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L’artrite reumatoide (AR) è una malattia infiammatoria sistemica cronica che può colpire molti tessuti e organi (cute, vasi sanguigni, cuore, polmoni e muscoli), ma aggredisce principalmente le articolazioni diartrodiali (che presentano la membrana sinoviale), dando luogo ad una sinovite infiammatoria non suppurativa e proliferativa che spesso porta alla distruzione della cartilagine articolare e all’anchilosi delle articolazioni comportando dolore, progressiva distruzione delle articolazioni con limitazione del movimento, grave disabilità e peggioramento della qualità della vita (Maini et al. 1994). L’esordio ed il decorso sono molto variabili, con forme acute e rapidamente progressive o forme subdole e a lenta progressione; sono numerose le varianti cliniche. A causa delle gravi conseguenze economiche, sociali e psicologiche dell’AR, prevenire o per lo meno il ritardare la comparsa del danno articolare rappresentano l'obiettivo terapeutico principale. La causa dell’AR è ancora sconosciuta ma si ritiene che la predisposizione genetica, fattori ambientali e agenti infettivi svolgano un ruolo centrale nello sviluppo, nella progressione e nella cronicizzazione della malattia.

L’AR è una delle malattie autoimmuni più diffuse: circa l’1% della popolazione mondiale è affetta da questa malattia e le donne sono interessate da 3 a 5 volte più frequentemente degli uomini, per questo si suppone che siano convolti fattori ormonali. Ciò è suggerito anche dal fatto che il picco di incidenza della malattia nelle donne si trova nel periodo premenopausale. È molto comune fra i 40 e i 70 anni, ma non vi sono fasce di età risparmiate. È presente una predisposizione familiare della malattia poiché l’AR si riscontra 4 volte più dell’atteso nei consanguinei dei malati, il 30% dei gemelli omozigoti concorda per la malattia contro il 5% dei gemelli eterozigoti i quali presentano la malattia in percentuale uguale ai fratelli non gemelli (Terao et al. 2016).

Anatomia patologica.

L’AR determina un ampio spettro di alterazioni morfologiche, le più gravi delle quali si manifestano a carico delle articolazioni. Inizialmente la membrana sinoviale diventa macroscopicamente edematosa, ispessita ed iperplastica con la superficie che da liscia diventa ricoperta di villi tenui ed ipertrofici. Le caratteristiche istologiche tipiche comprendono:

-infiltrazione dello stroma sinoviale da parte di un infiltrato infiammatorio perivascolare, costituito da aggregati linfoidi, prevalentemente linfociti T helper CD4+, linfociti B, plasmacellule, cellule dendritiche e macrofagi;

35 -aumento della vascolarizzazione dovuto alla vasodilatazione e all’angiogenesi con depositi di emosiderina sulla superficie;

-formazione di fibrina organizzata che ricopre porzioni della membrana sinoviale e fluttua nello spazio articolare;

-accumulo di neutrofili nel liquido sinoviale e sulla superficie della membrana sinoviale e generalmente non si spinge in profondità nello stroma sinoviale;

-attività osteoclastica nell’osso sottostante che consente alla membrana sinoviale di penetrare nell’osso e formare erosioni iuxta-articolari, cisti subcondrali ed osteoporosi;

-formazione del “panno”, una massa di membrana sinoviale e stroma sinoviale, costituita da cellule infiammatorie, tessuto di granulazione e fibroblasti sinoviali, che cresce sulla superficie articolare e ne causa l’erosione. Con il tempo, dopo che la cartilagine è stata distrutta, il panno crea ponti tra le ossa contrapposte formando anchilosi fibrosa che poi ossifica dando luogo ad anchilosi ossea. Spesso è accompagnata da infiammazione di tendini, legamenti ed occasionalmente anche dei muscoli scheletrici adiacenti (Maini et al 1994).

I noduli reumatoidi sono le lesioni cutanee più comuni. Compaiono circa nel 25% dei pazienti, in genere con patologia più grave e sono localizzati nelle regioni cutanee sottoposte a pressione. Meno comunemente si formano in polmoni, milza, pericardio, miocardio, valvole cardiache, aorta ed altri visceri. I noduli reumatoidi sono fissi, di consistenza dura, di forma rotonda od ovale; nella cute si sviluppano nel tessuto sottocutaneo.

Patogenesi.

