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Tentativi di palingenesi

Nel documento Il concetto di sostenibilità linguistica (pagine 81-85)

Capitolo II – I Modelli della Sostenibilità Linguistica

2. Il Modello Francese di Claude Hagège

2.2 Tentativi di palingenesi

Dopo aver proposto un’ampia panoramica sulla morte delle lingue, Hagège espone, a questo punto, alcune idee che mirino in qualche modo alla tutela della diversità linguistica. Innanzitutto, elenca quelli che secondo lui possono essere ritenuti i fattori di conservazione per la lotta contro il linguicidio:

1) La coscienza dell’identità. Già vista in precedenza, sottintende che un forte sentimento identitario possa contrastare il declino linguistico.

2) La vita separata. Come quella delle comunità con un habitat proprio, anche rurale, che vivono in isolamento o che, pur non essendo solitarie, vivano una condizione di prosperità che le contrappone ai luoghi vicini.

3) La coesione familiare e religiosa. Elementi, questi, che contribuiscono a rafforzare la cultura di cui l’idioma è espressione.

4) La scrittura. Come abbiamo visto, la scrittura dona prestigio ad una varietà. 5) Il monolinguismo. Le lingue coinvolte in situazioni di bilinguismo sono

tendenzialmente più esposte alla minaccia di morte rispetto a quelle che possiedono solo utenti monolingui.

6) La mescolanza. Le lingue miste82 aiutano a creare situazioni di equilibrio potenzialmente durature.

82 Matras e Bakker (2003, pag. 1), definiscono la lingua mista come un idioma influenzato, ad un certo punto della sua storia, da un’altra lingua, il quale impiega alcune strutture da essa derivate. Le lingue miste sono varietà che tendono ad emergere in situazioni di bilinguismo comunitario, presentano dei rapporti di parentela ambigui o ibridi e non possono quindi essere classificate geneticamente in modo diretto. Sono, insomma, «a bilingual mixture with split ancestry» (la parte in italiano è traduzione nostra).

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7) La scuola. È da questo luogo cruciale che dovrebbero partire le prime iniziative concrete per salvare le lingue, come è accaduto per maori e hawaiano. In particolare, in quest’ultimo caso, si è anche capito che insegnare una lingua alle giovani generazioni, di per sé, non porta a grandi risultati, poiché esse sarebbero impossibilitate ad utilizzare quell’idioma in casa qualora i genitori non lo padroneggiassero adeguatamente: quindi, alle Hawaii, si è deciso di coinvolgere anche le generazioni precedenti nell’insegnamento, con discreti risultati.

8) L’ufficializzazione. È opportuno introdurre, a questo punto, una distinzione che Hagège riporta anche in H 1995 (pag 146). Egli distingue due forme di riconoscimento che gli idiomi possono vedersi attribuite: «Si considera ufficiale una lingua sostenuta dalla legge, che lo stato ha il diritto di utilizzare nelle relazioni diplomatiche, e nella quale ogni cittadino è autorizzato a chiedere qualsiasi prestazione, giudiziaria, di servizi ecc. Le lingue nazionali non sono necessariamente ufficiali, benché sia accordato loro un riconoscimento de

facto83».

9) Il coinvolgimento dei parlanti. Un progetto di questo tipo dovrebbe preoccuparsi di sensibilizzare le comunità coinvolte sia dall’esterno, quindi attraverso politiche statali, sia dall’interno, con una partecipazione attiva dei diretti interessati a difesa del proprio idioma, magari attraverso apposite associazioni o movimento creati a questo scopo.

10) Il ruolo dei linguisti. La comunità scientifica che si occupa di queste faccende sembra molto coinvolta, a tal punto che la morte delle lingue è diventato uno dei temi più trattati dalla letteratura linguistica. Inoltre, sarebbe opportuno che i linguisti studiassero quanti più idiomi possibile, con particolare attenzione per quelli in pericolo, in modo da lasciare almeno una documentazione o un’analisi scritta a testimonianza di una lingua che potrebbe presto scomparire. Operazioni di questo genere sono sicuramente agevolate dalle nuove tecnologie, che permettono di registrare porzioni di discorso e di condividerle agilmente con tutto il mondo grazie ad internet. Inoltre, un’azione in tal senso potrebbe forse

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aiutare le comunità stesse a prendere coscienza del pericolo in cui versa la propria lingua.

Al fine di testimoniare il fatto che recuperare una lingua, non solo moribonda, ma anche morta o solo scritta, è un’operazione possibile, specialmente con l’imprescindibile aiuto dei parlanti, il linguista tunisino propone un lungo excursus sul caso più eclatante in questo senso, ovvero quello dell’ebraico, lingua sostanzialmente defunta recuperata dal testo biblico. Accanto a questo, si sofferma brevemente anche sui tentativi di rianimazione di cornico, scozzese, yiddish, neonorvegese, croato e di numerose lingue creole e pidgin, alcune delle quali assurte a lingue nazionali o ufficiali, come il tok pisin a Papua Nuova Guinea e il bislama a Vanuatu.

