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Introdurre l’esperienza che i fratelli Fumanti, Danilo e Massimo hanno intrapreso con gli artisti contemporanei italiani, significa collocare il loro ruolo in rapporto all’antesignano Mario Masenza. Al loro esordio, entrarono in contatto inizialmente con il mondo dell’arte attraverso la collaborazione fattiva che avevano già da diverso tempo con Masenza.

Infatti i fratelli Fumanti erano i fornitori privilegiati per quanto riguarda le pietre preziose e semi - preziose del gioielliere romano.

Sul finire degli anni sessanta, decisero di proporre ad alcuni artisti che già lavoravano con Masenza una collaborazione, ma l’aspetto interessante di questa iniziativa e va sottolineato, è che si rivolsero anche ad artisti che non gravitavano a Roma, oppure erano attivi su tematiche e filoni nuovi della ricerca visiva che emerse in quegli anni e non avevano mai fino ad allora nemmeno progettato o lavorato concretamente sulla gioielleria.

Il riferimento maggiore ad esempio riguarda l’artista milanese di adozione, ma friulano di nascita, Getulio Alviani, importante e famoso operatore cinetico, uno dei precursori in Italia dell’Arte Programmata, molto conosciuto e noto anche sul piano internazionale.

Indubbiamente la scelta, e l’attenzione verso gli artisti dell’arte cinetica e programmata è una delle caratteristiche principali del lavoro della gioielleria Fumanti, che venne risolta con un’alta capacità professionale e questo permise a loro di ottenere degli esiti nell’oreficeria d’autore molto rilevanti.

Inoltre i Fumanti ebbero una grande considerazione per quegli artisti del cosiddetto Pop Italiano, da Mario Ceroli a Gino Marotta, a Franco Angeli, che operavano comunque sempre in ambito romano.

Per essere precisi sotto il nome di Scuola di Piazza del Popolo, definizione data grazie al fatto che la sede della Galleria La Tartaruga a Roma, spazio espositivo di riferimento per i nostri artisti Pop, era proprio in questa piazza centrale romana. Diversi pittori lavoravano in una direzione concomitante allo spirito del Pop Americano, per questa ragione la critica italiana identificò in questo gruppo di artisti delle affinità con il movimento Pop di oltre oceano.

La caratteristica principale del Pop era il decontestualizzare, il prelevare l’oggetto di uso quotidiano e portarlo all’interno dell’opera d'arte e riprodurlo.

Si volle vedere nelle opere degli artisti italiani una sorta di analogia concettuale e operativa, che sembrava avere sostanzialmente lo stesso spirito creativo e spessore immaginativo della Pop statunitense, se pur indipendente.

E’ rilevante per capire l’approccio che i gioiellieri Fumanti assunsero nei confronti del gioiello progettato dagli artisti, analizzare una delle tante domande alle quali tentarono di dare una risposta, probabilmente era la domanda principale che si ponevono: l’arte è forma o materia? (89) In una conversazione – intervista avvenuta nel 2004 a Roma e raccolta in un saggio a cura di Andrea Cilento, Massimo Fumanti ha spiegato che alla base di questa scelta di tradurre in gioielli reali e concreti i pensieri e le idee creative degli artisti in merito alla preziosità, partiva da una riflessione fondamentale che considerava: … Di certo l’arte non può essere, in termini teorici e quindi generali, nè soltanto forma nè soltanto materia. L’esempio della Capella Sistina ci aiuta a comprendere che naturalmente un’opera è sia la sua forma, sia la materia di cui è composta.

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E sopratutto che le due essenze sono strettamente intrecciate e che si sono influenzate vicendevolmente.

In altri termini un’opera ha quella forma anche perchè è composta di quella materia.

E viceversa, ha quella materia perchè essa era particolarmente adatta a ricevere quella forma.(90) Certamente nelle arti visive questa problematica è sempre stata assolutamente centrale nel corso dei secoli, nella pittura e nella scultura quantomeno la materia di cui è costituita l’opera d’arte, è l’opera stessa.

Non si può sostituire, modificare o alterare, se ciò avvenisse l’opera d’arte originale diventerebbe un’altra cosa, non si potrebbe nemmeno più attribuirne l’autore, e non potremmo più, nel caso fossimo alla presenza di un capolavoro, considerarlo tale.

Non riuscendo a stabilirne l’autore entreremmo in quell’ambito che tanta parte negativa ha avuto nell’arte attraverso i secoli, ovvero la falsificazione tout - court dell’opera d’arte.

