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ASSOCIAZIONE TRA CARCINOMA DIFFERENZIATO DELLA TIROIDE E TIROIDITE AUTOIMMUNE

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CORSO DI LAUREA IN MEDICINA E CHIRURGIA

“ASSOCIAZIONE TRA CARCINOMA DIFFERENZIATO

DELLA TIROIDE E TIROIDITE AUTOIMMUNE”

RELATORE

CHIAR.MO PROF. Alessandro Antonelli

CANDIDATO

Angela Maria Antonia Crea

ANNO ACCADEMICO 2015/2016 Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica

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“Nulla dies sine linea”

Plinio il Vecchio

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3

RIASSUNTO

RIASSUNTO

Il carcinoma differenziato della tiroide (DTC) costituisce la quota predominante delle neoplasie maligne tiroidee. Negli ultimi decenni è stato registrato un notevole incremento dell’incidenza, non accompagnato da aumento della mortalità. Parallelamente, una simile tendenza epidemiologica è stata osservata per la tiroidite autoimmune (o tiroidite di Hashimoto, HT), il principale fenotipo delle patologie autoimmuni tiroidee.

La coesistenza di carcinoma differenziato della tiroide e tiroidite autoimmune è riportata in letteratura con variabile frequenza. Sebbene, negli anni, il volume di evidenze a favore di una correlazione tra le due patologie sia cresciuto, tuttora l’associazione non risulta confermata in maniera univoca e la natura del legame rimane incerta, prestandosi a differenti interpretazioni1,2.

La tiroidite autoimmune potrebbe configurarsi come evento secondario all’insorgenza della neoplasia, in quanto espressione della reazione del sistema immunitario alle cellule neoplastiche, o come fattore di rischio per lo sviluppo del tumore.

In particolare, le ipotesi più accreditate per giustificare la maggiore incidenza di DTC nei pazienti con HT prendono in considerazione: la condizione di persistente attivazione del SI e dunque il potenziale tumorale dei mediatori del processo infiammatorio, la stimolazione cronica da parte del TSH sui tireociti ed, infine, il possibile effetto cancerogeno diretto o indiretto degli autoanticorpi tiroidei2.

Numerosi, inoltre, sono gli studi molecolari che hanno individuato elementi comuni a DTC e HT (RET, CXCL10, BRAF, COX2) quali probabili anelli di congiunzione tra le due patologie2.

Lo scopo del presente lavoro di tesi è stato valutare la relazione tra carcinoma differenziato della tiroide e tiroidite autoimmune in una coorte di pazienti sottoposti a tiroidectomia totale per neoplasia confermata istologicamente (DTC), rispetto ad un gruppo di controllo di pazienti tiroidectomizzati per patologia benigna (gozzo multinodulare, GMN).

Lo studio è stato condotto raccogliendo i dati anamnestici, ematochimici (ormonali ed anticorpali) ed anatomopatologici di 452 pazienti inviati all’intervento chirurgico e suddivisi nei gruppi CA (carcinoma, DTC) e GMN in base ai reperti istologici post-intervento.

È emersa una maggiore prevalenza della patologia neoplastica e del gozzo multinodulare nel sesso femminile, in accordo con i dati epidemiologici presenti in letteratura.

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RIASSUNTO

L’età alla diagnosi dei soggetti affetti da carcinoma si è rivelata più bassa rispetto a quella dei soggetti con GMN e l’istotipo più frequentemente riscontrato è stato il carcinoma Papillare, come atteso.

È stata evidenziata un’associazione tra carcinoma ed autoimmunità, risultando maggiore la prevalenza della positività anticorpale per gli anticorpi tireoglobulina e anti-tireoperossidasi (AbTg e AbTPO), o per almeno uno dei due anticorpi, nei pazienti con DTC (Chi Square P-value: 0,0211) rispetto ai controlli con GMN.

Esaminando singolarmente gli anticorpi, è stata confermata la correlazione tra DTC e autoimmunità tiroidea, più evidente per gli AbTg che per gli AbTPO (Chi Square P-value: 0,0056 vs Chi Square P-value: 0,0174).

È stata riscontrata, inoltre, una maggiore prevalenza del DTC rispetto al GMN in presenza di TSH elevato (Chi Square P-value: 0,0105), a sostegno del ruolo di fattore di rischio ipotizzato per l’ormone.

Infine la regressione logistica multivariata tra istologia, età, AbTg e TSH, ha individuato minore età, positività degli AbTg e TSH elevato quali fattori di rischio indipendenti per lo sviluppo di DTC, confermando alcuni lavori presenti in letteratura.

Risulta, pertanto, fondamentale un attento monitoraggio dei pazienti con tiroidite autoimmune, considerando il ruolo non marginale probabilmente rivestito dall’autoimmunità nella cancerogenesi.

Sarebbe interessante, in futuro, studiare la correlazione tra reperti ecografici suggestivi di autoimmunità e neoplasia, ricercare la prevalenza delle patologie autoimmuni sistemiche nei pazienti con DTC e valutare l’incidenza di recidiva e metastasi a distanza nei pazienti con carcinoma associato ad autoimmunità tiroidea.

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5 INDICE

INDICE

RIASSUNTO ... 3 INDICE ABBREVIAZIONI ... 7 INTRODUZIONE ... 10 PARTE I ... 11

CAPITOLO 1. CARCINOMA DIFFERENZIATO DELLA TIROIDE ... 11

1.1 Epidemiologia ... 11

1.2 Classificazione anatomo-patologica e Morfologia ... 13

1.3 Fattori di rischio ... 14

1.4 Biologia molecolare ... 16

1.5 Clinica e Diagnosi ... 18

1.6 Terapia ... 20

1.7 Prognosi e Follow-up ... 24

CAPITOLO 2. TIROIDITE AUTOIMMUNE ... 26

2.1 Patologie autoimmuni della tiroide ... 26

2.2 Epidemiologia ... 26 2.3 Patogenesi ... 27 2.4 Anatomia patologica ... 30 2.5 Clinica ... 31 2.6 Diagnosi ... 33 2.7 Terapia ... 35

CAPITOLO 3. CARCINOMA DIFFERENZIATO DELLA TIROIDE E TIROIDITE AUTOIMMUNE ... 36

3.1 Cancro ed Autoimmunità ... 36

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6

INDICE

PARTE II ... 49

CAPITOLO 1. STUDIO DI CORRELAZIONE TRA CARCINOMA DIFFERENZIATO DELLA TIROIDE E TIROIDITE AUTOIMMUNE ... 49

1.1 Razionale ... 49

1.2 Obiettivi dello studio ... 49

1.3 Materiali e Metodi ... 50 1.4 Analisi statistica ... 51 1.5 Risultati ... 52 1.6 Discussione ... 57 CONCLUSIONI ... 60 PROSPETTIVE FUTURE ... 63 BIBLIOGRAFIA ... 64 SITOGRAFIA ... 83

INDICE DELLE FIGURE... 84

INDICE DELLE TABELLE ... 86

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7

INDICE ABBREVIAZIONI

INDICE ABBREVIAZIONI

AbTg Anticorpi anti-Tireoglobulina AbTPO Anticorpi anti-Tireoperossidasi AITD Autoimmune Thyroid Diseases ATA American Thyroid Association

AOUP Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana B-RAF B- Rapidly Accelerated Fibrosarcoma CA Carcinoma

COX2 Ciclossigenasi di tipo 2

CTLA-4 Cytotoxic T Lymphocyte-associated Antigen-4 CTNNB1 Catenin Beta 1

DTC/DTCs Carcinoma/i Differenziato/i della Tiroide FDG Fluoro-DesossiGlucosio

FNA Fine-Needle Aspiration

FTC/FTC Carcinoma/i Follicolare/i della Tiroide fT3 free Triiodothyronine

fT4 free Thyroxine

GM-CSF Granulocyte-Macrophage Colony-Stimulating Factor GMN Gozzo MultiNodulare

HCV Hepatitis C virus

HMGB1 High Mobility Group Box 1 protein H2O2 Perossido di idrogeno

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INDICE ABBREVIAZIONI

HT Tiroidite di Hashimoto IFN Interferone

IGF-1 Insulin-like Growth Factor 1 IgG4 ImmunoglobulineG4

IL InterLeuchine LT4 Levotiroxina

MALT Mucose-Associated Lymphoid Tissue MAPK Mitogen-Activated Protein Kinase MCP-1 Monocyte Chemoattractant Protein-1

NF-Kb Nuclear Factor kappa-light-chain-enhancer of activated B cell

NK Natural Killer NO Ossido nitrico

NTRK1 Neurotrophic Tyrosine Kinase Receptor 1 PET Tomografia ad Emissione di Positroni PI3K Phosphatidyl-Inositol-3-Kinases

PPARG Peroxisome Proliferator-Activated Receptor PTC/PTCs Carcinoma/i Papillare/i della Tiroide

PTEN Phosphatase and Tensin Homolog PTPN22 Protein Tyrosine Phosphatase-22 RAS Rat Sarcoma

RET REarranged during Transfection RM Risonanza Magnetica

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INDICE ABBREVIAZIONI

ROS Specie Reattive dell’Ossigeno SI Sistema Immunitario

SNCs Solid Cell Nests

SOD Struttura Organizzativa Dipartimentale TC Tomografia Computerizzata

Tc carcinoma della Tiroide Tg Tireoglobulina

TIL Tumor-Infiltrating Lymphocytes TNF-α Tumor Necrosis Factor- α Treg Cellule T regolatrici

TSH Thyroid-Stimulating Hormone TSH-R Recettore del TSH

UO Unità Operativa

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INTRODUZIONE

INTRODUZIONE

L’incidenza del carcinoma differenziato della tiroide (DTC), quota prevalente delle neoplasie tiroidee, nelle ultime tre decadi è aumentata progressivamente a livello mondiale, tanto da risultare tra quelle a più rapida crescita. Il trend riguarda principalmente il carcinoma differenziato papillare e riflette, oltre ad una maggiore accuratezza diagnostica, un reale incremento1.

