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L’art 64 del d.lgs n 165 del 2001

1. Il quadro normativo di riferimento

1.2 L’art 64 del d.lgs n 165 del 2001

processo di accertamento pregiudiziale: l’art. 420-bis c.p.c. 2.1. L’iter procedurale e l’ambito applicativo 2.1.1. Pregiudizialità ed oggetto della questione 2.1.2. Il giudice difronte alla questione 2.1.3. Efficacia, validità ed interpretazione della clausola contrattuale 2.2. La pronuncia della sentenza non definitiva 2.3. I rimedi esperibili avverso la sentenza di accertamento pregiudiziale 3. L’avallo costituzionale dell’istituto 4. Zone di ambiguità e lacune della norma.

1. Il quadro normativo di riferimento

Il nuovo testo dell’art. 360, comma 1 n. 3 del c.p.c., risultante dal d.lgs. n. 40 del 2006, prevede il ricorso in Cassazione anche per i casi di “ violazione e falsa applicazione dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro”.

Assieme alla modifica su citata è stato introdotto anche l’art. 420-bis dello stesso codice, che prevede un ricorso immediato in Cassazione

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contro una sentenza emessa dal giudice del lavoro, al fine di risolvere in via pregiudiziale una questione attinente all’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di contratti e accordi collettivi. Entrambe le disposizioni inserite dal Legislatore nella riforma del processo di Cassazione hanno l’evidente intento di conseguire sull’intero territorio nazionale una uniforme operatività degli atti di autonomia collettiva.

Le due norme si vanno ad accostare al meno recente d.lgs. n. 165 del 2001, che prevede il ricorso in Cassazione per violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi nazionali del c.d. pubblico impiego privatizzato.

L’insieme degli interventi, che passeremo in analisi nei paragrafi seguenti, hanno inciso profondamente sul sistema delle fonti del diritto oggettivo, estendendo così la loro rilevanza sul piano costituzionale.

Il sistema delle fonti sembra ampliarsi grazie all’avvenuta parificazione tra la disciplina “ processuale ” del contratto collettivo e quella delle altre norme di diritto (art. 360,1 n. 3 c.p.c.). Il testo collettivo viene ormai trattato dall’ordinamento positivo come una fonte del diritto oggettivo poiché incluso fra i parametri di giudizio di Cassazione.28

Ai fini del giudizio della Suprema Corte il contratto collettivo nazionale è da ritenere norma di diritto in quanto “criterio di qualificazione necessario per il giudice, e cioè vincolante”. 29

28 M.S. GIANNINI, Le relazioni tra gli elementi degli ordinamenti giuridici, 1990 29 BOVE, Il sindacato della corte di Cassazione. Contenuto e limiti, Milano, 1993,

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La recente riforma del giudizio di Cassazione è stata inserita nel palcoscenico giurisprudenziale assodato senza essere coordinata con le precedenti norme sui gradi di merito del processo del lavoro, ciò ha così generato qualche incoerenza nell’intero sistema.

Sarà opportuno ricostruire i momenti che hanno portato alla formazione del nuovo procedimento e l’atteggiamento dei Giudici nei confronti dello stesso.

1.1 La legge delega n. 80 del 2005

Nella legge delega del 14 marzo del 2005 n. 80, per la riforma del processo di Cassazione, il Legislatore, tra i vari principi direttivi, ha ampliato la previsione del numero tre dell’art. 360 del codice di procedura civile “estendendo il sindacato diretto della Corte sull’interpretazione e sull’applicazione dei contratti collettivi nazionali di diritto comune”.

Nessun criterio o principio aveva invece riguardato l’immissione di un meccanismo avente ad oggetto la risoluzione di questioni circa l’efficacia, la validità o l’interpretazione di una clausola del contratto o accordo collettivo, sul modello di quello già in vigore per le controversie di lavoro pubblico privatizzato, disciplinato col d.lgs. n. 65 del 2001.

