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Parlare e analizzare l’impresa Gem Montebello, introdurre il percorso svolto nel gioiello d’autore a partire dai primi anni ’60 fino al 1975, comprenderne le novità che ha prodotto, può avvenire esclusivamente in modo storicamente corretto, considerando sopratutto il contesto culturale, i comportamenti sociali e politici in quegli anni a Milano.

Inoltre parallelamente a questo lavoro d’indagine del periodo 1960 – 1975, si deve pensare al ruolo di promozione e innovazione che avevano anticipato nel campo del gioiello d’artista già alla fine degli anni ’40 del secolo scorso due fratelli, entrambi scultori di fama internazionale, Arnaldo e Giò Pomodoro, giunti nella metropoli milanese dal territorio romagnolo – marchigiano, nel 1954. Certamente a Milano senza la precedente attività pioneristica effettuata con determinazione e particolare attenzione alle scelte creative da proporre in ambito gioiellistico da parte dei fratelli Pomodoro, la Gem Montebello probabilmente non avrebbe nemmeno avuto ragione di esistere, non ci sarebbe stata quella urgenza, quel desiderio di dare forma ad un progetto che poteva sembrare in quel tempo, completamente utopistico e privo di un reale significato per il mondo dell’arte contemporanea intesa in tutte le sue accezioni e svilluppi.

Indubbiamente la Gem Montebello, creata e diretta da Gian Carlo Montebello e da sua moglie Teresa Pomodoro, sorella dei due fratelli scultori – orafi Arnaldo e Giò Pomodoro si innestava all’interno di una realtà e di un lavoro che aveva già mosso i suoi primi determinanti passi, ma ebbe la forza di introdurre delle importanti novità per quanto riguarda la concezione del gioiello proposto dall’artista e conseguentemente anche le possibili forme della sua commercializzazione nel mercato dell’arte e del design d’autore contemporaneo.

La Gem introduceva una visione del fare gioiellistico che si sganciava dai canali del collezionismo tipico dell’arte, e si poneva su un terreno dove il design e la sua committenza entravano in gioco. In più a differenza delle esperienze romane nate precedentemente, e ancora in atto da parte di Mario Masenza e dei fratelli Fumanti, la Gem Montebello riuscì a dare un respiro internazionale alla propria attività, coinvolgendo non solo artisti nazionali ma anche numerosi, importanti autori europei e americani, ne ricordo solo alcuni Man Ray, Pol Bury, Niki de Saint Phalle, Matta, Arman, Soto, César, Meret Oppenheim.

Questa impresa “a conduzione familiare” ebbe la capacità di aggredire con forte volontà il mercato europeo e nord americano portando delle mostre della propria collezione non solo in gallerie d’arte private ma anche in sedi pubbliche, di alcuni musei molto prestigiosi, come il Museum of Arts di Boston, il Philadelphia Museum of Art, di Philadelphia, l’American Craft Art Museum ora è diventato il Museum of Arts and Design di New York, in Europa il Museo Zonnehof di Amersfort, in Olanda ed altri.

La Gem negli anni ‘ 60 a Milano, agisce in un contesto, in un ambiente, che già di per sè è estremamente vivace, e colmo di sollecitazioni culturali intensissime in tutti i campi, dalle arti visive, alla letteratura, dalla poesia, al teatro, al cinema e alla musica contemporanea.

I cambiamenti e le tensioni sociali che investono la società italiana nel suo complesso, a Milano trovano un suo epicentro: con la rivolta studentesca e operaia del ’68 e i movimenti di liberazione ed emancipazione della donna.

Il capoluogo lombardo diviene il centro di una teorizzazione e sperimentazione costante in tutti i campi del sapere e della creatività.

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Principalmente il dibattito e il confronto avviene nel pensiero politico e sociale, nella trasmissione delle conoscenze, viene indagato il rapporto tra docenti e studenti, nella scuola e nell’università, si determina una maggiore consapevolezza e maturazione di una coscienza di classe nel mondo operaio e sindacale, il politico diventa sociale.