Per fare un esempio un dipinto di Caravaggio è se stesso solo quando è l’oggetto, il manufatto realizzato fisicamente e unicamente dal maestro.

Il soggetto dell’opera, l’immagine, il materiale, la tavola, la tecnica, ha un senso solo nel momento in cui l’artista raccoglie tutto questo insieme di esperienze, e crea l’opera d’arte, il capolavoro in questo caso.

Questo ragionamento non funziona, non ha alcun significato in ambito letterario o musicale, è decisamente superfluo e sbagliato porsi questo problema.

La Divina Commedia di Dante Alighieri, una poesia di Prèvert, o un saggio di Karl Marx che siano stampati su carta riciclata o su una pergamena, oppure su carta patinata lucida, non perderebbero assolutamente nulla della loro autenticità, dell’originalità del pensiero espresso, della forza morale, poetica e politica che queste opere intendevano trasmettere.

In definitiva il loro messaggio rimane autentico e inalterato nel tempo, risulterà sempre, complessivamente ad un altissimo livello, come quando è stato scritto per la prima volta.

Tutto questo vale anche per la musica, per qualsiasi genere, una sinfonia di Beethoven, una sonata di Mozart, un’opera sperimentale di Stockhausen o una partitura di Philipp Glass, che risieda incisa su un disco di vinile, su un compact disc oppure sia registrata nella forma più immateriale possibile che oggi abbiamo a disposizione, quale il formato digitale Mp3, non muta, non altera minimamente il testo musicale originale e il valore creativo di queste straordinarie pagine musicali scritte in periodi e contesti culturali e storici diversi e lontani tra loro.

E’ interessante a questo punto dell’analisi svolta citare Cesare Brandi che nel suo breve ma emblematico saggio: Teoria del Restauro, entra nel merito di queste problematiche e cerca di chiarire ad un certo punto, con una sorta di principio generale quali relazioni o rapporti esistano tra forma e materia nell’arte visiva: Per distinguere l’arte dall’artigianato, Brandi osserva che nel primo caso la materia non è decisiva per l’essenza dell’opera che è sopratutto formale; su questa essenza la matera incide moderatamente. (91)

I fratelli Fumanti volendo creare con gli artisti dei possibili capolavori dell’oreficeria e gioielleria, si ponevano anche la domanda che: realizzare un gioiello in oro e con dei diamanti, anzichè inserire dei vetri trasparenti, evidentemente non era un dettaglio.

Non solo in termini di valore finanziario, ma anche sotto il profilo della realizzazione estetica, del taglio della pietra, della sua brilantezza.

90) Ibidem, pag. 6

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Massimo Fumanti, proseguiva nel ragionamento in questo modo: " nei gioielli la materia pesa

maggiormente nel definire la componente dell’opera. In questo senso si tende a classificare un oggetto quale opera d’arte o di artigianato in funzione del rapporto dominante tra forma e materiali in esso riscontrato. "(92)

A questo punto però il gioielliere, ha uno scatto mentale, un’intuizione che rivela il perchè del suo operato con gli artisti e il cambio di prospettiva nell’ immaginare i nuovi gioielli:" .. Ma è essenziale

chiarire che l’uso dei materiali preziosi non implica necessariamente che questi schiaccino la capacità e la raffinatezza ideativa e formale di chi con essi crea un oggetto.

E’ artigianato ciò in cui la materia ha il valore prevalente perchè la componente formale non possiede la dignità che potrebbe renderla dominante.

Dunque, in alcuni casi, potremmo trovarci di fronte ad oggetti preziosi in termini materiali, in quanto composti da materie prime di elevato valore finanziario, e contemporaneamente preziosi in termini formali, in quanto i materiali sono stati lavorati e guidati ad essere parte di un progetto estetico raffinato e di grande spessore intellettuale. " (93)

Massimo Fumanti che è stato il principale attore della vicenda intercorsa dalla sua famiglia di gioiellieri con gli artisti, discende da una delle maggiori e più illustri ed antiche famiglie italiane di orafi. (94)

Il capostipite fu Antonio Fumanti I , nato a Roma nel 1658, il quale nel 1696 riceve la patente di orefice, raffigurata in un punzone metallico con incisa l’immagine di un cigno. Si servirà di questo punzone come marchio d’identificazione per bollare, “ timbrare “ gli argenti e i gioielli prodotti dalla sua gioielleria.

