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L’assestamento della mappa concettuale: la necessità di un approccio multi-scalare a completamento del “box of tools” sulla globalizzazione

Distretti e Aree Urbane Vantaggi competitivi locali Pre-post crisi; automotive

3.1 L’assestamento della mappa concettuale: la necessità di un approccio multi-scalare a completamento del “box of tools” sulla globalizzazione

Il punto di approdo – dinamico – della riflessione teorica indispensabile per cogliere le complesse evoluzioni reali dell‟industria dell‟auto – inclusa la sua dimensione europea – è quello dell‟approccio multi- scalare.

Nel capitalismo manifatturiero internazionale – e nella sua versione europea – sono in atto processi che si sviluppano su una molteplicità di scale e che, così, generano una molteplicità di modalità di sviluppo e di auto-organizzazione delle attività. Questo riguarda una pluralità di settori, fra cui quelli a più alto tasso di innovazione, come l‟automobile. Un approccio teorico interessante è quello che passa dai livelli macro e meso al livello micro (Kajikawa, Takeda, Sakata e Mtsushima, 2010), così da porre in evidenza l‟evoluzione delle morfologie reticolari assunte dagli agenti economici nelle loro diverse funzioni.

In qualche maniera, l‟evoluzione connettiva delle dipendenze e soprattutto delle interdipendenze fra soggetti economici e settori economici contempla la considerazione delle “macro-strutture delle reti (configurazioni hypernetwork a livello globale), meso-proprietà (ovvero le proprietà topologiche delle configurazioni a rete), microstrutture (cioè i comportamenti delle singole entità economiche e le modalità di connessione tra di esse)” (Lombardi e Macchi, 2012).

Questo approccio teorico riesce a dare conto dei rapporti – complessi – fra imprese di differenti dimensioni, che hanno un legame diverso con i mercati globalizzati e le così dette economie di territorio e che hanno una differente relazione con quei soggetti attivi di policy che hanno – nella definizione e nel concreto funzionamento delle reti – ruoli assai più importanti di quanto non possa sembrare a uno sguardo superficiale.

Sotto il profilo ermeneutico, l‟approccio multi-scalare contempla e sintetizza, condensa e completa – con un metodo mai ultimativo, ma sempre di perfezionamento graduale del frame teorico – un mosaico ermeneutico che ha alcuni tasselli fondamentali: prima di tutto la constatazione della diversità evolutiva che

sussiste fra internazionalizzazione e globalizzazione. Una globalizzazione che ha, quali fenomeni salienti, la verticalizzazione e la frammentazione dei processi produttivi. La nuova natura della manifattura e dei commerci mondiali viene osservata (e misurata) da uno strumento analitico essenziale come le Global Value Chains, che sembra in grado di decrittare il tema – per certi versi ambiguo e imperscrutabile – della creazione della ricchezza, nella forma del valore aggiunto (Gereffi, Humphrey e Sturgeon, 2005).

Questa dinamica ha nell‟automotive industry uno dei cuori centrali del cambiamento (Sturgeon e Florida, 1999, Sturgeon e Van Biesebroeck, 2011). Tale dinamica – osservabile al contempo con le griglie interpretative dell‟analisi storica e dell‟analisi economica – si verifica contemporaneamente a un altro fenomeno: il cambiamento del concetto di spazialità economica. Infatti, la globalizzazione – con il suo infittirsi di relazioni ai più diversi livelli – tende a costruire aggregati territoriali di nuova entità, che superano la pura dimensione nazionale. Un esempio di tutto ciò, peraltro facilitato e favorito anche dai processi di unificazione monetaria e politica, è l‟assunzione da parte dell‟Europa di alcuni tratti del modello della Region di stampo krugmaniano.

Se la Detroit Area – che dal Michigan si estende all‟Ohio e superando i confini americani arriva a Toronto in Canada – ha avuto come cardine storico del suo sviluppo la sua condizione di Region omogenea e libera negli scambi (Krugman, 1991), l‟Europa sembra sperimentare, dagli anni Novanta in avanti, una crescente coesione.

Alla rimodulazione teorica del concetto di spazio economico (Krugman, 1991 e Fujita, Krugman e Venables, 1999), utile appunto per cogliere la crescente integrazione fra sistemi industriali nazionali europei come quelli tedesco, francese e italiano, si unisce la sempre migliore interpretazione della nuova fisiologia del capitalismo internazionale. Nel senso che la tendenza allo spacchettamento di funzioni e di competenze – non soltanto nella parte prettamente manifatturiera, ma anche nella componente dell‟innovazione immateriale – è comprensibile soltanto adottando il punto di vista di una ridefinizione complessiva dei rapporti fra gerarchia e mercato.

Sotto il profilo teorico, la quadratura del cerchio fra la tendenza inveratasi a livello globale a verticalizzare e allo stesso tempo a frammentare i processi produttivi, la propensione alla formazione naturale di nuovi aggregati territoriali con un livello di coesione e di integrazione crescente fra soggetti economici appartenenti a Paesi diversi, la dialettica fra mercati globali sovrastanti e identità economiche territoriali di sorprendente resilienza e la nuova morfologia – multipla, non univoca – del concetto di impresa (che ora può essere una flagship, ora una fornitrice di primo ora una fornitrice di secondo livello, o tutte e tre le cose a seconda della situazione), si può avere con il paradigma del Global Production Networks (Ernst 2002, Hess, Coe e Dicken 2008). Il che vale tanto più per l‟automotive industry (Frigant e Zumpe, 2014).

Il Global Production Network – grazie alla sua capacità di coordinare gerarchia e mercato, snodi in cui si concentrano risorse tecno-produttive strutturali e reti di connessione con elementi più plastici e

temporanei – appare dunque il paradigma che meglio recepisce cifre essenziali del nuovo capitalismo, come ad esempio gli Industrial Commons, intesi come i fattori di intersezione che accomunano attività industriali in cui i confini fra i settori tendono a diventare sempre meno netti e sempre più sfumati (Pisano e Shih, 2012) e le competenze – non solo immateriali, ma anche connesse ai meri processi industriali – sempre più “spacchettabili” e condivisibili da più specializzazioni economiche (Sturgeon, 2001 e 2002).

Sotto questo punto di vista – e questa appare una ulteriore quadratura del cerchio – l’automotive industry – in ogni sua dimensione geografica e metageografica – è uno dei comparti tradizionali (per usare un lessico novecentesco) in cui – per l‟alto tasso di meccanica, elettronica e meccatronica – le intersezioni fra saperi industriali – viatico a nuove forme di addensamento della conoscenza nei processi materiali e immateriali – risultano essenziali. Rendendo, così, l‟automotive industry davvero un caso – anche teorico – paradigmatico del nuovo capitalismo globalizzato e delle nuove mappe ermeneutiche tracciate dall‟analisi economica per tentare di decrittarne i movimenti e le tendenze di lungo periodo.