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copia autore 101 Cic., Rep.II, 11: locumque delegit et fontibus abundantem et in regione pestilenti salubrem; colles

enim sunt, qui cum perfluantur ipsi tum adferunt umbram vallibus, cfr. Vitr. I, praef. 10.

102Lo sarà ancora fino all’età augustea.

103Oltre che nelle province, in particolare la Gallia.

104Vd. Gabba 1994 (a); 1994 (b); 1994 (c); 1994 (d).

105Vd. infra, all’interno del presente paragrafo.

106Vd. Gabba 1994 (d).

107Di questa opinione sia Gabba 1994,109, che Gros 1997, XXVII-XXVIII.

108Vd. discussione in Gros 1997, XXVII-XXXII.

109Sulla vita e sulla condizione sociale di Vitruvio, in relazione alle finalità della sua opera, vd. Gros 1994,75-90.

110Su coincidenze più generali tra Cicerone e Vitruvio, vd. Gros 1997, XXXIII-XL; sull’influenza esercitata da Cicerone su Vitruvio, che si riflette nell’impostazione del De Architectura, vd inoltre Romano 2003,100-106.

111Cic., Rep. II,11.

112Il termine compare in molteplici passi, soprattutto, ma non solo, nel libro I: vd. I,1,10; 2,7; 4,1; 4,4; 4,8-12; 5,1; 6,1; 6,3; III, pr. 4; V,3,1-2; 9,5; 9,9; VI,4,2; 6,1; VII,14,3; VIII,1,2; 1,6-7; 3,28; 4,2; 6,10-11; 15.

d’acqua e salubritas101. Si tratta di problematiche legate all’urbanizzazio-ne: un fenomeno che, nei decenni successivi alla guerra Sociale, e ancora nel periodo in cui Cicerone scrive102, era in pieno sviluppo sia in Italia cen-tro-meridionale che in Cisalpina103. I lavori di Emilio Gabba, raccolti in

Ita-lia Romana, offrono un quadro globale e articolato di tale fenomeno, che è

insieme edilizio-urbanistico e politico104. Esso è conseguenza di diversi co-fattori: il suo sviluppo è legato alle esigenze determinate dalla municipaliz-zazione dell’Italia, cui si affiancano le riparazioni ai danni creati alle città dalle guerre civili e dalla guerra Sociale, e lo stanziamento di colonie di ve-terani. Questo processo comporta la creazione ex novo di impianti urbani e di edifici pubblici, la ricostruzione o l’ampliamento delle mura cittadine, in alcuni casi il trasferimento delle città in luogo più idoneo (vd. ad esempio il caso di Salapia105); in Cisalpina la colonizzazione comporta una trasforma-zione del territorio circostante con operazioni di canalizzatrasforma-zione delle acque funzionali all’agricoltura e al trasporto di materie prime106.

Il De architectura di Vitruvio contiene prescrizioni generali in questo senso, che riflettono esigenze di età augustea, ma rimontano ai decenni precedenti107: non bisogna dimenticare che Vitruvio – la cui opera viene pubblicata negli anni 20 a.C.108ed è dedicata ad Augusto – era stato archi-tetto militare (scriba armamentarius) nell’esercito di Cesare109. Ora, le coincidenze che è possibile individuare tra i capitoli 10-11 del libro II del

De re publica e il De architectura sono notevoli110e investono sia il conte-nuto che il lessico. Cominciamo da quest’ultimo. Il sito scelto da Romolo per la ‘città eterna’ è definito da Scipione/Cicerone in regione pestilenti

salubrem111. La salubritas è anche una parola-chiave dell’opera

vitruvia-na112, ed è utilizzata non solo in relazione alla corretta edificazione degli edifici, ma pure, in termini più generali, ai luoghi di fondazione delle città.

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113Vitr., Arch. I, 4,1.

114Vitr., Arch. I, 4, 11.

