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La pregiudiziale interpretativa del contratto collettivo

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Academic year: 2021

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INDICE

Cenni introduttivi ... 5

CAPITOLO

PRIMO:

IL

CONTRATTO

COLLETTIVO NEL PROCESSO DEL LAVORO:

NATURA E INTERPRETAZIONE ... 8

1. L’efficacia del Contratto Collettivo: teoria

dell’incorporazione o mandato irrevocabile? ... 12

2. Contratto collettivo come fonte di diritto all’interno del

processo del lavoro. ... 14

3. L’interpretazione del contratto collettivo nel

Giudizio di Cassazione ... 18

3.1 Il criterio di interpretazione letterale ... 19

3.2 I criteri oggettivi di interpretazione: gli artt.

1367-1371 c.c ... 23

3.3 Interpretazione estensiva e analogia ... 24

3.4 Interpretazione del contratto collettivo ed esigenze

di uniformità ... 26

(2)

2

4 Conclusioni ... 28

CAPITOLO

SECONDO

:

L’ART.420-bis:

L’ACCERTAMENTO

PREGIUDIZIALE

SULL’EFFICACIA,

VALIDITA’

E

INTERPRETAZIONE DEI CONTRATTI E ACCORDI

COLLETTIVI ... 30

1. Il quadro normativo di riferimento ... 30

1.1 La legge delega n. 80 del 2005 ... 32

1.2 L’art. 64 del d.lgs. n. 165 del 2001... 35

1.3 Il ruolo dell’ARAN e la portata deflattiva della

norma ... 40

2. Il nuovo processo di accertamento pregiudiziale: l’art.

420 bis c.p.c. ... 43

2.1. L’iter procedurale e l’ambito applicativo ... 46

2.1.1 Pregiudizialità ed oggetto della questione ... 52

2.1.2 Il giudice difronte alla questione ... 57

2.1.3 Efficacia, validità ed interpretazione della

clausola contrattuale ... 60

(3)

3

2.2 La pronuncia della sentenza non definitiva ... 62

2.3 I rimedi esperibili avverso la sentenza di

accertamento pregiudiziale ... 64

3 L’avallo costituzionale dell’istituto ... 67

4 . Zone d’ambiguità e lacune della norma ... 72

CAPITOLO TERZO: NOMOFILACHIA DELLA

CASSAZIONE

E

SINDACABILITA’

DEL

CONTRATTO COLLETTIVO ... 76

1. Il giudizio di legittimità prima della riforma ... 77

2. Il processo di cassazione dopo la novella n. 40 del 2006

... 79

2.1 Nomofilachia e accertamento pregiudiziale ex art.

420-bis c.p.c. ... 81

3. L’ art. 360 n. 3 del cod. proc. civ. dopo la riforma del

2006 ... 83

3.1 La breve esistenza del “quesito di diritto” ed il suo

ruolo nel procedimento ex art. 420 bis cod. proc. civ. ... 87

4. La giurisprudenza di legittimità della Corte ... 92

(4)

4

4.1 Prime applicazioni giurisprudenziali: la sentenza n.

2796 del 2008, fra libertà interpretativa della Corte e

limiti della stessa... 93

4.2 La sentenza n. 3098 del 2008 ... 97

5. Ulteriori evoluzioni giurisprudenziali ... 100

5.1 Le altre sentenze del 2008 ... 100

5.1.1. L’ “autonomia interpretativa” ... 103

5.2 La sentenza n. 20075 del 2010 ... 104

5.3 Recenti interventi giurisprudenziali ... 106

6. Alcuni punti di criticità ... 108

7. Conclusioni ... 109

(5)

5

Cenni introduttivi

La propensione odierna alla formulazione pressoché ambigua del contenuto del contratto collettivo, accresce l’esigenza di un’autentica esegesi del testo contrattuale e devolve, al contempo, al Legislatore, l’onere di fornire idonei strumenti di accertamento circa la validità, l’efficacia e l’interpretazione dei contratti collettivi.

I problemi giuridici dell’interpretazione del contratto collettivo non rivestono soltanto il fascino teorico che è ben testimoniato dallo stratificarsi dell’elaborazione dottrinale1, ma finiscono per interessare

in maniera notevole buona parte dell’operato giurisprudenziale e il contributo di quest’ultimo all’evoluzione del diritto del lavoro. È sotto gli occhi di tutti il dibattitto in seno alla dottrina giuslavoristica circa la particolare struttura del contratto collettivo, relativamente soprattutto all’efficacia delle sue clausole normative e ad il suo inquadramento più preciso all’interno del sistema delle fonti di diritto. La trattazione seguente, tratterà in prima battuta l’analisi degli aspetti fondamentali e strutturali del contratto collettivo di lavoro focalizzando l’attenzione soprattutto sulle questioni derivanti dall’interpretazione del testo contrattuale. Partendo da qui la nostra

1 Tra i principali contributi G. GIUGNI, Appunti sull’interpretazione del contratto

collettivo, in RDL, 1957, II, p. 169 ss.; A. CESSARI, L’interpretazione dei contratti collettivi, Milano, Giuffrè, 1963; M.V. BALLESTRERO, Note in tema di interpretazione dei contratti collettivi, in RTDPC, 1969, p. 36 ss. e 810 ss.; P. CURZIO, L’interpretazione del contratto collettivo, in R. BORTONE, P. CURZIO, Il contratto collettivo, Torino, Utet, 1984, p. 325 ss.

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6

disamina si sposterà principalmente sul nuovo art. 420 bis del codice di proc civ, introdotto con d.lgs. n. 40 del 2006 e sul nuovo ruolo della Corte di Cassazione previsto dal Legislatore.

La novella del 2006 da un lato, istituisce, nel giudizio di primo grado, meccanismi processuali di accertamento pregiudiziale sulla validità efficacia ed interpretazione del testo del contratto collettivo (art. 420

bis cod. proc. civ.) e dall’altro, nel giudizio di legittimità, attribuisce

alla Corte di Cassazione il potere di sindacato sul contenuto e sul valore normativo della clausola contrattuale censurata, in attuazione del fine di “nomofilachia accelerata”. Sin dal 1990 sono state diverse le riforme che hanno inciso sulla struttura del procedimento al fine di favorire una maggiore snellezza nel rito ordinario nonché una maggiore effettività nel processo esecutivo. Tra i diversi interventi legislativi quello che maggiormente ci interessa è proprio il D.Lgs. n 40 del 2006, che ha modificato per alcuni aspetti il processo di

Cassazione, rafforzando la funzione nomofilattica che lo

caratterizzava in maniera ontologica.

Il nuovo processo di Cassazione ha per oggetto i ricorsi proposti nei confronti delle sentenze e dei provvedimenti pubblicati a partire dal 02.03.2006 e cioè proprio dall’entrata in vigore del D.Lgs. N 40 del 2006. La novità sicuramente più significativa sta nella possibilità di azionare il processo di Cassazione non solo per la violazione di norme di diritto in senso stretto ma anche delle norme contenute in contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro. Il nuovo art. 360 co.1, n. 3 del Cod. Proc. Civ. precisa che possono essere impugnate in Cassazione le sentenze pronunciate in gradi d’appello o in unico

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7

grado “ per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro”.

In piena armonia con questa previsione è stato introdotto all’interno del codice di procedura civile l’art. 420-bis. Come avremo modo di osservare più avanti il succitato art. instaura un nuovo processo di accertamento pregiudiziale in mano al giudice di merito circa questioni riguardanti l’efficacia, la validità e l’interpretazione dei contratti collettivi. La decisione del giudice del lavoro, derivante proprio da questo accertamento, può oggi, a detta del nuovo art. 420-bis, essere impugnata con ricorso diretto in Cassazione.

La Corte a questo punto potrà esprimersi circa l’interpretazione delle clausole del contratto collettivo oggetto della decisione del primo giudice.

