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Associazione tra Carcinoma Differenziato della tiroide e Tiroidite Autoimmune

CAPITOLO 3. CARCINOMA DIFFERENZIATO DELLA TIROIDE E TIROIDITE

3.2 Associazione tra Carcinoma Differenziato della tiroide e Tiroidite Autoimmune

L’associazione tra DTC e HT fu ipotizzata per la prima volta nel 1955 da Dailey et al. considerando il frequente riscontro istologico di DTC in pazienti con HT tiroidectomizzati3: sebbene, negli anni a seguire, il volume di evidenze a favore di una

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correlazione tra le due patologie sia cresciuto, la natura del legame rimane tuttora controversa2.

La presenza di infiltrato linfocitario, suggestivo di tiroidite autoimmune, nel contesto di un DTC e di focolai di DTC in quadri di HT viene riportata con variabile frequenza.

Ad esempio:

- Hirabayashi e Lindsay, esaminando più di novemila tiroidi, hanno riscontrato PTC associato a HT nel 22,5% dei casi e PTC isolato nel 2,4% dei casi85,86;

- Okayasu et al. hanno evidenziato una prevalenza di infiltrato linfocitario maggiore nei pazienti con PTC rispetto ai soggetti con gozzo o adenoma follicolare, con valori variabili dal 46% fino al 76% a seconda della razza (rispettivamente razza nera e bianca)85,87;

- Ott et al. hanno rilevato PTC nel 32% di 146 pazienti con HT e noduli solitari caldi85,88 e, in un altro studio, hanno osservato, su 161 pazienti con Tc, 61 casi (38%) di HT e, su 267 pazienti con HT, 61 (23%) casi di Tc89;

- Kebebew et al. hanno trovato, su un totale di 136 pazienti con PTC, concomitante presenza di HT nel 30 % e positività per AbTg nel 65%90;

- Tamimi ha riscontrato una prevalenza di infiltrato linfocitario più alta nei pazienti con PTC (58%) rispetto ai pazienti con FTC (20%) o adenoma follicolare (14%)91;

- Pisanu et al. hanno evidenziato, su un totale di 344 pazienti tiroidectomizzati, una frequenza dell’associazione tra HT e DTC pari al 23.8% contro il 6.7% dell’associazione tra HT e noduli benigni92;

- Gul et al. hanno rilevato, su un totale di 613 pazienti, una prevalenza di Tc nei pazienti con HT del 45,7% ed una prevalenza di HT nei pazienti con Tc del 21,8%; inoltre i Tc incidentali sono risultati più frequenti in pazienti con HT (33,3%)93;

- Zeng et al. hanno osservato la presenza di HT nel 35.9% di 619 casi di PTC94. Tipicamente l’associazione riguarda i PTCs e molto più raramente gli FTCs2.

L’eterogeneità della prevalenza riportata di HT associata a DTC potrebbe essere spiegata con differenze, tra i diversi studi, nei criteri di selezione dei pazienti, caratterizzazione dell’autoimmunità, valutazione istologica dei campioni, indicazione alla tiroidectomia e nei fattori ambientali (esposizione a radiazioni), geografici (intake di iodio) e genetici2. È da chiarire se, in presenza di DTC e HT coesistenti, la tiroidite sia indotta secondariamente dal tumore, come reazione del SI dell’ospite alle cellule neoplastiche, o se

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predisponga al tumore95 agendo da fattore iniziante la cancerogenesi96, in questa visione dualistica del SI antagonista e agonista tumorale.

3.2.1 Significato dell’infiltrato immunitario nel carcinoma differenziato della tiroide

Bisogna ammettere che risulta difficile differenziare l’infiltrato immunitario circostante una neoplasia tiroidea da una vera tiroidite cronica sulla base dei soli reperti istologici85. Comunque, il ruolo dell’infiltrazione di cellule immunitarie nei DTC, quale espressione di tiroidite autoimmune, non è completamente chiaro e la sua interpretazione non è univoca. La coesistenza dei due quadri patologici sembra influenzare in maniera variabile la prognosi2.

Diversi studi presenti in letteratura mostrano una correlazione tra PTC, tiroidite e fattori prognostici positivi, quali dimensioni ridotte della neoplasia e minor frequenza di estensione extratiroidea, di interessamento linfonodale e di recidiva90,94,97,98,99,100,101.

