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2.2.1 PLC

Il controllore a logica programmabile (pi`u frequentemente PLC, Programmable Logic Control- ler) `e un dispositivo o sistema digitale elettronico che utilizza una memoria programmabile per memorizzare informazioni o istruzioni atte a realizzare specifiche funzioni, finalizzate al con- trollo di sistemi combinatori e sequenziali per la gestione di macchine e processi quali: opera- zioni logico-aritmetiche, temporizzazioni, conteggi, comparazioni, codifiche, decodifiche, ecc. Il suo sviluppo inizi`o nel 1968 in risposta alle necessit`a della General Motors. Le specifiche dei controlli GM richiedevano sistemi a stato solido con un’elevata robustezza e con la flessibilit`a di un computer, ma che potessero essere programmati e mantenuti dagli ingegneri tecnici dello stabilimento. I primi PLC vennero installati nel 1969 e si rivelarono fin da subito pi`u affidabili dei sistemi a rel´e a cui subentrarono. [8] Ci`o `e stato possibile grazie alla notevole serie di van- taggi che sono in grado di offrire, che li rendono tutt’ora altamente competitivi. Elenchiamo i pi`u importanti.

• Ampliamenti al sistema di comando: possono essere eseguiti banalmente aggiungendo i componenti e limitandosi al loro collegamento fisico senza dover modificare quello delle altre apparecchiature.

• Modifiche al ciclo di automazione: possono essere apportate semplicemente intervenen- do sul “programma” e lasciando inalterati i collegamenti fisici.

• Riduzione del tempo di ciclo: una produzione snella (o Lean Manufacturing) `e impor- tante per aumentare l’efficienza. Un robot ha la capacit`a di lavorare a velocit`a costante senza interrompere il processo e ha il potenziale di produrre di pi`u e in tempi pi`u brevi. • Migliore qualit`a e affidabilit`a: le applicazioni vengono eseguite con precisione e alta ri- petibilit`a. Un robot garantisce che la procedura di fabbricazione del prodotto sia sempre la medesima.

• Sfruttamento massimo dell’area di lavoro: grazie all’automatizzazione della linea di pro- duzione `e possibile diminuire lo spazio del piano di lavoro, utilizzando cos`ı l’area libera per altre operazioni.

• Flessibilit`a di utilizzo: il PLC `e un’apparecchiatura “General Purpose” in cui `e l’utente a decidere per quale applicazione specifica verr`a impiegato. Pu`o anche essere recuperato e riprogrammato in caso non sia pi`u necessario per quella originaria.

La necessit`a dell’industria di produrre a qualit`a costante e sempre pi`u elevata, di rende- re flessibile la capacit`a produttiva e di migliorare la produttivit`a per poter essere competitiva nelle attuali condizioni di mercato, spinge verso un’automazione che interessa tutti i livelli del processo produttivo. Si va cio`e verso la “fabbrica automatica” ed il PLC sta assumendo in quest’ultima il ruolo di componente fondamentale. Non esiste ormai settore di produzione, trasformazione o controllo in cui non siano possibili applicazioni del controllore a logica pro- grammabile. I PLC delle ultime generazioni non hanno pi`u soltanto le caratteristiche originali di semplici sequenziatori , ma stanno assumendo quelle di calcolatori di processo con compiti di controllo e supervisione del processo produttivo visto che `e possibile dotarli della possibilit`a di comunicare con altri PLC e PC.

Per poter controllare una macchina o un processo (a volte identificati con il termine “cam- po”), il PLC deve acquisirne lo stato istante per istante e, in base alle istruzioni scritte nella propria memoria, determinare se devono o meno essere apportate delle modifiche allo stato attuale delle uscite. Per acquisire lo stato attuale del processo vengono collegati agli ingressi del PLC tutte le apparecchiature che possono fungere da sensori del sistema (datori di segnali) quali: pulsanti, finecorsa, fotocellule, interruttori, contatti ausiliari di rel`e, ecc. Per attuare quanto `e stato determinato dall’elaborazione del programma, alle uscite del PLC sono colle- gate invece tutte le apparecchiature atte a realizzare quanto necessario per l’esecuzione del processo (attuatori), che possono essere, a seconda di come viene realizzato l’automatismo, di tipo pneumatico, oleodinamico o elettromeccanico, o anche misto in alcuni casi. [14]

Figura 2.5: Esempio di PLC (SIMATIC S7-1200)

