ovviare con l’inserimento di mattoni refratta- ri all’interno della cella.

Fig. 31: Stufa che alimenta un sistema centralizzato ad aria.

Fig. 32: Sistema di ventilazione per convezione.

Immagine coperta da Copyright

nando l’aspirazione dell’aria interna tramite la bocchetta posta in basso. In questo modo il calore prodotto dal generatore poteva distribuirsi in modo pressoché omogeneo nella stanza, anziché stazionare nella par- te alta. Durante il periodo di inattività della stufa, il moto convettivo veniva attivato da una piccola sorgente di calore posta alla base del cavedio, in modo tale che l’aria viziata interna venisse aspirata al suo interno per poi venire eliminata all’esterno dalla canna fumaria57.

Tale tecnica, che potremmo chiama- re del “muro intelligente”58 (fig. 32),

ha permesso per secoli, soprattutto in Francia, il riscaldamento e la ven- tilazione di edifici complessi quali ospedali e teatri, tramite un siste- ma integrato nella struttura già dal- le prime fasi costruttive: «Il muro e il solaio non erano supporti ai quali agganciare o nei quali nascondere in qualche modo più o meno sofisticato gli elementi dell’impianto: il muro e il solaio erano loro stessi “anche” l’im- pianto»59.

Tuttavia, alle soglie del Novecento, l’assottigliarsi delle murature, l’av- vento dell’acciaio e del gas di città hanno fatto sì che tale sistema venis- se dimenticato.

Risalgono all’Ottocento anche gli in- Come il camino, anche la stufa è sto-

ricamente servita ad alimentare i si- stemi di riscaldamento centralizzato ad aria (fig. 31), così come i sistemi di “riscaldamento e ventilazione”54 o

“termoventilazione”55.

L’evoluzione di tali tecniche di “pro- toclimatizzazione”56 prevedeva la ca-

nalizzazione dei prodotti della com- bustione attraverso una tubazione realizzata in un cavedio intramurario. Il moto convettivo derivante dal ri- scaldamento delle pareti provocava l’aspirazione dell’aria interna agli am- bienti tramite aperture poste imme- diatamente sotto il soffitto e colle- gate al cavedio centrale. Attraverso tale canalizzazione venivano dunque espulsi alla sommità dell’edificio sia i fumi di combustione, sia l’aria viziata generalmente accumulata nella par- te alta dei diversi ambienti. Ulteriori condotte poste sotto i pavimenti, collegate con l’esterno, permetteva- no l’ingresso di aria fresca, richiama- ta dalla depressione dovuta all’aspi- razione. L’impiego dei fumi derivanti dalle cucine permetteva il funziona- mento del sistema in ogni stagione: nei mesi più freddi, che rendevano necessaria l’accensione della stu- fa, la canna fumaria contribuiva alla creazione di moti convettivi interni all’ambiente riscaldato, determi-

54. P. A. CETICA, op. cit., p. 7. 55. D. FIORANI, op. cit., p. 246.

56. Si intende per sistemi di protoclimatizzazione qualsiasi tecnologia, perfettamente integrata nel sistema strutturale dell’edificio, capace di incre- mentare il rendimento dei sistemi di climatizzazio- ne, grazie allo sfruttamento della ventilazione per moto convettivo, innescata dalle stesse apparec- chiature.

57. P. A .CETICA, op. cit., p. 15. 58. Ivi, p. 18.

59. E. BOSC, Traité complet, historique et pratique,

du chauffage et de ventilation des habitations par- ticulieres et des edificies publiques, Morel, Parigi

1875, p. 375.

60. P. A. CETICA, op. cit., pp. 26-28. 61. D. FIORANI, op. cit., p. 246. 62. F. M. BUTERA, op. cit., p. 99 e ssg.

Fig.33: Apparecchi di illuminazione a soffitto con sistema di ventilazione integrata.

gegnosi lampadari a gas (fig. 33) che, sfruttando i moti convettivi attivati dal calore della combustione, con- sentivano una seppur minima ven- tilazione degli ambienti, anche con camini e stufe spenti.

In questi apparecchi, lo stretto spa- zio lasciato fra calotta e starter ester- no consentiva l’aspirazione dell’aria messa in movimento per convezio- ne, fatta in seguito fuoriuscire attra- verso apposite canalizzazioni ricava- te nel solaio.