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M ARK S YKES : UN T URISTA TRA LA S IRIA E IL C AUCASO

Il turismo di massa e le nuove frontiere dell’esotismo

Nel 1889 l’Express d’Orient, che solo in seguito diverrà famoso come Orient Express, conduceva in appena tre giorni i suoi passeggeri da Parigi a Istanbul, via Vienna. In un tempo relativamente breve chiunque poteva viaggia- re, comodamente alloggiato tra vagoni letto e carrozze ristorante, dal centro dell’Europa alla Sublime Porta, raggiungendo così il limite dell’Oriente più vicino. Durante gli anni di costruzione del collegamento – anni di relativa tran- quillità nel continente europeo, le cui potenze avevano focalizzato altrove le loro ambizioni militari – la vita era stata particolarmente instabile ai confini caucasici dell’Impero ottomano. L’Impero russo, che si era imposto come forza europeizzante del Caucaso, aveva conquistato nuovi territori, e rinforzava il suo dominio politico anche nelle regioni meridionali attraverso i trattati di San- to Stefano (1877) e di Berlino (1878). Sul fronte orientale passavano dall’Im- pero ottomano all’Impero russo anche la provincia di Kars, fino alle sponde del Mar Nero, presso l’attuale città georgiana di Batumi, mentre nell’Altopiano si consolidava il dominio zarista, rappresentato dal governatorato di Yerevan. Questo quadro politico si sarebbe conservato inalterato fino agli albori della prima guerra mondiale, periodo di rinnovata instabilità sociale, di nuove inva- sioni e nuovi trattati tra gli imperi ormai svigoriti.

Sul finire dell’Ottocento, l’immaginario europeo dell’esotico e dello sco- nosciuto aveva abbandonato almeno in parte i territori dell’Impero ottomano, assoggettati alla conoscenza occidentale; anche le regioni del Caucaso meri- dionale, meno montuose, avevano perso l’appeal di inizio secolo. D’altra parte le politiche delle Tanzimat, concluse nel 1876 con la divulgazione della prima Costituzione ottomana (che non riuscì però a salvare l’Impero dal declino e dalla dissoluzione), avevano spinto verso la forma mentis europea non solo gli amministratori, ma anche i più alti rappresentanti della Sublime Porta. Durante gli anni Sessanta per la prima volta un sultano ottomano, Abdülaziz, aveva vi- sitato Vienna, Parigi e Londra, e nel 1876 suo nipote, Murat V, che assieme ad Abdülaziz aveva viaggiato nell’Europa occidentale, chiese l’affiliazione alla

massoneria, iniziandosi alla loggia del Grande Oriente di Francia (Dumont, 2011: 497). Questi due eclatanti esempi scaturivano da una prassi formativa europeizzata che, come annunciato, non riguardava solo i Sultani, ma anche molti aspiranti alle alte cariche governative. Nel 1868 fu fondata, con l’appog- gio di Napoleone III, una struttura pressoché equivalente ad un liceo europeo a

Istanbul, ufficialmente noto come Lycée Impérial Ottoman de Galata-Séra ov- vero Galata-Saray Mekteb-i Sultanisi. Lo scopo di tale iniziativa era offrire una forma d’insegnamento ricavata quasi integralmente dai modelli francesi e, di fatto, proposta in lingua francese (idem: 516). Con i Sultani, i Vezir e gli alti funzionari che non solo agivano secondo principi di governo europei, ma che erano stati influenzati dalla cultura europea fino a tentare di secolarizzare l’istruzione e ad essere buoni padroni della lingua francese (idem: 496-500), l’Impero Ottomano era definitivamente entrato nella sfera di influenza delle potenze dell’Europa occidentale.

L’Altopiano dell’Arasse e la regione circostante, vincolate a due forze en- trambe avvinte, seppure in modo diverso, all’Europa, restavano ancora separate da questa rivoluzione culturale. Nonostante ciò, la propensione russa alla co- struzione di infrastrutture per il controllo dell’area – che si era già realizzata con l’apertura della cosiddetta via militare georgiana e che continuava con la costruzione di importanti ferrovie (King, 2008: 13) – e il presente incerto e vio- lento di quei territori di confine avevano contribuito a far svanire il fascino eso- tico di quelle regioni non ancora assimilate all’universo occidentale. In questo contesto si inseriscono il viaggio e l’opera di Mark Sykes.