Anche se molti aspetti rimangono incerti, si ritiene che l’AR sia scatenata dall’esposizione di un soggetto geneticamente sensibile ad un antigene artritogeno, che porta alla compromissione della tolleranza immunologica verso il self e ad una reazione infiammatoria cronica. In tal modo si instaura un’artrite acuta, ma è la continua reazione autoimmune, con l’attivazione dei linfociti T helper CD4+ e la liberazione locale di mediatori dell’infiammazione e citochine, che alla fine distrugge l’articolazione.

La predisposizione genetica è una delle componenti principali nella patogenesi dell’AR (Gregersen et al. 1987). Il numero dei geni che conferiscono suscettibilità alla malattia è elevato ed in continua

36 crescita; la correlazione più marcata si ha con specifici alleli del complesso HLA di classe II ed in particolare con una sequenza condivisa da alcuni di questi alleli, LLEQRRAA o LLEQKRAA, corrispondente agli aminoacidi 67-74 della terza regione ipervariabile della catena HLA-DRB1 e detta “shared epitope” o “Dw14 epitope”.Le molecole HLA che contengono lo “shared epitope” sono il DR1 e il DR4 (per il DR4 i sottotipi Dw4 e Dw14, codificati rispettivamente dagli alleli DRB1*0401 e DRB1*0404); anche altri alleli che portano tale sequenza condivisa possono essere associati con l’AR nelle popolazioni con bassa prevalenza.Gli alleli non associati con l’AR mostrano in tale regione una o più differenze, generalmente la presenza di un aminoacido carico negativamente.Dal momento che tutti gli alleli associati con l’AR condividono lo “shared epitope”, ma differiscono nelle altre regioni della molecola, è chiaro che lo “shared epitope” sia il principale determinante della predisposizione a sviluppare la malattia. E’ importante sottolineare che, benché nei pazienti con AR la frequenza degli alleli predisponenti sia alta questi sono presenti anche nella popolazione non affetta da malattia; per cui anche se l’HLA DR4 è associato alla malattia con un rischio relativo abbastanza alto, in realtà il rischio assoluto per un individuo presentante l’allele nella popolazione è abbastanza basso; aumenta nel caso di individui che presentino contemporaneamente il DRB1*0401 e il DRB1*0404. Diversi studi hanno dimostrato inoltre che la presenza di “shared epitope” sarebbe correlato con forme più severe (FR positivi, presenza di forme erosive) e con una maggiore rapidità di progressione della malattia. Si suppone che lo “shared epitope” sia presumibilmente il sito di legame specifico dei fattori artritogeni che innescano la sinovite infiammatoria. Un altro gene associato all’artrite reumatoide è PTPN22, che codifica per una proteina tirosin-fosfatasi e prende parte all’attivazione e al controllo delle cellule infiammatorie, tra cui i linfociti T.

L’elemento d’innesco della malattia rimane ancora sconosciuto. Sono stati condotti studi su agenti patogeni tra cui retrovirus, parvovirus, micobatteri, Borrelia, Proteus Mirabilis e Mycoplasma ma nessuno di essi ha dimostrato di svolgere un ruolo significativo; alcuni studi hanno suggerito che tale agente possa essere il virus di Epstein-Barr poiché è stato rilevato che l’80% dei pazienti con AR ha anticorpi diretti contro antigeni specifici dell’EBV e il 67% ha anticorpi anti rheumatoid arthritis nuclear antigens (anti-RANA), rivolti cioè contro un costituente antigenico nucleare successivamente identificato come la proteina EBNA-1, Epstein Barr nuclear antigen 1, codificata dal EBV.

Inoltre la carica virale è 10 volte più alta nelle cellule B dei pazienti con AR rispetto ai soggetti sani e DNA ed RNA virali si possono ritrovare nella sinovia infiammata dell’AR.

37 Dopo l’insorgenza della sinovite infiammatoria, la reazione autoimmune in cui il ruolo centrale è svolto dai linfociti T è responsabile dell’andamento cronico e distruttivo dell’AR. Le cellule effettrici CD4+ attivate e i linfociti T di memoria compaiono precocemente nelle articolazioni interessate. I linfociti TH17 sono importanti nella reazione infiammatoria in quanto reclutano neutrofili e monociti. Anche i linfociti TH1 che producono interferone-, possono contribuire alla reazione infiammatoria.