Emerge un nuovo ragionamento nell’ambito della vita quotidiana, matura la volontà di cambiare e migliorare i rapporti interpersonali tra uomo e donna: nasce il femminismo, come forma di emancipazione della donna nella società contemporanea.

Tutto l’universo artistico e progettuale viene investito e coinvolto anche da questa forte tensione culturale e deciso desiderio, di un cambiamento radicale della società.

Le stesse sperimentazioni e ricerche proposte dagli artisti nella creazione del gioiello sono accolte con estremo interesse e curiosità dalla borghesia illuminata milanese, se ne parla nelle gallerie d’arte, nei primi negozi di design che stavano nascendo, nell’ambiente della moda di maggiore tendenza e innovazione, nei diversi salotti culturali molto diffusi in quegli anni ’60 irripetibili. In una città molto recettiva e disponibile ai cambiamenti e alle nuove proposte che provenivono da moltissime istanze e proposizioni e che coinvolgevano tutti i versanti della cultura.

Ricordo che i fratelli Pomodoro, nel 1957 furono incaricati dalla Triennale, di realizzare in qualità di curatori una mostra pensata esclusivamente per i gioielli, per i gioielli progettati e realizzati dagli artisti, dagli artefici italiani più importanti che in quel periodo si erano occupati dell’oreficeria. I fratelli Pomodoro invitarono artisti e progettisti di grande prestigio, come: Ettore Sottsass, Gianni Dova, Enrico Baj, Emilio Scanavino, Lorenzo Guerrini, Bruno Martinazzi e altri.

Lo stesso allestimento, estremamente oculato di tutta la mostra fu ideato dai due fratelli Pomodoro.

I diversi artisti invitati fecero giungere alla sede della Triennale innumerevoli disegni e dei modelli progettuali, i gioielli in parte furono realizzati da abili artigiani orafi individuati nell’area milanese dai curatori della mostra, ma i fratelli Pomodoro ebbero anche la brillante idea di interagire con aziende orafe collocate a Valenza Po (Alessandria), noto centro produttivo per la gioielleria di grande livello.

Questa importante iniziativa espositiva, associata all’intensa attività che diversi artisti condussero nella capitale lombarda in ambito orafo permise al lavoro successivo che produsse la Gem Montebello di collocarsi all’interno di un contesto recettivo e interessato al gioiello d’autore. La Gem come Editore d’Arte determinò uno spiazzamento nell’ambito dell’oreficeria d’artista, al quale ancora oggi si guarda, gli stessi Musei o grandi collezionisti di gioielli d’artista, quando organizzano una mostra uno dei riferimenti principali per procedere correttamente è ragionare sull’esperienza della GEM.

Il pensare che potesse essere fattibile perseguire la strada del multiplo d’arte a tiratura limitata, del gioiello riproducibile, come fosse un incisione o una stampa era già di per sè un fatto rivoluzionario.

In un campo molto elitario e per pochi come è sempre stata la gioielleria nel corso della storia e della vita dell’uomo, introdurre una sorta di visione, di matrice culturale, sostanzialmente democratica, che tenacemente voleva avvicinare il grande pubblico all’arte da indossare, all’opera che poteva essere portata con sè, sul proprio corpo e vestito, pur essendo firmata dall’artista irrangiungibile nelle arti visive, nella pittura e scultura, sembrava decisamente utopistico.

Un’intenzione, un progetto che non avrebbe avuto la possibilità di successo, anche nel caso in cui privilegiasse nella proposta di partenza un fruitore già coinvolto nelle vicende artistiche e culturali del nostro tempo.

Ma non fu così, anzi questa intuizione di Giancarlo Montebello e Teresa Pomodoro ebbe notevoli risultati culturali ed espositivi, senza sottovalutare i positivi e interessanti esiti economici.