Queste evidenze suggeriscono che la tiroidite autoimmune possa favorire o potenziare una risposta antitumorale2.

In molti lavori la presenza di linfociti, macrofagi e cellule dendritiche correla con prognosi migliore, a sostegno dell’ipotesi che le popolazioni immunitarie siano richiamate nei foci neoplastici al fine di contrastarne l’avanzata102,103,104.

Ugolini et al. hanno rilevato cellule dendritiche immature e linfociti ben rappresentati nei PTCs e marcatamente ridotti nei tumori poco differenziati o indifferenziati, interpretando l’evidenza come espressione del ruolo protettivo rivestito da queste cellule105.

Villagelin et al, studiando l’infiltrato linfocitario, hanno osservato maggiore incidenza di recidiva nei pazienti con linfociti poco rappresentati o assenti nel letto tumorale. In accordo con altri studi l’infiltrazione linfocitaria è risultata predittiva di prognosi migliore102.

Tuttavia, diverse pubblicazioni sottolineano l’effetto opposto, ossia un legame tra infiltrazione di cellule immunitarie e progressione tumorale103.

La presenza di cellule dendritiche plasmacitoidi e cellule T regolatrici (Treg), cruciali nell’evasione del SI, è stata associata a fenotipo tumorale più aggressivo, estensione extratiroidea e metastasi linfonodali106,107. Liu et al. hanno ipotizzato che nei siti di PTC con HT il fenomeno infiammatorio cronico possa sostenere l’espansione compensatoria dei Treg e di conseguenza la soppressione del SI, favorendo le cellule tumorali107.

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Melillo et al. hanno scoperto, inoltre, che, in vitro, i mastociti favoriscono proliferazione, sopravvivenza e invasività delle cellule neoplastiche tiroidee, suggerendo un possibile ruolo, in vivo, nella progressione tumorale e nella disseminazione a distanza108.

Il variabile impatto dell’infiltrato immunitario sull’outcome, mostrato dagli studi finora citati e da molti altri lavori presenti in letteratura, conferma le contrastanti potenzialità del SI, capace tanto di contrastare quanto di favorire la cancerogenesi (figura 11). Attraverso la produzione di mediatori solubili le cellule immunitarie ostacolano o facilitano la crescita tumorale condizionando l’evoluzione del quadro patologico e la prognosi.

Figura 11 Schema ipotetico del network immunitario nel TC. Le cellule immunitarie infiltranti la neoplasia interagiscono fra loro e con le cellule neoplastiche attraverso il rilascio di mediatori solubili con potenzialità anti- o pro-tumorali. (Fonte: Galdiero MR, Varricchi G, Marone G: The immune network in thyroid cancer. Oncoimmunology. 2016 Jun; 5(6): e1168556. Published online 2016 Mar 30).

Si ritiene che il duplice ruolo del SI possa dipendere dall’eterogeneità della risposta infiammatoria e dei profili molecolari della popolazione neoplastica, ovvero dai fenotipi cellulari reclutati e dagli antigeni tumorali espressi109,110,111.

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Ad esempio, studiando il ruolo dei macrofagi, Cunha et al. hanno riscontrato il prevalere delle funzioni antitumorali nei tumori tiroidei ben differenziati e di quelle protumorali nei tumori poco differenziati111. In accordo con questa osservazione, in diversi studi, la densità di macrofagi è risultata associata positivamente ad invasività, interessamento linfonodale e ridotta sopravvivenza soltanto nei PTCs di alto grado112,113.

Alla luce di queste evidenze la risposta immune, oltre a modificare il profilo antigenico delle cellule neoplastiche durante la progressione tumorale, favorendo l’emergenza di cloni meno immunogenici rispetto alle fasi iniziali di crescita neoplastica (immunoediting), correla con l’antigenicità tumorale. Essenzialmente l’infiltrato immunitario viene plasmato dal profilo immunoistochimico delle cellule neoplastiche e può, a sua volta, aiutare a caratterizzare specifici istotipi tumorali. Il suo impatto sulla prognosi dipende, dunque, da complesse interazioni tra cellule neoplastiche e SI soltanto parzialmente conosciute. In quest’ottica la caratterizzazione del microambiente infiammatorio permetterebbe di realizzare immunoterapie personalizzate, dirette a contrastare le attività protumorali delle cellule immunitarie e favorire quelle antitumorali ed aiuterebbe ad individuare le neoplasie più aggressive, meritevoli di terapie specifiche, escludendo dai trattamenti più invasivi i pazienti con patologia indolente110,111.