Antonio Fumanti I ebbe ruoli di grande prestigio nella Roma del diciassettesimo secolo, fu Console e Camerlengo dell’ Università degli Orafi.

La sede della bottega orafa era posizionata in un luogo molto ambito, si trovava al Palazzo della

Cancelleria . Quando il capostipite morì nel 1730 fu sepolto a Roma in San Lorenzo in Damaso. Gli succede nella conduzione Giovanni Andrea suo figlio, ma purtroppo dopo pochi anni morì, ma grazie a sua moglie, nonostante la grave perdita l’attività riuscì a proseguire.

Con il successivo intervento del nipote Antonio Fumanti II , figlio di Giovanni Andrea, i Fumanti tra il 1787 e il 1788 conseguirono un grande successo che lì portò ad aprire un secondo negozio nel Palazzo della Cancelleria.

Dalla fine del XIX secolo con Roberto Secondo Fumanti che venderà la sede precedente e si sposterà sempre a Roma in via della Croce, nel nuovo negozio che rimarrà in attività fino agli anni trenta del novecento, era annesso un laboratorio orafo con oltre 10 operai che realizzavano le creazioni disegnate dal titolare Roberto Secondo.

Massimo Fumanti, nipote di Roberto Secondo è il secondo genito di Gustavo Fumanti che svolgeva principalmente un’attività di grossista di pietre preziose.

Il padre coinvolge già dalla metà degli anni cinquanta, il proprio figlio Massimo nei frequenti viaggi d’affari a Londra e Anversa.

Nel 1957 Massimo Fumanti, che avrà in eredità la gestione dell’azienda di famiglia, viene collocato a fare apprendistato ( ora si definisce come stage o lavoratore a progetto),a Parigi da Max Halpern, in quella che era in quegli anni l’azienda di alta gioielleria più importante del mondo, produceva

92)Jacques Legrand (a cura di), Il Diamante, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1981. Opera poderosa che svela attraverso scritti di venti studiosi e specialisti della materia le innumerevoli problematiche di carattere economico e sociale che il diamante pone in essere nelle nostre società, prendendo inoltre in considerazione tutti gli aspetti estetici, culturali, e le specificità del minerale, le sue caratteristiche straordinarie e uniche.

Margherita Superchi, Dizionario Gemmologico,Milano, L’Orafo Italiano Editore, 1999, pag.10, pag.22 -24. 93) Andrea Cilento, Massimo Fumanti, Roma, Edizioni Mediaway, 2004, pag. 7 – 9.

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la maggior parte della produzione di Cartier e di altre grandi firme del firmamento francese e non solo.

Nel 1958 Massimo Fumanti e il fratello Danilo vengono a conoscere il gioielliere di Roma, all’epoca con la maggiore reputazione e una notevole fama consolidata, si trattava di Mario

Masenza, che già in precedenza aveva rapporti di lavoro con il loro padre Gustavo. Masenza acquistava da Gustavo Fumanti alta gioielleria prodotta a Parigi e in Europa, ma era

particolarmente interessato ad acquisire innumerevoli pietre preziose, che poi rivendeva nel negozio di via del Corso.

Nel 1960 muore il padre dei fratelli Fumanti e dal quell momento sarà Massimo a condurre l’azienda di famiglia e diventerà il fornitore privilegiato di pietre preziose dai brillanti agli smeraldi, dai rubini agli zaffiri di Masenza, il quale manterrà una collaborazione fattiva con i Fumanti che terminerà solo alla sua morte.

Massimo Fumanti ha la possibilità attraverso questo sodalizio di conoscere le realizzazioni che Masenza aveva già avviato da oltre un decennio con gli artisti, potè conoscere direttamente i gioielli di Mirko, Afro, Canilla, Franchina, Mannucci, Capogrossi, Dino Basaldella e altri.

L’aspetto critico che immediatamente avverte Massimo Fumanti, è la limitata produzione che Masenza attua delle proposte progettuali che gli artisti gli sottopongono.

Finchè i gioielli già realizzati e posti in vendita non fossero entrati a far parte della proprietà di collezionisti o clienti individuali, non ne commissionava altri a nessuno degli artisti che erano parte del suo cenacolo.

L’intenzione e l’azione invece che resero operativa negli anni sessanta e settanta Massimo e Danilo Fumanti, fu una produzione su scala più ampia e ambiziosa, sia in termini artistici e sia in termini di carattere imprenditoriale e commerciale.