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Ed ultimo in ordine di tempo la recentissima asta di “ Important 20th Century Decorative Art &

Design” da Christie’s avvenuta il 13 giugno 2008 a New York, nella quale una nutrita collezione di

gioielli creati dalla Gem ha raggiunto quotazioni impensabili per un gioiello che è un multiplo, anche se a tiratura limitata.

I diciannove gioielli aggiudicati facevano parte di un’unica collezione, e si distinguevano per qualità, rarità e importanza, delle vere e proprie sculture da indossare, firmate da Lucio Fontana, Roy Lichtenstein, Gastone Novelli, Pol Bury, Lucio Del Pezzo, Giò e Arnaldo Pomodoro, Ettore Sotsass, Jesùs Rafael Soto, Amalia Del Ponte, Edvil Ramosa.

Le opere sono state tutte vendute al di sopra delle più rosee aspettative, con aggiudicazioni che talvolta hanno più che raddoppiato le stime massime, come nel caso di due bracciali di Fontana del 1969, in argento e lacca, aggiudicati a 28.100 euro (stime 7.500 – 11.500), e a 44.000 euro (stime 5 – 7.500 euro).

Sempre di Fontana, un altro bracciale in oro del 1967 ha spuntato 35 mila euro (stime 7.500 – 11.500). (113)

E’ bene ricordare a questo punto, attraverso alcuni estratti, come Giancarlo Montebello spiega nel 1995, per la prima volta, uscendo da un lungo riserbo, alla studiosa e storica dell’arte Luisa Somaini, la nascita e lo sviluppo dell’impresa Gem:

"…. L’idea iniziale, verso l’estate del 1967, insieme a Teresa Pomodoro, con la quale mi ero da poco

sposato, era di produrre gioielli disegnati da artisti.

… Era il momento dell’industrial design, della geometria ritrovata, del costruttivismo e del funzionalismo recuperati dalle strutture portanti del costume di quel periodo.

In accordo con i tempi, nutrivamo buone speranze di impostare una produzione di alta qualità destinata alla divulgazione, pensavamo di poter allargare il ristretto circuito degli estimatori dell’arte contemporanea, raggiungendo quelle persone che, pur non disponendo di molti mezzi economici, desideravano accedervi.

Il progetto prese corpo, si iniziò la sperimentazione delle idee e della sua fattibilità; stabilimmo, con i primi artisti invitati Amalia Del Ponte, Rodolfo Aricò, Gastone Novelli, Arnaldo e Giò Pomodoro, Fausta Squatriti e il giovane artista indio – brasiliano Edival Ramosa, che i materiali da impiegare non dovevano esser giusto quelli confermati come “preziosi”, ma i più svariati, atti a restituire al meglio il lavoro di ciascuno di loro e al contenimento del prezzo.

E così fu.

Agli artisti piacquero sia l’idea sia le modalità del progetto. Teresa e io eravamo contenti: l’avventura era iniziata.

Investimmo le nostre energie umane e anche i nostri piccoli risparmi; eravano giovani, poco più che venticinquenni.

L’entusiasmo non mancava; incoraggiati anche dagli amici e dalla stessa società che ruotava intorno all’arte, fondamentale fu l’appoggio di Carla Panicali di Montalto, allora direttrice della Marlborough di Roma, che in seguito ci introdusse presso i collezionisti internazionali.

… Diventammo editori di gioelli d’artista quali Lucio Fontana, Jèsus Rafael Soto, Pol Bury, Cruz Diez, Piero Dorazio, Pietro Consagra, Lucio Del Pezzo, Man Ray, Cèsar, Arman, Niki de Saint – Phalle, Matta, Sonya Delenauy, Meret Oppenheim e naturalmente i fratelli Pomodoro e parecchi altri. Un vero fervore, tant’è che dal 1967 al 1978 realizzammo gioielli di circa sessanta artisti della scena internazionale di allora, organizzando mostre in Italia, in Europa e nelle Americhe in gallerie private e musei."