115Ad Altino, sul fiume Silis, in particolare, venne concesso il diritto romano nel 49-42; il processo di urbanizzazione si intensificò dopo la guerra Sociale. Aquileia era collocata sul fiume Natissa, nelle vicinan-ze della palude di Grado.

116Vitr., Arch. I, 4, 12.

117Strab. V,3,6; Svet., Iul. 44.

118Vitr., Arch. I, 4, 12. A questo progetto fa riferimento proprio Cicerone nel 63 nel De lege agraria (II,71); vd. Gabba 1994 (c),119-122.

119Cic., Rep. II,11: colles enim sunt, qui cum perfluantur ipsi tum adferunt umbram vallibus.

120Al cap. 6 del libro I.

121Vitr., Arch. I,5,1.

122Vitr., Arch. II, pr. 3.

123Vitr., Arch. II, pr. 4.

Il capitolo 4 del libro I è appunto dedicato a questo tema: le mura di una città devono essere innalzate in luoghi elevati e, possibilmente, non in vi-cinanza di zone paludose113; qualora lo fossero, è necessario che vengano scavati dei canali attraverso i quali far defluire le acque stagnanti114. Vitru-vio cita i casi di Altino, Ravenna, Aquileia115; densi di attualità sono poi i riferimenti alle paludi Pontine116, che Cesare aveva progettato di bonifica-re e dove Augusto fece costruibonifica-re un canale117, e a Salapia, il cui centro ven-ne spostato in una località più salubre intorno alla metà del I sec. a.C.118.

Per tornare ora al De re publica, alla salubrità del luogo Scipione/Ci-cerone collega l’azione dei venti che attraversano i colli dove è disposta Roma, recando frescura alle valli119. Allo stesso modo anche Vitruvio le-ga il tema della salubritas e dell’opportunitas loci a quello della direzio-ne dei venti, a cui dedica un lungo excursus120. Anche la componente

della fluvialità, cui Cicerone attribuisce un’importanza centrale nella scelta del luogo della fondazione da parte di Romolo, ha un ruolo di ri-lievo nella riflessione vitruviana, ed in una prospettiva che, come quella ciceroniana, considera nodale l’aspetto economico: Cum ergo his

ratio-nibus erit salubritatis moenium conlocandorum explicatio regionesque electae fuerint fructibus ad alendam civitatem copiosae, et viarum muni-tiones aut opportunitates fluminum seu per portus marinae subvectio-nes habuerint…121. Il ragionamento si dilata e acquista un valore

para-digmatico nella sezione introduttiva del libro II, dove la città ideale di Alessandro Magno deve essere attraversata da un fiume che le assicuri il nutrimento: civitas sine agris et eorum fructibus in moenibus

affluenti-bus non potest crescere nec sine abundantia cibi frequentiam habere po-pulumque sine copia tueri122. È proprio in considerazione delle inmanis

fluminis Nili magnas utilitates123, che il re macedone stabilisce di fonda-re sul delta del fiume la sua Alessandria: questa, nelle intenzioni di Vi-truvio, è uno speculum Romae. Il confronto tra Cicerone e Vitruvio

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124Cic., Rep. II,11: locumque delegit et fontibus abundantem et… salubrem ; cfr. Vitr., Arch. I,4,10 ; il libro VIII è dedicato a questo tema.

125Cic., Rep. II,11 : Urbis autem ipsius nativa praesidia quis est tam neglegens qui non habeat animo

notata <ac> plane cognita? cuius is est tractus ductusque muri cum Ro-muli, tum etiam reliquorum regum sapientia definitus ex omni parte arduis praeruptisque montibus, <ut> unus aditus, qui esset inter Esquili-num Quirinalemque montem, maximo aggere obiecto fossa cingeretur vastissima, atque ut ita munita arx circuitu arduo et quasi circumciso saxo niteretur, ut etiam in illa tempestate horribili Gallici adventus in-columis atque intacta permanserit ; cfr. Vitr., Arch. I,5.

126Vd. Gabba 1994 (a),97-101.

