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Si può iniziare ad analizzare il lavoro di Consagra a partire da questo parallelismo e relazione intercorsa tra la sua opera plastica che s’identifica in questo aspetto tipico della sua poetica che è la frontalità, una dimensione scultorea che quasi non presenta profondità di spessore e il gioiello., in definitiva tra la dimensione plastica e gli ornamenti in un senso complessivo.

L’artista ha trasferito con continuità nell’oreficeria, con coerenza d’intenti il suo linguaggio primario che si esponeva e determinava quotidianamente nella tridimensionalità.

Lo scultore ha affrontato il microcosmo della gioielleria in diversi momenti, ma con una potremmo dire, regolarità d’impegno consistente, lasciando numerose opere in collezioni private e pubbliche, attraverso una lunghissima e incessante carriera artistica.

Già nel 1947, giunto a Roma, Consagra ha ventisette anni e decide di realizzare il suo primo ornamento, per un’amica, si tratta di una lastra di ottone, tagliata e piegata con la trancia.

La sua gentile amica la portava al collo in risposta a chi non apprezzava la scultura che Consagra realizzava in quegli anni. (Fig. 42)

In una testimonianza resa nel 1995 al critico d’arte Claudio Cerritelli, Consagra raccontava che: “ ..questa sua amica diceva di voler apparire una “cavernicola” a chi rifiutava l’astrattismo.

Non la capiva nessuno.

Quando poi, negli anni Cinquanta, facevo le spille d’oro per mia moglie, non le arrivava nessun complimento, erano fatte con le mie mani ed erano troppo insolite.

Le difficoltà dell’arte astratta e del gioiello andavano di pari passo. Il concetto di astrazione allontanava il gioiello dalle fantasie del concupire.

Masenza stesso mi cercò per la prima volta nel 1960 quando vinsi il gran Premio per la Scultura alla Biennale di Venezia." (49)

Mario Masenza, fu il primo gioielliere di alto livello che portò Consagra a lavorare per Lui, certamente è immaginabile che anche nello stesso gioielliere romano i dubbi, le “paure”, le forti perplessità ad iniziare la realizzazione di gioielli così eccessivamente astratti e “ strani ”, fosse una scelta molto rischiosa e improduttiva sul piano commerciale, ma decise di farla.

Ad uno sguardo attento invece, l’oreficeria proposta da Consagra appare come un ornamento che esplica compiutamente una funzionalità precipua: è estremamente indossabile, il gioiello proposto da Consagra può essere portato con facilità da parte della donna, che dovrà utilizzarlo.

Questa è una qualità decisamente importante nel contesto della gioielleria, che permette una comprensione e vendibilità maggiore dell'opera eseguita.

E’ un gioiello facilmente indossabile, proprio perchè è pensato con un ragionamento che considera fondamentale, la bidimensionalità dell’oggetto di oreficeria, non presenta forti volumetrie e aspetti tridimensionali tali da renderlo una piccola scultura, pur essendo l’espressione di un lavoro che nasce dalla dimensione plastica, da un certo tipo di visione della scultura.

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Se nella scultura, la scelta di Consagra della frontalità è stata la sua originalità rivoluzionaria, il lavoro nel gioiello risolto in una costruzione che fa della bidimensionalità, della lieve presenza dello spessore, della quasi mancanza del volume, le sue preminenti espressioni, lo rende paradossalmente consueto, comprensibile e dopo il primo naturale smarrimento dato dalle forme astratte, è facilmente apprezzabile. (50)

Questo è dovuto proprio perchè rispetta uno dei principi cardine dell’oreficeria, del gioiello in quanto tale, ovvero deve essere proporzionato alla portabilità.

La donna e l’uomo che lo indossano, non devono avere alcuna difficoltà ad indossarlo, eventualmente anche nella quotidianità il gioiello dovrebbe sempre essere un ornamento possibile da utilizzare.

Consagra ha felicemente coniugato il suo linguaggio dalla grande dimensione plastica, alla piccola, piccolissima forma preziosa. (Fig.43)

Il suo contributo maggiore nell’oreficeria, è stato nell’offrire un raffinato lavoro di segni, linee, percorsi e traccie costituiti da tagli, traforature, texture della superficie e minute sovrapposizioni di lamine auree.

Ha in questo modo introdotto una nuova concezione del gioiello pur concentrando l’operato solo ed esclusivamente sulla superficie, sul piano bidimensionale. Dall’altra parte, come è sempre avvenuto da secoli, nella tradizione consolidata dell’oreficeria, e come avviene in genere anche oggi, il gioiello è sempre stato visto come una minuta opera di carattere bidimensionale.