113) Carla Cerruti, New York – Gioielli d’Artista: arte per signore , in Il giornale dell’Arte, Torino, n. 278 luglio – agosto, 2008, pag.56.

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E’ interessante riportare anche un breve estratto che racconta la serie di viaggi negli Stati Uniti, che dal 1972 la Gem intraprese per coinvolgere nel progetto artisti di oltreoceano molto importanti nell’arte contemporanea:

"… era l’autunno del 1972 e si apriva un nuovo capitolo per la GEM.

Conoscemmo Andy Warhol, Roy Lichtenstein, Bob Indiana, Carl Andre; non si arrivò a nulla di fatto per le nostre edizioni, ma questi incontri meriterebbero un racconto.

Riuscimmo comunque nel nostro intento realizzando gioielli di Larry Rivers, Lowell Nesbitt, Allan D’Arcangelo, Alex Katz, veri capolavori di oreficeria e smalto, con l’opera dell’ultimo grande smaltatore europeo Adolfo Del Vivo.

Riuscii a visitare anche lo studio di Alexander Calder, che faceva monili forgiati da lui stesso, quando c’incontrammo per invitarlo a lavorare con noi, mi disse: “ non posso cedere a nessuno il mio divertimento ! “, fui contento lo stesso, avevo avuto la possibilità di conoscerlo e questo bastava; la Galleria Multiples a New York produceva le sue grandi tirature, inoltre lavorava con gli artisti pop; e altri ancora, l’elenco sarebbe lungo. " (114)

Un’ altra novità, particolarità di estrema importanza sul piano della comunicazione e della stessa archiviazione delle opere che la Gem introdusse, a differenza di Masenza e dei fratelli Fumanti è la consapevolezza che il lavoro, i gioielli realizzati dagli artisti andavano documentati, raccolti in una o più pubblicazioni a tema. Ma sopratutto dovevano essere fotografati molto bene, da un fotografo professionista, in grado di rappresentare ad alto livello i risultati raggiunti, cercarono il migliore di allora nell’ambiente dell’arte contemporanea, che era Ugo Mulas.

"… Teresa e io ci si guardava allarmati per i costi (altri soldi da trovare); in più volevamo belle foto come quelle che faceva Ugo Mulas!

Ugo fotografava il lavoro di quasi tutti gli artisti di allora, ma con quale coraggio rivolgersi a lui anche se amico dei fratelli di Teresa. Lui era famoso! L’avevo incontrato alcune volte e non avevo dimenticato il suo volto intenso di umanità e dagli occhi sorridenti. Come spesso accade, tutto venne da sè.

Lo incontrammo in giro per qualche mostra e Ugo ci venne incontro e ci prevenne: “ Ho Saputo che fate gioielli d’artista, e non me lo dite! Non mi fate vedere il lavoro!

Lo invitammo per la domenica successiva.

Era di pomeriggio quando arrivò e noi gli mostrammo subito i primi esemplari; entusiasta, si complimentò con noi per l’iniziativa e ci chiese chi avrebbe fotografato i gioielli.

“ Non sappiamo ancora”, dicemmo, e Ugo per risposta: “ Li fotografo io “, e noi : “ Non possiamo permettercelo “.

Ugo ci disse che non era un problema, il vero problema era fotografare bene i gioielli e che quando fosse stato per noi possibile avremmo dato qualcuno dei gioielli a sua moglie Nini.

Quando lasciò casa nostra eravamo raggianti, non ci pareva vero.

Poi sorse il problema che i gioielli dovevano essere indossati specialmente “ quei “ gioielli, altrimenti si sarebbe persa la scala e la relazione con il corpo; alcuni gioielli erano al limite.

Le modelle costavano ma Ugo ci rincuorò ancora: “ Ci penso io, con tutte le persone che

conosciamo vuoi che non si trovi qualche bella ragazza, figlia di amici, disposta a posare? “. E così fu.