127In Vitruvio la collocazione ottimale di Roma teorizzata nel De re publica da Scipione/Cicerone si estende all’Italia intera: Ita divina mens civitatem populi Romani egregia temperataque regione conlocavit,

uti orbis terrarum imperii potiretur (VI,1,11); vd. Stok 2001, 291-292; anche in questo caso va evidenziata

la vicinanza, in termini lessicali, col De re publica, dove la providentia di Romolo nella scelta del luogo viene definita divina (II,10: qui potuit igitur divinius et utilitates complecti maritimas Romulus et vitia vi-tare...?). Le riflessioni dei capp. 10-11 del libro II del De re publica lasciano traccia anche nelle Storie di Livio, dove vengono attribuite a Camillo in un discorso ‘programmatico’: Liv. V,54,4; vd. Ogilvie 1970(2),748-749.

128Vd. in particolare, sulla costituzione di Romolo, Liv. I,8,3.

trebbe andare avanti, e attraversa capillarmente i capp. 10-11 del libro II, confermando il principio dell’armonica interazione tra essere umano ed ambiente naturale che accomuna entrambi: salubritas vuol dire abbon-danza di acque potabili124; le mura cittadine devono inserirsi in un conte-sto di adeguate difese naturali125. Quest’ultimo aspetto dell’urbanizza-zione era di particolare attualità nei decenni successivi alla guerra Socia-le; periodo in cui le città dell’Italia ricostruirono il proprio impianto ur-bano dotandolo di nuove mura126. Le riflessioni contenute nel De re

pu-blica sono dunque pregnanti e riconducono alla fondazione romulea

pro-blematiche attuali e riconoscibili dai lettori di Cicerone, che si ritrovano anche in Vitruvio, ma in questo caso concretamente riferite all’età trium-virale-augustea127.

9. LA RIMOZIONE DELLE ORIGINI DIROMA

Vorrei ora considerare, con uno sguardo più generale, il metodo con cui Cicerone utilizza e riplasma la tradizione storiografica relativa a Romolo e alla fondazione della città. Nel libro II del De re publica la costituzione ro-mana si configura fin dall’inizio, nella sua evoluzione, come una costitu-zione mista. In questo senso Cicerone anticipa Dionigi di Alicarnasso e la sua presentazione della costituzione di Romolo. A differenza di Dionigi, però, Scipione/Cicerone inizia il suo racconto con Romolo e non sostiene, anzi esclude l’ipotesi di un’origine ellenica della città di Roma. Questo al-lo scopo di sottolineare i caratteri distintivi della romanità: l’evoluzione di Roma è inizialmente indipendente dalle influenze greche, come anche da quelle etrusche (ampiamente valorizzate da Livio128), subentrate solo a

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129Vd. Cic., Rep. II, 34: Sed hoc loco primum videtur insitiva quadam disciplina doctior facta esse

civi-tas. Influxit enim non tenuis quidam e Graecia rivulus in hanc urbem, sed abundantissimus amnis illarum di-sciplinarum et artium. Fuisse enim quendam ferunt Demaratum Corinthium… Degna di nota è la metafora

fluviale, che contiene un riferimento pregnante alla collocazione prescelta da Romolo per la fondazione.

130Vd. D.H. I, 73.

131Vd. Rawson 1972,36; Cornell 2001,51.

132Cic., Rep. II,3.

133Cic., Rep. II,4.

134Cic., Rep. II,4: concedamus… bene meriti de rebus communibus ut genere etiam putarentur, non

so-lum ingenio esse divino; cfr. Liv., Praef. 6-8.

135Vd. ancora Cic., Rep. II,4.

136Pol. VI,6.

137Liv., Praef. 6.

138Cic., Rep. II,4-5.