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Ciò aveva suscitato perplessità e critiche in buona parte della dottrina.30

Soltanto nel 2006 il Legislatore delegato ha previsto un istituto analogo anche per le controversie di lavoro privato; l’art. 420 bis del c.p.c., seppur con qualche differenza rispetto al modello previsto per il lavoro pubblico, rimette sullo stello livello due settori che sembravano fin qui caratterizzati da una profonda differenziazione che la Corte Costituzionale aveva comunque giustificato per non esservi « totale identità di situazioni »31.

Parte della dottrina ha intravisto in questa situazione un eccesso di delega da parte del Legislatore delegato32; eccesso di delega che è stato prontamente smentito dalla stessa Corte di cassazione che ha invece asserito il rispetto dei criteri direttivi da parte del Legislatore nel tentativo di valorizzare la funzione nomofilattica della Suprema corte.

Ad avviso della Corte il legislatore delegato, nell’intento di dare esecuzione alla legge delega ha affiancato «all’estensione della censurabilità in cassazione dei contratti collettivi di livello nazionale un istituto servente … che acceleri l’intervento della Corte e quindi la

30 V.A. TEDOLDI, La delega sul procedimento di cassazione, in Riv. Dir. Proc.,

2005, p. 935 ss.

31 Corte Costituzionale 5 giugno 2003, n. 199., in Il Foro it., La Corte sottolineava

che “le peculiarità del contratto collettivo nel pubblico impiego…rendono impossibile ritenere a priori irrazionali le peculiarità della disciplina del processo in cui quel contratto collettivo – ben diverso da quelli c.d. di diritto privato – deve essere applicato”.

32 R. FOGLIA, Impugnabilità delle sentenze per violazione dei contratti collettivi e

accertamento pregiudiziale ai sensi dell’art. 420 bis, in Giornale dir. lav. e rel. ind., 2006.

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formazione di una giurisprudenza che tale funzione nomofilattica realizzi più tempestivamente»33.

Occorre anche sottolineare che lo stesso orientamento è stato seguito dalla Corte costituzionale che ha negato l’eccesso di delega del legislatore dichiarando la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale (sollevata dal tribunale di Genova) con sentenza n. 298 del 2007.

Un altro dubbio da sciogliere dopo quello dell’eccesso di delega è legato sempre ai criteri direttivi, ma con riguardo stavolta al conflitto tra “ l’accertamento pregiudiziale” ex art. 420 bis e un principio contenuto nella legge delega secondo il quale “non sono immediatamente impugnabili con ricorso in cassazione le sentenze che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio” 34. Quest’ultimo inciso, che viene riportato

nell’art. 360 comma 3 c.p.c., si porrebbe in contrasto con la possibilità di impugnare in maniera immediata davanti la Corte di cassazione tutte quelle sentenze non definitive su questioni « pregiudiziali » di cui al nuovo art. 420-bis.

La stessa Cassazione ha ritenuto di poter superare questo contrasto con una lettura che traspare sin dalle prime sentenze con ad oggetto l’art 420-bis35; si sottolinea che in realtà l’art. 360,3° comma vale

solo per le sentenze non definitive di secondo grado e che tutt’altro

33 Cass. 19 febbraio 2007, n. 3770.

34 L’art. 360 comma 3, c.p.c. continua precisando che «il ricorso in cassazione

avverso tali sentenze può proposto, senza necessità di riserva, allorché sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio»

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invece rappresenta l’istituto introdotto dall’art. 420-bis, essendo questo un rimedio diretto che non opera in grado d’appello.

Alla base di questo approccio giurisprudenziale la Suprema Corte argomenta che la differenza tra le due disposizioni ben giustifica l’utilizzo di uno strumento deflattivo come quello del controllo sull’efficacia, la validità e l’interpretazione del testo contrattuale, richiamando i principi della ragionevole durata del processo ed immediatezza della tutela giurisdizionale36.

1.2 L’art. 64 del d.lgs. n. 165 del 2001

Avevamo accennato al fatto che il procedimento elencato nel nuovo art. 420-bis in realtà si inspira ad uno strumento analogo che il nostro Legislatore aveva già previsto nell’ambito del lavoro pubblico con il d.lgs. n. 165 del 2001.