La sua generosità, ci portò qualche anno dopo all’incontro con Benedetta Barzini, reduce dagli Stati Uniti, che accettò di posare indossando gli straordinari ornamenti per il viso di Pietro Consagra: Ugo aveva il dono della semplicità aureolata dal suo sorriso." (115)

114) Claudio Cerritelli, Luisa Somaini, Gioielli d’Artista in Italia…cit. pag. 218 – 220. 115) C.Cerritelli, L.Somaini, “ Gioielli d’Artista in Italia “… cit. pag.220 -221.

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E’ da segnalare per una maggiore ricostruzione e conoscenza dell’avventura della Gem, l’intervento che Giancarlo Montebello fece nella mostra della primavera del 2004 a Roma, al Museo del Corso dal titolo: “Ori d’Artista”.

Oltre a collaborare per individuare delle opere di oreficeria prodotte dall’impresa Gem, da rendere disponibili per l’esposizione è interessante riportare alcuni passi riportati in catalogo della sua testimonianza precisa, che inquadra correttamente l’intenzione e la volontà dell’artista nel momento in cui decide di pensare alla forma gioiello:

"… non è corretto definire “ belli “ i gioielli d’artista, con il semplicistico criterio che il bello è

l’opposto del brutto. Essi tendono a essere in primo luogo “ inusitati ed esorbitanti “ in quanto evadono dal criterio di normalità d’uso, alla quale il gioiello normalmente assolve. Perchè possiedono la caratteristica di scardinare la consueta relazione tra l’oggetto (il gioiello stesso) e il corpo, dato che quest’ultimo non è al centro dell’interesse dell’artista, nè è solo un’accidentale appendice.

L’artista infatti tende a utilizzare il corpo a proprio vantaggio, astraendo il gioiello dal suo abituale destino di decorazione.

Sovvertendo le regole del gioco, è l’oggetto che diviene il soggetto, e questo ribaltamento è stato sempre così esplicito, da poter essere definito una costante di tutti gli artisti, qualsiasi fosse la loro ricerca formale ”. (116)

Giancarlo Montebello, continua a raccontare come in quegli anni a Milano, la metropoli offrisse innumerevoli stimoli che provenivono da universi diversi oltre all’arte contemporanea, si era determinato un intreccio vivace tra cultura e moda, tra mondanità e tendenze del costume che cercavano di delineare nuovi stili di vita:

"….si vedevono certe signore vestite da Jole Veneziani, Curiel, Pirovano, Biki, esordiva Mila Schon, Germana Marucelli faceva sfilare abiti con provocatori tagli nati dagli incontri di Lucio Fontana e faceva indossare alle sue modelle straordinari ornamenti di Getulio Alviani, altre signore portavano abiti di Courrège o Paco Rabanne o psichedelici abbigliamenti provenienti dalla California.

Il movimento hippy dilagava …. Da lì a qualche anno avrebbe accolto nelle sue piazze e strade la dirompente e pirotecnica energia del “ Nouveau Realisme “ o il Teatro in Piazza di Luca Ronconi. Ben lontano dal pensare che da lì a un quindicennio si sarebbe consegnata alla monocultura dei trend – mediatici e del marketing finanziario “. (117)

La Gem concluse la sua attività nel 1978, aveva iniziato nel 1966 e dopo dodici anni d’intensa attività che gli premise di lavorare con oltre cinquanta artisti e realizzare duecento modelli e tipologie di gioiello diverse l’uno dall’altro, decise di chiudere l’impresa.

Molto probabilmente un elemento decisivo che determinò la chiusura definitiva fu la fatale e imprevedibile rapina a mano armata dell’intera collezione che era esposta in una mostra pubblica a Udine nel 1978.

Giancarlo Montebello, decise comunque di continuare a realizzare e progettare gioielli, ma solo ed esclusivamente i propri.

