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4.2 CONSIDERAZIONI SULLA TECNOLOGIA

CAPITOLO 5: Progettazione del trasmettitore

5.2 ARCHITETTURE PER TRASMETTITORI WIRELESS

Per “architettura adottata”, si intende una descrizione ad alto livello del sistema che implementa una determinata funzione. Più in particolare si perviene ad una definizione dei singoli blocchi e della loro esatta collocazione nella catena che realizza il sistema globale. Le problematiche di progettazione e realizzazione di ogni blocco non interessano a questo livello, in quanto riguardanti la fase successiva. Un trasmettitore ad RF per modulazioni numeriche assolve, in generale, alle seguenti funzioni:

- filtraggio dei signali (digitali) in banda base;

- modulazione del segnale portante a radiofrequenza fornito dall’oscillatore; - amplificazione di potenza del segnale modulato per la sua trasmissione a grandi distanze.

La definizione degli schemi funzionali con cui effettuare, nell’ordine, le tre operazioni rappresenta sempre una soluzione di compromesso tra diverse esigenze: numero di componenti fuori dal chip, le emissioni indesiderate, linearità, dissipazione di potenza, interazioni con il ricevitore, ecc… Il tipo di modulazione effettuata, nonché particolari esigenze progettuali, rendono spesso predominanti alcuni aspetti rispetto ad altri. Un trasmettitore Zigbee, ad esempio, deve effettuare una modulazione OQPSK, che, come già dimostrato, porta ad una segnale modulato costante in ampiezza: tale considerazione porta in secondo piano il problema della trattazione lineare, ma nel contempo complica, come già visto, lo schema con cui effettuare la modulazione. Nel seguito risulterà predominante l’esigenza di contenere al minimo la dissipazione di potenza; a livello di architettura ciò si traduce in primo luogo nel minimizzare il numero di blocchi presenti a parità di funzione assolta, ovvero privilegiare le soluzioni più semplici a parità di funzione svolta. Nella scelta dello schema di modulazione, una “direct-up conversion” del segnale in banda base si presenta indubbiamente meno onerosa in termini di consumo rispetto ad una più complicata ”two-step conversion”, presentando però alcuni inconvenienti. Riportiamo, nel seguito, un classico schema di conversione diretta per segnali in quadratura.

Figura 5.1: Schema classico di trasmettitore a conversione diretta [11].

La caratteristica fondamentale di questi sistemi è quella di avere la frequenza portante del segnale modulato uguale a quella dell’oscillatore locale, in quanto quest’ultima viene direttamente modulata dal segnale in banda base. La semplicità della topologia la rende decisamente attraente per bassi consumi ed alti livelli di integrazione possibili, tuttavia essa soffre anche di un importante inconveniente, e cioè il disturbo recato dal segnale amplificato dal PA sull’oscillatore locale, che infatti funziona alla stessa frequenza del segnale trasmesso.

Figure 5.2,3: Effetto dell’”iniection pulling” [11].

Nonostante le varie tecniche di schermatura utilizzate per isolare il VCO, il suo spettro di uscita può risultare pesantemente corrotto dal segnale amplificato per l’inevitabile presenza di percorsi circuitali di richiusura, un fenomeno che è noto come

“injection pulling” e per il quale la frequenza di oscillazione tende a spostarsi verso quella di uno stimolo esterno (vedi figura 5.3).

Se la frequenza del disturbo di ritorno è vicina a quella naturale dell’oscillatore, l’uscita di questo appare disturbata in maniera proporzionale al livello del segnale interferente, portando, nel peggiore dei casi, alla situazione illustrata in figura 5.3. In pratica è necessario avere livelli di rumore almeno 40 dB inferiori all’oscillazione, altrimenti il disturbo recato può essere intollerabile. Per segnali trasmessi a basso livello di potenza il problema diventa sicuramente meno critico; in alternativa il fenomeno può essere in parte risolto se lo spettro del segnale amplificato è sufficientemente distante dalla frequenza dell’oscillatore. Per modulazioni in fase e quadratura, tale effetto si può ottenere complicando leggermente la topologia:

Figura 5.4: Schema a conversione diretta alternativo per risolvere l’injection pulling [11].

La frequenza di oscillazione viene ora ricreata a partire da due frequenze piu basse generate da altrettanti oscillatori. In questo caso la qualità del segnale trasmesso è fortemente condizionata dal primo filtro passa banda BPF1 che dovrebbe, in questo

caso, reiettare idealmente tutte le armoniche spurie di ingresso, certamente presenti come residui spettrali del mixer. Un’altra possibilità per aggirare l’ostacolo convertire il segnale in banda base in due passi, in maniera tale da distanziare lo spettro del segnale modulato dalle frequenze proprie dei VCO utilizzati. Si può schematizzare quanto detto, facendo riferimento allo schema riportato nella figura successiva.