Questo nuovo procedimento permette dunque alla corte di cassazione di rafforzare la sua posizione di nomofilachia in una materia, quale quella della interpretazione dei contratti collettivi, che, in ragione delle ambiguità e delle lacune riscontrabili spesso nelle clausole pattizie e della conseguente difficoltà della loro interpretazione, non di rado si connota per dicta giurisprudenziali tra loro contrastanti. Saranno prese in esame diverse sentenze della Suprema Corte dal 2006 ad oggi e cercheremo di tracciare le linee del suo orientamento giurisprudenziale in materia di interpretazione di accordi e contratti collettivi.

(8)

8

CAPITOLO PRIMO

IL CONTRATTO COLLETTIVO NEL PROCESSO

DEL LAVORO: NATURA E INTERPRETAZIONE

Sommario: 1. L’efficacia del contratto collettivo di lavoro: teoria

dell’incorporazione o mandato irrevocabile? 2. Contratto collettivo come fonte di diritto all’interno del processo del lavoro. 3. L’interpretazione del contratto collettivo nel Giudizio di Cassazione.

3.1. Il criterio di interpretazione letterale. 3.2. I criteri oggettivi di

interpretazione: gli artt. 1367-1371 c.c. 3.3. Interpretazione estensiva e analogia. 3.4 Interpretazione del contratto collettivo ed esigenze di uniformità 4.Conclusioni.

Premessa

.

La trattazione di un argomento così delicato e complesso come può essere quello relativo al ruolo del contratto collettivo all’interno del processo del lavoro giustifica una preliminare disamina della struttura e della natura di tale contratto, in virtù soprattutto del fatto che da tale natura derivano poi le regole di interpretazione presenti nel nostro ordinamento.2

Una parte significativa del contenzioso del lavoro ruota oggi proprio attorno alla controversia interpretazione delle clausole dei contratti

2 Se si considera il contratto collettivo come un contratto di diritto comune si

tenderanno ad applicare le norme del codice civile relative all’interpretazione dei contratti, diversamente potranno applicarsi le norme del codice civile relative all’interpretazione della legge qualora si consideri lo stesso fonte del diritto.

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9

collettivi. Basti pensare ad esempio a materie quali la retribuzione, gli orari di lavoro o i livelli di inquadramento.

Come evidenziato in letteratura3, le problematiche di interpretazione sono patologicamente insite nella struttura e natura del testo contrattuale. Infatti, la predisposizione del contratto ad opera di soggetti quali le associazioni sindacali, diversi quindi dai soggetti ai quali le norme sono destinate (lavoratori e datori di lavoro), comporta la naturale conseguenza che questi ultimi spesso e volentieri si troveranno in conflitto sul significato di una norma dalla cui formazione sono rimasti estranei. Appartiene inoltre a questa prassi contrattuale la tendenza di pervenire alla formulazione di clausole ambigue quasi volutamente, spesso individuate dai contraenti come unico punto di intesa possibile, dopo lunghissime trattative, per poi demandare in ultima istanza alla magistratura l’arduo compito di definire una volta per tutte l’assetto di alcuni istituti. La funzione regolativa e normativa del contratto collettivo impone alle parti che lo redigono spesso la necessità di pervenire a delle clausole anche incerte o di non chiara formulazione.

L’importanza che riveste il tema dell’interpretazione del contratto collettivo è apprezzabile non solo da un punto di vista teoretico ma anche sul piano giurisdizionale, dove le sentenze in materia stanno contribuendo notevolmente allo sviluppo del diritto del lavoro.4

3 P. ALLEVA, Il cosiddetto “abuso” del processo del lavoro e le parti sociali, in

RGL, 1995, I, p. 145; E. GRAGNOLI, Profili dell’interpretazione dei contratti collettivi, Milano, Giuffrè, 2000

4 Tra i principali contributi: G. GIUGNI, Appunti sull’interpretazione del contratto

(10)

10

Come abbiamo già accennato, spesso i problemi di interpretazione del testo contrattuale derivano dalla natura ambigua dello stesso; l’eterno dilemma che ruota attorno alla figura del contratto collettivo è se questo possa continuare a considerarsi un contratto di diritto comune o debba qualificarsi come una “ fonte ” del diritto oggettivo, seppur con evidenti differenzi rispetto alle fonti statuali. In questa seconda prospettiva, molto diffusa in dottrina5, il contratto collettivo assumerebbe la forma di una fonte di diritto atipica, detta appunto

extra ordinem. Si tratterebbe, meglio, di una fonte legale6 seppur con delle caratteristiche proprie.

Sembra del tutto superata la concezione del contratto collettivo come strumento unicamente privatistico; seppur stipulato in piena libertà sindacale esso persegue sì fini privatistici ma persegue altresì pubblici interessi. Questo dal momento che il contratto collettivo di diritto comune, allo stesso modo della legge, è destinato ad esplicare i suoi effetti nei confronti di una serie di soggetti non determinata e ha l’attitudine di regolamentare, come la legge, i rapporti individuali di lavoro. In questa prospettiva il CC sarebbe considerato espressione di una vera e propria autonomia normativa e quindi fonte di diritto.7

Milano, Giuffrè, 1963; M. PERSIANI, Natura e interpretazione delle norme delegate sui minimi di trattamento ai lavoratori, in RDL, 1963.

5 L. ZOPPOLI, Il contratto collettivo come fonte: teorie ed applicazioni, in

Santucci-L.Zoppoli, Il contratto collettivo e disciplina dei rapporti di lavoro, Torino, Giappichelli, 2004;

6 Così CRISAFULLI, Lezioni di diritto Costituzionale, Padova, Cedam, 1984; o

MODUGNO, Fonti del diritto, in EGT, vol. XIV, Roma, 1989.

7 Vedi GHERA, in AA. VV. Il sistema delle fonti del diritto del lavoro. Atti delle

Giornate di studio di diritto del lavoro: Foggia-Baia delle Zagare, 25-25 maggio 2001, Milano, Giuffrè, 2002

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Una parte della dottrina8, d’altro canto, colloca le argomentazioni appena descritte in una visione piuttosto antiquata del diritto privato. In una luce più recente il diritto privato non tende ad essere solo espressione di diritti individualistici ma è ben aperto ad accogliere anche autonomie che non siano individuali. La concezione del diritto privato come diritto che prende in considerazione esclusivamente diritti individuali, infatti, è ritenuta dagli stessi ormai superata , anche a ragione della profonda evoluzione che quel diritto ha subito per effetto delle rilevanza assegnata dalla Costituzione sia alle formazioni sociali, che in particolare alle coalizioni dei lavoratori. (art. 2 e art. 39 Cost.)

Ritenendo dunque, soprattutto in ambito lavoristico, che il diritto esistente non sia tutto di origine statale e considerando la presenza di autonomie sociali diverse dalle autonomie individuali, si può facilmente arginare la difficoltà di dare una fondazione dogmatica al contratto collettivo di diritto comune coerente alla sua natura di atto di autonomia privata, senza però collocare lo stesso all’interno del sistema delle fonti.

L’ordinamento consentirebbe all’autonomia collettiva di assumere una posizione di eteronomia: il contratto collettivo opererebbe

dall’esterno sul rapporto di lavoro, non creando obbligazioni

ma regolando direttamente il rapporto individuale; non c’è

incorporazione del contratto collettivo in quello individuale ma la disciplina è quella di volta in volta posta dal contratto collettivo. Il contratto resta l’atto di esercizio di un potere di legislazione materiale

8 PERSIANI, Il contratto collettivo di diritto comune nel sistema delle fonti del

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12

delegato dallo Stato ai sindacati; nonostante non si possa parlare di una vera e propria fonte di diritto, del contratto esso ha conservato solo la forma ma non la sostanza.9

1.