Nel 1964 i fratelli Fumanti inaugurarono il loro primo negozio, che sarà ampliato nel 1968, in una via centralissima di Roma, via Frattina.

Organizzarono numerose mostre nella gioielleria e ebbero l’attenzione e un qualificato consenso da parte dello storico dell’arte Giulio Carlo Argan e dall’allora Direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Palma Bucarelli.

In quegli anni “ strepitosi “ per il mondo dell’arte e grazie anche all’interesse molto determinate di Palma Bucarelli, che fece acquisire per la Galleria Nazionale un consistente primo nucleo di gioielli creati dagli artisti che lavoravano con i gioiellieri Masenza e Fumanti, portarono alla ribalta in ambito nazionale e internazionale la città di Roma.

La nostra capitale divenne tra la fine degli anni ’60 e primi anni’80 il punto di riferimento per osservare e capire le ricerche in atto, le realizzazioni date nel campo del gioiello d’artista, molto prezioso ed estremamente raffinato.

Il tutto faceva presagire che si potesse delineare una sezione per i gioielli degli artisti all’interno della Galleria Nazionale, ma a parte il lavoro importantissimo che fece di promozione, studio e catalogazione Palma Bucarelli, nel momento in cui Lei lasciò la Direzione, non ci fu più nessuna iniziativa in questo senso. (95)

Attualmente i gioielli non sono nemmeno esposti in una sala adibita a questo scopo, che il fruitore possa osservare e studiare, non rientrano nella collezione permanente della Galleria Nazionale esposta al pubblico, sono da anni archiviati e collocati in deposito

95) S. Frezzotti, C. Italiano, A. Rorro (a cura di), Galleria Nazionale d’Arte Moderna & Maxxi – Le Collezioni 1958 –

2008,Volume I e II .Ministero per i Beni e le Attività Culturali Soprintendenza alla Galleria Nazionale d’ Arte Moderna e

Contemporanea. Fondazione MAXXI – Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo. Milano, Editoriale Mondadori Electa, 2009. Pag. 232, pag.309 – 310, pag.312, pag.399 – 401, pag.587, pag.704 - 715.

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L’attività dei fratelli Fumanti con gli artisti che collaboravano con loro fin dai primi anni ‘60, proseguì fino al 1982, data che coincise con la chiusura definitiva della sede espositiva di via Frattina.

Ma Massimo Fumanti continuò in quanto collezionista, in grado di avere ancora la disponibilità di diversi lavori di oreficeria e gioielleria importanti realizzati con gli artisti, a intrattenere rapporti di lavoro e collaborazione con diverse istituzioni museali italiane e internazionali.

Numerose richieste di prestito avvengono anche in questi anni del terzo millennio e da parte loro c’è sempre stata una risposta positiva a dare temporaneamente i gioielli degli artisti che fanno parte della loro collezione privata.

Ricordo particolarmente la presenza di diverse opere di oreficeria della collezione Fumanti nell’esposizione memorabile: L’arte del Gioiello e il Gioiello d’Artista dal ‘900 ad oggi – The Art of

Jewelry and Artists’ Jewels in the 20th century, che si è svolta a Firenze al Museo degli Argenti di

Palazzo Pitti, dal 10 marzo al 10 giugno del 2001.

Un altra mostra dove la collaborazione dei fratelli Fumanti è stata importante è: Ori d’Artista Il

Gioiello nell’Arte Italiana 1900 – 2004, che ha avuto luogo a Roma al Museo del Corso dal 30

marzo al 27 giugno 2004.

Inoltre tra la fine del 2008 e la primavera del 2009, gioielli d’artista realizzati dai fratelli Fumanti erano esposti nella mostra: La Scultura Italiana nel Gioiello d’Artista dalla seconda metà del

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Capitolo 2a:

GETULIO ALVIANI (Udine 1939 ).

Alviani è uno dei precursori dell’Arte Programmata e Cinetica in Italia, è stato infatti un esponente di primo piano del gruppo Nuove Tendenze, ed ha operato principalmente a Milano.

E’ un ricercatore tra i più raffinati e sensibili nel campo delle strutture speculari e visive, delle superfici trattate a testura vibratile, memorabili i lavori con i metalli, particolarmente con l’alluminio, l’artista a raggiunto esiti di straordinaria efficacia visiva e comunicativa.

Alviani ci conduce a pensare sui dati percettivi, sulla riflessione della luce, in relazione ai diversi materiali, dai metalli ai tessuti.