La prima frequenza ω1 è indicata come frequenza intermedia; le armoniche spurie della prima conversione vengono reiettate dal primo filtro BPF. Quindi si effettua una seconda conversione a frequenza ω12 con la necessaria soppressione della banda laterale ad ω2 −ω1 attraverso il secondo filtro. Oltre a risolvere il problema del pulling, tale architettura consente di effettuare la modulazione in fase e quadratura a bassa

frequenza, risentendo così in minor misura del problema del matching relativo dei mixer I/Q con cui si effettua la modulazione.

Figura 5.5: Trasmettitore con conversione “two step”[11].

Nei mixer in quadratura, il matching relativo porta ad un possibile “cross-talk” tra i due data stream modulati sulle due portanti. Un metodo comune per quantificare tale effetto consiste nell’invio di due sinusoidi in quadratura V0sin(ωBBt) e V0cos(ωBBt) come segnali I e Q in banda base. Assumendo i due mixer perfettamente identici, il segnale di uscita nella banda di interesse sarebbe idealmente:

(

)

(

t

)

V t t V t sen t V

vout = Asin(ωBB )⋅ (ωOL )+ Acos(ωBB )⋅cos(ωOL )= Acos ωOL −ωBB .

Quindi si ottiene una riga spettrale alla frequenzaωOL −ωBB . Se si assume, ora, uno sbilanciamento di guadagno dei due mixer, si può scrivere:

(

)

(

t

)

V t t V

((

)

t

)

V

((

)

t

)

V t t V V t sen t V v BB OL C BB OL B OL BB BB OL A OL BB A OL BB A out ω ω ω ω ω ω ω ω ω ω ω ω + + − = ⋅ ∆ + − = ⋅ ∆ + + ⋅ = cos ) cos( ) cos( cos ) cos( ) cos( ) ( ) ( ) sin( .

L’effetto tangibile è la comparsa di una componenete spettrale indesiderata in uscita; un risultato simile si otterrebbe nel caso di un errore di fase sulle portanti. La componente spettrale spuria reca interferenza in banda utile ma nella pratica il problema è trascurabile non appena, conducendo l’esperimento sopra, si ottiene una componente spuria inferiore di almeno 30 dB rispetto al segnale desiderato. Un grave inconveniente dei trasmettitori “two-step” è legato al fatto che il secondo filtro della catena deve

attenuare di almeno 50-60 dB il “sideband” indesiderato, in quanto prima del filtraggio esso assume la stessa ampiezza della componente desiderata. Per effetto della sua alta frequenza centrale e della banda stretta, il filtro presenta un fattore di qualità Q= fc B decisamente elevato, per cui viene tipicamente realizzato fuori dal chip (problemi di ingombro e costo).

Un altro schema che merita di essere citato per le modulazioni di segnali ad ampiezza costante è l’“offset-PLL”, utilizzato, ad esempio, nello standard GSM, soprattutto per le migliori prestazioni in termini di disturbo fuori banda legato al rumore termico [11].

Figura 5.6: Trasmettitore con offset PLL [11].

Facendo riferimento alla figura sopra, il segnale viene modulato su una frequenza fLO1 più bassa, quindi l’informazione contenuta nella fase viene traslata ad alta frequenza attraverso un anello ad aggancio di fase. Tale sistema agisce come un filtro sul segnale in ingresso, reiettando il disturbo fuori banda del modulatore (anche se il rumore prodotto dal VCO persiste inevitabilmente).

Il divisore per N serve a rendere utilizzabile lo schema ad alte frequenze di trasmissione, tenuto conto che non è banale realizzare rivelatori di fase in range frequenziali particolarmente spinti. Il divisore, quindi, fa sì che la rivelazione di fase venga effettuata ad una frequenza fLO1 più bassa di quella a cui viene trasmesso effettivamente il segnale. Una tale architettura si presenta decisamente più complessa delle altre per cui non è certo consigliabile nell’ottica del basso consumo di potenza.

Condiziona l’architettura utilizzata anche la mutua relazione esistente tra trasmettitore e ricevitore. Se le bande in trasmissione e ricezione coincidono (in questo caso si opera in Time Division Duplexing), si utilizza tipicamente uno switch prima di trasmettere il segnale in antenna. Il switch di antenna decide quale canale (Rx o Tx) deve essere di volta in volta attivo, e può essere esterno (off-chip) oppure

completamente integrato; il suo utilizzo, pur necessario, è comunque negativo sulla catena di trasmissione, in quanto si ha una perdita nel range 0.5 dB-1 dB della potenza fornita dal PA , ovvero non più del 90% della potenza è sfruttata utilmente. Tale risultato è comunque migliore dei duplexer utilizzati nei sistemi a divisione di frequenza FDD, per i quali la perdita di potenza è superiore tipicamente ai 2 dB, cioè più del 30%. Quindi i sistemi di tipo TDD, (come Zigbee) risultano più adatti in applicazioni a basso consumo.

