• Non ci sono risultati.

Le principali acquisizioni ottenute: il futuro della componentistica italiana e il ruolo delle policy

Distretti e Aree Urbane Vantaggi competitivi locali Pre-post crisi; automotive

3.2 Le principali acquisizioni ottenute: il futuro della componentistica italiana e il ruolo delle policy

Il riassetto degli equilibri del capitalismo internazionale – nella sintesi paradigmatica dell‟automotive industry - appare un processo profondo e a tratti violento.

Nulla è sicuro. Ogni punto di arrivo è caratterizzato da una natura transitoria. Ogni aggiustamento potrebbe dischiudere evoluzioni strutturalmente disruptive. Allo stesso tempo, ogni cambiamento – dalle tecnologie ibride alla fabbricazione modulare e olistica dell‟autoveicolo – appare segnato da una incipiente gradualità, con una selettività radicale – moltissime innovazioni, poche quelle in grado di dispiegare un reale mutamento di rottura – che nei suoi elementi di autentico cambiamento si diffonde con una inesorabilità pari soltanto alla lentezza – non elefantiaca, ma da grande animale tutt‟altro che morente – che caratterizza l‟industria internazionale dell‟auto.

La costruzione di un sistema internazionale dell‟auto composto non solo da car makers, ma anche da grandi componentisti e – nell‟intreccio orizzontale e verticale – da fornitori e subfornitori, costituisce dunque uno dei principali stadi evolutivi del capitalismo internazionale ai tempi della nuova globalizzazione.

In un contesto di questo genere, l‟Europa ha sperimentato un riassetto profondo della sua industria dell‟auto. Questo riassetto coincide con un infittirsi e un migliorare delle relazioni fra sistemi industriali nazionali: l‟integrazione crescente con gli investimenti diretti esteri incrociati – come fra Italia, Francia e Germania – non corrisponde soltanto a una dinamica quantitativa, ma anche a una dinamica qualitativa. Non

a caso, è stata mostrata la maggiore efficienza industriale delle imprese italiane della componentistica controllate da capitale estero rispetto a quelle a totale controllo nazionale.

Allo stesso tempo, esiste un tema di riassetto delle gerarchie: nel senso che – sul medio periodo considerato, dal 1995 in avanti – la crescita del sistema industriale tedesco – nell‟automobile – ha avuto un ritmo impetuoso e ha seguito una doppia direttrice: le case automobilistiche e i componentisti. Nello stesso tempo, sia la Francia sia l‟Italia hanno sperimentato una despecializzazione sulla prima direttrice e un mantenimento della specializzazione – con un miglioramento per l‟Italia – sulla seconda direttrice.

Dunque, il cuore dell‟Europa dell‟auto sembra avere subito una radicale riorganizzazione. Per usare lo strumento analitico delle Global Value Chains, esiste una significativa quota incrociata di ricchezza industriale assorbita e ceduta fra i tre Paesi. Per adoperare, invece, lo schema interpretativo del Global Production Network, il riassetto europeo – fra gerarchia e mercato – appare segnato dalla predominanza tedesca nella figura delle imprese flagship, che nell‟automotive restano i produttori finali di auto e i grandi componentisti, e dalla tendenziale collocazione – funzionale e reale, materiale e simbolica – sui livelli più bassi degli agenti economici – non solo le imprese, ma anche i soggetti attivi delle policy e i centri di produzione del sapere e dell‟intelligenza – di Italia e Francia.

Queste tendenze hanno avuto espressione anche per la crisi dei produttori di auto che, se è stata significativa in Francia, è risultata in Italia ancora più radicale. In particolare, in Italia la scomparsa negli anni Ottanta di una Alfa Romeo autonoma e la crisi della Fiat hanno rimodellato il paesaggio industriale.

Senza i fenomeni connessi alla globalizzazione, in una economia più chiusa, meno digitalizzata e non organizzata – a seconda del paradigma analitico prescelto – per Global Value Chains e per Global Production Networks, la componentistica italiana probabilmente sarebbe deperita. Questo, invece, non è successo. Non è successo per la diversificazione di portafoglio dei clienti, con la crescente importanza delle case automobilistiche francesi e tedesche. Non è successo perché, nei fatti, l‟Europa si è progressivamente trasformata in un tessuto industriale a crescente integrazione, in cui le funzionali apicali sono di appannaggio della Germania.