Parallelamente una simile tendenza epidemiologica è stata registrata per le patologie tiroidee autoimmuni, gruppo eterogeneo di malattie di cui la principale rappresentante è la tiroidite autoimmune, o tiroidite di Hashimoto (HT), che costituisce attualmente la più comune causa di ipotiroidismo, naturale conseguenza della distruzione e sostituzione fibrotica del parenchima ghiandolare2.

La concomitante presenza di neoplasie tiroidee differenziate e tiroidite di Hashimoto è riscontrata con variabile frequenza. Dalla prima descrizione, nel 1955, di Dailey et al.3, l’associazione è stata ripetutamente riportata in letteratura e si sono susseguiti diversi studi finalizzati a chiarire il fenomeno. Tuttora, sebbene la correlazione sia stata largamente dibattuta nel panorama scientifico internazionale, la sua interpretazione rimane controversa, prestandosi a diverse interpretazioni2.

Scopo del presente lavoro di tesi è stato valutare la relazione tra carcinoma differenziato tiroideo e tiroidite autoimmune in una coorte di pazienti sottoposti a tiroidectomia totale per neoplasia confermata istologicamente, rispetto ad un gruppo di controllo di pazienti tiroidectomizzati per patologia benigna.

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PARTE I – CAPITOLO 1. Carcinoma differenziato della tiroide

PARTE I

CAPITOLO 1. CARCINOMA DIFFERENZIATO DELLA TIROIDE

1.1 Epidemiologia

Il carcinoma differenziato della tiroide (DTC) costituisce la quota predominante delle neoplasie maligne della tiroide, che, attualmente, risultano i più frequenti tumori del sistema endocrino (più del 90 % dei casi)4 ed il 4% circa del totale dei carcinomi5.

Nelle ultime decadi è stato registrato un incremento dell’incidenza a livello mondiale (figura 1). A partire dagli anni ’80 negli Stati Uniti il numero di casi è triplicato: il trend riguarda in misura maggiore i carcinomi differenziati papillari di piccole dimensioni e il sesso femminile1. Probabilmente ciò consegue alla maggiore disponibilità e sensibilità dei mezzi diagnostici (ecografia e fine-needle aspiration, FNA), che tuttavia non sono sufficienti ad interpretare globalmente il fenomeno, suggerendo l’esistenza di un incremento in senso assoluto6,7,8. Analogamente l’aumentata prevalenza di tumori tiroidei differenziati di grandi dimensioni in bambini, adolescenti e giovani adulti non può essere spiegata soltanto con gli screening diagnostici9.

Parallelamente non c’è stato un incremento della mortalità (figura 1), che si attesta intorno allo 0.5% del totale dei decessi oncologici5: la sopravvivenza è aumentata o rimasta invariata, presumibilmente perché più spesso vengono diagnosticati tumori piccoli, localizzati e ad istologia papillare8,10 caratterizzati da prognosi migliore.

I tumori tiroidei possono insorgere a qualsiasi età ma tipicamente interessano soggetti giovani adulti5. L’età rappresenta un importante fattore prognostico poiché le neoplasie insorte precocemente (<24 anni) hanno un comportamento più aggressivo11.

Le donne sono più frequentemente interessate dalla neoplasia, indipendentemente dalla razza, specialmente in età giovane-adulta (nell’infanzia e nell’età avanzata non si riscontrano significative differenze di genere)12. Tra le donne, il tumore della tiroide è globalmente al quarto posto in ordine di incidenza (5% di tutti i casi), e addirittura al secondo posto sotto i 50 anni di età (14%)5.

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PARTE I – CAPITOLO 1. Carcinoma differenziato della tiroide

Figura 1 Incidenza e mortalità del carcinoma della tiroide dal 1975 al 2010. (Fonte: Davies L,

Welch HG: Current Thyroid Cancer Trends in the United States. JAMA Otolaryngology Head and Neck Surgery, Feb 2014 Apr).

Figura 2 Incidenza del carcinoma della tiroide nel sesso femminile a livello mondiale. (Fonte:

startoncology; Globocan, IARC).

In Italia, ogni anno, si registrano circa 20-30 casi ogni 100.000 donne/anno e 7-9 casi ogni 100.000 uomini/anno5.

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PARTE I – CAPITOLO 1. Carcinoma differenziato della tiroide

1.2 Classificazione anatomo-patologica e Morfologia

Il DTC origina dalle cellule follicolari tiroidee, prevalenti nel parenchima ghiandolare. Viene classificato, in base alle caratteristiche citologiche ed istologiche, in:

- carcinoma papillare (PTC, >85%) - carcinoma follicolare (FTC, 5-15%)12.

I PTCs sono lesioni solitarie o multifocali, capsulate o non, formate da cellule con nuclei caratteristici, solitamente disposte a rivestire papille con asse fibrovascolare (figura 3). I nuclei contengono cromatina finemente dispersa che gli conferisce un aspetto otticamente chiaro o vuoto, da cui la definizione di nuclei a vetro smerigliato o a occhi dell’orfanella Annie, e presentano solchi intranucleari o pseudoinclusioni determinati dalle invaginazioni del citoplasma. Spesso, nella struttura centrale della papilla, sono presenti calcificazioni concentriche chiamate corpi psammomatosi, mai riscontrate negli FTCs.

La diagnosi si basa sugli aspetti nucleari anche in assenza dell’architettura papillare (diagnosi citologica).

Esistono molte varianti: follicolare, a cellule alte, a cellule colonnari, sclerosante diffusa, oncocitica, solida12.

Figura 3 Immagini istologiche di carcinoma papillare della tiroide. (A) Carcinoma papillare. (B)

Strutture papillari ad alto ingrandimento. (Fonte: Beier F, Moleda L, Guralnik V, Hahn P, Andreesen R, Schölmerich J, SchäfflerA: Papillary thyroid cancer associated with syndrome of inappropriate antidiuresis: a case report. J Med Case Reports. 2010; 4: 110).

Gli FTCs, invece, si presentano come noduli singoli, ben circoscritti o ampiamente infiltranti, formati da cellule abbastanza uniformi, prive delle caratteristiche tipiche dei

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PARTE I – CAPITOLO 1. Carcinoma differenziato della tiroide

PTCs e organizzate in strutture follicolari contenenti colloide, in maniera molto simile alla tiroide normale (figura 4). Sono distinti in minimamente o ampiamente invasivi.

Raramente si riscontrano le varianti oncocitica, o a cellule di Hurtle, e a cellule chiare12.

Figura 4 Immagine istologica di carcinoma follicolare della tiroide. (Fonte: Islam S: Thyroid

gland. Other carcinoma. Follicular carcinoma. PathologyOutlines.com 2009).

La quota rimanente di neoplasie maligne della tiroide (10% circa) è rappresentata da: - carcinoma scarsamente differenziato (<5%) e carcinoma anaplastico (indifferenziato,

1-2%), entrambi derivanti dalle cellule follicolari;

- carcinoma midollare (5%) a partenza dalle cellule parafollicolari o cellule C; - linfomi, sarcomi e metastasi (raramente)12.

1.3 Fattori di rischio

I principali fattori di rischio individuati per lo sviluppo dei DTCs sono:

- la pregressa irradiazione a livello del collo: l’associazione tra radiazioni ionizzanti e carcinomi tiroidei è stata ben documentata (disastri nucleari di Hiroshima, Nagasaki, Chernobyl, radioterapia per patologie benigne quali iperplasia timica, angiomi cutanei, tonsilliti croniche, acne e per patologie maligne come i linfomi) e dipende essenzialmente dalla dose e dall’età di esposizione. In particolare, le probabilità di insorgenza del tumore aumentano in caso di esposizione a dosi maggiori di 50-100mGy nell’infanzia sebbene non esista una dose limite al di sotto della quale sia possibile escludere completamente il

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PARTE I – CAPITOLO 1. Carcinoma differenziato della tiroide

rischio. Il PTC è la forma più frequentemente correlata e compare dopo un periodo minimo di latenza di 5-10 anni13.