3.2.2 Tiroidite di Hashimoto: fattore di rischio per lo sviluppo del carcinoma differenziato della tiroide

La HT è associata ad aumentato rischio di neoplasia tiroidea in numerosi studi2,73,85,87,89,91,93,94,95,96.

Innanzitutto, una causa potrebbe essere la condizione di persistente attivazione del SI. In questo scenario, mediatori infiammatori quali citochine, chemochine, radicali liberi e specie reattive dell’ossigeno potrebbero causare danni cellulari in grado di avviare e sostenere l’espansione clonale di cellule mutate2,18.

Citochine proinfiammatorie con ruolo di fattori di crescita, quali Il-17, IFN-γ e TNF-α, sono state descritte in elevata quantità in pazienti con HT103.

All’IFNγ e al TNFα sono state attribuite funzioni non solo citotossiche, citostatiche e antitumorali ma anche citoproliferative e protumorali111. Queste sostanze, infatti, inducendo la secrezione di CXCL10, chemochina associata all’infiltrazione di linfociti Th1 tipica delle patologie tiroidee autoimmuni68,69, potrebbero giocare un ruolo indiretto nella patogenesi dei DTC attraverso la perpetuazione del quadro infiammatorio.

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Inoltre, NO (Ossido Nitrico) e HMGB1 (High Mobility Group Box 1 protein) presenti nel microambiente infiammatorio tiroideo, essendo notoriamente coinvolti nell’angiogenesi, nel rimodellamento della matrice, nella soppressione del SI e nell’inibizione di molecole regolatrici del ciclo cellulare, potrebbero favorire la cancerogenesi in pazienti con HT114. Similmente i ROS, mediatori chiave nel processo infiammatorio, sarebbero implicati attraverso il danneggiamento del DNA cellulare: in particolare viene chiamato in causa il perossido di idrogeno (H2O2), essenziale per l’organicazione dello iodio e dunque per la sintesi degli ormoni tiroidei103.

Un meccanismo alternativo o complementare ipotizzato per giustificare l’aumentata incidenza di PTC in corso di HT consiste nella stimolazione dei tireociti da parte del TSH, la cui concentrazione sierica aumenta progressivamente man mano che il parenchima ghiandolare viene distrutto dal processo infiammatorio.

Da quando Boelaert et al. hanno individuato l’incremento del TSH come possibile fattore di rischio per l’insorgenza di PTC115, diversi studi hanno avvalorato l’ipotesi19,73,116.

Fiore et al. hanno riscontrato una significativa associazione tra valori aumentati di TSH e prevalenza di PTC nei pazienti con HT rispetto a pazienti con gozzo nodulare. Inoltre, hanno confermato tale evidenza valutando la relazione tra TSH e frequenza di PTC in pazienti in terapia soppressiva con LT4: dall’analisi è emerso che la riduzione del TSH, ottenuta con LT4, correla con minore rischio di PTC19,20.

McLeod et al., in una review comprensiva di 5.786 casi di tumori tiroidei, hanno ottenuto risultati simili suggerendo la soppressione del TSH come potenziale arma di prevenzione116.

In sostanza, la Probabilità di PTC diminuisce in presenza di valori più bassi di TSH e, viceversa, aumenta nella situazione opposta: pur rientrando nel range di normalità, livelli di TSH maggiori si associano a maggiore prevalenza di tumore e stadio più avanzato117,118. Effettivamente il TSH è il principale fattore coinvolto nel controllo della proliferazione e differenziazione dei tireociti: un suo incremento nei pazienti con HT potrebbe stimolare l’epitelio follicolare promuovendo lo sviluppo del PTC. È improbabile che il TSH agisca da solo considerando l’insorgenza di neoplasia anche in pazienti con normali valori ormonali, ma è possibile che la stimolazione cronica possa giocare un ruolo nella cancerogesi117.