Per queste ragioni e impostazioni di carattere progettuale e esecutivo si può spiegare il successo che ebbe l’artista tra gli innumerevoli gioiellieri – committenti che lo chiamarono a lavorare e progettare i gioielli per le loro collezioni.

50) A.Imponente, R.Siligato, A.Monferini, Pietro Consagra, 1964 – 1989, Milano, Mondadori Editore – De Luca Edizioni d’Arte, 1989, pag. 11 – 14.

Augusta Monferini definisce con chiarezza e correttamenrte questo concetto riferito alla frontalità: “ Scultura frontale

perchè non consiste in un volume a più facce corrispondenti ad altrettanti punti di vista o in un volume arrotondato gradualmente con lo sguardo girandogli intorno; ma consiste invece in un piano che si impone frontalmente allo spettatore.

La scultura frontale è sempre esistita, in fondo, ed è il bassorilievo. Ma nel bassorilievo la frontalità non è una scelta, è una condizione materiale dell’oggetto scultura, alla quale gli artisti del passato hanno reagito fingendo al suo interno effetti prospettici e schieramenti trasversali.

Quella di Consagra è invece una scelta plastica. La scultura non fa corpo con una parete ma vive autonomamente nello spazio, scandisce lo spazio e nello spazio si ritaglia con i suoi contorni frastagliati che più che delimitarla la aprono.”

Pietro Consagra, Consagra che scrive – Scritti teorici e polemici 1947 – 1989, Milano, Vanni Scheiwiller, 1989, pag. 57 – 60.

Giovanni Carandente, Pietro Consagra, Catalogo della mostra antologica svolta in tre sedial Palazzo dei Normanni e Galleria Civica d’Arte Moderna di Palermo, e al Villaggio Rampinzeri di Gibellina, 1973.

Carandente, nella presentazione in catalogo, individua con chiarezza le linee guida del lavoro di Consagra e in un punto così scrive: “ Una sua opera può nascere indifferentemente prima come scultura poi come pittura o viceversa.

Ma sempre il suo metodo operativo ha la razionalità di quello dell’architetto: progettazione accurata, logica previsione del punto d’arrivo, analisi e calcolo delle incidenze ideologiche sul prodotto finito.

L’invenzione dell’immagine esaurisce, comunque, l’intera problematica dell’artista e ciò – può darsi per certo – perchè l’artista ha convinzioni assolute sul suo lavoro. Il leit-motiv è stato, come tutti sanno, per anni il “ Colloquio “, poi ad un certo momento ha attinto da una particolare idea della natura e dei simboli naturali un repertorio di forme dietro le quali si estende come un orizzonte illimitato.

Di nuovo, ha ripiegato su forme simboliche, quintessenze dell’idea di forma ecologica, presenza necessaria in un paesaggio – ambiente non necessariamente fatto di alberi, fiumi e cielo e tuttavia riecheggiante il simbolo di tutte queste cose…… Spesso, la pittura è un’impaginazione di temi secondo il colore più che secondo la forma, in questo evitando la metafora di una scultura dipinta; ma anche può accadere, come è per esempio, in una serie di tecniche miste su tela degli anni recenti, che l’impaginazione non è più di motivi iterati bensì di un’immagine unitaria, di una indipendente composizione cromatica “.

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Infatti dopo un primo stupore di fronte all’idea di gioiello proposto da Consagra, si passa alla sua accettazione, si presenta con esiti di estrema portabilità e di una bellezza estetica facilmente comprensibile.

A partire dagli anni ’60, l’artista è stato l’unico autore che ha collaborato inizialmente con Masenza, e successivamente a differenza di altri artisti, pittori o scultori, fu invitato a lavorare con diversi gioiellieri, con i fratelli Fumanti, con l’editore Giancarlo Montebello, ma anche con una folta schiera di gioiellieri della tradizione da Giò Caroli, ad Ars Gioiello, a Petochi e Luciano Soletti, ed altri ancora ma meno importanti lo vollero per disegnargli delle collezioni.

Ovviamente a questo interesse per Consagra, concorsero inoltre la reputazione, la fama raggiunta, l’alta qualità delle opere maggiori sia in scultura che pittura, un’attività espositiva di livello internazionale, da considerare anche la presenza di diverse sculture nelle collezioni di alcuni prestigiosi musei, e i premi internazionali raggiunti.

Un nome, un maestro in definitiva dell’arte contemporanea consolidato e con un valore economico certo delle sue opere, evidentemente acquistare un lavoro di Consagra era un sicuro investimento.