- La carenza di iodio: nella popolazione iodo-carente la prevalenza del gozzo e dei noduli tiroidei è alta e in molti casi essi precedono lo sviluppo del tumore. Considerando che l’incremento dell’ormone tireostimolante (TSH) è una risposta adattativa alla carenza di iodio e che in modelli animali il TSH stimola la cancerogenesi, l’aumentata incidenza delle neoplasie tiroidee nella popolazione iodo-carente (prevalentemente FTCs) potrebbe essere spiegata con la stimolazione cronica delle cellule tiroidee da parte del TSH. Sostanzialmente il TSH agirebbe come fattore di crescita su un substrato di cellule danneggiate dai radicali liberi dell’ossigeno (ROS), aumentati a causa della carenza di iodio14.

Anche l’eccesso di iodio sembrerebbe avere un ruolo nella patogenesi15 dei PTCs essendo probabilmente implicato nella comparsa di mutazioni in BRAF16.

- Il genere femminile: la maggiore prevalenza delle neoplasie tiroide nelle donne potrebbe suggerire un contributo, nella patogenesi, da parte degli estrogeni. Recentemente è stata oggetto di studio l’espressione locale dei sottotipi dei recettori degli estrogeni (ER): l’attivazione di ERα sembrerebbe favorire lo sviluppo dei tumori tiroidei mentre ERβ (ERβ1) wild-type giocherebbe un ruolo protettivo17.

- L’autoimmunità tiroidea: potrebbe favorire la cancerogenesi con diversi meccanismi.

Innanzitutto, in uno stato di perpetua attivazione, mediatori infiammatori quali citochine, chemochine e radicali liberi potrebbero causare danni cellulari in grado di avviare l’espansione clonale di cellule mutate18. Inoltre, l’associazione tra DTC e aumentati valori

di TSH (riscontrabili ad esempio nella tiroidite di Hashimoto), sembra suggerire un ruolo del TSH nello sviluppo dei DTCs19, confermato indirettamente dall’utilità della terapia soppressiva con L-Tiroxina (LT4), sia nei pazienti con neoplasia per ridurre il rischio di

recidiva, sia nei pazienti con gozzo nodulare a cui conferisce minor rischio di PTC19,20.

- L’obesità: è associata ad un incremento del rischio di sviluppo di PTC. I meccanismi

non sono ancora completamente noti ma probabilmente sono coinvolti: l’insulino-resistenza, lo stato cronico infiammatorio, gli alti livelli sierici di TSH (coopera con insulina e IGF-1, Insulin-like Growth Factor 1, nell’attivazione delle vie MAPK e PI3K, centrali nella cancerogenesi a livello tiroideo), l’aumentata concentrazione ematica degli estrogeni, le abitudini alimentari quali eccessivo introito di proteine e carboidrati che sembrerebbero aumentare il rischio di tumore tiroideo21.

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PARTE I – CAPITOLO 1. Carcinoma differenziato della tiroide

- L’esposizione occupazionale a biocidi: recentemente riscontrata, necessita di ulteriori approfondimenti22.

1.4 Biologia molecolare

Le alterazioni genetiche delle neoplasie derivanti dalle cellule follicolari sono essenzialmente riconducibili a due vie: la via della protein-chinasi mitogeno-attivata (MAPK) e la via della fosfatidil-inositolo 3-chinasi (PI3K/AKT).

I PTC nella maggioranza dei casi derivano dall’attivazione della via MAPK (figura 5) che può realizzarsi mediante:

- riarrangiamenti di RET (REarranged during Transfection) o NTRK1 (Neurotrophic Tyrosine Kinase Receptor 1), codificanti per le tirosin-chinasi recettoriali trans membrana, nel 20-40% dei casi

- mutazioni puntiformi in B-RAF (B- Rapidly Accelerated Fibrosarcoma) nel 40-50% dei casi

- mutazioni in RAS (Rat Sarcoma) nel 10% dei casi.

Poiché suddette alterazioni hanno gli stessi effettori, sono mutuamente esclusive12.

In soggetti con storia di esposizione a radiazioni sono più frequenti i riarrangiamenti RET/PTC23, mentre nella popolazione generale risulta più spesso mutato il gene B-RAF. I riarrangiamenti RET/PTC sono costituiti dalle porzioni 3′ del gene RET e 5′ di geni normalmente non correlati. I due più comuni riarrangiamenti, RET/PTC1 (60-70% dei casi) e RET/PTC3 (20-30% dei casi), sono inversioni paracentriche tra RET e rispettivamente H4 e NCOA4, situati sul braccio lungo del cromosoma 1024.

B-RAF, invece, è una serina-treonina chinasi che, attivata da RAS, attiva a sua volta MEK e gli effettori a valle della via MAPK. In più del 90% dei casi la mutazione interessa il codone 600 e comporta una sostituzione valina-glutammato (BRAFV600E)25. Si associa a fenotipo più aggressivo e prognosi peggiore26.

I geni RAS (HRAS, KRAS e NRAS) sono proteine G coinvolte sia nella via MAPK che nella via PI3K/AKT. Le mutazioni solitamente avvengono nei codoni 12, 13 e 6125.

Gli FTCs tipicamente presentano attivazione della via PI3K/AKT (figura 5) attraverso: - mutazioni con acquisizione di funzione in RAS, PIK3CA o AKT1

- mutazioni con perdita di funzione di PTEN (Phosphatase and Tensin Homolog), oncosoppressore regolatore negativo della via PI3K/AKT.

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PARTE I – CAPITOLO 1. Carcinoma differenziato della tiroide

Inoltre, si riscontra, in una quota variabile da un terzo alla metà dei casi, una traslocazione specifica di (2;3)(q13;p25) che crea un gene di fusione composto da PAX8 (Paired box gene 8, fattore di trascrizione) e PPARγ (Peroxisome Proliferator-Activated Receptor)12.

Figura 5 Principali vie molecolari coinvolte nei DTCs. Attraverso il legame tra fattori di crescita e

recettori tirosin-chinasici (RTK) vengono attivate le vie RAS-RAF.MEK-ERK e PI3K-AKT-mTOR. PI3K può essere attivato direttamente da RAS e viene inibito da PTEN. L’attivazione della via MAPK è un evento comune nei PTCs e in alcuni FTCs, mentre la via PI3K-AKT è più tipica dei FTC. (Fonte: Nikiforov YE e Nikiforova MN: Molecular genetics and diagnosis of thyroid cancer. Nature Reviews Endocrinology 7, 569-580, October 2011).

Il carcinoma anaplastico può insorgere de novo o conseguire alla de-differenziazione di un DTC12.

I geni mutati riscontrabili più frequentemente nelle forme più aggressive ed avanzate sono: - TP53, oncosoppressore che gioca un ruolo importante nella regolazione del ciclo

cellulare e nella riparazione del DNA25,27;

- CTNNB1 (Catenin Beta 1), subunità del complesso proteico della caderina e punto centrale della via Wnt\β-catenina, associata alla proliferazione e resistenza all’apoptosi25,28.

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PARTE I – CAPITOLO 1. Carcinoma differenziato della tiroide

1.5 Clinica e Diagnosi

Clinicamente i DTCs si presentano di solito sotto forma di noduli tiroidei asintomatici e nella maggior parte dei casi la diagnosi è incidentale nel corso di procedure diagnostiche eseguite per altre motivazioni.

Dal momento che anche le patologie benigne si manifestano con nodularità, l’importanza clinica di una nuova diagnosi di nodulo tiroideo consiste nell’esclusione della malignità attraverso un’accurata valutazione clinica e strumentale.

Diversi reperti clinici (da anamnesi ed esame obbiettivo) possono orientare verso il sospetto diagnostico di carcinoma:

- età <20 e >70 anni: i noduli in bambini, adolescenti e anziani dovrebbero essere valutati con cautela dal momento che si tratta di un riscontro meno frequente ma più spesso maligno;

- sesso maschile: è meno interessato dalla patologia nodulare ma, quando presenti, i noduli hanno un maggior rischio di malignità;

- storia familiare di neoplasia tiroidea e la storia personale di irradiazione del collo; - crescita del nodulo rapida in qualche settimana o mese;

- fissità e aumentata consistenza del nodulo;

- tumefazione laterocervicale: potrebbe essere espressione di metastasi linfonodale, non infrequente esordio clinico di un PTC;

- tosse e dispnea per compressione tracheale, disfonia per paralisi di una corda vocale da infiltrazione del nervo laringeo ricorrente, disfagia per compressione esofagea, indicativi di uno stadio avanzato di malattia29.