Le citochine secrete dai linfociti T come l’interferone- e IL-17, agiscono sui sinoviociti e i macrofagi inducendo la produzione di molecole proinfiammatorie come IL-1, IL-6, IL-23, PGE2, TNF, ossido di azoto, fattore stimolante le colonie granulocito-macrofagiche e TGF. I mediatori dell’infiammazione attivano le cellule endoteliali nella membrana sinoviale facilitando l’adesione, e la trasmigrazione di leucociti. Essi provocano inoltre una maggiore produzione di metalloproteinasi della matrice cartilaginea che, insieme agli immunocomplessi antigene-anticorpo, ha un ruolo importante nella distruzione della cartilagine articolare. Inoltre sono potenti stimolatori dell’osteoclastogenesi e dell’attività osteoclastica, mediante l’aumento dell’espressione di RANKL una proteina esposta sulla membrana degli osteoclasti capace di interagire con i monociti determinando la loro differenziazione in osteoclasti. RANKL è espressa anche dai linfociti T e dai sinoviociti attivati. Di conseguenza si ha che la membrana sinoviale edematosa, iperplastica, adesiva (poiché i sinoviociti aumentano l’espressione della molecola di adesione vascolare) e ricca di cellule infiammatorie, diviene aderente alla superficie articolare e cresce sopra di essa, formando un panno e stimolando il riassorbimento dell’osso adiacente. Il panno produce una distruzione costante ed irreversibile della cartilagine con erosione dell’osso subcondrale. Fra tutti i mediatori e citochine, una ha un ruolo dominante nella patogenesi dell’artrite reumatoide: il TNFalfa, come è stato scoperto grazie a trials condotti con antagonisti specifici del TNF che riducono la tumefazione, alleviano il dolore e arrestano l’avanzamento della malattia.

Decorso clinico.

L’andamento clinico dell’AR è estremamente variabile. La malattia inizia lentamente ed in modo insidioso in oltre la metà dei casi. Inizialmente si presenta con malessere, affaticamento e dolore muscoloscheletrico generalizzato e, solo dopo varie settimane o mesi, diventa evidente il coinvolgimento articolare. Il tipo di interessamento articolare varia, ma in genere le piccole articolazioni sono colpite prima delle articolazioni più grandi, con andamento centripeto (sono colpite prima le articolazioni più distali e poi via via quelle più prossimali degli arti), simmetrico e

38 ha carattere aggiuntivo ossia la malattia tende a colpire sempre nuove articolazioni senza risoluzione della flogosi di quelle precedentemente colpite. I sintomi si presentano in genere prima nelle mani (articolazioni metacarpofalangee ed interfalangee prossimali) e nei piedi, seguiti da polsi, caviglie, gomiti e ginocchia. In rari casi è coinvolto il rachide superiore, ma la regione lombosacrale e le anche sono generalmente risparmiate. Le articolazioni colpite sono tumefatte, calde, dolenti e particolarmente rigide al mattino o dopo inattività. Circa il 10% dei pazienti presenta un esordio acuto con sintomi gravi per più giorni e coinvolgimento poliarticolare. Il paziente tipico presenta un interessamento articolare progressivo per un periodo della durata di mesi o anni, con limitazione del movimento inizialmente minima e progressivamente più grave. Il decorso della malattia può essere lento o rapido e variare nel corso degli anni, ma i danni maggiori si verificano nei primi 4-5 anni. Circa il 20% dei pazienti va incontro a periodi di remissione parziale o completa spontaneamente o grazie a farmaci, ma i sintomi inevitabilmente ritornano e possono coinvolgere articolazioni in precedenza risparmiate. I segni radiografici caratteristici sono versamenti articolari ed osteopenia iuxta-articolare, con erosioni ossee, restringimento della rima articolare e perdita della cartilagine articolare. La distruzione di tendini, legamenti e capsule articolari provoca le caratteristiche deformità, che comprendono deviazione radiale del polso, deviazione ulnare delle dita e anomalie in flessione-iperestensione delle dita (dita a collo di cigno o boutonnière). Il risultato finale è costituito da articolazioni deformate ed instabili, con un’ampiezza di movimento minima o assente. Si possono sviluppare ampie cisti sinoviali che provocano l’aumento della pressione intra-articolare causando un’estroflessione della membrana sinoviale.

Diagnosi di AR

La diagnosi di AR si basa principalmente sulle caratteristiche cliniche e prevede, secondo le linee guida elaborate dall’ACR (Arnett et al. 1998), la presenza di 4 dei seguenti criteri:

- rigidità mattutina, almeno un’ora prima di osservare un miglioramento - artrite in almeno 3 o più aree articolari

- artrite delle articolazioni della mano - artrite simmetrica

39 - fattore reumatoide nel siero

- tipico quadro radiografico di mani, polso e piedi con erosione o decalcificazione e riduzione della rima articolare.