36 Il principio costituzionale della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.),

unito a quello dell’ immediatezza della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.) comportano l’esigenza di un bilanciamento tra il vantaggio che si trarrebbe da un immediato ricorso nomofilattico della corte di cassazione ed il ritardo che si avrebbe nella definizione della controversia. Questo bilanciamento opera in maniera più efficiente in primo grado di giudizio, dove grazie all’azione di accertamento si può attingere più rapidamente alla Suprema corte. Mentre in appello, questo bilanciamento risulta poco attuabile dal momento che la sentenza di secondo grado è già di per sé ricorribile in cassazione, venendone meno così il beneficio acceleratorio.

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Le decisioni legislative del biennio ’92-93 avevano devoluto al giudice civile quasi tutte le controversie di lavoro relative ai rapporti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni37.

Era necessario quindi approntare delle misure di «carattere ordinamentale, processuale e sostanziale per mettere la giustizia del lavoro in condizione di rispondere in modo adeguato alla vecchia e alla nuova domanda di giustizia»38.

Il problema più grosso era rappresentato dalle c.d. controversie seriali o di massa, quelle controversie che venivano promosse dai singoli lavoratori o da gruppi di essi e che avevano ad oggetto questioni di fatto o diritto attinenti allo stesso contratto collettivo. A ragione di questo fenomeno il numero delle cause subì un incremento alquanto consistente, tale da indurre gli esperti del settore a reclamare l’esigenza di un procedimento idoneo a concludersi con una decisione valevole per tutte le controversie in gioco.

Si susseguirono negli anni diverse proposte; alcune vennero rapidamente accantonate39, altre invece trovarono un terreno più fertile nonostante le notevoli modifiche nel corso degli anni.

Il legislatore aveva inizialmente formulato la sua idea su un modello ispirato al rinvio pregiudiziale di cui all’art. 234 Trattato CE: se nel

37 Legge 23 ottobre 1992 n. 421 e D.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29.

38 Così M.D’ANTONA, Le trasformazioni del diritto del lavoro e la crisi del

processo, in Modificazioni del diritto del lavoro e crisi della tutela processuale, Milano, 1994, p.13

39 Una di queste proposte consisteva nell’estendere l’efficacia della pronuncia

giudiziale di una controversia individuale a tutte le controversie dove fossero coinvolti i lavoratori dell’azienda convenuta, a condizione che il giudice avesse posto in essere tutte le garanzie di pubblicità tali da consentire ad ogni singolo lavoratore interessato di la conoscenza del giudizio.

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corso del processo promosso dal singolo lavoratore o dall’azienda nasceva la necessità di risolvere una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione di clausole contrattual collettive, il giudice della causa doveva rimettere la questione alla Corte di cassazione, senza assumere decisioni a riguardo.

Il parere della Corte sulla questione avrebbe vincolato il giudice del procedimento principale, ma non tutti gli altri giudici che si sarebbero trovati ad affrontare la medesima questione. Questi avrebbero avuto la possibilità di uniformare la propria interpretazione a quella della Suprema corte, oppure a non condividerla e a rimettere, quindi, la questione alla corte stessa.

Tale soluzione però suscitò parecchie critiche, soprattutto tra i membri del consiglio superiore della Magistratura40, e il modello basato sul rinvio pregiudiziale fu definitivamente accantonato.

Le idee susseguitesi negli anni vennero raccolte organicamente nel D.lgs. 30 marzo del 2001 n. 165, che ha introdotto nella previsione dell’art. 64 “l’accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità e interpretazione dei contratti collettivi”.

Secondo il modello dettato dalla nuova disposizione, il giudice, quando per la definizione di una controversia di lavoro individuale alle dipendenze della pubblica amministrazione, si trova nella necessità di «risolvere in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale, sottoscritto dall’ARAN», dispone, con

40 Vedi a riguardo Parere del 12 marzo, 1998. In più sull’argomento R.

VACCARELLA, Appunti sul contenzioso del lavoro dopo la privatizzazione del pubblico impiego e sull’arbitrato in materia di lavoro, in Arg. Dir. Lav., 1998.