Tali evidenze rimandano necessariamente ad indagini strumentali.

L’iter diagnostico prevede innanzitutto l’esecuzione di un’ecografia del collo, molto sensibile nella rilevazione dei noduli tiroidei e dei linfonodi laterocervicali e nella selezione dei reperti che necessitano di una valutazione citologica mediante ago-aspirato (FNA). Le caratteristiche che maggiormente depongono per natura maligna (alto rischio) sono:

- aspetto ipoecogeno - consistenza solida

- margini irregolari spiculati o lobulati

- aspetto ovalare in sezione longitudinale ma altezza maggiore della larghezza in sezione trasversale

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PARTE I – CAPITOLO 1. Carcinoma differenziato della tiroide

- vascolarizzazione intranodulare - crescita extratiroidea

- linfonodi laterocervicali rotondeggianti, senza ilo, con microcalcificazioni (spot iperecogeni), con componenti cistiche, con vascolarizzazione periferica29,30.

Quindi l’ecografia della tiroide e delle stazioni linfonodali del collo è indicata per pazienti a rischio di malignità tiroidea e per pazienti con noduli, gozzo o linfoadenopatie, mentre non è utilizzata come screening nella popolazione generale o nei pazienti senza fattori di rischio e con tiroide normale alla palpazione.

La selezione dei noduli destinati alla valutazione citologica con FNA implica un bilancio tra il rischio di un ritardo diagnostico e il rischio di una procedura non necessaria.

Le attuali raccomandazioni prevedono l’esecuzione di FNA per: - noduli di diametro compreso tra 5-10 mm:

o sottocapsulari o paratracheali o con estensione extratiroidea o associati a linfonodi sospetti

o accompagnati da sintomi sospetti come disfonia

o in pazienti con storia familiare o personale di tumore tiroideo e storia personale di irradiazione;

- noduli ad alto rischio ecografico di malignità di diametro >10 mm;

- noduli a rischio ecografico intermedio (aspetto isoecogeno, debolmente ipoecogeno, forma ovalare, margini lisci o mal definiti) di diametro >20 mm;

- noduli spongiformi o prevalentemente cistici, senza segni ecografici sospetti, di diametro >20 mm in crescita o associati a fattori di rischio29.

L’esame citologico da FNA è l’indagine più sensibile disponibile per la diagnosi, sebbene la metodica abbia due limiti: campionamenti inadeguati e diagnosi indeterminate (soprattutto per le neoplasie follicolari benigne e maligne).

Sono stati proposti diversi sistemi classificativi per la citologia tiroidea, finalizzati a standardizzare la comunicazione tra anatomo-patologi e clinici per fornire un supporto migliore alle decisioni cliniche. La classificazione Italiana prevede cinque categorie citologiche (TIR1-5) e relativi suggerimenti di gestione (tabella1), confrontabili con le altre principali classificazioni utilizzate (Americana, Bethesda System e Inglese, UKRCP)31,32.

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PARTE I – CAPITOLO 1. Carcinoma differenziato della tiroide

Codice Categoria diagnostica Azione clinica suggerita

TIR1 Non diagnostico Ripetere FNA con guida ecografica

TIR1C Non diagnostico cistico Valutare nel contesto clinico, eventualmente ripetere FNA

TIR2 Non maligno/benigno Follow up

TIR3A Lesione indeterminata a basso

rischio Ripetere FNA/follow up

TIR3B Lesione indeterminata ad alto

rischio Exeresi chirurgica

TIR4 Sospetto di malignità Exeresi chirurgica con eventuale esame intraoperatorio

TIR5 Maligno

Exeresi chirurgica

Approfondimento diagnostico in casi selezionati

Tabella 1 Classificazione Italiana 2014 della Citologia Tiroidea (AIT, AME, SIE e SIAPEC-IAP).

Solitamente l’ecografia è l’unica indagine strumentale raccomandata in vista dell’intervento, a meno che non si ritenga necessario eseguire TC, RM e/o FDG-PET per studiare l’estensione extratiroidea locale o retrosternale e le metastasi a distanza32,33. 1.6 Terapia

La terapia iniziale del DTC è chirurgica: tiroidectomia, con o senza linfoadenectomia, oppure emitiroidectomia sono le soluzioni adottate in base alla stadiazione preoperatoria. Le attuali linee guida raccomandano la tiroidectomia totale per tumori di dimensioni >1 cm sulla base di vecchi dati che mostravano un vantaggio di sopravvivenza rispetto alla lobectomia34, non riscontrato invece nei tumori di dimensioni < 1 cm.

In realtà la dimensione del tumore dovrebbe essere soltanto uno dei fattori da valutare nella scelta della procedura chirurgica più opportuna per ciascun paziente, nell’ottica di terapie sempre più personalizzate.

La tiroidectomia totale dovrebbe essere indicata nei pazienti con lesioni multifocali, estensione extratiroidea, metastasi linfonodali, metastasi a distanza e nei pazienti in cui sia previsto un trattamento adiuvante con radioiodio35. Tuttavia essa si associa ad un rischio maggiore di ipoparatiroidismo iatrogeno e danni ai nervi laringei ricorrenti.

Diversi studi suggeriscono la possibilità di eseguire sia la lobectomia che la tiroidectomia per neoplasie di dimensioni <4 cm, unifocali, senza estensione extratiroidea e senza

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PARTE I – CAPITOLO 1. Carcinoma differenziato della tiroide

metastatizzazione linfonodale o a distanza, non essendo state riscontrate significative differenze in termini di sopravvivenza tra i due interventi36,37.

La linfoadenectomia dei comparti laterocervicali (I-V livello) e/ centrali (VI livello) è indicata in caso di metastasi accertate o sospette.

È controversa l’esecuzione dello svuotamento profilattico del comparto centrale: dovrebbe essere considerata in caso di evidenza clinica di metastasi nel comparto linfonodale laterocervicale (cN1) e nei tumori avanzati (T3, T4) anche senza evidenza clinica di interessamento linfonodale (cN0)32,35, considerando le difficoltà della valutazione ecografica in tale sede e il frequente riscontro istologico di micrometastasi (fino al 50% dei casi). Un recente studio dimostra che, nei pazienti con PTC senza evidenza clinica di interessamento linfonodale, la linfoadenectomia profilattica del comparto centrale riduce la necessità di eseguire ripetuti trattamenti radiometabolici ma non modifica la sopravvivenza e si accompagna a maggior rischio di ipoparatiroidismo permanente32,38. Lo svuotamento laterocervicale profilattico non è eseguito perché difficilmente le metastasi non vengono evidenziate con le indagini strumentali preoperatorie.

L’asportazione dei linfonodi mediastinici (VII livello) si esegue solo in caso di metastasi accertate e necessita di tecniche chirurgiche più complesse32.

Immediatamente dopo la chirurgia si inizia la terapia soppressiva con dosaggio sovrafisiologico di Levotiroxina (LT4) con duplice finalità: trattare l’ipotiroidismo iatrogeno e sopprimere il potenziale stimolo di crescita del TSH sulle cellule neoplastiche residue riducendo il rischio di recidiva (valore <0.1mU/L)31.

La stadiazione post-operatoria fornisce informazioni prognostiche, stratificando i pazienti in base alla sopravvivenza libera da malattia, al rischio di recidiva e alla sopravvivenza globale, e guida nella scelta della strategia terapeutica più opportuna.

Per tutti i pazienti con DTC è raccomandato l’utilizzo del sistema classificativo TNM AJCC/UICC, utile nella valutazione della mortalità-tumore correlata35 (tabelle 2 e 3).

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PARTE I – CAPITOLO 1. Carcinoma differenziato della tiroide

T: estensione tumore primitivo Tx Tumore non valutabile

T0 Nessuna evidenza di tumore T1

- T1a - T1b

Tumore limitato alla tiroide di dimensioni <2 cm: - <1cm

- Tra 1 e 2 cm

T2 Tumore limitato alla tiroide di dimensioni comprese tra 2 e 4 cm T3 Tumore limitato alla tiroide di dimensioni > 4 cm

Tumori di qualsiasi dimensione con minima estensione extratiroidea (tessuti molli peritiroidei o muscolo sternocleidomastoideo)

T4 -T4a

-T4b

Tumore di qualsiasi dimensione esteso oltre la capsula ad invadere:

- tessuti molli sottocutanei, laringe, trachea, esofago o nervi laringei ricorrenti

- fascia prevertebrale, vasi mediastinici o carotide.

Tabella 2 TNM Carcinomi Tiroidei (AJCC VII edizione).

