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Il ruolo della cultura e l’abbandono dell’idea di ‘intrattenimento’

allegato 2) e si è altresì prodotto un analogo questionario per avere informazioni sugli spazi utilizzati o utilizzabili per attività teatrali o, più

5.1. Il ruolo della cultura e l’abbandono dell’idea di ‘intrattenimento’

Ancora oggi la cultura in carcere sconta l’idea di essere considerata intrattenimento, svago, riempitivo di un tempo che, se inquadrato in questi termini, tornerebbe ad essere inteso come un tempo coatto, sottratto alla vita, quale che sia.

E questo proprio in Italia dove la Costituzione e la normativa penitenziaria guardano alle “pene” in funzione del reinserimento sociale, attribuendo rilievo a quelle attività che possono concorrere al perseguimento dell’obiettivo studio, formazione professionale e culturale, arte, lavoro, trasformando il carcere in un luogo di “seconda opportunità”.

Le considerazioni che seguono riflettono l’urgenza di intervenire in sede legislativa, conservando quanto di positivo già è contenuto nelle leggi vigenti, superando alcuni limiti che decenni di applicazione hanno fatto rilevare.

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Ciò che nacque come incontro occasionale fra carcere e società, si sviluppa sempre più come rapporto sistematico: gli organismi d’arte e cultura, la scuola, l’università, hanno varcato la soglia degli Istituti penitenziari. Le amministrazioni centrali e locali finanziano progetti affidati agli enti del Terzo Settore. Teatro, musica, lettura e scrittura diventano strumenti nuovi di educazione che affiancano quelli tradizionali della formazione professionale e dell’avvio al lavoro. In alcuni decenni l’Italia è diventata avanguardia europea e mondiale nell’applicazione del principio riabilitativo della pena. Paradossalmente, accanto ai problemi del sovraffollamento e della vetustà delle strutture carcerarie nascono progetti d’avanguardia sul piano trattamentale che vengono studiati e presi a modello dai responsabili dei sistemi penitenziari di tutto il mondo.

Il nostro paese diviene capofila nello sviluppo di settori come il teatro in carcere, l’educazione musicale e canora, la scrittura creativa. È uno sviluppo tumultuoso, anche confuso e contraddittorio nei principi e nelle realizzazioni, ma straordinariamente vitale e positivo. Degno di essere studiato, documentato, pubblicizzato e trasferito in contenuti legislativi.

Ciononostante negli schematismi culturali di alcune Amministrazioni, perdura l’equivoco che associa l’attività culturale e artistica svolta nelle carceri all’idea dell’“intrattenimento”. Certo lo spettacolo, le manifestazioni artistiche in genere, la stessa programmazione televisiva vengono spesso inserite nell’idea generale di intrattenimento, percepite come momento di svago capace di divertire e allentare le tensioni del quotidiano. Ciò vale tanto per la società nel suo insieme, quanto per la dimensione penitenziaria. L’idea di intrattenimento è però legata ad una fruizione “passiva” dell’evento culturale e/o artistico, alla partecipazione ad un evento prodotto da professionisti e offerto ad una massa indistinta di spettatori.

Quando invece la proposta dell’evento di cultura e spettacolo coinvolge direttamente gli “utenti” l’idea e il termine di intrattenimento devono lasciare il posto ad una diversa prospettiva. Nel corso della vita reclusa potranno essere offerti alla popolazione detenuta eventi e spettacoli prodotti da professionisti, creati con uno spirito di condivisione e solidarietà sociale che meritano ogni considerazione. Tuttavia, quando ci si interroga sulla funzione attiva della cultura e dell’arte a favore del reinserimento sociale del reo in esecuzione penale, si propone una visione ben diversa da quella racchiusa nel termine “intrattenimento”. Facendo riferimento alla duplice idea di “catarsi” in senso aristotelico (estetica e psicologica), è possibile oggi, alla luce di decenni di pratica culturale e artistica nelle carceri, sostenere che tanto sul piano estetico, quanto su quello psicologico ed etico, la pratica espressiva opera potentemente come strumento di revisione del sé e liberazione dalla reiterazione di schemi mentali e comportamenti offensivi dello spirito comunitario di una società. A partire dai sentimenti suscitati dalla pratica del teatro si può giungere a quella che Aristotele definiva “la purificazione delle passioni”, ossia la catarsi. Quale sia il funzionamento preciso della catarsi è stato (ed è) argomento di dibattito appassionato. Certo è che la conoscenza alla quale si può accedere traversando il velo dello spettacolo, tocca per Aristotele il rapporto tra libertà e destino. E, per la moderna teatrologia, quello tra individuo e individuo (spingendo alla cosiddetta interazione sociale, di cui si dirà più avanti).