139Cic., Rep. II, 21.

partire da Tarquinio Prisco129. Nel fare questo Cicerone rimuove una tradi-zione annalistica, cui Dionigi fa ampiamente riferimento130 e che certa-mente egli non ignorava131. La sua rimozione è totale e comporta anche l’omissione di Catone e del I libro delle Origines, pure indicato da Scipio-ne come modello principale della sua ricostruzioScipio-ne storica132. I riferimenti al passato si limitano alla uccisione di Amulio e alla sconfitta di Albalon-ga133, cui però non vengono collegate le origini dei gemelli. Romolo è fi-glio di Marte; ma alla tradizione di questa origine divina viene data una spiegazione razionalistica, di stampo evemeristico134.

Romolo è l’apoikos di se stesso e della sua fondazione. Non ha bisogno delle indicazioni di un oracolo, perché ispirato direttamente dal suo

divi-num ingenium. Il racconto della sua storia riproduce metaforicamente

l’evoluzione stessa della civilizzazione umana135: 1) stadio della ferinità:

silvestris beluae sustentatus uberibus; 2) stadio della pastorizia: pastore-sque eum sustulissent; 3) passaggio all’agricoltura: in agresti cultu labore-que aluissent; 4) forma di monarchia primitiva, sul modello di labore-quella

de-scritta da Polibio nel libro VI delle Storie136: ut adoleverit et corporis

viri-bus et animi tantum ceteris praestitisse ut omnes qui tum eos agros ubi ho-die est haec urbs incolebant, aequo animo illi libenterque parerent.

Cicerone, riferendosi alle imprese di Romolo, opera una distinzione – presente anche in Livio137– tra fabulae e historia (= facta): i facta hanno inizio con la sottomissione di Albalonga e la fondazione della nuova cit-tà138. Questa è già di per sé una motivazione della liceità di deviare rispetto alla tradizione sulle origini troiane e greche di Roma.

È sempre Romolo a guidare il suo popolo sulla strada della civilizzazio-ne: Videtisne igitur unius viri consilio non solum ortum novum populum,

ne-que ut cunabulis vagientem relictum, sed adultum iam et paene puberem?139. Nella rappresentazione che Scipione/Cicerone ne dà, i Romani sono un

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140Cic., Rep. II, 18; sul passo vd. Gabba 1996, 138.

141Vd. Cornell 2001,55.

popolo nuovo, con proprie caratteristiche distintive, e autoctono. Questo popolo nuovo risulta, al contempo, già civilizzato ad opera di Romolo, il primo dei bene meriti de rebus communibus. Tale idea viene rafforzata e convalidata tramite un confronto con la Grecia, in una modalità che produ-ce una sorta di illusione prospettica, faprodu-cendo ricorso alla cronologia. A proposito della divinizzazione attribuita a Romolo dopo la sua morte, Sci-pione commenta che: hoc eo magis est in Romulo admirandum, quod

cete-ri, qui dii ex hominibus facti esse dicuntur, minus eruditis hominum saecu-lis fuerunt, ... Romuli autem aetatem minus his sescentis annis iam invete-ratis litteris atque doctrinis ... Nam si, id quod Graecorum investigatur annalibus, Roma condita est secundo anno Olympiadis septumae, in id saeculum Romuli cecidit aetas, cum iam plena Graecia poëtarum et musi-corum esset...140.

La collocazione della fondazione di Roma al secondo anno della setti-ma olimpiade ripropone la tradizione accolta da Catone e Polibio. L’illu-sione prospettica è data dalla attribuzione ai Romani di un livello di civiltà equivalente a quello raggiunto dai Greci in quel periodo, da cui essi erano in realtà molto lontani. In questo caso il confronto, o per meglio dire il pa-rallelismo cronologico attuato con la Grecia, gioca in positivo, non per op-posizione ma per assimilazione.

In definitiva nell’excursus ciceroniano le tradizioni relative alla forma-zione del popolo romano vengono deliberatamente omesse. A me sembra tuttavia, al contrario di quanto sostiene Cornell, che questo vacuum non sia «simply taken for granted»141; esso viene razionalisticamente negato, facendo ricorso alla distinzione tra fabula e historia.

10. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

(a)

I confronti con il mondo greco presenti nel II libro del De re publica ri-sultano essere il risultato di un abuso – nel senso di distorsione – di ele-menti della storia e della geografia della Grecia, che vengono utilizzati in maniera strumentale. Trattandosi di casi particolari utilizzati da Cicerone per dimostrare la bontà dei suoi ragionamenti, essi sono da considerare non come fine a se stessi, ma in funzione del significato di cui sono porta-tori. Di qui, una serie di corollari, che, anche dai casi specifici analizzati prima (cfr. supra, §. 6), riceve conferme significative:

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142Cfr., in particolare, Cic., Rep. II 17-20 e supra, §§. 2 ss. e in particolare §. 9.

143Quanto fin qui detto, si basa soprattutto sull’analisi di alcuni casi particolari aventi a che fare con la Grecia e utilizzati a titolo esemplificativo da Cicerone nel II libro del De re publica; il tema, tuttavia, ri-chiede un esame dell’intero corpus ciceroniano, che per questa occasione non si è avuto modo di condurre in maniera approfondita e puntuale. Al riguardo, non mancano lavori recenti e ben documentati (cfr., per esempio, Rawson 1972; Brunt 1993; Van der Blom 2007; Romano 2009-2010), ma si tratta sempre e co-munque di lavori parziali e non sistematici come, invece, vorrebbe essere quello che abbiamo in progetto di avviare in un prossimo futuro.

– la forte carica paradigmatica riconosciuta (o riconoscibile) a ciò che viene trasformato in un esempio e in una illustrazione o semplicemente presentato come tale, magari perché ‘come tale’ era già noto e diffuso (si pensi, per esempio, ai riferimenti alla coppia Corinto-Cartagine e al Pelo-ponneso, identificato ormai con la Lega Achea e, quindi, metonimicamen-te con la Grecia tutta);

– la conoscenza approfondita posseduta da Cicerone in relazione a ciò che viene utilizzato e riferito a titolo esemplificativo;

– il rapporto inversamente proporzionale esistente, con ogni verosimi-glianza, tra la notorietà goduta dai soggetti coinvolti in una zione e lo spazio riservato ai dettagli relativi alla medesima esemplifica-zione.

Evidentemente, la storia greca nel De re publica è una storia non rac-contata o ricostruita dall’autore, ma semplicemente allusa e asservita alla

philosophia: le notizie storiche e i dati geografici sono chiamati in causa a

sostegno della theoria e, talvolta, talmente piegati in funzione dell’obietti-vo argomentatidell’obietti-vo da risultare distorti e alterati. Né mancano i casi in cui Cicerone, nel corso dell’opera, citi un dato storico-geografico più volte e che ogni volta ne enfatizzi certi elementi piuttosto che altri, a seconda (o in virtù) del sistema logico di riferimento (in questo senso, per esempio, il caso del Peloponneso/isola, con la esclusione funzionale di Sparta).

Il confronto con la Grecia comporta un’illusione ottica e dei rovescia-menti di prospettiva: quasi sempre utilizzato in negativo, in relazione alla cronologia della fondazione di Roma, viene capovolto in positivo, a dimo-strazione dell’epoca di civiltà sviluppata (in Grecia) cui Roma temporal-mente appartiene al momento della sua nascita142. Non solo, dunque, un utilizzo funzionale, ma un vero e proprio abuso della storia e della geogra-fia, autorizzato, in un certo senso, dal genere filosofico-politologico a cui il De re publica appartiene, pur senza dipendere fedelmente dalla tradizio-ne greca, che resta comunque – sia dal punto di vista contenutistico, sia per quanto riguarda le strategie retoriche – il retroterra culturale di elevata caratura rispetto al quale Cicerone sente di essere un continuatore in grado di apportare contributi originali e di riservare un posto nuovo e paradigma-tico alla sua Roma firma atque robusta143.

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