In questo contesto, l’attività creativa, cosidetta “ minore “dell’oreficeria, condotta dal maestro potè avere una visibilità e una diffusione significativa, che gli permise di avere un mercato di un certo rilievo.

Ma evidentemente, si deve sottolineare che il tipo di approccio progettuale che Consagra aveva con il gioiello era di più facile lettura per il committente, ma anche per un pubblico maggiore, più vasto, l’immediata comprensione del suo lavoro permetteva, a differenza di altri scultori da Mannucci a Guerrini, da Franchina ai fratelli Pomodoro, da Fontana ad Uncini per esempio, di considerarlo e capirlo a prima vista e acquistarlo quindi per la propria collezione privata. (51) L’intelligente inserimento da parte di Pietro Consagra del colore, che è giocato sia con il vivace cromatismo dello smalto a fuoco, e sia con l’apporto puntuale del bianco diamante, taglio brillante, ravviva complessivamente di luce l’intero gioiello.

La pietra preziosa è inserita tra i lievi spostamenti del piano principale, in questo modo si determina un rafforzamento stilistico dell’oggetto di oreficeria.

Oppure, a volte le pietre preziose venivano incastonate a pavè su un piano leggermente più arretrato, tale da proiettare la luce sfavillante del brillante frontalmente.

Straordinaria è la Spilla in platino e brillanti del 1964 pensata per Masenza, dove il piano, una sorta di rettangolo costruito con un andamento curvilineo, è completamente ricoperto da piccoli brillanti tondi, che inducono gli occhi dell’osservatore ad una visione d’insieme decisamente abbagliante. (Fig. 44)

Si presentano inoltre un susseguirsi di percorsi curvi, vuoti, all’interno dello spazio che racchiude l’intera forma, in questa maniera l’articolazione del gioiello, diventa ancora più efficace.

51) Enrico Crispolti, L’Oro della Ricerca Plastica, cit., pag.40 – 43.

Segnalo a questo proposito la constatazione critica di Crispolti, in riferimento al linguaggio, alla formulazione

“ stilistica “ dello scultore: “…La sua originale ricerca di “ colloquio “ dell’opera con lo spazio, lo avvicina

progressivamente a scelte formali di più accentuata semplicità, e quindi sostanziale “ frontalità,” distaccandosi sempre più da qualsiasi interesse di tridimensionalità. I suoi lavori si risolvono allora prevalentemente al di dentro di uno schema quadrato, e di una composizione attraverso linee rette ed orizzontali.

Ma già nel 1956 sente il bisogno di inserire elementi curvi nella composizione quasi del tutto bidimensionale, nella serie dei “ colloqui “, che occupano il suo lavoro nel decennio tra il 1952 e il 1962.”

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Sempre per il committente Masenza due Spille del 1960 in oro, una con un piano irregolare tagliato a traforo in più punti, che presenta dei leggeri slittamenti della superficie aurea, l’altra invece ha delle parti incise e fresate al trapano a frusta con la funzione di sottolineatura e dialogo con le zone della spilla completamente aperte attraverso la traforatura su lamina. (52)

Gioielli che rappresentano in piena coerenza d’immagine, il percorso dell’astrazione, del movimento informale che Consagra aveva intrapreso decisamente con la scultura, divenendone un maestro assoluto riconosciuto anche sul piano internazionale, non solo nazionale.

Un esempio ben calibrato e proporzionato sul piano delle misure e della modularità dei diversi elementi che compongono l’insieme, è il Bracciale, progettato nel 1993 per la Ars Gioielli, in oro e smalti. (Fig. 45)

In anni più vicini, a partire dal 1998 in poi va segnalato un ciclo di Spille e Orecchini che l’artista ha disegnato per una importante casa di gioielleria di Roma, la Petochi Gioielli, fondata nel 1883. (53) In questa collezione il segno, l’impronta di Consagra è meno decisa, si sente e visivamente si percepisce una evidente sofisticazione, una cura per i dettagli eccessiva, maniacale, tale da rendere il lavoro perfettissimo sul piano esecutivo , ma senza calore, non provoca emozioni. L’interpretazione in questo caso dei maestri artigiani della gioielleria Petochi, che hanno realizzato i gioielli progettati, non ha completamente gli esiti pensati dallo scultore. (Fig. 46)

Succede più volte che le diverse aziende, o gli artigiani che lavorano per le gioiellerie non riescano a comprendere fino in fondo lo spirito di un gioiello d’artista, si tende ad eseguirlo come un manufatto di alta gioielleria classica, della tradizione, dove politezza assoluta e eliminazione di ogni segno “casuale”, o voluto dall’artista si tende ad eliminarlo violentemente.