N: interessamento linfonodale Nx Linfonodi regionali non valutabili

N0 Assenza di metastasi nei linfonodi regionali N1

- N1a - N1b

Presenza di metastasi nei linfonodi regionali:

- VI livello (linfonodi pretracheali, paratracheali, prelaringei/delfici)

- I-V livello omolaterali, bilaterali o controlaterali oppure VII livello (linfonodi retrofaringei, mediastinici superiori).

M: metastasi a distanza M0 Assenza di metastasi a distanza

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PARTE I – CAPITOLO 1. Carcinoma differenziato della tiroide

La suddivisione in stadi varia a seconda dell’età, considerando come cut-off 45 anni: a parità di T, N ed M la prognosi è peggiore in pazienti adulti anziani.

Tabella 3 Stadiazione TNM dei Carcinomi Tiroidei (AJCC VII edizione).

Età <45 anni

Stadio I Qualsiasi T Qualsiasi N M0

Stadio II Qualsiasi T Qualsiasi N M1

Età >45 anni Stadio I T1a,b N0 M0 Stadio II T2 N0 M0 Stadio III T1, T2, T3 T3 N1a N0 M0 M0 Stadio IVA T1, T2, T3 T4a N1b N0, N1 M0 M0 Stadio IV B T4b Qualsiasi N M0

Stadio IV C Qualsiasi T Qualsiasi N M1

La valutazione dello stato di malattia nel periodo post-operatorio si realizza con diverse indagini tra cui dosaggio della Tireoglobulina sierica (Tg), ecografia del collo e scintigrafia con I131.

I livelli sierici di Tg (basali e dopo stimolazione con TSH) aiutano nella valutazione post-operatoria ma risultano meno attendibili in presenza di Anticorpi antiTg (AbTg)39.

Inoltre, nei pazienti con DTC trattati con tiroidectomia si utilizza la stratificazione del rischio ATA (American Thyroid Association) data la sua utilità nel predire il rischio di recidiva e/o persistenza di malattia (tabella 4). Nei pazienti con alto rischio di recidiva o con persistenza di malattia è indicata la terapia adiuvante con radioiodio35.

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PARTE I – CAPITOLO 1. Carcinoma differenziato della tiroide

Basso rischio Rischio intermedio Alto rischio

Assenza di metastasi locali e a distanza

Invasione microscopica dei tessuti molli circostanti

Invasione macroscopica dei tessuti molli circostanti Resezione chirurgica

completa

N1 (<3 cm di diametroa) Resezione chirurgica incompleta

Assente invasione loco regionale

Uptake I131 fuori dal letto tumorale N1 (>3cm di diametroa) Assente istologia aggressiva Istologia aggressiva M1 Assente invasione vascolare

Invasione Vascolare Valori di Tg post-operatori elevati (suggestivi di M1) Uptake I131 nel letto

tumorale

N0 clinico o micro metastasi (<0,2 cm)a

Tabella 4 2009 ATA Initial Risk Stratification System (a: modifiche proposte dall’ American Thyroid Association, 2015).

1.7 Prognosi e Follow-up

La prognosi del DTC è generalmente buona, soprattutto per il PTC: in più dell’85% dei pazienti l’aspettativa di vita non èsignificativamente ridotta.

Ci si può aspettare una sopravvivenza paragonabile a quella della popolazione generale in assenza di invasione di tessuti molli extratiroidei, metastasi linfonodali e a distanza, a conferma dell’importanza di una diagnosi precoce, specialmente nei pazienti con età >45 anni40.

Il tasso di sopravvivenza varia dal 98% (stadio I) al 65% circa (stadio IV)31,39. I fattori prognostici più significativi sono:

- l’età: la prognosi è peggiore nei soggetti di età >45 anni;

- il sesso maschile: l’impatto del genere sulla prognosi non è completamente chiaro; sebbene alcuni studi abbiano suggerito una mortalità due volte maggiore negli uomini, sembra che la prognosi, almeno per il PTC, sia simile nei due sessi41;

- le dimensioni, l’invasività locale, le metastasi linfonodali e a distanza;

- l’istologia: le varianti più aggressive dei DTCs sono le varianti a cellule alte, a cellule colonnari, sclerosante diffusa e solida del PTC e la variante ampiamente invasiva del FTC32.

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PARTE I – CAPITOLO 1. Carcinoma differenziato della tiroide

L’obiettivo del follow-up è diagnosticare l’eventuale persistenza o ricorrenza di malattia: ovviamente i pazienti con rischio maggiore devono essere monitorati più assiduamente offrendo, la diagnosi precoce, maggiori probabilità di guarigione.

Si definisce libero da malattia il paziente:

- senza evidenza clinica ed ecografica di tumore - senza uptake di I131 dentro e fuori il letto tumorale

- con Tg <0.2ng/ml in terapia soppressiva o <1ng/ml dopo stimolazione, senza Anticorpi interferenti (AbTg).

Il follow-up prevede:

- dosaggio di Tg sierica, AbTg e AbTPO, - ecografia cervicale,

- scintigrafia, sei o dodici mesi dopo terapia radiometabolica in pazienti ad alto rischio di persistenza di malattia,

- 18FDG-PET in pazienti ad alto rischio con elevati valori di Tg sierici (solitamente >10ng/ml) e assente captazione dello iodio radioattivo,

- TC senza o con mezzo di contrasto in pazienti con elevati valori di Tg sierici, immagini ecografiche e scintigrafiche negative35.

In caso di recidiva locale (10-15% dei casi) la terapia di prima scelta è rappresentata dalla chirurgia e dalla radioterapia metabolica (se conservata la captazione), opzione raccomandata anche in caso di metastasi iodo-captante.

Se il tumore progredisce e le cellule neoplastiche perdono la capacità di captare lo iodio, la neoplasia diventa resistente alle tradizionali strategie terapeutiche con significativo peggioramento della prognosi42. In questi casi di malattia iodo-resistente (locale o metastatica) si ricorre principalmente ad una terapia sistemica con inibitori tirosin-chinasici (sorafenib, sunitinib, lenvatinib)42 o alla radioterapia32,35.

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PARTE I – CAPITOLO 2. Tiroidite autoimmune

CAPITOLO 2. TIROIDITE AUTOIMMUNE

2.1 Patologie autoimmuni della tiroide

Le patologie autoimmuni della tiroide (AITD) costituiscono il 30% circa delle malattie autoimmuni43 e la più frequente causa di disfunzione tiroidea44.

Si tratta di patologie organo-specifiche risultanti da una disregolazione del sistema immunitario (SI), responsabile dell’aggressione cellulo-mediata della ghiandola. L’interazione tra suscettibilità genetica e fattori ambientali causa la rottura della tolleranza e lo sviluppo della reazione autoimmune45.

La prevalenza delle AITD è stimata intorno al 5% sebbene gli anticorpi siano riscontrabili in una quota maggiore della popolazione. I due principali fenotipi sono la Tiroidite autoimmune, o tiroidite di Hashimoto (HT), e la Malattia di Graves-Basedow, entrambe caratterizzate da anticorpi circolanti e infiltrazione linfocitaria del parenchima ghiandolare ma responsabili di quadri opposti di ipo- ed iper-tiroidismo45.

Patogenesi autoimmune è stata attribuita anche alla tiroidite subacuta granulomatosa o di De Quervain, in cui l’autoimmunità sarebbe scatenata da un’infezione virale, alla tiroidite subacuta indolore e alla tiroidite post-partum, considerate entrambe varianti della tiroidite autoimmune, e probabilmente alla tiroidite di Riedel, vista la presenza di anticorpi antitiroidei in circolo12.

2.2 Epidemiologia

La tiroidite autoimmune o tiroidite di Hashimoto (HT) o tiroidite linfocitica cronica rappresenta la più frequente causa di ipotiroidismo in zone del mondo a sufficiente apporto iodico12. Fu descritta per la prima volta nel 1912 da Hakaru Hashimoto, medico giapponese che definì “struma linfomatoso” un disturbo della tiroide, riscontrato in quattro pazienti, caratterizzato da diffusa infiltrazione linfocitaria, fibrosi, atrofia parenchimale ed eosinofilia in alcune cellule follicolari46. Per molti anni la patologia venne considerata poco comune e diagnosticata solo dopo tiroidectomia. Successivamente, il maggiore utilizzo della FNA e dei dosaggi anticorpali ha permesso un riscontro più frequente della malattia che oggi è uno dei più comuni disturbi tiroidei47.

L’incidenza è di 0,3-1,5 casi per 1000 abitanti l’anno. La prevalenza si attesta intorno al 2% ma la positività anticorpale si riscontra nel 10% circa della popolazione.

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PARTE I – CAPITOLO 2. Tiroidite autoimmune

È quindici, venti volte più frequente nel sesso femminile ed insorge tipicamente tra i 30 e i 50 anni sebbene possa essere riscontrata a qualsiasi età47.