L’efficacia del Contratto Collettivo: teoria

dell’incorporazione o mandato irrevocabile?

Come già accennato il contratto collettivo stipulato tra i sindacati rappresentanti dei lavoratori e datori di lavoro spiega poi i suoi effetti proprio nei rapporti tra questi ultimi soggetti.

Soprassedendo al problema della natura normativa del contratto collettivo, la dottrina, utilizzando diverse regole e strumenti di diritto privato, si fa carico di spiegarne l’efficacia nei confronti degli iscritti alle associazioni stipulanti e agli aderenti. Esistono a riguardo due teorie che possiamo definire storiche, in virtù dell’ormai tempo al quale risalgono e del successo che le ha attorniate.

La cosiddetta teoria dell’incorporazione, seguita principalmente dalla dottrina tedesca, si basa sul principio dell’immedesimazione tra le associazioni sindacali, parti stipulanti il contratto collettivo per la regolamentazione dei rapporti di lavoro, e i prestatori e datori di lavoro che quelle associazioni rappresentano ed assistano. Incorporazione in virtù della quale le clausole dei contratti collettivi si inseriscono senz’altro nei contratti individuali di lavoro. Tale teoria lascia però dei dubbi circa i suoi fondamenti strettamente giuridici e

9 MENGONI, Il contratto collettivo nell’ordinamento giuridico italiano, in La

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rischia di cagionare un irrigidimento delle clausole del contratto collettivo nei contratti di lavoro individuali togliendo alle parti stipulanti il potere di modificarle in casi di esigenze e ragioni sopravvenute.10

La dottrina italiana ritiene invece che i datori di lavoro e i lavoratori attribuiscano alle associazioni sindacali stipulanti un vero e proprio mandato irrevocabile ai sensi dell’art 1723 comma 2, c.c., in quanto “conferito anche nell’interesse del mandatario e dei terzi”, salvo che, come previsto dal comma 1, non ricorra una diversa pattuizione o una giusta causa di revoca. Sorge però il dubbio che sia i lavoratori quanto i datori di lavoro vogliano conferire alle associazioni sindacali a cui appartengono il mandato, per lo più irrevocabile a stipulare il contratto collettivo; soprattutto visto che i sindacati decidono, non di rado, di sottoporre l’approvazione del contratto al voto dei lavoratori, dal quale viene fatta dipendere la sua efficacia. E rimane sempre da verificare come possa poi il mandato, divenuto irrevocabile ai sensi dell’art. 1723 comma 2, c.c., adattarsi alle volontà difformi manifestate in ipotesi dei datori o prestatori di lavoro.

Secondo l’illustre argomentazione di F. Santoro Passarelli, nel suo

Nozioni di diritto del Lavoro, « il richiamo all’art 1723 del codice

civile aiuta a comprendere come il singolo lavoratore e il datore di lavoro, assoggettando la loro autonomia a quella collettiva con l’adesione alle associazioni stipulanti, non possono neppure di accordo derogare al contratto collettivo le cui clausole si si sostituiscono automaticamente a quelle pattizie invalide; e le

10 Da ultimo R. SCOGNAMIGLIO, Manuale di diritto del lavoro, 2005, Jovene,

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rappresentanze unitarie delle associazioni registrate sono investite ai sensi dell’art. 39 Cost. dell’ufficio privato della cura dell’interesse della categoria, in una forma che richiama l’istituto della rappresentanza legale11». L’autorevole disamina non riesce però del tutto a superare la difficoltà sollevata dalla concezione privatistica propria della realtà sindacale e dell’ostacolo di quella efficacia erga

omnes del contratto collettivo che può scaturire nel nostro

ordinamento soltanto da una legge della Stato.

2. Contratto collettivo come fonte di diritto all’interno

del processo del lavoro.

E’ indubbio che il contratto collettivo costituisce espressione dell’autonomia negoziale degli stipulanti e quindi rientra senza troppi dubbi nella nozione di contratto prevista dall’art. 1321 del codice civile; è tuttavia anche vero che esso è in grado di realizzare gli effetti tipici di un atto normativo, fungendo da fonte di regolamentazione dei rapporti individuali di lavoro. Questa ambivalente natura è stata inquadrata nella carneluttiana definizione di un atto che ha “ il corpo di un contratto ma l’anima della legge”.12

Dunque, al fine di individuare i criteri di interpretazione del contratto collettivo, le scelte oscillavano fra i criteri previsti dall’art. 12 disp.

11 Istituto giuridico mediante il quale viene conferito il potere di rappresentanza in

capo ad un soggetto e nell'interesse del rappresentato.

12 F. CARNELUTTI, Teoria del regolamento collettivo dei rapporti di lavoro,

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prel. c.c. riferiti alla legge e all’atto normativo in generale, e alla disciplina dei contratti indicata dagli art. 1362 e ss. del c.c.

La dottrina non ha esitato a ritenere i canoni di ermeneutica privatistica i più idonei all’interpretazione del contratto collettivo, soprattutto quelle regole c.d. oggettive derivanti dagli artt. 1367-1371 c.c., in quanto ritenute più idonee a guidare l’interpretazione di un atto, quale il contratto collettivo, dalla spiccata attitudine regolativa13. Questa teoria si è però molto focalizzata sull’interpretazione come corollario di questioni di carattere generale del contratto collettivo tralasciando i veri problemi generali della teoria dell’interpretazione giuridica. La sterilità argomentativa della visione privatistica del contratto collettivo, tuttavia, è accompagnata dalla sopravvalutata questione che lo vede invece inserito all’interno delle fonti di diritto oggettivo.

La riforma processuale del 2006 ha riaperto spunti di riflessione sull’argomento; se accostiamo « contratto collettivo » e « processo del lavoro », alla luce del nuovo intervento operato con d.lgs. n. 40 del 2006 , non possiamo non renderci conto della metamorfosi subita dal contratto collettivo in oltre mezzo secolo di tempo.14

Non si può certo restare indifferenti difronte alle scelte del Legislatore, il quale sembra aver avvicinato ancora di più, grazie al suo intervento, la figura del contratto collettivo a quella di una fonte

13 O. MAZZOTTA, Divagazioni in tema di interpretazione del contratto collettivo,

in R. Flammia, L’interpretazione dei contratti collettivi di lavoro, Roma, Bancaria Editrice, 1999; o anche G.SANTORO PASSARELLI, Funzione paralegislativa, collegamento negoziale, dimensione territoriale: spunti per l’interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune, Ibid.

14 Così M. RUSCIANO, La metamorfosi del contratto collettivo, in Rivista

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16

del diritto oggettivo. La nuova previsione stabilisce ora il diretto controllo della Corte di Cassazione sull’interpretazione dei contratti collettivi al pari di quanto avviene per le altre fonti di rango primario. Non si può per altro affermare che la novella del d.lgs. n. 40 del 2006 sia un intervento improvviso: da un lato perché la ricorribilità in Cassazione per violazione e falsa applicazione delle norme di un contratto collettivo era già stata prevista per i contratti collettivi di lavoro pubblico15, dall’altro perché esso sembra la logica conseguenza derivante dall’insufficienza delle classiche ricostruzioni delle autonomie sindacali a spiegare le peculiarità di un atto assai differente da un semplice contratto.

Fra tutti spicca il carattere della “ polifunzionalità” del contratto collettivo, grazie alla quale la funzione di « contratto normativo » è solo una delle sue varie funzioni e nemmeno, forse, la più importante. Sicché ricondurre il contratto collettivo ai soli schemi del diritto comune significherebbe tagliar fuori un sacco di elementi nuovi e significativi che l’hanno mutato e che, per forza di cose, maggiormente incidono sull’ordine sociale. Questi elementi fanno si che si possa parlare del contratto collettivo come architrave di un insieme di regole che godono di una autonoma giuridicità ( addirittura originaria )16; si potrebbe così parlare di un “ ordinamento sindacale ”

vero e proprio da porsi in parallelo con l’ “ ordinamento statuale ”.17

15 V. TRISORIO LIUZZI, Controversie relative ai rapporti di lavoro, in Il lavoro

alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, Commentario diretto da F. CARNICI-D’ANTONA, Milano, 2000, p. 1860 e ss.