Emblematici a questo proposito i lavori del 1964 per la stilista milanese Germana Marucelli, dove progetta dei tessuti per abiti, con un disegno e una lavorazione che si materializza in una creazione cinetico – visuale, che può essere indossata come un abito. (Fig. 72)

Il tutto attraverso strutturazioni a carattere geometrico, dal cerchio, al cono, dal triangolo, al quadrato, mette in campo delle composizioni e suddivisioni lineari e ottico – dinamiche della superficie. (Fig.73)

In definitiva potremmo dire che l’artista, opera una ricerca e un’azione creativa molto attenta, considerando la psicologia della visione e analizzando la percezione prodotta dall’oggetto artistico sul fruitore. In questo modo introduce una riflessione sull’opera d’arte come risultato di un ragionamento a priori, che prevede un calcolo soggettivo e programmato, senza lasciare spazio alla gestualità e al caos.(97)

Alviani si avvicina al gioiello inizialmente per propria iniziativa, realizzando dei lavori da tenere per sè, infatti in una sua risposta scritta alle molteplici domande che il critico d’arte Luisa Somaini, gli aveva posto, nel 1994, per capire il lavoro progettato per l’oreficeria, l’artista risponde in questo modo: Per quanto riguarda i gioielli le cose che ho fatto sono forme semplicissime a uno, due, tre, quattro lati, da tenere in mano, in oro, che è sempre il materiale tattilmente e simbolicamente più prezioso, sono oggetti da tenere con sè come colloquio o come presenza, per avere, come avviene con tutte le cose, che sono il parametro della nostra vita, una relazione concreta per sentirsi in senso fisico presenti con la mente o per sollecitare la memoria: una rassicurazione per essere presenti con noi stessi, da non dimenticare, da sapere dov’è, da analizzare, per la fattura, per la pesantezza, per la temperatura.

Possedere l’oro poi è una cosa sempre particolarissima, con un grande concentrato di valenze.(98) E’ il gioielliere Massimo Fumanti, già collezionista delle opere pittoriche del maestro, che dopo diverse richieste e sollecitazioni riesce a condurre l’artista, attorno ai primi anni ’70 del novecento a progettare dei gioielli importanti.

Alviani parla e descrive minuziosamente questo momento:

“ Quando mi fu chiesto da Massimo e Danilo Fumanti di progettare un gioiello costosissimo e

rarissimo, non ricordo se per una principessa o una grande attrice.

Era un rombo di brillanti con, all’angolo superiore, il brillante più grande possibile, color champagne, degradando poi fino al centro con brillanti sempre più chiari e più piccoli, per poi

97) Alberto Argenton, Arte e Cognizione Introduzione alla psicologia dell’arte, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1996, pag. 43 – 59, pag 199 – 226, pag. 235 – 261, pag. 273 – 295.

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ricominciare con un’altra serie di gradazione fredda e finire all’angolo opposto con una pietra grande come quella iniziale, ma azzurrata. (Fig.74)

Alviani parla e descrive minuziosamente questo momento:

“ Quando mi fu chiesto da Massimo e Danilo Fumanti di progettare un gioiello costosissimo e

rarissimo, non ricordo se per una principessa o una grande attrice.

Era un rombo di brillanti con, all’angolo superiore, il brillante più grande possibile, color champagne, degradando poi fino al centro con brillanti sempre più chiari e più piccoli, per poi ricominciare con un’altra serie di gradazione fredda e finire all’angolo opposto con una pietra grande come quella iniziale, ma azzurrata. (Fig.74)

La differenza cromatica di queste sfumature era quasi inavvertibile ma già ottima per acutizzare la percezione.

Tutti gli oggetti, anche i più modesti, come gli smalti spettrologici o i quadrati di alluminio e oro, hanno avuto uguale attenzione e uguale impegno.

Tutto e sempre ha un preciso senso e un preciso significato, come in tutto quello che faccio.

Ora mi chiedo solo perchè e per chi; perchè ancora non lo so e per chi, so che è certamente per l’uomo, l’essere umano, la donna, che sono un tramite per l’esistenza dell’oggetto, ma soprattutto, pensandoci meglio, proprio per le cose in sè, perchè a differenza degli uomini che muoiono loro restano."

Alviani, attraverso un suo scritto, pubblicato a fine anni novanta del novecento, in un libro sulla storia dei gioielli d’artista in Italia, chiarisce molto bene la sua posizione relativamente al momento progettuale, alla progettazione orafa, e si percepisce l’estremo rigore, con il quale imposta tutto il