Sir Mark Sykes nacque a Sledmere, nello Yorkshire (Regno Unito, Impero Britannico) nel 1879.1 Fu soldato, politico ed emissario britannico, oltre che appassionato orientalista. Viaggiò molto già da ragazzo, anche nel Medio Oriente, al seguito del padre, un baronetto della Corona inglese. Battezzato come cattolico romano per scelta della madre, studiò presso i gesuiti del Beaumont College. In seguito, mentre era studente a Cambridge, fece il suo primo viaggio nel Medio Oriente, alla volta di Damasco e del deserto arabo-si- riano. Era il 1898 e l’intenzione di Sykes era di condurre una qualche osserva- zione scientifica in quel deserto roccioso. Tuttavia, quando il permesso per viaggiare nell’interno siriano gli fu negato dalle autorità locali, Sykes decise di cambiare percorso, di risalire a nord, per attraversare le provincie ottomane

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1 Le informazioni biografiche riguardo a Mark Sykes sono tratte, dove non indicato diversa-

orientali fino a raggiungere le falde del massiccio caucasico e i territori della Russia — già antagonista sullo scacchiere mediorientale dell’Impero britanni- co. Qualche anno dopo essere tornato da questo viaggio, che era stato il primo di una lunga serie, Sykes pubblicò un dettagliato resoconto giorno per giorno, incontro per incontro ed evento per evento, di quella sua esplorazione delle province ottomane orientali, da sud verso nord (Sykes, 1900).2

Come era accaduta per la prima spedizione di Sykes, alle successive – le- gate anche alla sua carriera politica – seguirono relative opere scritte, in cui il viaggiatore inglese espresse sempre una fervente passione per gli aspetti reli- giosi, rurali e autoctoni del Vicino Oriente, così come per il vecchio governo ottomano. Tale impostazione persistette anche quando Sykes, da membro con- servatore del parlamento inglese (arrivò diverse volte a sfiorare i vertici del comando, senza mai raggiungerli), intrattenne prima, durante e dopo la campa- gna dei Dardanelli una corrispondenza abbastanza fitta con un giovane Win- ston Churchill (Capern, 1998). Le acute lettere di Sykes segnalavano all’irruen- te Churchill i rischi dell’operazione che stava pianificando e tentavano di sug- gerire un’alternativa all’insuccesso a cui il disastroso attacco inglese andò incontro.3 L’anno seguente, nel 1916, Sykes negoziò segretamente con il rap- presentante del potere francese Georges François Picot un accordo (noto come accordo Sykes-Picot) che stabiliva le aree di controllo e influenza dei rispettivi governi nel Vicino e nel Medio Oriente, in pratica dall’Anatolia mediterranea al Golfo Persiano — un’intesa le cui conseguenze sono percepibili ancora oggi. Sykes morì nel 1919 a Parigi, dopo aver contratto l’influenza spagnola, mentre partecipava alla celebre conferenza di pace da cui sarebbero scaturito il Trattato di Versailles e il successo politico del principio di autodeterminazione dei po- poli.

Sul fronte caucasico, a fine secolo, seguitando un processo già in atto, alle trasformazioni politiche e sociali si accostava l’alterazione della funzione e della concezione dei confini. Nel Caucaso, così come era già successo a Istan- bul al tempo di Porter, la rapida diffusione di epidemie di colera e peste defini-

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2 Seguendo lo stesso metodo dei capitoli precedenti, d’ora in avanti le indicazioni delle pagine

tra parentesi si riferiscono sempre a Sykes (1900).

3 Se sul versante europeo l’attacco ai Dardanelli fu la più grande débâcle del futuro primo mi-

nistro Winston Churchill; sul fronte opposto fu l’occasione in cui meglio si distinse l’ufficiale ottomano Mustafa Kemal, il futuro Atatürk, mitizzato fondatore della Turchia moderna.

vano un nuovo ruolo per le quarantene. Così Charles King (2008: 22) sintetizza l’importanza di tale mutamento:

“Having a quarantine facility and not just a garrison or a customs of- fice became the essential feature of border posts. Before then the array of overlapping political forms was so great that the modern notion of sover- eignty – recognized control over a defined territory – was difficult to ap- ply.”

