OPERATORI ESTERNI AL CARCERE
5.5. Attività teatrali – fare sistema – formazione professionale
I riferimenti di questo paragrafo sono negli obiettivi n. 9 e 10 indicati dal Comitato degli esperti per il coordinamento degli Stati Generali:
9. […] Focus sulla centralità della relazione fra risultati attesi e risultati conseguiti da ciascuno dei progetti ammessi ed eventualmente
finanziati direttamente dall’Amministrazione Penitenziaria.
10. Definire il ruolo del volontariato culturale, artistico e sportivo nel contesto delle attività trattamentali […]
Nel già più volte citato report dell’ISSP viene sottolineata l’urgenza di una migliore definizione della tipologia di attività teatrale rispetto al contesto penitenziario di riferimento, introducendo la distinzione fra l’intervento nelle Case di Reclusione e l’intervento presso le Case Circondariali per custodia giudiziaria:
“Nel confezionare l’offerta del progetto teatrale deve essere tenuta presente la tipologia di detenuti che si intende coinvolgere; è evidente,
infatti, che chi è condannato ad una lunga detenzione può “garantire” un impegno più costante, mentre in Istituti con un forte ricambio di detenuti i progetti devono essere studiati in modo diverso, non potendosi affrontare un discorso formativo di lungo periodo. Non è una coincidenza che i progetti migliori siano stati realizzati all’interno di Case di Reclusione nelle quali i detenuti definitivi spesso scontano lunghe pene.
Un’altra componente da tenere presente è la provenienza dei detenuti, atteso che la massiccia presenza di detenuti stranieri in alcuni Istituti presenta il limite della lingua, spesso parlata in modo approssimativo, e quindi eventuali progetti artistici devono essere pensati e strutturati sfruttando l’opportunità di un confronto tra diverse culture e superando l’idea di un lavoro teatrale legato ad un copione scritto” [ISSP, Aspetti trattamentali sperimentali, cit., p. 29]
In un progetto di definizione generale della funzione trattamentale del teatro, e in vista dell’inserimento dello stesso, a pieno titolo, nel ventaglio dell’offerta formativa in carcere, occorre tenere ben presenti queste considerazioni di buon senso, nonché tutte le evidenze offerte dall’osservazione di lungo periodo su una vasta casistica oggi disponibile.
In sede di audizione, ricognizione sul campo e consultazione di report e documenti, il Tavolo 9 ha potuto effettivamente riscontrare l’urgenza di un’esatta definizione del ruolo dell’attività teatrale, a seconda del contesto. Ciò che sembra mancare è un carattere sistematico degli interventi, che non può derivare dallo spontaneismo dei proponenti, cui spetta invece l’onore e l’onere di tradurre creativamente le superiori istanze trattamentali assecondando con “autonomia responsabile” le linee guida che provengono dall’Amministrazione, così come avviene in tutti gli altri comparti del trattamento, dell’istruzione, dell’attività sportiva, fino all’offerta formativa e al lavoro. Il teatro non pare avere per
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nessuna ragione uno status privilegiato o un fondamento culturale che lo rende avulso da ogni contesto, tanto da voler rivendicare un livello di autonomia creativa, indifferente alla valutazione dei bisogni degli utenti, autonoma rispetto alle istanze delle aree educative e delle direzioni, e svincolata da ogni analisi di follow-up. Anzi, proprio il follow-up periodico e finale, come rapporto fra risultati attesi e conseguiti dal singolo progetto approvato, dovrebbe costituire termine di garanzia dei progetti trattamentali su base teatrale che vanno messi a sistema.
Ciò vale soprattutto in considerazione del fatto che i costi dei laboratori teatrali in carcere sono coperti in larga misura da fondi pubblici (su questo punto critico, più oltre) provenienti da Enti Locali, Ministero dei Beni Culturali e dalla stessa Amministrazione Penitenziaria, secondo differenti livelli e modalità. Già nel 2013 la Corte dei Conti espresse evidenti perplessità rispetto all’abitudine dell’Amministrazione di non procedere al follow-up dei progetti finanziati. La scarsità di finanziamenti per le attività teatrali in carcere, tanto e giustamente lamentata delle organizzazioni del Terzo Settore, andrebbe superata con un’azione congiunta consistente in:
→ messa a sistema delle attività e loro pieno riconoscimento da parte del Ministero di Giustizia e del Ministero Beni e Attività Culturali e del Turismo;
→ responsabilizzazione degli operatori creativi rispetto al rapporto fondi disponibili/risultati conseguiti;
→ istituzione di una nuova figura professionale nei ranghi dell’Area educativa che assicuri una competente attività di monitoraggio delle attività teatrali, nella salvaguardia dell’autonomia creativa degli operatori esterni da una parte, e del diritto dell’utenza a ricevere dalle attività intraprese un beneficio diretto e spendibile al termine dell’esecuzione penale.