Utilizzando i dati del personale militare in USA è stato inoltre osservata una incidenza maggiore in soggetti di razza bianca e minore in individui di razza nera e asiatica48.

2.3 Patogenesi

Si ritiene che la patologia sia scatenata dall’esposizione a triggers ambientali in soggetti geneticamente predisposti45.

2.3.1 Suscettibilità genetica

La suscettibilità genetica è stata dimostrata mediante studi su gemelli: il tasso di concordanza per la HT e per gli anticorpi è risultato più alto nei gemelli omozigoti rispetto ai gemelli dizigoti (rispettivamente 55% vs 0% e 80% vs 40%)49.

Alla HT sono stati associati diversi geni, come HLA-DR, geni immunoregolatori (CD40, FOXP3, CD25) e geni specifici tiroidei (Tg e Recettore del TSH). Inoltre sono stati individuati nei pazienti affetti polimorfismi di CTLA4 (Cytotoxic T lymphocyte-associated antigen-4) e PTPN22 (protein tyrosine phosphatase-22), due dei principali regolatori delle funzioni delle cellule T50.

2.3.2 Fattori ambientali

I fattori ambientali probabilmente coinvolti sono51:

- l’eccessiva igiene: la ridotta esposizione ai microbi nell’infanzia può alterare lo sviluppo del sistema immunitario favorendo l’insorgenza di patologie allergiche e autoimmuni (ipotesi dell’igiene)52;

- l’aumentato apporto dietetico di iodio: l’eccessivo introito nel lungo termine può aumentare l’antigenicità della Tg e avviare il processo autoimmune nei soggetti suscettibilio esacerbare la HTnei soggetti con malattia subclinica o clinica47;

- la carenza di selenio: il ridotto intake dietetico implica una diminuzione dell’attività delle selenoproteine, inclusa la glutatione perossidasi, che può determinare un’aumentata concentrazione di perossido di idrogeno (H202) e conseguente promozione del processo infiammatorio47. La supplementazione di selenio in soggetti con HT si associa a riduzione dei valori sierici di anticorpi anti-tireoperossidasi (AbTPO)53;

- la ridotta concentrazione sierica di vitamina D: l’associazione con la HT è controversa. Alcuni studi hanno individuato una correlazione, suggerendone un ruolo nella patogenesi54, mentre per altri la deficienza di vitamina D potrebbe essere piuttosto una

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PARTE I – CAPITOLO 2. Tiroidite autoimmune

conseguenza dell’ipotiroidismo, soprattutto se i livelli di vitamina D sono inversamente proporzionali alla gravità della disfunzione tiroidea55;

- i trattamenti con citochine, come IFN-1α (interferone-1α), e inibitori tirosin-chinasici: possono indurre transitoria o permanente disfunzione tiroidea56,57;

- le infezioni virali: diversi virus sono potenzialmente coinvolti, tra cui gli Herpes virus (Herpes Simplex virus HSV1 e 2, Citomegalovirus CMV, Epstein-Barr Virus EBV, Human Herpes Virus 6 HHV6)58,59, Parvovirus B19 e HCV (Hepatitis C virus)60. L’incrementata produzione di IFN-γ (interferone γ), conseguente ad un’infezione virale, potrebbe aumentare l’espressione della Tg e causare l’attivazione della risposta T-cellulare in soggetti suscettibili50;

- i pesticidi: sembra che insetticidi, erbicidi e fungicidi siano implicati nello sviluppo di disfunzioni tiroidee nei lavoratori agricoli e nei loro coniugi61.

Fumo e alcol sembra abbiano un ruolo protettivo sebbene il meccanismo non sia ancora chiaro62,63: in particolare fumare ridurrebbe la probabilità di produrre AbTPO e quindi di sviluppare HT mentre favorirebbe l’insorgenza della malattia di Graves64.

Infine età avanzata e sesso femminile aumentano il rischio di sviluppare la HT. In particolare l’associazione con il genere femminile è molto forte e cruciale potrebbe essere il contributo di estrogeni e progesterone65.

2.3.3 Meccanismi del danno

Il danno nel parenchima è probabilmente causato dall’aumentata attività delle cellule T CD8+ e delle cellule NK (Natural Killer) e dalla disfunzione delle cellule T CD4+ regolatrici45. L’infiltrazione linfocitaria potrebbe causare la morte delle cellule follicolari direttamente (azione citotossica) o indirettamente mediante la produzione di citochine (Th1 e Th17)51,66.

Nella patogenesi ha un ruolo anche l’immunità umorale51: anticorpi contro Tg e TPO sono presenti nella maggior parte dei pazienti affetti da HT e gli AbTPO, oltre ad aiutare nella diagnosi, possono essere usati per predire lo sviluppo dell’ipotiroidismo, specialmente quando combinati con la misurazione del TSH. Tuttavia, la loro importanza probabilmente è limitata ad un ruolo secondario di amplificazione della risposta autoimmune: il passaggio transplacentare di AbTg e AbTPO non ha effetti sulla tiroide fetale suggerendo che per avviare il processo autoimmune sia necessaria l’azione lesiva dei linfociti T4,47 (figura 6).

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PARTE I – CAPITOLO 2. Tiroidite autoimmune

Esiste una variante di HT caratterizzata da un’importante infiltrazione di IgG4 (Immunoglobuline G4), la quale presenta un maggior grado di fibrosi e di degenerazione cellulare, una più rapida progressione verso il quadro clinico di ipotiroidismo, un’ipoecogenicità più diffusa della ghiandola, una frequenza maggiore nel sesso maschile e una concentrazione più elevata di anticorpi in circolo rispetto alle forme non associate ad IgG451,67.

Figura 6 Rappresentazione schematica degli eventi autoimmuni nella tiroidite di Hashimoto. Nella

fase iniziale (A) stimoli ambientali danneggiano i tireociti con rilascio di proteine specifiche; le cellule presentanti l’antigene (APCs) infiltrano la ghiandola, processano gli antigeni e attivano linfociti T e B che, nella fase finale (B), distruggono il parenchima. (Fonte Santos RL, Fonseca P, Soares P: Hashimoto’s Thyroiditis in Adolescents. US Endocrinology 2015;11(2):85–8).

Sebbene si abbia una conoscenza lacunare dell’incipit del processo, certamente l’autoimmunità tiroidea innescata richiama popolazioni linfocitarie nel parenchima tiroideo con perpetuazione del danno47.

Ad esempio da recenti studi è emerso che, nel tessuto tiroideo, i linfociti Th1 reclutati possono produrre elevate quantità di IFN-γ (Interferone- γ) e TNF-α (Tumor Necrosis Factor-α), che a loro volta stimolano la secrezione di CXCL10, prototipo delle chemochine Th1 IFN-γ-inducibili, con amplificazione di un feedback loop che alimenta il processo autoimmune68,69 (figura 7).

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PARTE I – CAPITOLO 2. Tiroidite autoimmune

Figura 7 Feedback loop nelle patologie autoimmuni tiroidee. I linfociti Th1 reclutati, attraverso

la produzione di IFNγ e TNFα, potrebbero stimolare la secrezione. da parte di diverse tipologie cellulari, di chemochine Th1 IFN-γ-inducibili, tra cui CXCL10, amplificando il processo autoimmune. (Fonte: Antonelli A et al.: Chemokine (C-X-C motif) ligand (CXCL)10 in autoimmune diseases. Autoimmun Rev. 2014 Mar;13(3):272-80).

La HT è spesso associata ad altre patologie autoimmuni come alopecia, vitiligine, diabete mellito di tipo 1 e celiachia, confermando una maggiore suscettibilità di questi pazienti alle patologie autoimmuni (soprattutto legata ai polimorfismi in CTLA4 e PTPN22)47.

2.4 Anatomia patologica

Macroscopicamente la tiroide è diffusamente aumentata di volume, anche se talvolta si osservano ingrandimenti localizzati o riduzione atrofica. La capsula è integra con netta separazione del parenchima dalle strutture circostanti. La superficie di taglio appare pallida, di consistenza sostenuta e finemente nodulare12.

Microscopicamente si osserva un infiltrato infiammatorio mononucleato costituito da piccoli linfociti, plasmacellule e centri germinativi (figura 8); i follicoli tiroidei appaiono

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PARTE I – CAPITOLO 2. Tiroidite autoimmune

atrofici e rivestiti in molte aree da cellule epiteliali con abbondante citoplasma eosinofilo e granulare chiamate cellule di Hurtle, trasformazione metaplastica delle normali cellule follicolari.

Nella variante “classica” il connettivo interstiziale risulta aumentato; esiste una variante “fibrosa” caratterizzata da densa fibrosi simil-cheloidea con bande di collagene inglobanti il tessuto tiroideo residuo12.