L’importanza della cronicità del processo infiammatorio nella patogenesi del Tc in pazienti con HT non è stata confermata nello studio di Paparodis et al. da cui è emerso un rischio

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maggiore di DTC in pazienti con HT non clinica (eutiroidei o non completamente ipotiroidei) rispetto ai soggetti con HT clinica (ipotiroidei, con ghiandola ormai distrutta). L’evidenza è stata giustificata con la possibilità che il TSH aumentato abbia effetti diversi a seconda dell’entità del tessuto ghiandolare residuo. In caso di HT non clinicamente manifesta, con ghiandola parzialmente conservata, la stimolazione dei tireociti da parte del TSH attiverebbe la sintesi ormonale con produzione nelle prime tappe di H2O2 e probabile effetto mutageno sul DNA; nei pazienti con HT clinica e tiroide completamente distrutta, invece, l’assenza del substrato per il TSH ridurrebbe il rischio di DTC119.

Comunque alcuni studi, mostrando valori di TSH simili in pazienti con PTC ed in pazienti con patologia benigna, non confermano il ruolo dell’ormone nella patogenesi delle neoplasie tiroidee120.

Diversi lavori, infine, suggeriscono che anche gli AbTg, presenti in percentuale maggiore nei pazienti con DTC rispetto alla popolazione generale121, siano un fattore di rischio per i PTC95,103,122,123,124,125 e che l’associazione tra HT e Tc possa essere anticorpo- specifica103,122. Il meccanismo non è noto: gli AbTg potrebbero avere un effetto cancerogeno o essere associati ad una specifica risposta infiammatoria cancerogena122. Inoltre, secondo alcuni studi, la presenza di AbTg nei pazienti con PTC influenza negativamente la prognosi, associandosi a decorso più aggressivo della neoplasia126,127,128; questo dato, tuttavia, non è confermato in maniera univoca129,130.

Per quanto riguarda gli AbTPO, ci sono posizioni contrastanti: alcuni lavori suggeriscono un’associazione tra AbTPO ed aumento del rischio di Tc128,131, mentre altri la escludono103,119,122,124, probabilmente a causa della loro capacità di fissare il complemento. L’effetto citotossico, infatti, potrebbe fornire protezione dal potenziale cancerogeno del processo infiammatorio tiroideo122.

3.2.3 Possibili links patogenetici molecolari tra carcinoma differenziato della tiroide e tiroidite di Hashimoto

Il DTC e la HT condividono alcune caratteristiche epidemiologiche quali aumentata incidenza negli ultimi decenni, maggiore prevalenza nel sesso femminile, correlazione con intake iodico2.

Nella HT sono state individuate alterazioni molecolari simili a quelle riscontrate nel PTC2,92, tra cui riarrangiamenti RET/PTC132,133,134,135.

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Muzza et al. hanno osservato maggior frequenza del riarrangiamento RET/PTC1 nel PTC associato ad autoimmunità piuttosto che nel PTC senza autoimmunità, suggerendo, sia l’esistenza di un differente background genetico tra PTC con e senza autoimmunità, sia un ruolo critico dell’oncogene RET nella modulazione della risposta autoimmune, oltre che nella cancerogenesi, a sostegno del possibile link molecolare tra tiroidite e cancro136. Kang et al., rilevando una sovraespressione di RET, nRAS, ed ERK nelle cellule del PTC e nelle cellule ossifile della HT, hanno concluso che la cascata RET/PTC-RAS-BRAF possa essere coinvolta nello sviluppo del PTC e della metaplasia ossifila nella HT, suggerendo una correlazione tra gli eventi137.

Diversi meccanismi potrebbero spiegare la relazione tra riarrangiamenti RET/PTC e infiammazione2 (figura 12):

- innanzitutto, come precedentemente visto, sostanze quali radicali liberi, citochine, chemochine, ROS prodotti dalle cellule infiammatorie, reclutate nel contesto della HT, potrebbero causare danni al DNA delle cellule follicolari, tra cui riarrangiamenti RET/PTC18,83, centrali nella cancerogenesi.

