Che ora era? Non lo so, ma era notte fonda. Usciti dai nostri vagoni – più volte e abbondantemente descritti tanto che la loro immagine, il loro ricordo è preponderante sia nelle descrizioni verbali sia in quelle fotografiche o cinematografiche nella memoria dei Lager – ci hanno incolonnati e scortati – SS e cani lupo formavano la scorta50 – su per l’erta che portava al KZ di Mauthausen. Un militare della scorta pose sulle mie spalle il suo zaino.
Varcata l’impressionante soglia della cittadella murata e turrita ci siamo trovati in un piazzale illuminato da potenti fari. E incominciato il consumo delle riserve di vitto fornite con grave rischio e con amorevole impegno dalla Resistenza di Bolzano51 da dove eravamo partiti: latte condensato e gamberetti e altri stranissimi inverosimili accoppiamenti.
Mentre eravamo fermi in una lunga fila di attesa di non sapevamo che cosa, si accostarono dei deportati nelle divise zebrate che vedevamo per la prima volta e anche con la Mütze zebrata e con fare amichevole e suadente cercarono di convincerci a consegnare loro l’orologio e altri valori: «altrimenti ve li requisiscono e noi invece ve li restituiremo». Consegnai l’orologio, ma trattenni l’anello matrimoniale e due gemelli d’oro che nascosi in bocca per consiglio di Magini, collocai nella tasca interna del soprabito il denaro fattoci pervenire assieme ai viveri ed agli strumenti di scasso dalla Resistenza di Bolzano.52
49 A parte varianti minime di punteggiatura, il manoscritto (2 cc., sottili, mm. 210x297, scritte a inchiostro nero sul
recto, con interventi a biro rossa) propone «persuaderci» al posto di «convincerci» (r. 12), «M. M.» per «Magini» (r. 21), omette il nascondimento degli oggetti d’oro «in bocca per consiglio di Magini» (r.14), l’ingenuità circa la restituzione degli abiti («e così ingenuamente pensavo sarebbe accaduto a Mauthausen», rr. 17-18), il particolare del trasferimento «in fila per cinque» (r 25) e gli ultimi due capoversi (rr. 29-37). Al contrario aggiunge, al posto dei puntini di sospensione, «la rasatura» dopo «la doccia» (r. 22) e la precisazione «(dicembre ’44)» (r. 25).
50 «La marcia era chiusa dai cani poliziotti, che addentavano i polpacci dei ritardatari» (Bruno Vasari, Mauthausen…,
cit., p. 21).
51 Essenziale il primo resoconto: «giungemmo al lager dove consumammo rapidamente tutte le nostre riserve di viveri»
(ivi, p. 22).
52 Il cap. II di Mauthausen bivacco della morte, dedicato al lager di Bolzano, terminava così: «Nonostante l’accurata
perquisizione a cui fummo sottoposti, riuscimmo a portare con noi seghe e scalpelli per servircene nei tentativi di fuga. Avevamo inoltre con noi riserve di viveri e di vestiario donateci dai nostri compagni di detenzione e fatteci pervenire dal Cln di Bolzano» (ivi, p. 19).
All’uscita da Bolzano ci avevano ridato i nostri indumenti – e così ingenuamente pensavo sarebbe accaduto a Mauthausen – mentre nel campo vestivamo delle tute dell’aeronautica con una grande croce rossa pitturata sulla schiena: bersaglio sul quale puntare il fucile in caso di fuga.
Mi illudevo di poter ricuperare un giorno il soprabito e riavere il denaro.
Ci hanno fatto spogliare e per consiglio di Magini nascosi i valori residui – anello e gemelli – in bocca.53 Quindi la doccia… e la sfilata dinnanzi alla commissione medica. Cercai di farmi passare per malato, ma fortunatamente i medici non abboccarono.
Ci distribuirono infine una camicia, un paio di mutande e gli zoccoli;54 era venuta l’alba e faceva molto freddo (dicembre ’44) e ci condussero – in fila per cinque – in una baracca del Campo III di quarantena.
Incominciai subito a capire che di nulla dovevamo meravigliarci e che era necessario sopire le emozioni per non soccombere innanzi tempo.
Dicevo e pensavo che bisognava contenere il diagramma delle emozioni in una linea il più possibile piatta: mai abbandonarsi a speranze incerte – filtrava qualche notizia di ritirate tedesche sul fronte russo – di liberazione vicina o alla disperazione nel constatare che niente cambiava o se cambiava in peggio.