Concludendo il discorso sulla morte linguistica, poi, Hagège parte dal dato legato alla velocità con cui le lingue stanno morendo in questa nostra era, trovandosi, però, a dover rivedere due affermazioni fatte in precedenza. Egli ammette, innanzitutto, che uno dei fattori che lui stesso ritiene utili al fine di dare un corpo specifico ad una lingua, ovvero la standardizzazione, risulta avere un effetto collaterale negativo per la linguodiversità. Infatti, con la formulazione di una versione ufficiale della lingua, contemporaneamente si screditano, giocoforza, tutte le varietà dialettali della stessa, riducendo la diversità di idiomi o comunque violando i diritti linguistici. Al contrario, gli stessi media, già definiti uno strumento di “esecuzione differita” del linguicidio, vengono proposti come un ottimo punto di partenza per gli idiomi minacciati, che specialmente attraverso internet possono far sentite la propria voce.

A questo punto, infine, possiamo introdurre un’altra questione cardine del pensiero di Hagège, ovvero la critica al ruolo mondiale dell’inglese, e soprattutto il grande antagonismo nei confronti di questa lingua a vantaggio del francese, idioma che esamineremo nella prossima sezione. Per quanto riguarda l’inglese, ad ogni modo, la posizione del linguista tunisino è nettissima e assai polemica, dal momento che lo inserisce addirittura tra le cause principali della morte delle lingue. Egli ritiene che l’angloamericano stia sfruttando la dicotomia, creatasi un po’ dovunque, tra una lingua locale e una internazionale che possano spartirsi, ciascuna per conto proprio, i diversi

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ambiti sociali, e che questo possa comportare, alla fine, una svalutazione del plurilinguismo a vantaggio della sicurezza monolingue. Secondo quest’ultimo punto di vista, infatti, il monolinguismo a vantaggio dell’idioma britannico sarebbe una garanzia e una necessità perché segno di modernità e progresso; d’altra parte, invece, il plurilinguismo sarebbe associato al sottosviluppo e all’arretratezza economica84. D’altra parte, Hagège sostiene che questa lingua non potrebbe mai fare da lingua veicolare internazionale, poiché non è neutra, ma, al contrario, portatrice di una cultura e di un’ideologia che potrebbero fagocitare tutte le altre. La sua battaglia anti–anglofona prosegue fino a giungere a definire l’angloamericano un pericolo onnipresente, e ad affermare che «la minaccia di morte che grava sulle lingue assume oggi il volto dell’inglese85».

Bisogna ammettere, ad ogni modo, che le sue posizioni a proposito di questo idioma non sono sempre state così ostili. In H 1995, infatti, egli riesce ad ammettere che effettivamente l’inglese, lingua a vocazione federativa europea assieme al tedesco e al francese, «sembra offrire il miglior rapporto tra costi e benefici86», sebbene egli preferisca comunque proporre di riformare l’insegnamento linguistico in Europa, in modo da dare sì un ruolo all’idioma d’oltremanica, ma anche da conferire dignità alle varietà delle regioni confinanti di ciascuno stato e alle altre lingue europee con vocazione federativa, ovvero, al solito, tedesco e francese87. D’altra parte, è curioso leggere la sorpresa del linguista tunisino di fronte al grande successo della lingua britannica, popolarità del tutto immotivata, a suo dire, visto che «è la lingua materna di un solo paese d’Europa nemmeno molto esteso88».

84 Ivi, pag. 100. 85 Ivi, pag. 254. 86 H 1995 , pag. 37. 87

Vengono escluse, per svariate ragioni, tutte le altre lingue europee, spagnolo e italiano compresi. 88

Ivi, pag. 46. Chiaramente Hagège sa benissimo che l’inglese è uno degli idiomi più parlati al mondo, anche alla luce del fatto che è la lingua di paesi quali Stati Uniti e Australia. La sua obiezione va tuttavia inserita in un contesto relativo esclusivamente al nostro continente, elemento, questo, che lo porta ad affermare, nello stesso passaggio, che «l’angloamericano non è più europeo che africano o asiatico». Per queste ragioni, egli trova curioso che l’idioma più diffuso in Europa sia l’inglese e non piuttosto, ad esempio, il russo, che ha più del doppio dei parlanti rispetto al Regno Unito, e la cui nazione d’appartenenza occupa una superficie di ben 20 volte superiore rispetto all’isola d’oltremanica (Ibidem).

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Nel documento Il concetto di sostenibilità linguistica (pagine 81-85)