- Viceversa, riarrangiamenti RET/PTC insorti casualmente potrebbero guidare l’espressione di molecole pro-infiammatorie in grado di innescare o alimentare il processo infiammatorio, capace, a sua volta, di favorire lo sviluppo o la progressione neoplastica.

Nello studio di Russel et al. è stato riscontrato che RET/PTC3 favorisce l’attività di NF- kB (Nuclear Factor kappa-light-chain-enhancer of activated B cell, fattore di trascrizione di diversi mediatori infiammatori) e aumenta la secrezione MCP-1 (Monocyte Chemoattractant Protein-1) e GM-CSF (Granulocyte-Macrophage Colony- Stimulating Factor) guidando il reclutamento di cellule immunitarie2,138.

Puxeddu et al., inoltre, hanno suggerito, che RET/PTC induca l’espressione di prostaglandina E2, COX2, IL24 e altri mediatori implicati nella risposta immune2,139, mentre Melillo et al. hanno scoperto che, nei PTCs, RET/PTC causa una maggiore produzione delle chemochine CXCL1 e CXCL10, non solo cruciali per la perpetuazione dell’autoimmunità, ma anche responsabili di proliferazione neoplastica ed invasività140. - Infine, citochine e chemochine rilasciate delle cellule infiammatorie potrebbero favorire

la sopravvivenza delle cellule tumorali in cui siano insorti riarrangiamenti RET/PTC. Infatti, Guarino et al., considerando l’attività proapoptotica di specifici riarrangiamenti RET/PTC (H4-RET e RFG-RE)2,141, hanno ipotizzato che i mediatori solubili rilasciati

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dall’infiltrato immunitario possano conferire resistenza ai meccanismi di morte programmata innescati dal riarrangiamento142.

A sostegno di questa ipotesi Stassi et al. hanno scoperto che IL-4 e IL-10 promuovono la progressione tumorale e la chemioresistenza inducendo la sovraespressione di proteine antiapoptotiche come Bcl-2 e Bcl-xL143.

Figura 12 Possibili links tra riarrangiamenti RET/PTC e concomitante infiammazione tiroidea. (a)

RET/PTC potrebbe favorire la trascrizione di molecole pro infiammatorie. (b) l’infiammazione potrebbe determinare l’insorgenza di riarrangiamenti RET/PTC. (c) il microambiente

infiammatorio potrebbe avere un ruolo anti-apoptotico antagonizzando riarrangiamenti RET/PTC proapoptotici. (Fonte: Cunha LL, Ferreira RC, Marcello MA, Vassallo J, Ward LS: Clinical and Pathological Implications of Concurrent Autoimmune Thyroid Disorders and Papillary Thyroid Cancer.J Thyroid Res. 2011 Feb 17;2011:387062).

Dalle precedenti osservazioni emerge l’importanza delle chemochine, oltre che nel processo infiammatorio68,69, anche nella progressione tumorale: in diverse neoplasie, infatti, queste molecole si associano ad infiltrazione leucocitaria ed evasione del SI, rappresentando un papabile target terapeutico18,140,144.

Antonelli et al. hanno riscontrato che la produzione di CXCL10, indotta da TNFα ed IFNγ, è molto maggiore nelle cellule neoplastiche del PTC rispetto ai tireociti normali, confermando l’implicazione delle alterazioni genetiche del PTC nella sovraespressione di CXCL10144. In particolare, gli autori hanno suggerito il coinvolgimento di PPARγ (peroxisome proliferator-activated receptor-γ, oncosoppressore la cui funzione viene inattivata dal gene di fusione PAX8/PPARγ negli FTC) nella regolazione del rilascio di chemochine, sulla base dell’evidenza che il trattamento delle cellule tiroidee follicolari con

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il rosiglitazone (RGZ), attivatore di PPARγ, in dosi vicine a quelle terapeutiche, inibisce in maniera significativa la secrezione di CXCL10145.