L’European League Against Rheumatism (EULAR) e l’American College of Rheumatology nel 2010 (Aletaha et al. 2010) hanno rivisto tali criteri dando maggior spazio alla diagnostica di laboratorio ed raccomandando la determinazione di fattore reumatoide e di anticorpi anti proteine peptidi citrullinati.

Fattore Reumatoide

Infatti, circa l’80% dei soggetti con AR presenta autoanticorpi contro il frammento Fc delle IgG autologhe; tali autoanticorpi sono noti come fattore reumatoide. Si tratta principalmente di anticorpi IgM, ma possono essere anche di altre classi (IgG, IgA, IgE) che si legano alle IgG autologhe portando alla formazione di immunocomplessi nel siero, nel liquido sinoviale e nelle membrane sinoviali. Benché non siano una causa della malattia, gli immunocomplessi circolanti sono marcatori dell’attività della malattia. Il fattore reumatoide tuttavia non è presente in alcuni soggetti affetti da artrite reumatoide che vengono definiti sieronegativi, si riscontra anche in altre condizioni patologiche, può essere presente anche in soggetti sani ed in particolare aumenta nell’anziano; per questo motivo non è un marcatore molto specifico di AR.

Gli anticorpi anti-proteine/peptidi citrullinati (ACPA).

Nel 1964, 24 anni dopo la scoperta di Waaler del primo autoanticorpo umano, il fattore reumatoide (FR), Nienhuis e Mandema hanno descritto gli anticorpi anti fattore perinucleare (APF) presenti nel siero del 50-91% dei pazienti con AR, malattia per la quale hanno un’elevata specificità (97%).Gli APF, appartenenti prevalentemente alla classe IgG sono diretti contro determinanti proteici (pro- filaggrina) presenti nei granuli cheratojalini sferici stoccati nel citoplasma delle cellule epiteliali in particolare in quelle della mucosa buccale. Tali anticorpi vengono evidenziati mediante test di immunofluorescenza indiretta su cellule di mucosa buccale con i sieri di pazienti con AR: il pattern di fluorescenza evidenziato è definito “perinucleare”; non sono usati routinariamente nella diagnostica dell’AR, nonostante l’elevata specificità, per la difficoltà di reperire cellule buccali fresche e con un alto contenuto di granuli cheratoialini. Il gruppo guidato da Guy Serre ha dimostrato che la filaggrina presente nel tessuto cutaneo differenziato era identica al fattore

40 perinucleare; da questi dati apparentemente discordanti si può dedurre che la filaggrina matura nell’epitelio differenziato presenta una struttura chimica parzialmente diversa rispetto alla pro- filaggrina presente nelle cellule di mucosa buccale coltivate (Simon et al. 1993). Ciò ha portato all’ipotesi che la pro-filaggrina viene modificata durante la differenziazione delle cellule epidermiche e che questa modifica è essenziale per la sua antigenicità. La filaggrina è espressa come pro-filaggrina, precursore insolubile ad alto peso molecolare all’interno dei granuli cheratojalini durante gli ultimi momenti della differenziazione dell'epidermide dei mammiferi; dopo la dispersione dei granuli la pro-filaggrina subisce una defosforilazione specifica ed una segmentazione proteolitica per rilasciare la filaggrina solubile. Gli enzimi calcio-dipendenti peptidilarginin deiminasi (PAD) catalizzano la conversione dei residui di arginina in residui di citrullina. Questa modificazione post-trascrizionale, denominata citrullinazione o deiminazione, genera citrulline, un aminoacido che è stato descritto come il componente principale dei determinanti antigenici riconosciuti dagli anticorpi specifici dell’AR. La citrullinazione è una modificazione post-traslazionale che altera la carica della proteina portando a cambiamenti nella sua struttura tridimensionale che a loro volta conducono a cambiamenti nelle proprietà antigeniche; ha un ruolo fisiologico e biochimico essenziale nel differenziamento cellulare e nell’apoptosi (Gyorgy et al. 2006).