In ogni caso il giudizio per la collezione voluta dalla gioielleria Petochi, rimane di alto livello, le materie preziose sono esaltate, i brillanti a profusione e l’oro decisamente in primo piano con i tipici segni, piccoli rilievie andamenti curvilinei che l’artista in genere utilizza sono rispettati.

(Fig. 47 )

Le stesse contrapposizioni materiche, tra oro giallo e bianco, tra oro giallo e brillanti, tra oro bianco e brillanti che l’artista in genere inserisce nella progettazione sono coerentemete realizzate dagli orafi della gioielleria romana.

E’ interessante a questo punto riportare alcuni passi della testimonianza resa da Consagra al critico d’arte Luisa Somaini nel 1995, che chiarisce sinteticamente l’approccio e la “metodologia “ che utilizzava con il prezioso e conseguentemente con la piccola dimensione della “scultura da indossare”.

Appare degna di nota la parte riferita al rapporto tra artista e gioielliere, e infine la riflessione dello scultore che immagina come il gioiello possa diventare un possibile strumento di comunicazione tra le persone.

“… per l’artista che ha adoperato materie diverse per sculture, trattate con arnesi e macchinari di varia potenza, la preziosità dell’oro, la piccola dimensione, diventano un salto mortale nella propria esperienza.

Una lastrina d’oro in mano vuole avere una destinazione strategica, la più ramificata al successo, nella direzione unica da uomo a donna.

La dimensione del gioiello va calibrata, il messaggio è implicito: adescamento, conferma, interesse. Il gioiello per l’artista è carica emotiva, estasi nel piacere di ciò che tiene in mano, nelle forme allusive che gli riescano anche esplicite.

52) Enzo Biffi Gentili, Giuseppe Bonini, Graziella Folchini Grassetto, Silvano Tagliapietra, Grafica e Oggetti d’Arte, Milano, Mondadori Editore, 1986, pag.192 – 194.

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Succede che di mezzo si mette il gioielliere a chiederti disegni, progetti per gioielli da mettere in vetrina.

Allora fai da reggimoccoli, tu e il gioielliere per primo che ha il rapporto con il terzo uomo, quello stratega che con il regalo ha un piano nella perfezione maschile a rafforzarsi negli intenti.

Chi sa con quanti mezzi in azione.

Tu stai preparando un gioiello per una donna che probabilmente non vedrai mai. Tale rapporto da ingoiare ha la sua attrattiva. Aiutare con una propria opera una coppia è come avere assegnato uno spazio riservato, esclusivo, il più profondo come l’artista sensibile che hai dimostrato di essere. Oppure sei un insopportabile intruso.

Forse vuoi essere uno che lascia, sparisce e pensi che lei forse ti potrà seguire. Tu fai un gioiello che ha un’esistenza nel tempo in cui può accadere di tutto.

Quei gioielli esposti da Mario Masenza in via del Corso a Roma si agiteranno come anime caricate di energia, anche se la vetrina non esiste più.

Il gioiello appare micidiale e vitale insieme.

E’ stato bello rivedere un mio gioiello indossato da una signora mai vista prima.” (54)

54) Pietro Consagra in, Gioielli d’Artista in Italia, (a cura di) Claudio Cerritelli, Luisa Somaini, cit. , Milano, Electa Editore, 1995, pag. 84.

Per una maggiore conoscenza del maestro Consagra, in ambito plastico, oltre alle fonti già citate, si consigliano alcuni testi, selezionati nell’ampia e sterminata bibliografia:

Pietro Consagra, Necessità della Scultura, Roma, Edizioni Lentini, 1952. Giulio Carlo Argan, Pietro Consagra, Neuchatel, Editions du Griffon, 1962. Pietro Consagra, Vita mia, Milano, Feltrinelli Editore, 1980.

Giuseppe Appella, Colloquio con Consagra, Roma, Edizioni della Cometa, 1981. Carlo Pirovano, Scultura Italiana, Milano, Electa Editore, 1968, pag. 46.

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Capitolo 1 g :

GIUSEPPE CAPOGROSSI ( Roma 1900 – Roma 1972 ).

Nel 1949, Capogrossi, con un processo lucido, rapido e risolutivo ha attuato un passaggio di fortissimo cambiamento, ha superato la pittura figurativa ed è entrato a pieno titolo nella non figurazione, nell’astrattismo, ha deciso di lavorare definitivamente attraverso la pittura di puro segno. Pittore che ha attraversato il XX secolo evidenziando una cifra inimitabile, una pittura informale – astratta la Sua, ma con un elemento grafico, un segno, un modulo forte, utilizzato ossessivamente in diverse declinazioni.

