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Piccole falle nel sistema

Nel documento Il concetto di sostenibilità linguistica (pagine 67-70)

Capitolo II – I Modelli della Sostenibilità Linguistica

1. Il Modello Catalano di Albert Bastardas Boada

1.4 Piccole falle nel sistema

Come abbiamo potuto vedere fino ad ora, il modello che possiamo ricavare dal pensiero di Bastardas Boada è assai articolato e variegato, e si occupa di tutti i molteplici aspetti che un discorso sulla sostenibilità linguistica può chiamare in causa. Tuttavia, una visione d’insieme delle pagine precedenti può legittimamente portarci a fare qualche osservazione.

Si può partire proprio dall’ultimo argomento toccato nel paragrafo precedente, ossia il delicato equilibrio tra il poliglottismo, che egli ipotizza pentapartito, e il mantenimento della lingua di ciascun gruppo. Una situazione di questo genere è oggettivamente attuabile con difficoltà, e tuttavia, anche se lo fosse, sarebbe probabilmente impensabile da estendere a tutte le zone del mondo, proprio in virtù delle specificità delle singole aree che la glottosostenibilità mira a difendere. Ammettendo, comunque, che si riesca effettivamente a mettere in pratica un progetto simile (perché se non si trattasse di progetto più o meno concreto, allora gran parte della sua produzione sarebbe una mera speculazione teorica) altrettanto difficilmente si potrebbe mantenerla a lungo ovunque. È vero che la diglossia è una condizione che si è dimostrata stabile e potenzialmente duratura, ma una “pentaglossia”, che è quanto di fatto egli prospetta quando parla di cinque livelli con una lingua ciascuno e una suddivisione di ambiti a seconda dei livelli stessi, appare una situazione destinata a collassare con maggior facilità. Si tratterebbe,

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poi, di uno scenario totalmente inedito e proprio per questo privo di dati su cui lavorare e con cui potersi confrontare al fine di valutarne l'effettiva applicabilità.

Un’altra falla nel sistema riguarda il discorso, parzialmente inesatto, sulla situazione italo-spagnola68 contrapposta a quella svizzera. In questo caso, infatti, sebbene sia evidente che Bastardas Boada tratti di Italia e Spagna per parlare in realtà di Catalogna, la sua descrizione di uno scenario in cui gli organismi centrali sono esclusivamente monolingui anche se a livello regionale si può utilizzare la lingua locale è solo parzialmente corrispondente a quella effettivamente reperibile in Italia (ma anche in Spagna), specialmente se consideriamo che le lingue minoritarie legalmente riconosciute sono presenti in poche regioni, e che accanto a loro esiste la variegata moltitudine dei dialetti (questo è poi vero specialmente nel nostro Paese). La domanda che sorge spontanea, in questo caso, è: cosa si dovrebbe fare, allora, per dimostrarsi attenti alla diversità linguistica? Rendere tutte le lingue minoritarie lingue ufficiali di uno stato, in modo da dare loro pari dignità?A quel punto, con ogni probabilità, si creerebbe una condizione di anarchia, poiché è evidente che tutti i gruppi che ritengono di parlare idiomi potenzialmente minoritari perché storici e/o autoctoni avanzerebbero richieste in tal senso69. Naturalmente, tale ragionamento è un tentativo di portare all’estremo quanto auspicato da Bastardas Boada, ma appariva interessante percorrere brevemente questa strada al fine di mostrare un altro punto di vista rispetto alla questione. Non bisognerebbe in realtà mai dimenticarsi del fatto che permettere ad una lingua di vedere inalterato il suo impiego e il suo contesto è impresa assai delicata, poiché se quella lingua, per esempio, stesse già subendo un naturale declino nell’uso, riportarla in vita implicherebbe un atto di forza non necessariamente bene accetto né dalla comunità che la parla né dalle comunità confinanti che si sentirebbero coinvolte personalmente. Tali