Considerando il ruolo di CXCL10 nella progressione tumorale e la potenziale utilità di agenti in grado di bloccarne la produzione o l’azione nella gestione del PTC refrattario ad altri trattamenti, Antonelli et al. hanno trattato le cellule del PTC con agonisti di PPARγ, RGZ e pioglitazone. I farmaci hanno inibito la proliferazione cellulare ma hanno avuto un inaspettato effetto stimolatorio sul rilascio di CXCL10. Gli autori hanno ipotizzato che l’effetto antiproliferativo degli agonisti di PPARγ nel PTC dipenda dall’induzione dell’apoptosi e che sia dissociato dall’abilità di frenare la secrezione di CXCL10; gli attivatori di PPARγ avrebbero effettivamente un ruolo inibitorio sul rilascio di chemochine ma la deregolazione delle vie molecolari nel tumore potrebbe modificarne l’effetto in senso opposto, stimolatorio144, con beneficio delle cellule neoplastiche.

Per quanto riguarda la mutazione BRAFV600E i dati presenti in letteratura sono contrastanti: Kim et al. hanno osservato con bassa frequenza l’associazione BRAFV600E e HT nei PTC146 mentre Muzza et al. e Marotta et al. hanno riscontrato una maggiore prevalenza di BRAFV600E nei PTC con concomitante tiroidite autoimmune136,147. Similmente Li et al. hanno osservato una maggiore espressione di BRAFV600E nei pazienti con PTC e AbTg dosabili, rispetto ai pazienti senza positività anticorpale148.

Diversi studi sul melanoma, neoplasia che condivide con i Tc la mutazione, supportano un legame tra BRAFV600E e SI: sembra che la mutazione sia implicata nell’evasione dal SI e induca l’espressione di mediatori infiammatori quali IL-10, IL-6, IL-8 e fattori angiogenetici come VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor)149,150.

Nei PTC con BRAFV600E la presenza di HT correla con minor progressione neoplastica (in termini di estensione extratiroidea e metastasi linfonodali)94,147.

Un altro possibile link molecolare tra DTC e HT potrebbe essere COX2, gene inducibile codificante per un enzima implicato nella conversione dell’acido arachidonico in prostaglandine151.

Tsujii et al. hanno dimostrato che le cellule tumorali con COX2 sovraespresso producono prostaglandine in grado di favorire migrazione cellulare e angiogenesi152.

Dallo studio di Cornetta et al., è emersa la presenza di COX-2 sia nei DTCs che nella HT ma non nel tessuto tiroideo normale o nel gozzo multinodulare153. Inoltre, nei PTCs, è stata evidenziata una stretta associazione tra COX-2 e VEGF (fattore angiogenetico)154.

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Queste evidenze suggeriscono COX2 come possibile anello di congiunzione tra DTC e HT151.

Gli studi molecolari finalizzati a chiarire il nesso tra DTC e HT non devono essere visti come meri esercizi nozionistici ma piuttosto come opportunità di pianificazione di nuove strategie terapeutiche.

Recentemente, per spiegare la correlazione tra patologia neoplastica ed autoimmune, è stata data attenzione anche ai solid cell nests (SNCs), riscontrati incidentalmente nella tiroide normale o in associazione a lesioni neoplastiche e non.

Sebbene sia ampiamente accettato che i SNCs, anche chiamati follicoli misti, siano residui branchiali, il significato biologico rimane incerto2,155.

Di piccole dimensioni (0.1 mm di diametro o meno), solitamente risultano composti da una commistione di cellule principali, maggiormente rappresentate, e cellule C. È stato suggerito che le cellule principali possano rappresentare un pool di cellule staminali nella tiroide dell’adulto, essendo dotate di caratteristiche proprie del fenotipo staminale quali capacità di rigenerazione (per riattivazione della telomerasi) e capacità di differenziazione (per elevata espressione p63 e bcl-2)155,156 in cellule follicolari, cellule C e cellule neoplastiche (PTC, carcinoma mucoepidermoide)157.

Inoltre è stato ipotizzato che i SCNs siano anche in grado innescare una reazione immunitaria nel parenchima tiroideo risultante in infiltrazione linfoide e HT158,159.

Ne consegue che PTC e HT possano essere etiologicamente correlati attraverso questa popolazione cellulare configurantesi come possibile primum movens di entrambi i processi patologici158.

Tuttavia, alcuni studi riportano una bassa incidenza di carcinoma tiroideo nei pazienti con HT, non supportando l’associazione tra le due patologie160,161,162,163,164.

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PARTE II – CAPITOLO 1. Studio di correlazione tra carcinoma differenziato della tiroide e tiroidite

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