16 Così GINO GIUGNI sin dagli inizi degli anni 60.

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Alla luce di ciò può essere meglio percepita l’importanza del rapporto dialettico tra lo Stato e il Sindacato che la stessa Costituzione mette in evidenza richiamando entrambi, ciascuno con la propria logica e i propri mezzi ad apprestare una tutela del lavoro « in tutte le sue forme ed applicazioni » (art. 35 Cost. ).

La prospettiva pluriordinamentale così definita potrebbe costituire un’ottima chiave di lettura alla luce della riforma recente operata dal nostro Legislatore attraverso il d.lgs. n. 40 del 2006; traspare l’esigenza di individuare nuovi accordi, sia sul piano sostanziale che processuale tra i due ordinamenti senza trascendere da una verità assodata: l’autonomia dell’ordinamento sindacale costituisce un valore “ costituzionalizzato ” di cui l’ordinamento statuale non può privarsi.

Le modifiche apportate dall’intervento legislativo, come vedremo meglio nel dettaglio, avvicinano sempre di più la figura del contratto collettivo a quella delle fonti del diritto. Il meccanismo di accertamento pregiudiziale di questioni relative all’interpretazione, validità ed efficacia delle clausole di contratti o accordi collettivi nazionali – previsto dal nuovo art. 420 bis del c.p.c.- esprime chiaramente la voluntas legis di accelerare l’intervento nomofilattico della Corte di Cassazione su questioni relative alla fonte sindacale. In più, così come modellato, l’art. 360 co.1.n. 3, c.p.c. precisa che possono essere impugnate in Cassazione le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado per “ violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti ed accordi collettivi di lavoro ”. Il dilemma dell’ambigua natura del contratto collettivo è sempre ciclicamente riaffiorato negli orientamenti della dottrina come

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18

denotano soprattutto le opinioni che sembrano poter ricavare dalle riforme del 1998 e del 2006 l’inserzione del testo collettivo nel catalogo delle fonti di diritto.

3. L’interpretazione del contratto collettivo nel

Giudizio di Cassazione

Il tema dell’interpretazione del contratto collettivo riguarda soprattutto l’individuazione dei canoni esegetici applicabili alla fattispecie della norma collettiva, ovvero la ricerca dei generali criteri interpretativi al fine di identificare la norma – intesa in senso ampio come regola del caso controverso – ricavabile dalla disposizione contrattuale collettiva.18 Il discorso dell’interpretazione del testo

contrattuale collettivo è strettamente connesso, ed evidentemente funzionale, a quello del principio irrinunciabile del nostro ordinamento giuridico della certezza del diritto.

La convinzione è che con una uniforme interpretazione del testo contrattuale collettivo si ottenga una vincolatività tale di quelle disposizioni che, seppure non suscettibili di efficacia erga omnes in senso stretto, ne risultino tuttavia rafforzate quanto ad estensione, ad

18 Per l’ambiguità caratterizzante il contratto collettivo cfr GRAGNOLI, Profili

dell’interpretazione dei contratti collettivi, Giuffrè, 2000 pag. 131; Alleva, Legislazione e contrattazione collettiva nel 1978-1979, in Giorn. dir. lav e rel. ind., 1979; CastelveterI, Analisi critica del sistema contrattuale vigente nelle valutazioni della dottrina, in Riv it. Dir. lav. 1982, I.

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applicabilità ed univocità, derivandone, in ultima analisi, un diritto più certo ed uniforme.19

L’affermazione ex lege, operata dal Legislatore nel 1998 e nel 2006, della ricorribilità per Cassazione delle sentenze affette da violazione e falsa applicazione del contratto o accordo nazionale di lavoro, non ha comunque impedito alla giurisprudenza di iscrivere il contratto collettivo nel genere degli atti negoziali, applicando quindi in sede interpretativa i criteri enunciati dagli artt. 1362 e ss. del c.c. Ciò non toglie che il contratto collettivo sia un negozio munito di efficacia normativa.

Se dunque appare incontestabile che il contratto collettivo di lavoro, perché destinato ad essere applicato ad una serie indeterminata e aperta di rapporti individuali, è idoneo a comportarsi da regola di giudizio all’interno dei contenziosi individuali, è altrettanto urgente individuare dei canoni e dei criteri interpretativi certi.

3.1

Il criterio di interpretazione letterale

La Giurisprudenza è pervenuta spesso ad una interpretazione oggettiva del testo contrattuale attingendo a canoni esegetici non tanto dalle norme di cui all’artt. 1367 ss. c.c. (i c.d. canoni oggettivi) bensì estrapolando dall’art 1362 comma 1 c.c. (norma che sancisce l’obbligo dell’interprete di ricostruire la comune intenzione delle parti

19 N. LIPARI, Il ruolo del giudice nella crisi delle fonti del diritto, in Riv. Dir. E

(20)

20

e non limitarsi al senso letterale delle parole) una sorta di dovere dell’utilizzo di un criterio prevalentemente letterale insito nella formula del “ in claris non fit interpretatio ”.

È interessante notare dunque che si perviene ad un’interpretazione oggettiva del testo contrattuale seguendo delle regole che non provengono da criteri per tradizione richiamati oggettivi dal codice civile ( artt. 1367 ss. ); anzi questi ultimi finiscono per ricoprire un ruolo residuale nella prassi giudiziaria.

L’interpretazione letterale viene a costituire il primo criterio utile per la chiarificazione di quelle norme soggette a un controllo giurisprudenziale. La stessa Cassazione, in diverse sentenze20, ha più volte utilizzato l’attenta analisi testuale delle clausole per dare al contratto collettivo un significato chiaro ed univoco. Gli altri strumenti di interpretazione previsti dal Codice vengono utilizzati solo in via sussidiaria, qualora attraverso il metodo letterale non si pervenga alla univocità del testo contrattuale.

Questo meccanismo lascia una notevole discrezionalità all’organo giudicante nella valutazione della univocità o equivocità della clausola contrattuale.

Il principio del brocardo in claris non fit interpretatio, in realtà, così come calato nella prassi giurisprudenziale lavoristica, appare più che discutibile, per due ordini di ragioni.

Dal primo punto di vista l’art 1362 comma 1 del c.c., da cui si ricava il criterio ermeneutico letterale, sembra esser in parte distorto, quasi

20 Tra le più recenti: Cass. 12 Luglio 2010, n. 16298; Cass. 12 Aprile 2010, n. 8652;

Cass. 5 Novembre 2009, n. 23455; Cass. 26 Luglio 2009, n. 17649; Cass. 12 Novembre 2008, n. 27021.

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ribaltato dalla prassi giurisprudenziale. Se leggiamo il testo della norma, infatti, essa sancisce il dovere dell’interprete di individuare “ la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole ”; il giudice nella fattispecie dovrebbe far capo al significato reale del contratto al di là delle espressioni letterali, ricercando la volontà contrattuale anche oltre il testo, attraverso il comportamento complessivo delle parti.21

Così, paradossalmente, i giudici hanno finito per rovesciare nella sostanza la gerarchia tra criteri oggettivi e soggettivi di interpretazione, dando prevalenza all’indagine letterale su ogni altra. Il rapporto tra i criteri da adottare non dovrebbe essere quello della preminenza assoluta del criterio letterale a discapito degli altri, l’obbiettivo non è trovare un senso non equivoco alle parole del testo ma è quello di fare in modo che il suo contenuto risulti chiaro e univoco dopo aver esperito ogni criterio legale possibile.