68 Qui a pag. 58. 69

Si pensi anche solo, banalmente, ai numerosi segnali che ci arrivano dai gruppi più o meno politici che mirano all’indipendenza di singole regioni, come accade ad esempio in Veneto. Movimenti di questo genere non sono una novità e neanche una rarità, ma proprio per la reazione che un gruppo può avere se vede ridimensionato il suo raggio d’azione abituale (si veda l’identità di resistenza citata a pag. 36), si può solo immaginare cosa potrebbe accadere se si andasse a “sconvolgere” gli equilibri sociali e culturali su scala mondiale. È vero, certamente, che parliamo di diritti linguistici e non (direttamente) di interessi finanziari, tuttavia, in questi ultimi anni di difficoltà socio-economiche globali, abbiamo assistito all’incremento di movimenti xenofobi e di episodi di intolleranza, anche in Italia. La cosa, sebbene possa sembrare apparentemente scollegata, risulta essere, a nostro parere, alquanto sintomatica di un età

glocale in cui la realtà multietnica e multiculturale si mescola con una forte chiusura rispetto all’altro da

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atti di forza, poi, come abbiamo visto, dovrebbero garantire un set di funzioni ad uso esclusivo delle lingue locali, e questo si potrebbe raggiungere solo grazie ad un riconoscimento ufficiale da parte delle istituzioni centrali. Se tutti gli idiomi di uno stato, però, iniziassero ad pretendere trattamenti simili, e potrebbero farlo tranquillamente essendosi creati dei precedenti, si darebbe origine ad una situazione di fatto ingestibile.

Un discorso poco chiaro è infine reperibile quando egli afferma che è positivo introdurre in Europa una lingua sovranazionale, ma solo per svolgere determinate funzioni, e che il trilinguismo imposto dall’Unione Europea, con una lingua madre ed almeno altre due lingue europee, non è un sistema perfetto perché almeno una di queste due lingue dovrebbe essere la stessa per tutti se si vuole garantire un’effettiva comunicabilità tra le parti. Ed è proprio quando parla di Unione Europea che egli sembra, poi, contraddirsi, poiché prima apprezza la decisione di scegliere un elevato numero di lingue ufficiali per l’Unione, successivamente afferma appunto che i cittadini europei dovrebbero condividere tutti almeno una lingua comune o trovare un’interlingua per poter comunicare, e infine giunge a sostenere che però l’Europa non può basarsi sull’idea di un'esclusiva unità linguistico-identitaria a sua volta fondata su un codice comune. Una tale posizione, però, lascerebbe scoperte troppe questioni, oltre al fatto che falserebbe l’esistenza stessa del progetto culturale europeo che fa, tra l’altro, di Uniti nella diversità il suo motto. Arrivati a questo punto, quindi, il ragionamento appare, nel suo complesso, leggermente confuso: la comunicabilità deve essere un valore, quindi il bilinguismo deve essere introdotto, ma dev'essere un bi/trilinguismo con la stessa lingua seconda per tutti gli Stati membri. Bisogna però, poi, fare attenzione, poiché il bilinguismo minaccia di sconvolgere l'ecosistema linguistico, ma egli arriva nondimeno a parlare di un pentalinguismo/pentaglossia come situazione possibile e con cui imparare a convivere.

Senza, naturalmente, voler in alcun modo togliere credibilità ed autorevolezza al lavoro di un linguista che ha dimostrato in più occasioni la sua acutezza e lungimiranza di vedute, è parso nondimeno opportuno sottolineare, anche se solo velocemente70, quei punti che sono sembrati più nebulosi al fine di ribadire ulteriormente l’enorme problematicità che si incontra quando si cerca, come ha fatto Bastardas Boada, di dare

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una risposta ad una situazione, come quella linguistica, in cui entrano in gioco molteplici variabili, spesso imprevedibili.

Nel documento Il concetto di sostenibilità linguistica (pagine 67-70)