E’ evidente che un esperienza di questo genere, che era giunta a raggiungere un alto livello di qualità estetica e contenustica, associata ad un’ottima organizzazione, dovrebbe essere presa come riferimento per affrontare ancora oggi, l’eventuale progettazione e produzione seriale limitata, di opere di oreficeria ideate dagli artisti.

116) Ludovico Pratesi, Francesca Romana Morelli, Ori d’Artista il gioiello nell’arte italiana. 1900 – 2004, Milano – Roma, 2004, Silvana Editoriale, pag. 17, 24 – 26.

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Una simile impresa è stata portata avanti successivamente da un collezionista e editore di manufatti proposti dagli architetti, ovviamente la selezione cadeva su i progettisti di maggiore rilievo nazionale e intenazionale

Cleto Munari in molti anni di attività dal '80 al 2000 e oltre fece realizzare un grande numero di gioielli e oggetti – argenti per la casa esclusivamente dagli architetti, oppure a designer e autori che provenivono tutti dal mondo del progetto, gli artisti che invitò furono molto limitati.

Certamente anche questa esperienza è stata molto importante nel nostro paese e non solo, anche sul piano internazionale, grazie al lavoro di Cleto Munari, in Europa e negli USA principalmente, i designer e gli architetti italiani hanno evidenziato e fatto conoscere le loro qualità progettuali nell’ambito del gioiello d’autore e negli argenti d’uso quotidiano.

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Capitolo 3A :

LUCIO FONTANA (Rosario di Santa Fè, Argentina 1899 – Varese 1968).

Fontana raccolse l’invito che Giancarlo e sua moglie Teresa Pomodoro gli rivolsero, accettò di uscire dalla torre d’avorio, in cui viveva la propria opera, e con una precisa volontà e convinzione decise di ideare dei gioielli intesi come multipli a bassa tiratura.

Dalle cento alle duecentocinquanta riproduzioni delle stesso gioiello, naturalmente il lavoro doveva essere curato e realizzato con una definizione estrema, rispettando esattamente le idee progettuali dell’artista. (Fig.85)

Fontana prima di iniziare a lavorare con Montebello, aveva già avuto modo di esprimersi nel gioiello, avvalendosi della collaborazione di Arnaldo e Giò Pomodoro.

E’ da sottolineare che i gioielli dell’artista costruiti in questa prima fase, avevano la caratteristica fondamentale di essere opere uniche, inoltre a differenza del lavoro proposto successivamente alla Gem, mantenevono un alto livello di preziosità data dall’utilizzo esclusivo dell’oro titolo 999,9 oppure 750, ovvero 18 Karati. (Fig.86)

Riporto uno stralcio della testimonianza di Arnaldo Pomodoro che mette in luce l’approccio mentale e se vogliamo la metodologia che Fontana, aveva pensato per queste opere di oreficeria uniche:

Con Fontana il rapporto è stato diverso. Abbiamo avuto la soddisfazione di realizzare il suo primo gioiello. Ricordo che Fontana veniva nel nostro studio di via Orti con il chiodo in tasca per forare la lamina d’oro puro preparata dal nostro orafo.

Perdeva sempre la pazienza, perchè i suoi buchi nella piccola dimensione del gioiello finivano per condensarsi come in una grattugia per il formaggio.

Così bisognava rifare tutto da capo, fondere l’oro, tirare la lamina eccetera.

Riprendere in mano tutto e arrivare dopo molti tentativi al risultato che Fontana voleva. (118) Con la Gem, Lucio Fontana riuscì a definire delle forme, dei segni tipici del suo lavoro in pittura e scultura evidenti in maniera straordinaria nei bracciali di grandi dimensioni " Elisse con fiori " “ Concetto Spaziale “, e " Elisse con taglio", “ Concetto Spaziale “ entrambi del 1967 e nella collana dal titolo: "Anti – Sofia" , pensata in “contrapposizione e dialogo “ con la bellezza un pò arrogante, decisamente “ esuberante e volgare “ dell’attrice Sophia Loren. (Fig. 87 - 88)