In definitiva la scelta dell’architettura da utilizzare in fase di trasmissione ricade sulla conversione diretta del segnale in banda base, una scelta operata, come si è visto, in tutte le realizzazioni attualmente disponibili in commercio per i transceiver che rispettano le specifiche Zigbee a livello fisico. Lo schema a blocchi per il trasmettitore è il seguente: S/P Half-Sine Shaping Half-Sine Shaping Ritardo (Tb/2) DAC DAC 0 90° PA 2.405-2.48 GHz I Q Dati TX 2 Mchip/s

Figura 5.7: Schema a blocchi di un trasmettitore per standard Zigbee.

Si rende necessario un breve commento. La modulazione in Zigbee prevede, come già noto, una sagomatura ad archi di coseno delle chip-sequence di ingresso; ovviamente la codifica dei dati originali mediante le rispettive sequenze viene implementata direttamente dall’hardware digitale a disposizione. Tuttavia l’ottenimento degli archi di sinusoide a partire dai segnali digitali non comporta, semplicemente, il filtraggio di questi ultimi, in quanto tale rappresentazione sarebbe decisamente inaccurata. Per rendersene conto, basti pensare a coda succede inviando una stringa di bit identici: un semplice filtro passa basso, in questo caso, risponderebbe con una uscita costante e non certo sagomata ad archi, come invece si richiede. Una maniera per aggirare l’ostacolo è quella di disporre direttamente nel dominio numerico dei campioni dell’arco di sinusoide da generare, memorizzati, ad esempio, in una ROM; in ogni chip-

period la memoria viene scandita da un generatore di indirizzi, generando ciclicamente su più bit le rispettive codifiche binarie dei campioni memorizzati. A questo punto è sufficiente disporre di un convertitore D/A e di un filtro passa basso, per ricostruire il segnale analogico desiderato. Questa tipica modalità di realizzazione dello shaping viene riassunta nella figura a seguire.

Figura 5.8: Possibile schema di “shaping” per Zigbee [11].

Va osservato che tale sistema va impiegato su entrambi i rami I/Q, ed inoltre l’offset temporale richiesto dalla modulazione può essere direttamente ottenuto in digitale, prima dell’operazione di shaping, utilizzando un convertitore seriale-parallelo sulla chip stream, nonché un elemento di ritardo (ad esempio un flip-flop) su uno dei due rami per sfasare temporalmente le due sequenze.

Il convertitore D\A da utilizzare lavora su segnali digitali a frequenza decisamente più alta della chip sequence, in quanto nel periodo di un chip devono essere elaborati tutti i campioni in memoria. Se la sinusoide è campionata in N punti, la frequenza di variazione del segnale digitale in ingresso al DAC sarà N volte superiore a quella di variazione dei chip. Tale considerazione può rendere critico il problema della dissipazione di potenza per questo blocco di elaborazione .

Facendo nuovamente riferimento allo schema a blocchi va ricordato che i PA dispongono tipicamente di reti di adattamento “off-chip” realizzate ad elementi discreti per migliorarne le prestazioni in termini di rendimento; tali elementi vanno necessariamente collocati prima dell’antenna e dell’eventuale switch e non conviene realizzarli in forma integrata per effetto dell’inevitabile presenza di induttori. A questo

proposito è sempre conveniente avere a che fare con un livello di potenza del segnale amplificato superiore a quanto previsto, tenendo conto delle inevitabili perdite prima dell’effettivo invio all’antenna.

È opportuno ricordare, infine, che tutti gli schemi di modulazione a conversione diretta soffrono di un altro problema noto come “oscillator-feedthrough”; avere una oscillazione locale alla frequenza portante fa sì che tale segnale possa ritrovarsi, per effetto di percorsi circuitali parassiti e per le dissimmetrie legate al matching nei mixer, anche in uscita, determinando quindi la presenza di una riga spettrale non voluta entro la banda del segnale modulato; tale componente spuria non è eliminabile attraverso un semplice filtro, cosa che invece si potrebbe fare nel caso di conversione in due passi, tenendo conto che il segnale spurio non ricadrebbe, ora, in banda utile. In fase di progettazione bisogna, quindi, assicurarsi che tale disturbo sia sufficientemente attenuato rispetto alla componente utile (almeno di 30 dB come si ritrova solitamente in letteratura).

Obiettivo del lavoro a seguire è quello di pervenire alla definizione di un sistema low-power per la modulazione dei segnali già codificati in archi di sinusoide. Facendo riferimento allo schema di modulazione appena introdotto, ci si è intersessati della progettazione dell’up-conversion mixer in fase e quadratura, nonché dell’amplificatore di potenza, oltre che degli stadi intermendi di amplificazione tra i due blocchi.

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