5.1.1. Cultura è sicurezza

Qual è la realtà della cultura e più in particolare del teatro in carcere? Quale il suo valore?

Nel rispondere a queste domande, il paragrafo fa riferimento agli obiettivi n. 13 e n. 10 indicati dal Comitato degli esperti per il

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13. [seconda parte] Rilevazione degli esiti delle esperienze teatrali sul piano della riduzione del tasso di recidiva.

10. Definire il ruolo del volontariato culturale, artistico e sportivo nel contesto delle attività trattamentali, individuando più precisamente i

diritti e i doveri degli operatori volontari in rapporto alle diverse componenti dell’Istituzione penitenziaria.

All’interno della condizione detentiva, la cultura e il teatro sono diventati elementi trattamentali importanti; essi sono ormai inclusi tra le attività che contribuiscono alla realizzazione della personalità del detenuto. Tra i principali interessi di ricerca del Tavolo 9 è l’indagine su quale possa essere il senso della cultura e del teatro nel contesto del carcere: una sorta di isole galleggianti che non cambiano il mondo ma possono cambiare chi le pratica [da Eugenio Barba, Aldilà delle isole galleggianti, Milano, Ubulibri, 1985]. Proprio questa riflessione porta a cancellare le incertezze, talora presenti, sulla funzione fondamentale della pratica artistica e dei percorsi culturali nel percorso detentivo, anche sulla base di dati statistici significativi.

Alcuni studi testimoniano lo stretto legame tra ‘teatro recluso’ e risocializzazione, anche nei concreti termini dell’abbattimento della recidiva. Molteplici fonti internazionali e nazionali – tra le quali l’ISSP – attestano che, fatti salvi alcuni casi particolarmente virtuosi (Catalogna, Paesi del Nord Europa), il tasso di recidiva, che è circa del 65% nella media italiana (analogo in Europa), scende sotto il 20% fra coloro che durante la detenzione possono accedere al lavoro (intramurario o esterno), e, addirittura, al 6% (Italia, Catalogna, Grecia, Stati Uniti) fra coloro che in carcere svolgono attività artistiche e culturali. In particolare il teatro.

Si segnala questo dato perché esso – ancora non suffragato da un completo studio statistico sperimentale (si veda il Progetto LIMEN -

Welfare Culturale in Carcere, allegato 22) – è tuttavia ampiamente testato in sede di studi osservazionali su campioni non irrilevanti (ad

esempio oltre 500 detenuti presso Rebibbia N.C. in un decennio di osservazione, con un tasso di recidiva inferiore al 10%)

→ Raccomandazione Sulla base delle considerazioni fin qui sviluppate, dei dati disponibili, delle audizioni effettuate e delle testimonianze direttamente raccolte dai detenuti impegnati nelle attività culturali in genere, si sottolinea la necessità di procedere, per le attività culturali, nello stesso modo in cui nel 1975 si fece per il lavoro, prevedendo per esse, nella trama normativa dell’ordinamento penitenziario, una collocazione specifica, in quanto attività strutturanti la vita detentiva. Con pari dignità rispetto ai percorsi di istruzione scolastica e di formazione al lavoro.

Fino a quando le attività culturali ed artistiche saranno genericamente inserite tra le attività trattamentali e menzionate, indistintamente e in una ‘parentesi collettiva’ (cultura, teatro, musica, sport ecc.) resteranno nell’ambito – basso e poco funzionale all’idea di un carcere votato all’idea della costruzione di una diversa opportunità individuale per il ritorno alla quotidianità sociale – dell’intrattenimento, e il loro esercizio e la loro “pratica” saranno ‘utili’ al percorso di reinserimento sociale solo nei casi sostenuti e condivisi dalle Direzioni e/o dalle Amministrazioni. Ergo in alcuni Istituti continueranno ad essere strumento di crescita, in altri occasioni sprecate. La necessità di limitare l’’arbitrio’ del potere riguardo all’offerta delle attività culturali e quella di poterle usare nelle stesse proporzioni e secondo le loro effettive potenzialità è la linea che è emersa e ha accomunato gli operatori auditi, i detenuti e gli stessi componenti di questo Tavolo di lavoro. Per far sì che l’offerta delle attività culturali sia praticata e percepita non quale “elargizione” di alcune Amministrazioni illuminate ma come specifico ‘dovere’ di tutte. A questo proposito si sollecita ‘anche’ una riflessione sulla necessità di individuare, anche, diritti e doveri del personale impegnato in progetti culturali e sportivi, riallacciandosi, per questa via, all’obiettivo 10 del Tavolo 9, sopra citato.

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