Il presente rapporto ad indirizzo generale non è la sede per discutere nel dettaglio quali forme espressive meglio si adattino ai diversi contesti penitenziari. Nostro compito è, piuttosto, quello di individuare le linee guida di una profonda riforma dell’offerta teatrale a fine trattamentale. E’ stato da più parti sollevato il problema della qualifica minima degli operatori e dei loro progetti. In particolare lo stesso
obiettivo n. 9, nella sua prima parte indica la opportunità di definire gli standard minimi di competenza e formazione specifica degli
operatori, tali da garantire la migliore relazione con la popolazione detenuta coinvolta nelle attività ed il miglior esito delle stesse […].
È stato quindi dibattuto il tema della “formazione dei formatori”, in particolare in sede di audizione del prof. Vito Minoia, Presidente del Coordinamento Nazionale Teatro in Carcere (d’ora in poi CNTiC) e del Direttore Generale dello Spettacolo dal Vivo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (d’ora in poi MIBACT), dott. Onofrio Cutaia. Di seguito alcune considerazioni svolte e un’ipotesi di lavoro conclusiva.
Si avverte la necessità di accogliere a pieno titolo nel mondo teatrale quella particolare forma che è il teatro in carcere. Ciò tanto a garanzia del ruolo degli operatori, che a beneficio degli utenti dei laboratori. Fra le modalità possibili di questo rapporto, si è immaginato un coinvolgimento nelle attività teatrali in carcere di professionisti e compagnie provenienti da scuole pubbliche nazionali e regionali. Un collegamento stabile fra Ministero della Giustizia e MIBACT potrebbe garantire la circolazione di intelligenze, talenti e progetti creativi fra i due mondi, oggi ancora paralleli e scarsamente comunicanti. Sarebbe dunque opportuno che i piani di studio delle accademie offrissero agli allievi anche una preparazione specifica sul piano del “teatro nel sociale”. Preparazione oggi scarsissima e affidata a iniziative private o alle Università, e, quindi, molto sbilanciate sulla preparazione teorica a svantaggio dell’esperienza sul campo e della pratica di palcoscenico. Ciò garantirebbe, come ricaduta non trascurabile, l’occupabilità di giovani talenti spesso privi di prospettive professionali, in un comparto –
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quello del teatro – colpito, nel nostro Paese, da una grave crisi. I detenuti coinvolti nei progetti beneficerebbero, al contempo, della qualità della preparazione dei loro docenti, di una certa osmosi col mondo del teatro e dello spettacolo professionali, con l’apertura di prospettive di impiego futuro, ad oggi impensabili.
Particolarmente interessanti sono stati i pareri espressi in audizione da Armando Punzo per la Compagnia della Fortezza di Volterra e da Vito Minoia per il CNTiC, a proposito delle opportunità formative offerte ai detenuti nel campo dei mestieri tecnici dello spettacolo. Accanto all’aspetto risocializzante del teatro come arte espressiva, emerge l’aspetto professionalizzante della pratica di palcoscenico. In vista del reinserimento lavorativo dei detenuti sarebbe opportuno sviluppare progetti per la formazione di tecnici di palcoscenico, macchinisti, fonici, illuminotecnici, in collaborazione con le Regioni – Assessorati alla Formazione – ed Enti di formazione accreditati. Creando un sistema di vera osmosi fra il mondo dello spettacolo, il teatro in carcere e le istituzioni preposte alla formazione professionale, le competenze acquisite nel corso dell’esecuzione penale, potranno essere immediatamente spendibili per l’inserimento nel mondo del lavoro. Significativo, in questa direzione, il progetto portato avanti dal gruppo di lavoro formatosi a seguito della stipula del Protocollo d’intesa tra Ministero Della Giustizia - Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria - Istituto Superiore Di Studi Penitenziari e CNTiC [per esso si rimanda a Massimo De Pascalis, Un’occasione generativa di un nuovo essere sociale in carcere, in «L’eco dell’ISSP», n. 03, marzo 2014, pp. 21-27].