Come filtravano le notizie? Gli addetti alle pulizie dei quartieri delle SS che sapevano il tedesco potevano eccezionalmente trovare un giornale o ascoltare una radio.55 Non mi imbattei mai
53 Episodio «significativo», raccontato più di una volta (in questa sede, cfr. Appendice, p. 0); anni dopo Vasari lo
riproporrà: «Su suggerimento di M. M., più esperto di lui in galere, N. L. riuscì a nascondere in bocca, senza essere scoperto dalle SS all’ingresso del campo di concentramento l’anello matrimoniale e due gemelli d’oro. | Avuta finalmente una giacca “gli ori” passarono dalla cavità orale nelle cuciture della fodera. | Un gemello fu usato come merce di scambio che si realizzò in forma triangolare: per il gemello 7 sigarette e per 7 sigarette un pane. | L’altro gemello per un’interruzione nella cucitura della fodera che N. L. ignorava andò a finire sul pavimento. N. L. se ne accorse soltanto quando vide il gemello nelle mani di un compagno che stupito lo soppesava passandolo da una mano all’altra. Reclamarlo come suo? E chi gli avrebbe creduto? E se fosse stato accusato di aver violato gli ordini di consegnare tutti i valori? In quali gravissime pene avrebbe potuto incorrere? Il buon senso gli suggerì di tacere e così fu perduto il prezioso gemello scambiabile con un pane, ma furono evitati guai peggiori. | L’anello meglio custodito passò di fodera in fodera fino al momento in cui N. L. ammalato – con la prospettiva di non farcela – prima di venire trasferito al campo ospedale – vera anticamera della morte – lo passò al compagno M. M. con la preghiera di farlo avere a N. quando fosse ritornato in patria» (Bruno Vasari, Tramonti, Pasian di Prato, UD, Campanotto Editore 2005, pp. 47-48).
54 Quasi identico il racconto iniziale: «Usciti bagnati dalla doccia in un locale percorso da gelide correnti d’aria, fummo
vestiti con camicia e mutande e muniti di zoccoli» (Bruno Vasari, Mauthausen…, cit., p. 22).
55 «Nel campo di Mauthausen campo I, campo libero, dal 18 agosto 1944 erano vietati, pena la morte, l’introduzione di
giornali e la detenzione e l’ascolto di apparecchi radio. Le notizie si propagavano con cautela, poiché parlare di guerra era considerato dalle SS disfattismo» (ivi, p. 42).
in una testimonianza diretta, ma «radio mischi» – l’equivalente di «radio gavetta» – diffondeva le notizie nel Lager. Qualche bombardamento vicino di cui si potevano udire gli scoppi e vedere i lampi accendevano le speranze di una prossima liberazione.
La selezione
56Il Capo dei servizi interni del Revier mi aveva detto «da oggi non posso più farti avere il supplemento di minestra inerente all’incarico presso l’imboccatura della fogna. Scegli tu se vuoi lasciare questo incarico con il rischio di passare durch den Kamin o se vuoi continuare».
La scelta era ovvia, continuare. La prospettiva del Capo non era una minaccia, ma un consiglio in buona fede, come allora mi sembrò di avere interpretato correttamente. Del resto il Capo era un resistente tedesco finito nel Lager per la sua opposizione al Regime nazista: era una mia ritengo fondata supposizione. Era sempre difficile sapere di più.
A breve distanza, un giorno, qualche giorno, delle ore suonò la sirena dell’adunata. Cercai di sottrarmi e di nascondermi. La ronda percorreva il Revier disegnando una spirale con cerchi sempre più stretti (falchi pronti a scagliarsi sulle prede) e fui visto e costretto a presentarmi all’appello. Si doveva sfilare dinnanzi una commissione di medici, di SS, di capi che nell’intento di sfoltire il numero dei deportati nei blocchi decidevano l’appartenenza ad uno dei seguenti gruppi: – malati che potevano rimanere nelle baracche che avrebbero assunto un aspetto più efficiente e ordinato;
– malati da sfollare in grado però di percorrere un breve tragitto a piedi dal Revier al Campo 3 (quarantena); – altri (pochi) in condizioni di poter svolgere i servizi interni del Revier.
Il primo gruppo era forse un campione da mostrare alla Croce rossa internazionale. Il secondo gruppo era destinato alle camere a gas come si intuiva, si sospettava, si sapeva?
Certo la Resistenza del campo si adoperò in alcuni casi con successo per strappare dal gruppo degli elementi. Quanti furono gasati? Il numero è controverso e con precisione non si saprà mai, ma decine, centinaia.
Fui assegnato al terzo gruppo e fu questo un decisivo fattore di sopravvivenza.
56 Nell’autografo (2 cc., sottili, mm. 210x297, scritte a lapis sul recto) «il Capo dei servizi interni del Revier» dà del
«lei» e non del «tu» al deportato (rr. 1-3); manca l’aggettivo «decisivo» attribuito a «fattore» (ultima riga). Varie le aggiunte nei margini laterali con segno di rimando a testo o in interlinea (le parentesi delle rr. 10 e 16; la precisazione relativa ai malati «che avrebbero assunto un aspetto più efficiente e ordinato», r. 13). Significativa la variante che riferisce il sostantivo «numero» ai salvati e non ai «gasati» («Quanti furono gasati! Certo […] elementi. Il numero»; penultimo capoverso).