Un secondo ordine di problemi attiene più da vicino alle dinamiche processuali. La corte di Cassazione, prima del 2006, con diverse pronunce ci aveva abituato ai seguenti principi di diritto: “ in ragione

del limite del sindacato della Corte di Cassazione, cui non è consentita l’interpretazione diretta di disposizioni di natura contrattuale, è fisiologico che due opposte interpretazioni di giudici di merito di una medesima disposizione collettiva siano entrambi convalidate o censurate a seconda del superamento o no del controllo

21 R. SCOGNAMIGLIO, Contratti in generale, in Trattato di diritto civile, III ed.,

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22

limitato alla verifica della correttezza della motivazione e del rispetto dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss. c.c.”22

Era quindi possibile ricorrere in Cassazione contro una pronuncia di merito avente ad oggetto l’interpretazione di una clausola collettiva solo per violazione degli artt. 1362 ss. c.c., con la conseguenza che la mera contrapposizione tra l’interpretazione proposta dal ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata non riveste alcuna utilità ai fini dell’annullamento di quest’ultima. Con la conseguenza che la Corte rimaneva vincolata dalla interpretazione data dal giudice di merito che non era affetta da illogicità o contraddittorietà.

Il nuovo testo dell’ art. 360 n. 3 c.p.c., introdotto con la riforma del 2006, prevede ora la ricorribilità in Cassazione delle sentenze per “ violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro”. Si chiede finalmente alla Corte di interpretare direttamente la clausola contrattual collettiva rimuovendo altresì quel velo di opacità che a volte gravava sulle sentenze della Suprema corte, la quale, dietro al dedotto sindacato sulla violazione dei criteri legali d’interpretazione, esercitava il proprio controllo conoscendo esplicitamente il testo contrattuale.23

22 Cass. 11 Luglio 1996, n. 6327

23 A. BOLLANI, L’interpretazione del contratto collettivo (settore privato ), in

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3.2 I criteri oggettivi di interpretazione: gli artt.

1367-1371 c.c.

I criteri soggettivi di natura psicologica e volontaristica non sembrano, come visto, sufficienti ad offrire una lettura univoca del contratto collettivo in sede giurisdizionale. Il dibattito teso a privilegiare anche criteri di natura oggettiva fonda le sue ragioni sulla tipicità sociale della contrattazione collettiva e nella particolarità delle funzioni che detta contrattazione è chiamata a svolgere in considerazione dei principi di certezza e stabilità dei rapporti giuridici, che devono essere tutelati rispetto a pattuizioni destinate ad incidere nelle relazioni industriali, e rispetto alle legittime aspettative a affidamenti che si creano nei lavoratori.

Una delle regole considerate appartenenti alla categoria dei canoni

dell’interpretazione oggettiva è quella dell’interpretazione

conservativa ex art. 1367 cod. civ. Questa norma stabilisce che nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché quello secondo cui non dovrebbero averne alcuno.

Altro criterio oggettivo è quello contenuto nell’art. 1368 cod. civ.. Quest’ultimo fa riferimento alle pratiche generali interpretative e stabilisce che le clausole ambigue s’interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui il contratto è stato concluso, ovvero nel luogo in cui è la sede dell’impresa nel caso in cui una delle parti sia un imprenditore.

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24

L’art. 1369 cod. civ. prescrive invece di dare la prevalenza alla interpretazione più conveniente alla natura dell’oggetto e all’oggetto stesso del contratto. 24

Ultimo criterio di interpretazione oggettiva è quello previsto dall’art. 1370 cod. civ. che prevede in caso di dubbio l’interpretatio contra

stipiulatorem , ovvero le clausole inserite nelle condizioni generali di

contratto o in moduli e formulari predisposti da uno dei contraenti s’interpretano a favore dell’altro.

Questa ultima regola è tuttavia meno utilizzabile nel caso dei contratti collettivi visto l’espresso riferimento di questa disposizione a schemi negoziali non riscontrabili nell’attuale assetto delle relazioni industriali e considerata la forza contrattuale delle organizzazioni sindacali che agiscono in rappresentanza dei lavoratori.

3.3 Interpretazione estensiva e analogia

Merita anche una disamina il problema dell’interpretazione estensiva delle clausole contrattual collettive, regolata in generale dall’art. 1365 c.c.

Parlando di interpretazione estensiva risulta difficile non richiamare anche un argomento ad essa molto affine come quello dell’analogia; essa sappiamo esser consentita per la legge ma non è ritenuta

24 Si potrebbe porre il quesito in questo senso se debba essere ricompreso, parlando

di coerenza con la natura ed oggetto del contratto, il principio del “favor lavoratoris” che caratterizza la disciplina legale di tutela del prestatore di lavoro. AMOROSO, L’interpretazione del contratto collettivo, cit.

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25

ammissibile per il contatto, né dalla dottrina né dalla giurisprudenza25.

Se analizziamo la ragion d’essere di entrambi gli istituti notiamo che effettivamente essi non sono molto distanti tra loro. L’interpretazione estensiva di un contratto permettere di rendere applicabile una clausola ad un caso non espressamente da essa contemplato purché questo abbia la stessa ratio di quello espressamente disciplinato; la comunanza di ratio costituisce anche il fondamento del procedimento analogico.

Più nello specifico, per quanto riguarda il contratto collettivo, la giurisprudenza ha sempre ritenuto applicabile il meccanismo della c.d. analogia interna26, entro il perimetro quindi dello stesso contratto, escludendo invece l’analogia esterna. Alla luce di questa scelta soggiace l’esigenza non tanto solo di interpretare il testo contrattuale, ma soprattutto quella di integrare il testo del contratto laddove ogni volta si presenti un vuoto normativo, una lacuna nella regolamentazione del rapporto di lavoro da cui si è originata la controversia.

25 Per quanto concerne il contratto collettivo, viene esplicitamente escluso il ricorso

all’analogia da V. SIMI, Il contratto collettivo di lavoro, Padova, Cedam, 1980; adesivamente, vedi M. DELL’OLIO, Sull’interpretazione dei contratti collettivi (a proposito di un recente libro), in ADL, 1999.

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3.4 Interpretazione del contratto collettivo ed esigenze

di uniformità

L’approccio della giurisprudenza, nonostante tutto, si è dimostrato essere saldamente ancorato alla convinzione che il contratto collettivo operi come una vera e propria “ legge di categoria ” e non solo come un semplice atto negoziale; ciò ha influenzato parecchio l’interpretazione giudiziale del contratto collettivo con riguardo, su tutte, alla sua funzione regolamentatrice dei rapporti di lavoro.

L’attenzione ad un argomento simile, espressamente richiamato dalla giurisprudenza, quale quello funzionale o dello scopo, vuol dire mettere un importante accento su un modus operandi che è proprio dell’interpretazione della legge e non di un semplice contratto.

L’utilizzo di canoni ermeneutici tipicamente normativi si deduce, come appena visto, da un sostanziale ricorso al metodo analogico, seppur circoscritto ad una analogia interna.

La funzione normativa del contratto collettivo emerge solida in sede di interpretazione giurisprudenziale, contribuendo per tanto alla contaminazione delle regole ermeneutiche del codice civile con quelle normalmente adottate nell’interpretazione della legge.

L’operare del contratto collettivo come vera e propria fonte normativa fa sorgere, attorno ad esso, tutte le problematiche relative all’esigenza di certezza e uniformità interpretativa27; queste necessità appaiono

27 O. MAZZOTTA, Divagazioni in tema di interpretazione del contratto collettivo,

in R. Flammia, L’interpretazione dei contratti collettivi di lavoro, Roma, Bancaria Editrice, 1999.

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ancora maggiori in relazione del contratto collettivo e la sua particolare struttura rispetto agli altri tipi di contratto.

Gli strumenti di uniformità in sede giurisprudenziale possono essere di vario genere.