Con la sua funzione di stazione di quarantena, I#dır diventava una tappa obbligata per i viaggiatori che attraversavano l’Altopiano, costretti a fermarsi presso il centro abitato da un nuovo esercizio del potere territoriale; e proprio a I#dır, infatti, nel 1898 Sykes valicò il confine tra l’Impero ottomano e l’Impero russo.

Il viaggio di Sykes era iniziato qualche mese prima della sua visita a I#dır, nella città di Damasco, raggiunta via mare dall’Inghilterra. Una volta ricevuto il rifiuto di viaggiare nel deserto, senza fornire particolari spiegazioni al lettore, Sykes decise di partire alla volta di Baghdad, passando per Aleppo.

“I took with me a dragoman, a cook, a waiter, four muleteers, and a groom; Seven syrian mules, fine willing beasts capable of carrying heavy loads; two good country horses for myself and one each for the cook and the waiter; a Persian pony for the dragoman; and last, though not least, a Kurdish sheepdog that answered to the name of Barud, i.e. Gunpowder, and not only attended the pitching and striking of the camp but after nightfall undertook the entire responsibility of guarding it. My camp con- sisted of three tents. One was used by me to sleep in; another I used dur- ing the day and my servant at night; the third served as a kitchen.” [1]

Nei capoversi seguenti Sykes continua la descrizione della propria carova- na, documentando il tipo di tenda utilizzato, i vantaggi e gli svantaggi della sua attrezzatura; quindi descrive uno a uno i suoi compagni di viaggio. Del drago- manno, la guida e la figura più importante, riporta i pregiudizi che l’uomo, cri- stiano di discendenza cipriota, ha su ogni genere di genti — dagli italiani agli armeni, citando tra gli altri i russi, i tedeschi e gli ebrei [3-5]. Alcuni di questi pregiudizi, che pur Sykes riporta con ironia, come quelli sui russi e sugli arme- ni, più tardi verranno ancora riproposti in nuova veste dallo stesso autore. Per quanto questa digressione offerta da Sykes, un vero decalogo del pregiudizio culturale dell’epoca, meriterebbe un approfondimento di per sé, l’elemento per noi più rilevante è anzitutto il fatto che Sykes, in quell’occasione un giovane

turista inglese di famiglia aristocratica, viaggi in numerosa compagnia — cioè con al seguito una vera e propria carovana personale, facile da mettere assieme, che gli permette di scegliere un tragitto piuttosto che un altro. In secondo luogo è da notare che molti dei viaggiatori che accompagnano Sykes non sono sem- plici abitanti del luogo, ma professionisti con una conoscenza molto approfon- dita delle zone, degli itinerari e di tutto quello che riguarda i viaggi: un’espe- rienza maturata al comando (il dragomanno) o al seguito (il cuoco, il camerie- re, facchini e aiutanti in generale) di viaggiatori e militari europei [2-6]. Infine la maggiore discrepanza del diario di Sykes rispetto ai testi precedenti: durante tutta la narrazione del suo viaggio, l’autore mette sempre in mostra il modo di agire di queste figure.4 Il giovane inglese non omette mai il loro contributo nel- l’organizzazione del viaggio o nell’affrontare (e nel creare) dei contrattempi, come aveva fatto quasi sempre Porter; né li trascura, segnalandone la presenza, ma lasciandoli in secondo piano, come De Bianchi. Di queste vere e proprie figure professionali di cui il giovane inglese si serve – che, in modi diversi, forse meno legati al turismo, esistevano già in precedenza – Sykes pubblica nel suo libro anche una fotografia. Quindi, di ognuno di loro indica l’appartenenza religiosa, segnalando con soddisfazione che almeno il dragomanno e i servi dagli incarichi più importanti erano cristiani (di Gerusalemme) — mentre i mu- lattieri erano musulmani [5]. Del dragomanno Sykes propone addirittura una sorta di curriculum, intriso di lodi per la lunga esperienza, per una carriera pre- stigiosa, quasi epica [2-3]. Invero, grazie alla diffusione della letteratura di viaggio e all’exploit coloniale di queste forme acerbe di turismo di massa, le guide dell’epoca potevano raggiungere una certa celebrità, ben oltre la loro pa- tria e gli esperti viaggiatori (Schiffer, 1999).