Lo schema di funzionamento di una macchina che utilizza questo tipo di controllori viene riportato in figura 2.6. La prima azione che il PLC compie `e la lettura degli ingressi del portale, sia digitali che analogici, on board o su BUS di campo (schede remote collegate al PLC o con una rete di comunicazione). Dopo aver letto tutti gli ingressi, il loro stato viene memorizzato in una memoria che `e definita ”Registro Immagine degli Ingressi”. A questo punto le istruzioni di comando vengono elaborate in sequenza dalla CPU e il risultato viene memorizzato nel ”Re- gistro Immagine delle Uscite”. Infine il contenuto dell’immagine delle uscite viene scritto sulle uscite fisiche, il che corrisponde ad un’attivazione delle uscite stesse. Poich´e l’elaborazione delle istruzioni si ripete continuamente, si parla di elaborazione ciclica; il tempo che il con- trollore impiega per una singola elaborazione viene detto tempo di ciclo e varia solitamente

Figura 2.6: Interazione tra PLC e campo

Un PLC `e un oggetto hardware componibile la cui struttura viene adattata in base al proces- so da automatizzare: durante la progettazione del sistema di controllo vengono scelte le schede adatte alle grandezze elettriche in gioco. In seguito avviene l’inserimento delle varie schede sul BUS o rack del PLC. Esempi di schede sono: moduli di ingresso e uscita remoti, moduli per la comunicazione di rete, moduli PID, moduli encoder e moduli interfaccia utente. Per assolvere i suoi compiti il PLC `e dotato, oltre che di moduli d’ingresso e di uscita, di un’unit`a centrale di elaborazione (CPU, Central Processing Unit) che costituisce il cuore del sistema e sovrintende a tutte le operazioni necessarie al suo funzionamento, di una memoria utente che pu`o essere esterna o interna alla CPU, di un alimentatore per fornire energia e infine di un sistema BUS che permette i collegamenti elettrici e meccanici fra le parti che compongono il sistema. Oltre a ci`o, il PLC deve poter comunicare con il mondo esterno ed `e quindi dotato della possibilit`a di collegarsi con delle periferiche per permettere il dialogo uomo-macchina, per comunicare con altri PLC, per permettere l’utilizzo di memorie di massa e per fornire documentazione cartacea. La struttura cos`ı descritta `e schematizzata in figura 2.7.

Figura 2.7: Struttura di un PLC

2.2.2 BUS e CAN

Un BUS (Binary Unit System) `e un canale di comunicazione che permette a periferiche e com- ponenti di un sistema elettronico di interfacciarsi tra loro e scambiarsi informazioni o dati attraverso la trasmissione di segnali. I BUS possono essere di due categorie, seriali o paralleli, e adottano rispettivamente – come suggerisce il nome – trasmissioni in serie o in parallelo. Della prima categoria fa parte il CAN (Controller Area Network), un protocollo che assicura un elevato livello di sicurezza per i controlli real-time.

Si tratta di un sistema introdotto dalla Robert Bosch GmbH negli anni ’80, progettato per gestire brevi messaggi e per collegare diverse unit`a di controllo elettronico. Inizialmente `e stato applicato in ambito automotive, ma con il tempo si `e esteso a tante applicazioni industriali di tipo embedded (sistemi integrati non riprogrammabili) dove `e richiesto un alto livello di immunit`a ai disturbi. Questo sistema vanta una serie di propriet`a che ne hanno consentito la diffusione su larga scala. Ne elenchiamo le principali:

• gestisce vari livelli di priorit`a associati ai singoli messaggi; • garantisce tempi di latenza limitati;

• assicura una configurazione molto flessibile;

• rileva e segnala gli errori, ritrasmettendo automaticamente i messaggi errati; • gestisce sia errori temporanei che stati di malfunzionamento permanente; • isola automaticamente i nodi difettosi.

La rete CAN comunica con un cavo particolare, chiamato doppino ritorto, a velocit`a che arrivano fino a 1 Mbit/s con fino a quaranta dispositivi. Riesce quindi a semplificare note- volmente il cablaggio fornendo una rete a basso costo, robusta ed efficiente. Ne osserviamo l’effetto nell’immagine 2.8. [10]

Figura 2.8: Riduzione del cablaggio grazie al CAN

Il protocollo di comunicazione del CAN `e standardizzato come ISO 11898-1 (2015). Questo standard descrive principalmente lo strato di scambio dati (data link layer, DLL) composto da due strati sottostanti (sublayer), quello ”logico” (Logical Link Control, LLC) e quello del Media Access Control (MAC), e alcuni aspetti dello strato ”fisico” (physical layer). I protocolli di tutti gli altri strati sono lasciati alla libera scelta del progettista della rete. Poich´e lo standard non prevede di per s´e protocolli di livello applicativo, come ad esempio il controllo di flusso, l’indirizzamento dei dispositivi collegati al BUS e la trasmissione di blocchi dati pi`u grandi di un singolo messaggio hanno richiesto l’implementazione di appositi protocolli di livello applicativo. Il CANopen fa parte di questi.