Il primo genere di rimedi riguarda il funzionamento del processo in modo da stimolare la giurisprudenza ad una discreta omogeneità nell’interpretazione del testo collettivo; altri rimedi invece, dovrebbero essere tangibili già in sede sindacale , ove la ricerca della certezza potrebbe avvalersi di mezzi volti a valorizzare la capacità di composizione degli interessi ad opera dei contraenti.

Tralasciando questo secondo ordine di previsioni, rinviando la trattazioni alle sedi opportune, è opportuno soffermarsi un attimo sulla prima specie di mezzi descritti: a questo genere appartengono sia il sindacato diretto della corte di Cassazione previsto dagli artt. 63, comma 5, d.lgs. n 165/2001 e 360, comma 1, n. 3 c.p.c., sia il subprocedimento di accertamento pregiudiziale racchiuso nel nuovo art. 420 bis c.p.c.

Tutti questi strumenti, più o meno recenti, sono finalizzati a chiamare in causa l’intervento della Suprema Corte rafforzando la sua funzione nomofilattica, così da generare dei precedenti autorevoli capaci di orientare, seppur senza vincoli veri e propri, l’interpretazione delle clausole contrattuali.

Il Legislatore del 2006, assoggettando il contratto collettivo all’interpretazione diretta del giudice di legittimità, ha finito per ammettere, sulla scia delle convinzioni dottrinali, l’esigenza di garantire l’esatta e uniforme applicazione del contratto collettivo al pari di quanto si fa per la legge.

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Sembra però doveroso ammettere, in conclusione, che questo particolare bisogno di uniformità e omogeneità deve fare i conti anche con le particolari caratteristiche del contratto collettivo; “la complessità della società economica contemporanea non rende promettente l’idea della lite giudiziale collettiva” e , a riguardo di un atto di autonomia negoziale quale il contratto collettivo, “ non hanno ragione di essere le esigenze di certezza e di uguaglianza*” generalmente riferite alla interpretazione della legge.

Oltre alla constatazione della difficoltà nel praticare strumenti volti all’uniformità applicativa emerge anche una valutazione di sostanziale inopportunità degli stessi.

4 Conclusioni

Quanto appena detto nei paragrafi precedenti mira a dare un’idea della complessità che attornia il tema del contratto collettivo all’interno del processo del lavoro.

La peculiare efficacia del testo contrattual collettivo e la sua ambigua natura oscillante tra atto di natura privatistica o vera e propria fonte normativa di categoria hanno posto questo particolare istituto al centro di numerose teorie dottrinali.

Negli anni, come conseguenza dei numerosi interventi legislativi, abbiamo assistito ad una vera e propria metamorfosi del contratto collettivo; ciò che emerge in maniera inequivocabile dalle nuove previsioni di legge è il bisogno di affidare ad un organo giudicante, in

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maniera diretta, tutte le problematiche sull’efficacia, la validità e l’interpretazione delle clausole contrattual collettive.

L’organo chiamato a tale funzione, come visto, è oggi la Corte Suprema; che vede accentuato il ruolo nomofilattico che la caratterizza.

Sarà nostro compito, nei capitoli che seguiranno, affrontare l’analisi dettagliata della nuova riforma introdotta con d.lgs. 40 del 2006 a partire dal nuovo ruolo da questa affidato proprio alla Corte di Cassazione.

Verranno prese a rassegna alcune delle più significative pronunce della Corte in materia e si cercherà di tracciare un orientamento quanto più nitido possibile del suo modus operandi.

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CAPITOLO SECONDO

L’ART.420-bis: L’ACCERTAMENTO

PREGIUDIZIALE SULL’EFFICACIA, VALIDITA’ E

INTERPRETAZIONE DEI CONTRATTI E ACCORDI

COLLETTIVI

Sommario: 1. Il quadro normativo di riferimento. 1.1. La legge

delega n.80 del 2005 1.2. L’art. 64 del d.lgs. n. 165 del 2001 1.3. Il ruolo dell’ARAN e la portata deflattiva della norma. 2. Il nuovo processo di accertamento pregiudiziale: l’art. 420-bis c.p.c. 2.1. L’iter procedurale e l’ambito applicativo 2.1.1. Pregiudizialità ed oggetto della questione 2.1.2. Il giudice difronte alla questione 2.1.3. Efficacia, validità ed interpretazione della clausola contrattuale 2.2. La pronuncia della sentenza non definitiva 2.3. I rimedi esperibili avverso la sentenza di accertamento pregiudiziale 3. L’avallo costituzionale dell’istituto 4. Zone di ambiguità e lacune della norma.

1. Il quadro normativo di riferimento

Il nuovo testo dell’art. 360, comma 1 n. 3 del c.p.c., risultante dal d.lgs. n. 40 del 2006, prevede il ricorso in Cassazione anche per i casi di “ violazione e falsa applicazione dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro”.

Assieme alla modifica su citata è stato introdotto anche l’art. 420-bis dello stesso codice, che prevede un ricorso immediato in Cassazione

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contro una sentenza emessa dal giudice del lavoro, al fine di risolvere in via pregiudiziale una questione attinente all’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di contratti e accordi collettivi. Entrambe le disposizioni inserite dal Legislatore nella riforma del processo di Cassazione hanno l’evidente intento di conseguire sull’intero territorio nazionale una uniforme operatività degli atti di autonomia collettiva.

Le due norme si vanno ad accostare al meno recente d.lgs. n. 165 del 2001, che prevede il ricorso in Cassazione per violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi nazionali del c.d. pubblico impiego privatizzato.

L’insieme degli interventi, che passeremo in analisi nei paragrafi seguenti, hanno inciso profondamente sul sistema delle fonti del diritto oggettivo, estendendo così la loro rilevanza sul piano costituzionale.

Il sistema delle fonti sembra ampliarsi grazie all’avvenuta parificazione tra la disciplina “ processuale ” del contratto collettivo e quella delle altre norme di diritto (art. 360,1 n. 3 c.p.c.). Il testo collettivo viene ormai trattato dall’ordinamento positivo come una fonte del diritto oggettivo poiché incluso fra i parametri di giudizio di Cassazione.28

Ai fini del giudizio della Suprema Corte il contratto collettivo nazionale è da ritenere norma di diritto in quanto “criterio di qualificazione necessario per il giudice, e cioè vincolante”. 29

28 M.S. GIANNINI, Le relazioni tra gli elementi degli ordinamenti giuridici, 1990 29 BOVE, Il sindacato della corte di Cassazione. Contenuto e limiti, Milano, 1993,

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La recente riforma del giudizio di Cassazione è stata inserita nel palcoscenico giurisprudenziale assodato senza essere coordinata con le precedenti norme sui gradi di merito del processo del lavoro, ciò ha così generato qualche incoerenza nell’intero sistema.

Sarà opportuno ricostruire i momenti che hanno portato alla formazione del nuovo procedimento e l’atteggiamento dei Giudici nei confronti dello stesso.

1.1 La legge delega n. 80 del 2005

Nella legge delega del 14 marzo del 2005 n. 80, per la riforma del processo di Cassazione, il Legislatore, tra i vari principi direttivi, ha ampliato la previsione del numero tre dell’art. 360 del codice di procedura civile “estendendo il sindacato diretto della Corte sull’interpretazione e sull’applicazione dei contratti collettivi nazionali di diritto comune”.

Nessun criterio o principio aveva invece riguardato l’immissione di un meccanismo avente ad oggetto la risoluzione di questioni circa l’efficacia, la validità o l’interpretazione di una clausola del contratto o accordo collettivo, sul modello di quello già in vigore per le controversie di lavoro pubblico privatizzato, disciplinato col d.lgs. n. 65 del 2001.