Figura 8 Immagine istologica di tiroidite di Hashimoto. Infiammazione linfoplasmacellulare e

follicoli distrutti con colloide sparsa. (Fonte: Islam S: Thyroid gland. Thyroiditis. Hashimoto thyroiditis. PathologyOutlines.com, 2009).

2.5 Clinica

Il quadro clinico è molto variabile ma lo stadio finale comune è rappresentato dall’ipotiroidismo.

L’esordio è spesso insidioso: i pazienti solitamente giungono all’osservazione clinica a causa della comparsa di una tumefazione nel collo, autodiagnosticata o riscontrata durante una visita per altre motivazioni, responsabile di sensazione vaga di discomfort e meno frequentemente di dispnea e disfagia in caso di crescita rapida. Può essere associato dolore, raramente non responsivo a terapia medica. Il gozzo può rimanere stabile per anni, ma spesso cresce gradualmente47.

Talvolta, nelle fasi iniziali, il paziente può avere un quadro transitorio di tireotossicosi (aumento degli ormoni tiroidei circolanti), o hashitossicosi, causato dal rilascio di ormoni

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PARTE I – CAPITOLO 2. Tiroidite autoimmune

dai follicoli distrutti dal processo autoimmune. I sintomi e segni più frequentemente riscontrati sono: iperattività, nervosismo, irritabilità, calo ponderale, aumentato appetito, palpitazioni, tachicardia, intolleranza al caldo, tremori, diarrea4.

L’ipotiroidismo può essere presente al momento della diagnosi nel 20% dei pazienti o, più comunemente, essere sviluppato dopo diversi anni. Il rischio annuale di evoluzione da ipotiroidismo sublinico (tiroxina libera, fT4, normale ma TSH elevato) a ipotiroidismo franco è pari al 3-5%47. I pazienti con ipotiroidismo di lunga data non trattato possono presentare4:

- astenia;

- cute secca e sudorazione ridotta;

- mixedema, ovvero ispessimento cutaneo senza il segno della fovea, da accumulo nel derma di glicosaminoglicani che trattengono acqua, manifesto con volto gonfio, palpebre edematose ed edema pretibiale;

- pallore e sfumatura cutanea giallastra da accumulo di carotene; - crescita rallentata delle unghie;

- capelli secchi, fragili, radi; - stipsi;

- incremento ponderale sebbene l’appetito sia scarso; - riduzione della libido;

- menorragia, oligomenorrea o amenorrea;

- iperprolattinemia, talvolta, da iperplasia ipofisaria;

- bradicardia e riduzione della frazione di eiezione; sembra, inoltre, che la HT predisponga ad aterosclerosi e patologia coronarica, data l’evidenza di aumentati valori di anticorpi antitiroidei in pazienti con malattia coronarica70;

- ipotermia da riduzione del flusso sanguigno a livello cutaneo;

- dispnea da versamento pleurico o ridotta contrattilità della muscolatura respiratoria o diminuita capacità ventilatoria:

- difficoltà a concentrarsi e perdita di memoria; - parestesia;

- ipoacusia;

- voce roca ed eloquio rallentato da edema delle corde vocali e della lingua;

- encefalopatia di Hashimoto: patologia rara, poco conosciuta, progressiva e recidivante, caratterizzata da convulsioni, disordini del movimento, disfunzioni cognitive, sintomi

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PARTE I – CAPITOLO 2. Tiroidite autoimmune

psichiatrici e mancata risposta agli steroidi. Si associa ad alti livelli di AbTPO ma la fisiopatologia non è chiara; può interessare tutte le età e soprattutto il genere femminile71.

L’ipotiroidismo autoimmune nei bambini è raro e generalmente si presenta con rallentamento della crescita e ritardate maturazione facciale, dentizione e pubertà.

In passato la progressione da eutiroidismo ad ipotiroidismo è stata considerata irreversibile a causa del danno cellulare, mentre, oggi, è noto che circa ¼ dei pazienti può spontaneamente ritornare alla normale funzione tiroidea. Probabilmente ciò riflette la presenza di Ab bloccanti l’azione del TSH, la cui produzione può placarsi negli anni con remissione del quadro clinico72.

I pazienti con HT, infine, hanno un rischio aumentato di sviluppare più frequentemente PTCs73 e più raramente linfomi non Hodgkin a cellule B, in particolare linfomi a grandi cellule B e linfomi della zona marginale dei tessuti linfoidi associati a mucosa (linfomi di MALT)74. Talvolta questi quadri neoplastici possono coesistere nei pazienti con HT75, a sostegno della forte correlazione tra patologie infiammatorie croniche e neoplasie.

2.6 Diagnosi

La diagnosi di HT si basa sulla combinazione di evidenze cliniche, dosaggi ormonali e anticorpali, ecografia e FNA76.

Un gozzo diffuso, senza segni di tireotossicosi, potrebbe suggerire la diagnosi di HT; l’associazione di gozzo ed ipotiroidismo è solitamente diagnostica, ma potrebbe anche essere manifestazione di difetti di sintesi o azione periferica degli ormoni tiroidei47.

Livelli normali di TSH escludono la diagnosi di ipotiroidismo primitivo; invece valori elevati devono essere seguiti dal dosaggio della fT4 per confermare la presenza di ipotiroidismo clinico. Dal momento che il processo autoimmune riduce gradualmente la funzione tiroidea, vi è una fase di compensazione, chiamata ipotiroidismo subclinico, in cui i livelli di ormoni tiroidei vengono mantenuti dall’elevazione del TSH e il paziente è asintomatico; segue lo stadio di ipotiroidismo manifesto in cui i livelli di fT4 diminuiscono, quelli di TSH aumentano ulteriormente (>10 mUI/l) e compaiono segni e sintomi tipici.

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PARTE I – CAPITOLO 2. Tiroidite autoimmune

I livelli di T3 libera (fT3) sono normali in circa il 25% dei pazienti come conseguenza dell’adattamento della desiodasi all’ipotiroidismo, per cui la sua misurazione non è indicata4.

La patogenesi autoimmune viene indagata facilmente mediante la valutazione degli anticorpi circolanti anti-Tg ed anti-TPO, positivi in più dell’80% dei pazienti con HT. Pazienti giovani possono avere valori più bassi e occasionalmente negativi47.

Fino al 20% dei pazienti con ipotiroidismo autoimmune presenta anticorpi contro il recettore del TSH (TSH-R) ad azione bloccante4.

L’ecografia tiroidea mostra un aumento dimensionale della ghiandola (variante ipertrofica) o una sua riduzione (variante atrofica, solitamente stadio finale della HT) e un’ecostruttura ipoecogena disomogenea per la presenza di aree pseudonodulari e tralci fibrosi sepimentanti il parenchima. Con il color doppler si può osservare un aumento della vascolarizzazione del parenchima77,78 (figura 9).

Dal momento che la HT può presentarsi sotto forma di patologia nodulare, in presenza di dubbi diagnostici con la patologia neoplastica, l’ecografia fa da guida per l’esecuzione di una biopsia con ago sottile, che tipicamente rivela la presenza di linfociti, plasmacellule, macrofagi, colloide e qualche cellula di Hurthle.

Figura 9 Immagini ecografiche di tiroidite di Hashimoto. (a) Ingrandimento diffuso della

ghiandola con ecogenicità disomogenea. Multipli micronoduli ipoecogeni e qualche setto lineare iperecogeno (frecce). (b) Vascolarizzazione lievemente aumentata al Color Doppler. (Fonte: Chaudhary V, Bano S: Thyroid ultrasound Indian Journal of Endocrinology and Metabolism. 2013).

La FNA può inoltre dirimere il dubbio tra florido infiltrato linfocitario reattivo e popolazione neoplastica in caso di sospetto linfoma77,78.

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PARTE I – CAPITOLO 2. Tiroidite autoimmune

2.7 Terapia

La terapia è sintomatica: si basa sulla somministrazione di LT4 per correggere l’ipofunzione ghiandolare quando presente.

In assenza di una residua funzionalità tiroidea la dose sostitutiva giornaliera è circa 1,5 mcg/Kg peso; in molti pazienti sono sufficienti dosi inferiori fino a quando il tessuto residuo non viene completamente distrutto. Il dosaggio viene aggiustato sulla base dei valori del TSH con lo scopo di ottenere un TSH normale, preferibilmente nella metà inferiore del limite di riferimento4.

La terapia sostitutiva spesso determina una riduzione significativa delle dimensioni del gozzo dopo alcuni mesi di trattamento, soprattutto nei soggetti giovani47.

In caso di hashitossicosi vengono somministrati tireostatici (metilmazolo o propiltiouracile).