I riflessi del turismo di massa sono riportati anche da Sykes: all’arrivo a Damasco il giovane inglese racconta di come a quel tempo ci fossero “hoards of English and Americans who invade Syria during the touring season” [2-3]. L’affermazione ci permette anche di dedurre che gli sforzi necessari per effet- tuare un viaggio in terre lontane nel corso del secolo erano drasticamente dimi- nuite, o meglio ancora che per l’Europa l’Oriente mediterraneo era ormai di- ventato vicino. Così, come già era successo nell’Italia del Grand Tour e nella città della Sublime Porta, la frequenza e l’agio dei viaggi aveva creato una di- cotomia che prima dell’Ottocento ancora non esisteva tra la figura del viaggia-

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4 Oltre ai membri della carovana originaria, partita da Damasco, come nel caso di Porter e De

tore e quella, meno positiva, del turista, da cui Sykes sembra già volersi eman- cipare (cfr. Leed, 1991). Tuttavia Sykes si muove proprio come una sorta di turista dagli interessi raffinati, economicamente agiato e ben istruito sulle que- stioni politiche dell’epoca: il suo modo di viaggiare ha pretese più vicine a quelle romantiche ed empiriche dell’avanscoperta di Porter, che al resoconto curioso e distaccato della società e della situazione locale di De Bianchi.

Sykes lascia Damasco il 17 gennaio 1899 alla volta di Aleppo. Muovendo- si sempre all’interno dei territori ottomani, dopo aver incontrato carovane di pellegrini dirette alla Mecca nelle valli dell’Eufrate (nonostante non fosse pro- priamente il periodo dell’hajj, in turco hac) [10], Sykes raggiunge Aleppo e quindi Deir, così come la chiama, ampiamente popolata da “Armenian exiles, broken-down muleteers, and the refuse of Arabia and Turkey” [43]. Deir ez- Zor, la Deir di Sykes, merita un cenno: a quel tempo era un insediamento nel mezzo di un’area desertica, voluto dal potere ottomano per controllare la stra- da, le carovane e i viaggiatori, che da ovest raggiungevano Baghdad. Deir ez- Zor mostra non solo come i viaggiatori praticassero delle strade che, per quanto poco confortevoli o impervie, si inscrivevano ancora in percorsi già noti e isti- tuzionalizzati, dunque ancora una volta “in larga misura prestabiliti” (Clifford, 1997: 47); mostra anche l’azione dei poteri centrali, in questo caso del potere imperiale ottomano, per gestire e controllare i flussi di persone, merci, idee — guidando dunque attraverso questi itinerari le forme di scoperta e acquisizione della conoscenza.

Superata la parte dedicata a Deir ez-Zor, attraverso il racconto dei massacri di armeni e curdi da parte dell’esercito ottomano e delle rovine di un antico castello ebraico [44], la cronaca del viaggio prosegue fino a Baghdad. Da Baghdad Sykes inverte la rotta e raggiunge rapidamente Bitlis, prossima al la- go di Van, e da qui la città che al lago dà il nome. Qui, a caccia dell’esotico sot- to forma di ancora sconosciuto, l’autore si riserva di non descrivere Van giac- ché incontra lì per lì un gruppo di archeologi tedeschi all’opera per preparare un importante lavoro sulla città, desolata e segnata dai massacri armeni, e sui suoi dintorni [97]. Quindi, dopo essersi fermato in città, Sykes “arranged with three muleteers to ride from Van to I#dır in Russia, which they said was a four days’ journey” [98]. Da questo punto in avanti la carovana di Sykes abbandona le tende e i suoi membri iniziano a trascorrere la notte presso stanze che affitta- no, nei villaggi di “arrant thieves” armeni o presso gli insediamenti delle guar-

nigioni hamidiye — anche se Sykes sostiene che questi ultimi erano inaffidabili e pericolosi, ragione per cui non se ne serve come scorta [98-108].