In un nuovo concetto di spazio gerarchico e di spazio tecno-produttivo, la Fiat resta un elemento importante per l‟Italia. Ma il suo downsizing, rispetto agli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, e il crescente spostamento del suo asse strategico verso gli Stati Uniti – dopo il salvataggio dal fallimento coinciso con l‟arrivo di Sergio Marchionne nel 2004 e con l‟acquisizione di Chrysler – non hanno provocato particolari drammaticità al resto del tessuto produttivo italiano. Che, come si è visto, nelle sue componenti automotive non Fiat mostra peraltro un livello di efficienza maggiore rispetto alle sue componenti Fiat.

Dunque, appare scongiurato il rischio di una acefalia della componentistica italiana. Soprattutto perché, in un corpo ormai europeo, la testa è tedesca.

Asserito che lo spazio economico e tecno-produttivo è continentale, è però chiaro che occorre capire quali siano i punti di forza e di debolezza della componentistica italiana. Le imprese italiane hanno una dimensione media inferiore rispetto a quelle francesi e tedesche. E questo, per esempio, si manifesta nell‟incapacità di sviluppare brevetti: una condizione sistemica che appare complementare con i deficit, in questa attività strategica, accusati dalla Fiat, che in nessun modo è riuscita a rimanere sulla frontiera più avanzata, occupata invece stabilmente – nelle tecnologie dei motori e nei nuovi processi industriali – dalle case automobilistiche tedesche, in diretta competizione con quelle coreane e giapponesi.

Lo standard industriale delle imprese della componentistica italiana è –inaspettatamente – migliore rispetto agli standard dei concorrenti tedeschi e francesi: all‟interno del perimetro della fabbrica e dei laboratori, l‟efficienza industriale sviluppata è più alta. Il problema delle imprese italiane è costituita dalla debolezza patrimoniale e dall‟indebitamento bancario.

Dunque, in un contesto di questo genere – che si sviluppa peraltro in un paesaggio europeo segnato dall‟integrazione dei sistemi industriali nazionali e da fenomeni propri della globalizzazione come la verticalizzazione e la frammentazione, i riassetti gerarchici basati sulle reti e i nuovi addensamenti tecno- produttivi – appare evidente che le imprese italiane hanno – nella loro naturale fisiologia – un presente. Hanno un presente soprattutto in Europa, ma anche sui mercati globali.

Il problema, però, è capire se esse avranno un futuro. Infatti, la prospettiva di una conservazione di un loro ruolo sistemico e di un loro ipotetico up-grading verso le parti alte delle catene globali del valore appare condizionato anche dall‟efficienza dei soggetti attivi di policy, che hanno un peso tutt‟altro che irrilevante.

Le policy potrebbero avere un ruolo attivo per rendere – per esempio, attraverso la leva fiscale – convenienti i processi di fusione e di crescita dimensionale delle imprese italiane. Tuttavia, il tema della dimensione non persuade del tutto: nel senso che – in una economia globalizzata fatta di catene internazionali del valore, di network e di nicchie – la profittabilità può essere perseguita anche con le più diverse dimensioni.

Diverso, invece, è il ruolo delle policy su due temi strategici come l‟internazionalizzazione e l‟innovazione. I soggetti attivi di policy – in particolare gli enti pubblici nazionali – potrebbero svolgere un compito importante, assecondando e favorendo i processi di internazionalizzazione. Per esempio, contribuendo ai contatti fra imprese europee, che possano portare a collaborazioni commerciali o tecno- produttive. Oppure, aiutando le imprese italiane a superare l‟handicap dimensionale e a spostarsi – in primo luogo con strumenti di marketing condiviso fra pubblico e privato - in Asia e negli Stati Uniti, laddove dunque si trovano i cuori dei Global Production Networks dell‟automotive.

Nell‟innovazione, soprattutto in un frame reale che evidenzia il sostanziale spacchettamento di quote considerevoli del sapere tecno-scientifico e del sapere produttivo, i soggetti attivi delle policy diventano

essenziali. Sono fondamentali prima di tutto per incrementare la vocazione innovativa fisiologica delle imprese e per potenziare i bacini di cultura e di innovazione formalizzate (le università e i centri di ricerca). Ma sono cruciali anche per rafforzare i legami internazionali (fra imprese, ma pure fra università e centri di ricerca) che rappresentano le evidenze più palesi dei processi di riconfigurazione di quell‟aggregato e di quelle reti – materiali e immateriali, manifatturiere e tecno-scientifiche – che costituiscono l‟ossatura dell‟automotive industry europea prima che italiana, mondiale oltre che europea.