Era una “ figura “ caratteristica, che aveva una verosimiglianza molto evidente con un utensile, un oggetto di uso comune: il pettine, oppure si potrebbe definire anche come una sorta di dentatura della forchetta.

La studiosa Lara Vinca - Masini in un importante e corposo libro sull'arte contemporanea dal titolo: La Linea dell'Unicità - La Linea del Modello, del 1989, riporta puntualmente nelle pagine dedicate a Capogrossi un testo scritto dall'artista nel '68, a soli quattro anni dalla sua morte che avverrà nel '72, e a me pare nella sua struttura semplice, precisa e diretta molto utile a chiarire il senso della propria ricerca e entra nel merito dell'utilizzo specifico, ripetitivo, ossessivo, dell'emblematico modulo, una sorta di sigla araldica che si configura sempre più in forma simbolica, elaborata cromaticamente, spesso in nero su fondo bianco: " …Come nei vent’anni precedenti al mio passaggio dal figurativo all’astratto, il mio lavoro continuava a procedere nella norma seguita dai tempi antichi: attraverso una serie di disegni, studi, gouaches, acquarelli, di chiarimento per me stesso.

Ho subito e subisco spesso anche ora che non sono più giovane molte umiliazioni ( ma sono sempre preferibili alle sterili lodi) ; quella che mi intristisce di più è la banale domanda – spesso in buona fede – fatta con tono di compatimento: ma seguiti sempre a lavorare con la solita forchetta? E la chiamavano anche “ pettine “, “ tridente “,

“ mano “, “ scarafaggio “ ….. a ciascun giorno il suo affanno: un muro è composto di mattoni, e bisogna andare al lavoro con sulle spalle il mattone di quel giorno e non il muro. Un monumento alla pazienza. “ (55)

Capogrossi delinea una pittura meditata, con l’assenza del gesto, non presenta forme di automatismo espressivo. E’ decisamente un’astrazione pensata e calcolata, con una cura del dettaglio pittorico quasi maniacale, non c’è casualità e nemmeno un gesto caotico o impulsivo. Mario Masenza lo introdusse all’oreficeria, e Capogrossi era fortemente intenzionato a verificare se era possibile passare dalla bidimensionalità della tela alla micro dimensione del gioiello senza snaturare il proprio linguaggio, mantenendo il cromatismo pittorico estremamente definito, “pulito “ e preciso presente nelle opere di grande formato.

Collabora con Masenza fino alla fine degli anni ’60, successivamente a partire dagli inizi degli anni settanta, prepara una raccolta di disegni su richiesta di un altro importante gioielliere della capitale, Massimo Fumanti, che desidera presentare nuovi manufatti preziosi.

Entrambi i gioiellieri eseguirono con una cura particolare, in ogni minimo dettaglio le proposte, le idee di alta gioielleria che l’astrattista romano pensava.

55) Lara Vinca – Masini , Arte Contemporanea: La Linea dell’Unicità – La Linea del Modello, Firenze, Giunti Gruppo Editoriale, 1989, pag. 703 – 705.

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L’inserimento delle pietre preziose e semi-preziose, come i coralli, gli onici , sono da considerare scelte felici e adeguate al progetto che Capogrossi enunciava graficamente.

Pietre che oltre a definire e a dare una luce cromatica precisa, senza lasciare nulla al caso, costituiscono anche degli spazi, dei piani, delle stesure che si richiamano alle opere pittoriche, sia di piccolo che di grande formato. (Fig.48)

La decisa sintesi proposta da Capogrossi, in disegni indicativi dell’idea, del progetto che intendeva lasciare alle mani intelligenti e operose di Masenza e delle sue maestranze prima, e successivamente anche ai Fratelli Fumanti, sono determinanti per dare quel senso di gioiello, di alta gioielleria che identifica comunque l’autore, l’artista riconosciuto come pittore.

Capogrossi in definitiva non ha riprodotto fedelmente l’ideogramma, il segno che diventa una sorta di modulo che tanta fortuna ebbe in pittura, ma nell’oreficeria del pittore si evidenzia un ragionamento, un intelligente calcolo costruttivo, che delinea un gioiello in quanto tale, nella sua autonomia linguistica, nella sua bellezza straordinaria.

L’artista è riuscito a mantenere senza dubbio alcuno, una coerenza di linguaggio e di poetica espressiva, ma sapientemente rapportata al micro cosmo gioiellistico.