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ordinanza, la comunicazione del ricorso introduttivo e della memoria difensiva all’ARAN41 (Agenzia Rappresentanza Negoziale Pubbliche

Amministrazioni), fissando una nuova udienza non prima di centoventi giorni. A questo punto l’ARAN, convocate le organizzazioni sindacali, verifica la possibilità di un accordo sull’interpretazione autentica del contratto o accordo collettivo, ovvero sulla modifica della clausola controversa.42

Se non viene raggiunto nessun accordo, la questione viene decisa dal giudice con sentenza non definitiva, impugnabile solo con ricorso immediato in Cassazione sospendendo automaticamente il processo43. La questione viene così decisa dalla corte di Cassazione che può

accogliere il ricorso o rigettarlo, facendo così propria

l’interpretazione del giudice di merito; in entrambi i casi la corte rinvia la causa allo stesso giudice che ha emanato la sentenza cassata.

41 Ciò che va sottolineato è che l’esperienza di questi anni dimostra che le ipotesi di

rinvio dal giudice del lavoro all’ARAN perché verifichi in contraddittorio con le organizzazioni sindacali la possibilità di un accordo non sono numerose; le organizzazioni sindacali (ed in particolare la CGIL) si mostrano sempre più restie a partecipare agli incontri indetti dall’Aran; poche sono le sentenze non definitive rese dal giudice del lavoro sulla questione “pregiudiziale”; rari sono i ricorsi in cassazione proposti avverso tali decisioni e poche sono le decisioni della Suprema Corte”, in questi termini ad esempio si è espresso Trisorio Liuzzi G., L’accertamento pregiudiziale dei contratti collettivi dal d.lgs. n. 80 del 1998 al d.lgs. n. 40 del 2006, in www.judicium.it.

42 L’eventuale accordo raggiunto va a sostituire la clausola controversia sin

dall’inizio della vigenza del contratto. Così spiega l’art. 49 del D.lgs. n . 165 del 2001.

43 Cass. 17 marzo 2005, n. 5892, in Giust. Civ., 2006. La corte precisa che è

inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza non definitiva di cui all’art. 64 d.lgs. 165 del 2001, se questo contiene questioni di diritto non attinenti all’interpretazione della clausola controversa.

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Per quanto riguarda l’efficacia della sentenza della corte, essa vincola sia il giudice che ha emesso la sentenza non definitiva sia ogni altro giudice adito per quella stessa controversia (come ad es. potrebbe essere il giudice d’appello o la stessa Cassazione).

La sentenza però non ha efficacia vincolante nei confronti di giudici aditi per controversie diverse da quella nel corso della quale è stata resa la sentenza non definitiva. Il giudice che si trovasse comunque a decidere di una questione analoga a quella sulla quale la corte ha espresso il suo parere, avrebbe davanti a sé una duplice alternativa: da un lato potrebbe adottare l’interpretazione già data dalla corte poiché ne condivide la soluzione e quindi decidere nel merito la controversia; oppure potrebbe emanare una sentenza non definitiva che potrebbe essere a sua volta impugnata in Cassazione.

Il sesto comma dell’art. 64 del d.lgs. ci dice anche che durante il giudizio davanti alla corte di Cassazione, i giudici di altri processi possono sospendere d’ufficio il procedimento adito per la stessa questione e aspettare il parere della Suprema corte. Tale sospensione è facoltativa e la legge non chiarisce sei giudici che hanno sospeso il processo sono poi vincolati dalla pronuncia della Cassazione sulla questione oggetto d’esame.

L’intento del Legislatore con la previsione di questa norma era quello di pervenire ad un’uniformità di soluzioni circa questioni attinenti l’interpretazione delle clausole contrattuali, soprattutto nell’ambito di quelle che erano le controversie seriali o c.d. di massa.44

44 Così F.P. LUISO, Commento all’art. 30, in Amministrazioni pubbliche, lavoro,

processo. Commento ai d.lgs. n. 31 marzo 1998, n.80 e 29 ottobre 1998, n. 387. A cura di M. Dell’OLIO e B. SASSANI, Milano, 2000. Vedi ancora a riguardo: M.

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A conferma di quanto abbiamo appena detto basta ricordare il ruolo che la nuova normativa ha assegnato all’ARAN e alle organizzazioni sindacali all’interno del procedimento.

1.3 Il ruolo dell’ARAN e la portata deflattiva della

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