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Ciò aveva suscitato perplessità e critiche in buona parte della dottrina.30

Soltanto nel 2006 il Legislatore delegato ha previsto un istituto analogo anche per le controversie di lavoro privato; l’art. 420 bis del c.p.c., seppur con qualche differenza rispetto al modello previsto per il lavoro pubblico, rimette sullo stello livello due settori che sembravano fin qui caratterizzati da una profonda differenziazione che la Corte Costituzionale aveva comunque giustificato per non esservi « totale identità di situazioni »31.

Parte della dottrina ha intravisto in questa situazione un eccesso di delega da parte del Legislatore delegato32; eccesso di delega che è stato prontamente smentito dalla stessa Corte di cassazione che ha invece asserito il rispetto dei criteri direttivi da parte del Legislatore nel tentativo di valorizzare la funzione nomofilattica della Suprema corte.

Ad avviso della Corte il legislatore delegato, nell’intento di dare esecuzione alla legge delega ha affiancato «all’estensione della censurabilità in cassazione dei contratti collettivi di livello nazionale un istituto servente … che acceleri l’intervento della Corte e quindi la

30 V.A. TEDOLDI, La delega sul procedimento di cassazione, in Riv. Dir. Proc.,

2005, p. 935 ss.

31 Corte Costituzionale 5 giugno 2003, n. 199., in Il Foro it., La Corte sottolineava

che “le peculiarità del contratto collettivo nel pubblico impiego…rendono impossibile ritenere a priori irrazionali le peculiarità della disciplina del processo in cui quel contratto collettivo – ben diverso da quelli c.d. di diritto privato – deve essere applicato”.

32 R. FOGLIA, Impugnabilità delle sentenze per violazione dei contratti collettivi e

accertamento pregiudiziale ai sensi dell’art. 420 bis, in Giornale dir. lav. e rel. ind., 2006.

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formazione di una giurisprudenza che tale funzione nomofilattica realizzi più tempestivamente»33.

Occorre anche sottolineare che lo stesso orientamento è stato seguito dalla Corte costituzionale che ha negato l’eccesso di delega del legislatore dichiarando la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale (sollevata dal tribunale di Genova) con sentenza n. 298 del 2007.

Un altro dubbio da sciogliere dopo quello dell’eccesso di delega è legato sempre ai criteri direttivi, ma con riguardo stavolta al conflitto tra “ l’accertamento pregiudiziale” ex art. 420 bis e un principio contenuto nella legge delega secondo il quale “non sono immediatamente impugnabili con ricorso in cassazione le sentenze che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio” 34. Quest’ultimo inciso, che viene riportato

nell’art. 360 comma 3 c.p.c., si porrebbe in contrasto con la possibilità di impugnare in maniera immediata davanti la Corte di cassazione tutte quelle sentenze non definitive su questioni « pregiudiziali » di cui al nuovo art. 420-bis.

La stessa Cassazione ha ritenuto di poter superare questo contrasto con una lettura che traspare sin dalle prime sentenze con ad oggetto l’art 420-bis35; si sottolinea che in realtà l’art. 360,3° comma vale

solo per le sentenze non definitive di secondo grado e che tutt’altro

33 Cass. 19 febbraio 2007, n. 3770.

34 L’art. 360 comma 3, c.p.c. continua precisando che «il ricorso in cassazione

avverso tali sentenze può proposto, senza necessità di riserva, allorché sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio»

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invece rappresenta l’istituto introdotto dall’art. 420-bis, essendo questo un rimedio diretto che non opera in grado d’appello.

Alla base di questo approccio giurisprudenziale la Suprema Corte argomenta che la differenza tra le due disposizioni ben giustifica l’utilizzo di uno strumento deflattivo come quello del controllo sull’efficacia, la validità e l’interpretazione del testo contrattuale, richiamando i principi della ragionevole durata del processo ed immediatezza della tutela giurisdizionale36.

1.2 L’art. 64 del d.lgs. n. 165 del 2001

Avevamo accennato al fatto che il procedimento elencato nel nuovo art. 420-bis in realtà si inspira ad uno strumento analogo che il nostro Legislatore aveva già previsto nell’ambito del lavoro pubblico con il d.lgs. n. 165 del 2001.

36 Il principio costituzionale della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.),

unito a quello dell’ immediatezza della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.) comportano l’esigenza di un bilanciamento tra il vantaggio che si trarrebbe da un immediato ricorso nomofilattico della corte di cassazione ed il ritardo che si avrebbe nella definizione della controversia. Questo bilanciamento opera in maniera più efficiente in primo grado di giudizio, dove grazie all’azione di accertamento si può attingere più rapidamente alla Suprema corte. Mentre in appello, questo bilanciamento risulta poco attuabile dal momento che la sentenza di secondo grado è già di per sé ricorribile in cassazione, venendone meno così il beneficio acceleratorio.

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Le decisioni legislative del biennio ’92-93 avevano devoluto al giudice civile quasi tutte le controversie di lavoro relative ai rapporti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni37.

Era necessario quindi approntare delle misure di «carattere ordinamentale, processuale e sostanziale per mettere la giustizia del lavoro in condizione di rispondere in modo adeguato alla vecchia e alla nuova domanda di giustizia»38.

Il problema più grosso era rappresentato dalle c.d. controversie seriali o di massa, quelle controversie che venivano promosse dai singoli lavoratori o da gruppi di essi e che avevano ad oggetto questioni di fatto o diritto attinenti allo stesso contratto collettivo. A ragione di questo fenomeno il numero delle cause subì un incremento alquanto consistente, tale da indurre gli esperti del settore a reclamare l’esigenza di un procedimento idoneo a concludersi con una decisione valevole per tutte le controversie in gioco.

Si susseguirono negli anni diverse proposte; alcune vennero rapidamente accantonate39, altre invece trovarono un terreno più fertile nonostante le notevoli modifiche nel corso degli anni.

Il legislatore aveva inizialmente formulato la sua idea su un modello ispirato al rinvio pregiudiziale di cui all’art. 234 Trattato CE: se nel

37 Legge 23 ottobre 1992 n. 421 e D.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29.

38 Così M.D’ANTONA, Le trasformazioni del diritto del lavoro e la crisi del

processo, in Modificazioni del diritto del lavoro e crisi della tutela processuale, Milano, 1994, p.13

39 Una di queste proposte consisteva nell’estendere l’efficacia della pronuncia

giudiziale di una controversia individuale a tutte le controversie dove fossero coinvolti i lavoratori dell’azienda convenuta, a condizione che il giudice avesse posto in essere tutte le garanzie di pubblicità tali da consentire ad ogni singolo lavoratore interessato di la conoscenza del giudizio.

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corso del processo promosso dal singolo lavoratore o dall’azienda nasceva la necessità di risolvere una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione di clausole contrattual collettive, il giudice della causa doveva rimettere la questione alla Corte di cassazione, senza assumere decisioni a riguardo.

Il parere della Corte sulla questione avrebbe vincolato il giudice del procedimento principale, ma non tutti gli altri giudici che si sarebbero trovati ad affrontare la medesima questione. Questi avrebbero avuto la possibilità di uniformare la propria interpretazione a quella della Suprema corte, oppure a non condividerla e a rimettere, quindi, la questione alla corte stessa.

Tale soluzione però suscitò parecchie critiche, soprattutto tra i membri del consiglio superiore della Magistratura40, e il modello basato sul rinvio pregiudiziale fu definitivamente accantonato.

Le idee susseguitesi negli anni vennero raccolte organicamente nel D.lgs. 30 marzo del 2001 n. 165, che ha introdotto nella previsione dell’art. 64 “l’accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità e interpretazione dei contratti collettivi”.