Una strada malagevole per raggiungere I!dır

L’itinerario percorso da Sykes da Van a I#dır è caratterizzato nel suo reso- conto dalla mancanza di vie che permettano spostamenti ritenuti dall’autore adeguatamente rapidi. Vicino a Van, Sykes viene a sapere che la breve strada che congiunge I#dır con Bayazıt, la stessa praticata da De Bianchi, è chiusa — purtroppo non ne esplicita le ragioni, che potrebbero essere legate a questioni politiche, o locali, o alla neve della stagione invernale [98]. Ad ogni modo Sykes decide di aggirare Bayazıt ad ovest, per raggiungere l’ultimo insedia- mento turco di “Chengil”, lo stesso che, probabilmente, avrebbe utilizzato pas- sando per Bayazıt. L’itinerario che Sykes decide di affrontare è raccontato co- me una via impervia, ma costellata di piccoli villaggi. Si svolge principalmente in alta quota e diventa, nella seconda parte, al limite dell’affrontabile.

“The roads between Patnot and Toutah, the next post, were in a dread- ful state; we had deep snow on either side of us and a miry slushy path to struggle through. If it had been fully frozen snow, it would not have been so bad; but we had arrived just at the commencement of the general break up of the winter’s falls, at which time the roads are quite uncertain, and when fording even a small stream one is obliged to probe the bottom be- fore riding into it. This I found out practically, for when fording one my pony suddenly sank and fell; the next thing I knew was that I was being dragged out holding on to the animal’s tail.” [104]

“The next day was the most awful I experienced during the whole of the journey. For the first three hours the road was only moderately bad; but as we advanced to the mountains the snow got higher and higher, and the sun blazing down burnt all the skin off our faces and inflamed our eyes until the whole universe seemed a mass of green and red spots. As we commenced the ascent, the unfortunate mules fell in heaps every two or three minutes and by the match we were about two hours and a half going half a mile. [...] When we left this village our troubles recom- menced, but eventually reached the top of the pass.” [105]

“As I was going over what seemed to be a hard snow drift, the crust gave way and all that I realised was that my head and shoulders were un- derneath a heaving chest and that two grey legs were pounding the snow

on either side of me, when the soldier, who was guiding us, very neatly pulled me out from underneath the two struggling horses by my heels. This was bad enough but there are other and worse dangers connected with these drifts; in some places large rivers run underneath the thawing snow and their whereabouts can only be guessed, whilst in others it is necessary to cross snow bridges which may or may not give way.” [106- 107]

Per quanto la maggior parte dei disagi siano dati dalla presenza della neve, ancora una volta i dettagli dei percorsi, così come narrati dallo studente ingle- se, rivelano la malagevole morfologia del territorio e la carenza di infrastruttu- re.5 L’isolamento dell’Altopiano è ancora una volta evidente, in particolare ri- spetto ai vicini territori ottomani. D’altra parte la presenza di grandi infrastrut- ture che potessero collegare l’Impero ottomano e l’Impero russo, da quasi un secolo ormai coinvolti in un’inesauribile diatriba per i territori del Caucaso me- ridionale, sarebbe poco verosimile.

Durante il viaggio fino al confine russo, che sarebbe durato 10 giorni circa, Sykes e la sua carovana vengono ospitati in diversi villaggi, molti dei quali co- stellano la nuova via tracciata in seguito alla chiusura della strada tra Bayazıt e I#dır. Considerata nel suo complesso, la composizione sociale della regione al confine russo è ancora molto varia e sembra corrispondere maggiormente a quella proposta da De Bianchi che a quella di Porter.

Per dare evidenza delle difficoltà del viaggio e della composizione etero- genea della società locale, può essere utile ripercorrere nel dettaglio le tappe del percorso di Sykes e dei suoi compagni di viaggio. Il 6 aprile è il primo giorno di viaggio in cui gli uomini della carovana di Sykes non montano le tende, dunque il secondo giorno dalla partenza da Van. In questa occasione la carovana partita da Damasco passa la notte presso una casa in un villaggio di armeni.

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