2.2.3 CANopen

CANopen `e un protocollo di comunicazione e una specifica di profilo per dispositivi per sistemi embedded utilizzato in automazione. Fornisce meccanismi che rendono possibile l’integrazio- ne e la comunicazione di apparecchi di diverso tipo tra loro. Originariamente `e stato progettato per sistemi di controllo per macchine motion-oriented come sistemi di manipolazione, mentre ora `e utilizzato in vari campi di applicazione come equipaggiamento medico, veicoli fuori- strada, elettronica marittima, ecc. Consiste in uno schema di indirizzamento di diversi piccoli protocolli di comunicazione e di un livello applicazione definito da un profilo di dispositivo. I protocolli di comunicazione hanno un supporto per la gestione di rete (network management) per il controllo dei dispositivi e delle comunicazioni tra nodi, e includono un semplice livello di trasporto per la segmentazione/desegmentazione dei messaggi. Il protocollo di basso livello, che implementa il livello fisico e il livello datalink, `e normalmente il CAN, sebbene i profili di dispositivo di CANopen possano essere implementati anche da dispositivi che utilizzano altri mezzi di comunicazione.

Figura 2.9: Struttura di un dispositivo CANopen

Un dispositivo CANopen consiste in tre parti logiche, rappresentate in figura 2.9: lo stack di protocollo che gestisce la comunicazione attraverso la rete CAN, il software applicativo che fornisce la funzionalit`a di controllo interno cos`ı come l’interfaccia per il processo hardware, e il dizionario degli oggetti (Object Dictionary) che si interfaccia sia con il protocollo che con il software applicativo. In particolare quest’ultimo contiene una lista di oggetti, ovvero og- getti dato, oggetti comunicazione e comandi, che servono a descrivere il comportamento del

dispositivo durante la comunicazione. I dati e i comandi sono implementati mediante un index (indirizzo) a 16 bit e un sub-index (voce) a 8 bit, che forniscono un range di indirizzi che va da 0 a 65536. Ognuno di questi `e in grado di reggere fino a 255 parametri e/o comandi. L’index range `e suddiviso in aree specifiche che dipendono dal tipo di parametro, come mostrato nella tabella 2.2. [5]

Index range Scopo dei parametri da 0001H a 009FH definizioni dei tipi di dati da 000A0H a 0FFFH riservati ad un uso futuro

da 1000H a 1FFFH parametri per comunicazione e identificazione dei dispositivi da 2000H a 5FFFH parametri per funzionalit`a specifiche del produttore

da 6000H a 9FFFH parametri specifici di profilo per un tipo particolare di dispositivo da A000H a FFFFH riservati ad un uso futuro

Tabella 2.2: Definizioni degli indici per il dizionario degli oggetti

Ci sono due tipi fondamentali di comunicazione su un BUS CANopen chiamati SDO (Ser- vice Data Object) e PDO (Process Data Object). Il protocollo SDO permette un accesso op- zionale e diretto a qualsiasi voce desiderata ed `e in grado di effettuare una segmentazione dei dati quando la dimensione dei messaggi supera quella di un messaggio CAN, ovvero 8 byte. Se l’informazione `e inviata ciclicamente a uno o pi`u dispositivi entra in gioco il PDO, un mes- saggio CAN completamente configurabile che contiene solo dati. Ogni dispositivo CAN pu`o trasmettere e ricevere pi`u messaggi PDO contemporaneamente. Questi sono configurati con le voci corrispettive nell’Object Dictionary, che permettono di cambiare il CAN ID (ID specifico di ogni drive) e mappare byte del messaggio a oggetti del dizionario.

I profili di comunicazione e di dispositivo di base di CANopen sono forniti dal CAN in Automation Draft Standard 301 (CiA DS301). I profili di classi di dispositivi pi`u specializzate sono basati sul profilo di base, e sono specificati in molti altri standard del CiA, come il DS401 per i moduli di I/O e il DS402 per il controllo del movimento. [11]

Il DS402, in particolare, standardizza il comportamento dei controllori per i servo motori, gli inverter di frequenza e i motori passo-passo e introduce numerose modalit`a di funzio-

namento con i parametri di funzionamento corrispondenti. La descrizione fornita dalla CiA include inoltre un automa a stati finiti (o FSA, Finite State Automaton) che definisce il compor- tamento dei dispositivi per ogni stato. Lo stato dell’azionamento determina quali comandi sono accettati e se viene applicata un’alta potenza. Gli stati vengono cambiati quando il controllo- re riceve una ”parola di controllo” oppure cambiano in seguito a determinati eventi interni, mentre lo stato attuale viene indicato dalla ”parola di status”. La parola di controllo e i valori nominali (come la velocit`a) vengono mappati negli RPDO (Receive Process Data Objects) di default, mentre la parola di status e i valori reali (come la posizione) sono mappati nei TPDO (Transmit Process Data Objects).