Secondo il modello dettato dalla nuova disposizione, il giudice, quando per la definizione di una controversia di lavoro individuale alle dipendenze della pubblica amministrazione, si trova nella necessità di «risolvere in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale, sottoscritto dall’ARAN», dispone, con

40 Vedi a riguardo Parere del 12 marzo, 1998. In più sull’argomento R.

VACCARELLA, Appunti sul contenzioso del lavoro dopo la privatizzazione del pubblico impiego e sull’arbitrato in materia di lavoro, in Arg. Dir. Lav., 1998.

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ordinanza, la comunicazione del ricorso introduttivo e della memoria difensiva all’ARAN41 (Agenzia Rappresentanza Negoziale Pubbliche

Amministrazioni), fissando una nuova udienza non prima di centoventi giorni. A questo punto l’ARAN, convocate le organizzazioni sindacali, verifica la possibilità di un accordo sull’interpretazione autentica del contratto o accordo collettivo, ovvero sulla modifica della clausola controversa.42

Se non viene raggiunto nessun accordo, la questione viene decisa dal giudice con sentenza non definitiva, impugnabile solo con ricorso immediato in Cassazione sospendendo automaticamente il processo43. La questione viene così decisa dalla corte di Cassazione che può

accogliere il ricorso o rigettarlo, facendo così propria

l’interpretazione del giudice di merito; in entrambi i casi la corte rinvia la causa allo stesso giudice che ha emanato la sentenza cassata.

41 Ciò che va sottolineato è che l’esperienza di questi anni dimostra che le ipotesi di

rinvio dal giudice del lavoro all’ARAN perché verifichi in contraddittorio con le organizzazioni sindacali la possibilità di un accordo non sono numerose; le organizzazioni sindacali (ed in particolare la CGIL) si mostrano sempre più restie a partecipare agli incontri indetti dall’Aran; poche sono le sentenze non definitive rese dal giudice del lavoro sulla questione “pregiudiziale”; rari sono i ricorsi in cassazione proposti avverso tali decisioni e poche sono le decisioni della Suprema Corte”, in questi termini ad esempio si è espresso Trisorio Liuzzi G., L’accertamento pregiudiziale dei contratti collettivi dal d.lgs. n. 80 del 1998 al d.lgs. n. 40 del 2006, in www.judicium.it.

42 L’eventuale accordo raggiunto va a sostituire la clausola controversia sin

dall’inizio della vigenza del contratto. Così spiega l’art. 49 del D.lgs. n . 165 del 2001.

43 Cass. 17 marzo 2005, n. 5892, in Giust. Civ., 2006. La corte precisa che è

inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza non definitiva di cui all’art. 64 d.lgs. 165 del 2001, se questo contiene questioni di diritto non attinenti all’interpretazione della clausola controversa.

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39

Per quanto riguarda l’efficacia della sentenza della corte, essa vincola sia il giudice che ha emesso la sentenza non definitiva sia ogni altro giudice adito per quella stessa controversia (come ad es. potrebbe essere il giudice d’appello o la stessa Cassazione).

La sentenza però non ha efficacia vincolante nei confronti di giudici aditi per controversie diverse da quella nel corso della quale è stata resa la sentenza non definitiva. Il giudice che si trovasse comunque a decidere di una questione analoga a quella sulla quale la corte ha espresso il suo parere, avrebbe davanti a sé una duplice alternativa: da un lato potrebbe adottare l’interpretazione già data dalla corte poiché ne condivide la soluzione e quindi decidere nel merito la controversia; oppure potrebbe emanare una sentenza non definitiva che potrebbe essere a sua volta impugnata in Cassazione.

Il sesto comma dell’art. 64 del d.lgs. ci dice anche che durante il giudizio davanti alla corte di Cassazione, i giudici di altri processi possono sospendere d’ufficio il procedimento adito per la stessa questione e aspettare il parere della Suprema corte. Tale sospensione è facoltativa e la legge non chiarisce sei giudici che hanno sospeso il processo sono poi vincolati dalla pronuncia della Cassazione sulla questione oggetto d’esame.

L’intento del Legislatore con la previsione di questa norma era quello di pervenire ad un’uniformità di soluzioni circa questioni attinenti l’interpretazione delle clausole contrattuali, soprattutto nell’ambito di quelle che erano le controversie seriali o c.d. di massa.44

44 Così F.P. LUISO, Commento all’art. 30, in Amministrazioni pubbliche, lavoro,

processo. Commento ai d.lgs. n. 31 marzo 1998, n.80 e 29 ottobre 1998, n. 387. A cura di M. Dell’OLIO e B. SASSANI, Milano, 2000. Vedi ancora a riguardo: M.

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40

A conferma di quanto abbiamo appena detto basta ricordare il ruolo che la nuova normativa ha assegnato all’ARAN e alle organizzazioni sindacali all’interno del procedimento.

1.3 Il ruolo dell’ARAN e la portata deflattiva della

norma

A ragione di quanto affermato finora occorre rievocare la posizione particolare dell’Agenzia per la rappresentanza negoziale e delle varie organizzazioni sindacali coinvolte nel procedimento di accertamento. Un ruolo che non si esplica soltanto nella fase stragiudiziale dell’accordo, ma anche all’interno del giudizio, attraverso l’intervento, la presentazione di memorie e con l’impugnazione. L’ARAN ha il compito, all’interno del giudizio, di convocare le organizzazioni sindacali firmatarie per verificare se esiste la possibilità di un accordo sull’interpretazione autentica del contratto o accordo collettivo, ovvero sulla modifica della clausola controversa.45

RUSCIANO, Giudice ordinario e relazioni sindacali nel lavoro pubblico, in Lav. pubbl. amm., 2000; L. DE ANGELIS, Riforme della giustizia del lavoro: condizionamento della giurisdizione e accertamento pregiudiziale sui contratti collettivi dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, in Le riforme della giustizia civile a cura di M. Taruffo, Torino, 2000, p. 651.

45 La rimessione della questione pregiudiziale riguardante l’interpretazione di una

clausola contrattuale all’ARAN e alle organizzazioni sindacali è stata ritenuta costituzionalmente legittima dalla Corte Costituzionale, con Sent. del 5 giugno 2003, n. 199.

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All’accordo sull’interpretazione o sulla modifica della clausola si applicano le disp. dell’art. 49 dello stesso decreto legislativo.

Il testo dell’accordo viene trasmesso, a cura dell’agenzia, alla cancelleria del giudice procedente, la quale provvede a darne avviso alle parti almeno dieci giorni prima dell’udienza. Decorsi comunque novanta giorni dalla comunicazione, in mancanza di accordo, la procedura si intende conclusa.

Se non interviene l’accordo sull’interpretazione autentica o sulla modifica della clausola controversa, il giudice decide con sentenza sulla sola questione pregiudiziale, impartendo quindi distinti provvedimenti per l’ulteriore istruzione o, comunque, per la prosecuzione della causa. La sentenza (non definitiva) è impugnabile soltanto con ricorso immediato per cassazione.

Ora, alla luce di quanto affermato nel paragrafo precedente, il ruolo dell’ARAN e delle organizzazioni sindacali non troverebbe giustificazione alcune se non quella di evitare controversie di serie. In dottrina tale istituto è stato spesso oggetto di dibattito e no ne abbiamo un elevato riscontro giurisprudenziale dal momento che non si è ne fatto grande utilizzo46; si sono prospettate interpretazioni

restrittive a riguardo e sono state sollevate parecchie questioni di

46 Dal 1999 al maggio del 2006 le ordinanze di remissione sono state in tutto 249, di

cui solamente 60 casi hanno trovato il raggiungimento di un accordo; vedi ad. es. P. MATTEINI, L’art. 64 d.lgs. 165/2001: le ordinanze per l’interpretazione autentica e il rapporto con le parti contrattuali. I risultati e i problemi, in Lav. Pubb. Amm. 2004, 869 e ss., oppure ancora M. FEZZI, il nuovo art. 420-bis del c.p.c., in Riv. Critica dir. lav., 2006, p.31.

Riferimenti

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