In presenza di gozzo significativo determinante compressione delle circostanti strutture cervicali (nonostante la terapia con LT4) o di aree ghiandolari contenenti noduli di dubbia

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PARTE I – CAPITOLO 3. Carcinoma differenziato della tiroide e tiroidite autoimmune

CAPITOLO 3. CARCINOMA DIFFERENZIATO DELLA TIROIDE E

TIROIDITE AUTOIMMUNE

3.1 Cancro ed Autoimmunità

Il sistema immunitario (SI) gioca un ruolo importante nella patogenesi delle malattie autoimmuni, delle malattie infiammatorie croniche e dei tumori. Diversi studi mostrano come sia possibile l’insorgenza, in presenza di un pre-esistente tumore, di un quadro infiammatorio o autoimmune e, viceversa, come l’autoimmunità e l’infiammazione cronica rappresentino un rischio per lo sviluppo di neoplasie, sottolineando un’interazione tra SI e cancro18.

L’idea che le cellule neoplastiche possano essere identificate dal SI, in quanto non propriamente “self”, fu proposta da Paul Ehrlich e formalizzata da Burnet e Thomas con il termine “immunosorveglianza”79: esso implica che, tra le varie funzioni del SI, vi siano il riconoscimento e la distruzione di cloni tumorali.

A sostegno di questa ipotesi sono state raccolte diverse evidenze come l’aumentata incidenza di neoplasie in soggetti immunodeficienti e la comparsa di infiltrati linfocitari intorno a foci neoplastici (Tumor-Infiltrating Lymphocytes TIL). In particolare i TIL, richiamati da antigeni tumore-associati (proteine mutate o normali sovraespresse), producono molecole come citochine, granzimi, perforine, interferone (IFN), direttamente citotossiche per le cellule neoplastiche, tanto che la loro presenza in molti tumori correla con prognosi migliore18.

È possibile, tuttavia, che la risposta anti-tumorale cross-reagisca con il tessuto normale con perdita della tolleranza per il self: se la risposta immunitaria viene alimentata, possono originare processi autoimmuni18. Ne è esempio l’insorgenza, in pazienti affetti da melanoma, della vitiligine, manifestazione della distruzione immuno-mediata dei melanociti, associata ad outcome migliore80.

Oggi il concetto di immunosorveglianza è stato rivisitato con la teoria dell’”immunoediting” di Dunn e Schreiber per includere, non solo il ruolo preventivo e protettivo, ma anche promuovente la crescita tumorale: il SI, infatti, determina un rimodellamento antigenico nelle cellule neoplastiche, selezionando cloni con minore immunogenicità in grado di sfuggire al controllo immunitario.

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PARTE I – CAPITOLO 3. Carcinoma differenziato della tiroide e tiroidite autoimmune

In questa interazione dinamica tra neoplasia e SI si individua una prima fase in cui le cellule neoplastiche vengono eliminate dai meccanismi di difesa dell’ospite; eventuali cellule superstiti raggiungono con il SI uno stato di equilibrio in cui si realizza il controllo della crescita tumorale. La pressione selettiva, tuttavia, facilita l’acquisizione di ulteriori caratteristiche che permettono l’evasione dell’immunosorveglianza81 (figura 10).

Figura 10 Teoria "three es of cancer immunoediting". Nell'interazione tra SI e cancro si

distinguono tre fasi: eliminazione, equilibrio ed evasione. (Fonte: Schreiber RD, Old LJ, Smyth MJ: Cancer Immunoediting: Integrating Immunity’s Roles in Cancer Suppression and Promotion. Science. 2011 Mar 25;331(6024):1565-70).

Inoltre, in uno stato di perpetua attivazione immunitaria, nel contesto di processi infiammatori cronici e autoimmuni, mediatori della risposta infiammatoria possono causare danni tissutali e replicazione cellulare compensatoria con aumento del rischio di cancerogenesi18.

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Effettivamente, da quando, nel 1863, Rudolf Virchow ipotizzò l’esistenza di un legame tra infiammazione e cancro in base alla presenza di leucociti nelle biopsie di tessuto neoplastico82, sono state raccolte numerose evidenze a sostegno di tale relazione.

Molte neoplasie risultano associate a stati infiammatori cronici, alimentati dall’esposizione a fattori ambientali o da reazioni autoimmuni, come mostrato dall’aumentata incidenza di adenocarcinomi colici in pazienti con rettocolite ulcerosa e morbo di Crohn, di linfomi in pazienti con celiachia, di adenocarcinomi esofagei in pazienti con esofagite cronica, di epatocarcinomi in pazienti con epatite C o B.

In aggiunta, studi epidemiologici e sperimentali hanno individuato l’utilizzo cronico di farmaci anti-infiammatori non steroidei (in particolare acido acetilsalicilico) quale fattore protettivo per i tumori del distretto gastro-intestinale, presumibilmente per l’inibizione della ciclossigenasi di tipo 2 (COX2) e la ridotta produzione di prostaglandine83.

Quanto enunciato suggerisce che processi infiammatori persistenti o disfunzionali possono favorire l’insorgenza di cloni tumorali e sostenerne la progressione nel momento in cui le cellule infiammatorie, richiamate per il controllo del danno, vengono piuttosto reclutate dalle cellule neoplastiche per assolvere a compiti pro-tumorali.

In uno stato infiammatorio cronico, mediatori quali IFN, IL-1, IL-6, fattori di crescita, ROS, chemochine, proteasi prodotte da linfociti e macrofagi possono causare danni al DNA cellulare direttamente o indirettamente (aumentando la suscettibilità agli agenti mutageni), promuovere la sopravvivenza, proliferazione e migrazione delle cellule tumorali, favorire la neoangiogenesi e sopprimere l’immunosorveglianza83.

L’insorgenza di neoplasia in una sede di infiammazione potrebbe pertanto configurarsi come un processo guidato dalle cellule infiammatorie: il microambiente infiammatorio realizzato attraverso la secrezione di diverse tipologie di mediatori può avviare e alimentare l’espansione clonale di cellule alterate, sebbene sia anche in grado di sopprimerla84.

3.2 Associazione tra Carcinoma Differenziato della tiroide e Tiroidite Autoimmune

L’associazione tra DTC e HT fu ipotizzata per la prima volta nel 1955 da Dailey et al. considerando il frequente riscontro istologico di DTC in pazienti con HT tiroidectomizzati3: sebbene, negli anni a seguire, il volume di evidenze a favore di una

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correlazione tra le due patologie sia cresciuto, la natura del legame rimane tuttora controversa2.

La presenza di infiltrato linfocitario, suggestivo di tiroidite autoimmune, nel contesto di un DTC e di focolai di DTC in quadri di HT viene riportata con variabile frequenza.

Ad esempio:

- Hirabayashi e Lindsay, esaminando più di novemila tiroidi, hanno riscontrato PTC associato a HT nel 22,5% dei casi e PTC isolato nel 2,4% dei casi85,86;

- Okayasu et al. hanno evidenziato una prevalenza di infiltrato linfocitario maggiore nei pazienti con PTC rispetto ai soggetti con gozzo o adenoma follicolare, con valori variabili dal 46% fino al 76% a seconda della razza (rispettivamente razza nera e bianca)85,87;

- Ott et al. hanno rilevato PTC nel 32% di 146 pazienti con HT e noduli solitari caldi85,88 e, in un altro studio, hanno osservato, su 161 pazienti con Tc, 61 casi (38%) di HT e, su 267 pazienti con HT, 61 (23%) casi di Tc89;

- Kebebew et al. hanno trovato, su un totale di 136 pazienti con PTC, concomitante presenza di HT nel 30 % e positività per AbTg nel 65%90;

- Tamimi ha riscontrato una prevalenza di infiltrato linfocitario più alta nei pazienti con PTC (58%) rispetto ai pazienti con FTC (20%) o adenoma follicolare (14%)91;

- Pisanu et al. hanno evidenziato, su un totale di 344 pazienti tiroidectomizzati, una frequenza dell’associazione tra HT e DTC pari al 23.8% contro il 6.7% dell’associazione tra HT e noduli benigni92;

- Gul et al. hanno rilevato, su un totale di 613 pazienti, una prevalenza di Tc nei pazienti con HT del 45,7% ed una prevalenza di HT nei pazienti con Tc del 21,8%; inoltre i Tc incidentali sono risultati più frequenti in pazienti con HT (33,3%)93;

- Zeng et al. hanno osservato la presenza di HT nel 35.9% di 619 casi di PTC94. Tipicamente l’associazione riguarda i PTCs e molto più raramente gli FTCs2.

L’eterogeneità della prevalenza riportata di HT associata a DTC potrebbe essere spiegata con differenze, tra i diversi studi, nei criteri di selezione dei pazienti, caratterizzazione dell’autoimmunità, valutazione istologica dei campioni, indicazione alla tiroidectomia e nei fattori ambientali (esposizione a radiazioni), geografici (intake di iodio) e genetici2. È da chiarire se, in presenza di DTC e HT coesistenti, la tiroidite sia indotta secondariamente dal tumore, come reazione del SI dell’ospite alle cellule neoplastiche, o se

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