Figura 2. Reazione di deiminazione dell'arginina ad opera della peptidilarginin deiminasi (PAD)

Le diverse PAD sono localizzate all'interno della cellula come forme inattive dell'enzima, poiché le cellule viventi in condizioni normali non contengono i livelli elevati di calcio (Ca2+) necessari per l'attivazione degli enzimi. Nel caso di cellule morenti, la distruzione della membrana plasmatica e delle membrane degli organelli provocano un forte aumento della concentrazione di Ca2+

41 intracellulare causato dall’entrata del calcio extracellulare e dalla mobilitazione del calcio dai depositi intracellulari. Questo aumento di Ca2+ può portare all'attivazione degli enzimi PAD e alla citrullinazione di varie proteine; inoltre gli enzimi PAD rilasciati dalle cellule morenti possono anche essere attivati dal Ca2+ extracellulare (Anzillotti et al. 2010). La citrullinazione è un normale processo fisiologico che si verifica all'interno di molte cellule morenti del corpo, ma il sistema immunitario normalmente non incontra proteine citrullinate poiché subito dopo l’inizio della morte cellulare le cellule vengono fagocitate. Quando il sistema di rimozione di questi detriti è inefficiente o inadeguato, come ad esempio quando si verifica una massiccia morte cellulare, enzimi PAD e proteine citrullinate possono fuoriuscire dalle cellule morenti ed incontrare le cellule del sistema immunitario. Inoltre gli enzimi PAD rilasciati causano la citrullinazione di molte proteine extracellulari che contengono arginina e questo può verificarsi anche nella sinovia (a carico di proteine quali collagene, fibrina/fibrinogeno), creando così una grande quantità di antigeni citrullinati e si può ipotizzare che le proteine citrullinate rilasciate funzionino come primi antigeni citrullinati incontrati dal sistema immunitario.

La filaggrina deiminata non è un costituente della sinovia, per cui la presenza nei pazienti con AR di anticorpi diretti verso questo antigene può dipendere da meccanismi di cross reattività.

Poiché pazienti con AR hanno anticorpi non solo contro la filaggrina deiminata ma anche contro la fibrina e il fibrinogeno, il collagene, l’alfa enolasi e peptidi derivati da tali proteine, tutte nella loro forma deiminata, tali anticorpi sono stati compresi in una famiglia di anticorpi chiamati ACPA, anticorpi anti proteine/peptidi citrullinati (Uysal et al. 2010).

L’aumento del numero di proteine citrullinate riconosciute dagli ACPA è un fenomeno che avviene nelle fasi iniziali della malattia, prima che l’AR venga clinicamente riconosciuta. I livelli di ACPA sono elevati nel liquido sinoviale suggerendo una produzione locale di anticorpi nel sito di infiammazione. La presenza di proteine deiminate è stata dimostrata in varie condizioni infiammatorie e quindi la citrullinazione è interpretata come processo comune associato all’infiammazione e non specifico per l’AR (Gyorgy et al. 2006). L’elevata specificità degli ACPA prodotti nell’AR sembra essere il risultato di una risposta anticorpale anomala alle proteine citrullinate e molto probabilmente dipende dal background genetico del paziente e da fattori di rischio ambientale.

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Attualmente gli ACPA sono gli autoanticorpi più specifici per l’AR. Il crescente numero di antigeni citrullinati in grado di reagire con gli ACPA e modelli di reattività differenziali dei sieri di pazienti affetti da AR suggeriscono che l'induzione di una risposta ACPA non sia causata da un singolo epitopo o antigene citrullinato ma da molteplici. Anche se la citrullinazione delle proteine è un processo fisiologico che si verifica durante l’infiammazione e non è specifico per l'artrite reumatoide esiste una risposta delle cellule B alterata contro gli antigeni citrullinati specifica per l'AR; infatti la formazione di ACPA precede la comparsa della patologia; possono essere rilevati nel siero fino a 9 anni prima che si presentino i sintomi clinici visibili della malattia. È chiaro che gli ACPA sono correlati all’AR ma non è ancora chiaro se questi anticorpi siano prodotti solo come riflesso ad un processo infiammatorio precoce o se svolgano un ruolo causativo nella determinazione della patologia.

L’elevata specificità diagnostica è stata messa in evidenza da studi di metanalisi da cui è emerso che su circa 25000 pazienti affetti da 170 patologie differenti, analizzati in 170 studi, la specificità intesa come percentuale di risultati negativi in patologie diverse dall’AR varia tra 92 e 97% per le malattie autoimmuni sistemiche (Sun et al. 2014). È stato ipotizzato che l’elevata specificità degli ACPA sia associata alla maturazione mediata da antigeni citrullinati di linfociti B specifici nelle articolazioni colpite, ipotesi sostenuta dal fatto che linfociti B di pazienti ACPA-positivi producono spontaneamente questi anticorpi nel liquido sinoviale mentre i linfociti B di pazienti ACPA-negativi non li producono (Willemze et al 2013).

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