Un’altra prospettiva delineata in sede di audizione è quella relativa al rapporto fra operatori teatrali e Istituti di formazione e ricerca, istituiti presso il DAP, in primis l’ISSP, che potrebbe offrire ai formatori teatrali corsi di formazione ed aggiornamento, tali da garantire ai “teatranti” quel grado di competenza specifica sul sistema penitenziario, oggi necessaria per ottemperare appieno al compito di sussidiarietà che la legge assegna al Terzo Settore. Non è da trascurare il fatto che gli operatori teatrali, formatisi con corsi di aggiornamento presso l’ISSP, potrebbero beneficiare di un surplus di stima e considerazione da parte del personale penitenziario, superando quel tanto di estraneità e sospetto sui ruoli e sulle funzioni che ancora danneggia le relazioni intramurarie.
Sulla stessa linea si è argomentato a favore del coinvolgimento di operatori teatrali in sede di formazione del personale penitenziario, al fine di esplicitare e diffondere il valore e la funzione dell’intervento teatrale nel contesto penitenziario. Funzione e valore ancora troppo spesso ricondotti alla mera funzione di ‘intrattenimento’.
Sul punto si sono già fatti alcuni passi come è emerso dall’audizione con il prof. Vito Minoia, presidente del CNTiC, e capofila, assieme a numerose altre associazioni facenti capo al CNTiC, del progetto “Destini incrociati” finanziato per il triennio 2015-2017 dal MIBACT - Progetti di Inclusione Sociale. Tra i punti di forza di questo progetto la realizzazione di iniziative di formazione degli operatori, degli artisti e del pubblico, in partenariato con ISSP, Dams dell’Università Roma Tre e Associazione nazionale critici di teatro. Raccogliendo riflessioni elaborate nel corso degli anni dagli operatori e dagli studiosi del tema, si sottolinea l’urgenza di una riflessione sulle possibilità e sulle necessità di occasioni formative nei vari ambiti del teatro in carcere imprescindibile per la crescita e l’ulteriore qualificazione del teatro in carcere in Italia. → Dopo trent’anni di esperienze, la maturazione del settore deve passare attraverso la creazione di occasioni formative strutturate e approfondite rivolte ai diversi livelli della formazione del teatro in carcere: detenuti, operatori teatrali, personale penitenziario, e pubblico. Tra le azioni messe in campo dal progetto CNTiC:
4. La formazione del personale del carcere (dicembre 2015): un incontro formativo rivolto al personale dei singoli Istituti penitenziari (dai direttori agli educatori al personale di polizia) per preparare al meglio l’ambiente nel quale dovranno operare i vari laboratori di produzione teatrale;
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5. La formazione degli operatori del teatro in carcere: seminario rivolto agli operatori teatrali e ai rappresentanti delle istituzioni (a chi ha già esperienza professionale sul campo e a chi inizia ora), che prevede conseguenti esperienze di tirocinio e tutoraggio di almeno un anno presso situazioni già professionalizzate. Obiettivo, non secondario, di questa iniziativa è quello di favorire la nascita di una sorta di elenco (albo?) di operatori qualificati, dotati di un adeguato curriculum di esperienza da segnalare agli enti e istituzioni interessati a promuovere il potenziamento di questo tipo di attività teatrale;
6. La formazione del pubblico del teatro in carcere: onde arginare la purtroppo naturale tentazione voyeuristica del pubblico, inevitabilmente attratto da quello che la moderna società dello spettacolo spinge a classificare come “circo della marginalità”.
L’osmosi fra l’universo teatrale e quello penitenziario potrebbe rappresentare una garanzia per il miglior espletamento della funzione che il teatro ha assunto nel contesto trattamentale.
Infine, quanto all’istituzione di una figura professionale nuova nei ranghi dell’Amministrazione, con specifica competenza nel campo dell’espressività artistica e della pratica culturale attiva, si è delineata la necessità di un approfondimento nelle sedi opportune (legislativa e amministrativa). Lungi dal suggerire di affidare agli operatori dell’area trattamentale il ruolo “artistico” che è proprio degli operatori teatrali (come avviene ad esempio nel mondo anglosassone al mero fine di terapia psicologica e counseling), si suggerisce che la figura dell’educatore di riferimento teatrale possa fungere da facilitatore nella realizzazione dei progetti e come garante monitore della loro qualità e della loro ricaduta trattamentale.