Come la stessa CiA sostiene, da un lato il DS402 `e uno dei profili di controllo del moto meglio definiti, dall’altro la moltitudine di funzioni e parametri opzionali limita la sostituibilit`a dei dispositivi conformi ad essa. Alcuni venditori implementano infatti solo un sottoinsieme dei parametri e delle funzioni obbligatorie, pur dichiarando la conformit`a alla CiA402.

Capitolo 3

Progettazione

3.1 Obiettivi

Nel compiere tutte le scelte necessarie ad una corretta progettazione del dispositivo, si `e tenuto conto di una serie di fattori stabiliti a priori per garantire un corretto funzionamento del gruppo operatore ed evitare i problemi pi`u evidenti e limitanti.

Partiamo dai vincoli geometrici. Possiamo considerare una priorit`a minimizzare il pi`u pos- sibile le dimensioni dell’oggetto, in modo che possa essere posizionato su un piano a barre e che sia ad esso proporzionato. Il suo ingombro non deve essere di ostacolo alla funzione prin- cipale del piano di lavoro, ovvero il bloccaggio dei pezzi tramite ventose, n´e alla funzione del gruppo operatore stesso, ovvero la foratura di pannelli dal basso. In particolare, minore `e l’ingombro lungo l’asse X e meglio riescono ad accostarsi le barre tra loro, garantendo cos`ı un bloccaggio con un’efficienza che deve avvicinarsi il pi`u possibile a quella che otteniamo quando il dispositivo non `e installato sul piano. Inoltre, minore `e l’ingombro lungo l’asse Y e maggiore diventa la corsa a disposizione del gruppo operatore, e quindi la porzione di piano su cui riesce ad intervenire. Per quanto riguarda l’altezza, invece (dimensione lungo Z), abbiamo un vincolo superiore e uno inferiore, giustificati da due limiti fisici della struttura della mac- china. Quello superiore `e il piano d’appoggio del pannello, oltre il quale sarebbe impossibile la movimentazione, mentre quello inferiore `e costituito dalle barre tonde su cui scorrono le barre del piano di lavoro, contro le quali il gruppo rischierebbe di scontrarsi scendendo troppo in basso. Di conseguenza possiamo considerare un’altezza disponibile di 230 mm. Per i motivi

appena citati, bisogna controllare anche che la punta dell’utensile in posizione di off si trovi sotto alla superficie d’appoggio del pannello.

Ovviamente, indispensabile `e anche definire al meglio i parametri di lavorazione: per ese- guire la foratura `e necessario avere potenza sufficiente per lavorare il materiale, ma allo stesso tempo la velocit`a di rotazione non deve essere troppo elevata perch´e il foro ottenuto risulti “pulito” (legno non bruciato e non scheggiato, che rispetti le tolleranze richieste sul dimen- sionamento, ecc). Si tratta di un’operazione che produce materiale di scarto, il truciolo, di cui bisogna evitare l’accumulo di per non compromettere il funzionamento dei meccanismi inter- ni. Quindi un altro obiettivo diventa garantire la pulizia del dispositivo e proteggerlo al meglio dagli agenti esterni.

`E necessario inoltre assicurarsi che i pezzi modellati per il componente oggetto di studio siano realizzabili su CNC e che sia possibile almeno una sequenza di montaggio per assemblare tutti i componenti tra loro. La struttura deve essere maneggevole, solida e duratura nel tempo, e deve ammettere l’inserimento di pezzi di ricambio se necessario. Non `e da trascurare nean- che il fattore estetico, in quanto il prodotto deve avere una linea gradevole alla vista perch´e possa essere considerato da eventuali compratori. Il costo complessivo deve essere paragona- bile a quello della testina Weldon – ma sono ammessi anche costi leggermente superiori, pur limitatamente, visto che se ne prevede un maggiore utilizzo.

La movimentazione del dispositivo deve essere uguale a quella delle ventose presenti sul piano FLEX MATIC, deve avere lo stesso meccanismo, in modo che il carrellino a cui `e asse- gnato il loro spostamento possa portare comodamente anche il gruppo operatore senza che questo comporti modifiche di struttura alla barra. Perch´e sia in grado di trasportarlo, inoltre, bisogna limitarne la massa, in quanto se fosse troppo elevata si rischierebbero deformazioni permanenti o rotture del carrello trasportatore. Di conseguenza si `e scelto di mirare ad una massa dell’ordine dei chilogrammi dopo aver valutato quella delle ventose standard, pari a 1kg, e quella di altre ventose speciali supportate dallo stesso piano, che arriva quasi agli 8kg.

In ultimo, ma non per importanza, deve essere possibile l’inserimento in macchina per quanto riguarda il funzionamento automatico della stessa e del piano di lavoro che stiamo considerando. A livello di software e di codice, bisogna assicurarsi che si possa aggiungere nel ciclo di lavoro attuale dei CNC.

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