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Assolo: una proposta di Suzanne Romaine

Nel documento Il concetto di sostenibilità linguistica (pagine 105-108)

Capitolo II – I Modelli della Sostenibilità Linguistica

3. Il Modello Anglosassone di Daniel Nettle e Suzanne Romaine

3.3 Assolo: una proposta di Suzanne Romaine

In occasione del Forum Universale delle Culture, tenutosi a Barcellona nel 2004, la linguista analizza le tre tipologie di reazione che si possono avere di fronte al problema della perdita della diversità linguistica.

Il primo tipo di risposta è quello che lei definisce benign neglet130, il disinteresse benevolo, ovvero il semplice non fare nulla. Riportando le parole di Joshua Fishman, Suzanne Romaine sottolinea come la scomparsa degli idiomi del mondo sia materia di scarso interesse non solo per il grande pubblico, ma anche, spesso, per gli stessi parlanti.

e la conseguente necessità di comunicare hanno fatto sì che il numero medio di parlate comprese dagli uomini con più di quarant’anni fosse arrivato anche a quota cinque. Sembra, inoltre, che il contatto linguistico abbia avuto come effetto non un’omologazione culturale ma, al contrario, una maggiore presa di coscienza della propria identità.

129 Ivi, pag 205. 130

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Un tale atteggiamento è supportato da tutte quelle figure più o meno addette ai lavori convinte che l’estinzione sia un fattore naturale, e che quindi più che intervenire sarebbe il caso di lasciar morire in pace gli idiomi in pericolo. Inoltre, è anche difficile pensare di poter rimanere privi di idiomi utilizzabili, poiché, all’occorrenza, se ne possono sempre inventare di nuovi. Un ulteriore esempio di tale posizione risiede nella variante del pensiero capitalista che applica il concetto di libero mercato anche all’area linguistica, trasformando quindi il declino di alcune varietà in un mero effetto collaterale di numerose scelte individuali operate sulla base della convenienza131. Un altro punto di vista a riguardo, poi, chiama in causa una sorta di conflitto di attribuzione, che la linguista inglese riassume nello slogan «Keep politics out of science132». In pratica, coloro che si riconoscono in questo ideale ritengono che il compito della linguistica sia esclusivamente lo studio scientifico delle lingue, non la loro conservazione, faccenda, quest’ultima, di carattere prettamente politico. In realtà, come sottolinea Suzanne Romaine, la condizione di pericolo in cui si trovano molte lingue è dovuta agli squilibri di potere materiale, politico ed economico che interessano i paesi del mondo, ed è pertanto difficile operare utilmente una tale separazione di competenze.

La seconda risposta è la documentazione133 delle varietà in pericolo, portata avanti

cercando di raccogliere il maggior numero di dati possibili, al fine di contribuire alla salvaguardia della diversità linguistica. La studiosa inglese, citando Robins e Uhlenbeck, sottolinea che, se da un lato invertire il processo di decadimento degli idiomi appare impresa pressoché impossibile poiché quest’ultimo è determinato, come abbiamo più volte ribadito, da complessi fattori socio-politici, dall’altro sembra a portata di mano una manovra di recupero di quante più informazioni possibili riguardanti le lingue in pericolo. Come esempio concreto, Suzanne Romaine cita l’Hans Rausing Endangered Languages Project (HRELP - www.hrelp.org ) un progetto che finanzia iniziative volte allo studio di materiale riguardante le lingue a rischio, soprattutto nelle zone più colpite dal fenomeno, e che ha già raccolto informazioni su oltre duecento lingue134. Si puntualizza,

131

Ivi, pag. 4, ma cfr anche qui, pag. 11. 132

Ivi, pag. 5. 133 Ivi, pagg. 7-13. 134

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poi, che c’è una grande differenza tra documentare una lingua e preservarla e, citando i coniugi Dauenhauers, studiosi di lingua e cultura Tlingit (Alaska), la linguista aggiunge:

Preservation […] is what we do to berries in jam jars and salmon in cans. […] Books and recordings can preserve languages, but only people and communities can keep them alive135.

La studiosa inglese appare poi, se non scettica, quantomeno incline a ridimensionare le effettive potenzialità della raccolta di informazioni in formato digitale, poiché sostiene che i dati registrati su CD-Rom e altri archivi digitali non siano necessariamente più al sicuro delle parole di un manoscritto medievale copiate da un amanuense, a causa della costante obsolescenza a cui è oggi sottoposta la tecnologia136. Inoltre, a sua parere, l’eccessiva quantità di dati accumulati può risultare addirittura controproducente nella misura in cui essa può rendere difficoltosa la separazione del materiale utile da quello superfluo.

La terza ed ultima tipologia di reazione è il tentativo di rivitalizzazione linguistica, o l’introduzione di un programma di mantenimento linguistico137. Ricordando la connessione tra biodiversità e diversità linguistica vista in Nettle & Romaine 2001138, la linguista parte dalla considerazione che, sebbene non sia ancora chiaro quali siano le condizioni migliori per favorire la sopravvivenza di un idioma, tuttavia, «l’idea che la diversità linguistica debba essere preservata non è un aggrapparsi ad un passato idealizzato come insinua la critica, quanto piuttosto parte della promozione di uno sviluppo sostenibile, appropriato e responsabile139». Il suo ragionamento prosegue poi con un’importante affermazione: il senso di una siffatta posizione non è quello di sostenere che il mantenimento degli idiomi indigeni sia in grado di garantire da solo la preservazione della biodiversità, senza la collaborazione di mirate politiche di sviluppo sostenibile. Pertanto: 135 Romaine 2004, pag. 9. 136 Ivi, pag. 11. 137 Ivi, pagg. 13-26. 138 Cfr qui, pag. 92. 139

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It is not about setting indigenous peoples aside in isolated reservations, or expecting them to go on completely unchanged. It is merely about giving them real choice about what happens in the places where they live140.

Il fattore della scelta è centrale, poiché i governi, passati e presenti, hanno la tendenza ad imporre decisioni socio-economiche spesso dannose per i popoli indigeni141. Tale atteggiamento costringe frequentemente le comunità autoctone a scegliere tra tradizione e modernità, e spesso impedisce loro di poter rimanere nella propria terra. Alla base di un simile agire c’è la convinzione che preservare le lingue native significhi per forza dire addio alla modernità. In realtà, come sottolinea la linguista inglese, qualsiasi tipo di sopravvivenza, che sia o meno linguistica, ha sempre coinvolto processi di mutamento, compromesso o adattamento, e operare per un’inversione di rotta del processo di morte linguistica vuol dire anche preservare culture ed ambienti naturali: in poche parole, l’intera diversità biolinguistica globale.

Nel documento Il concetto di sostenibilità linguistica (pagine 105-108)