• Non ci sono risultati.

GLI AUTORI SI PRESENTANO B. CASSANDRO, Collaborazione alla gestione

Nel documento Cronache Economiche. N.001, Anno 1982 (pagine 108-111)

e finanziamento d'impresa: il factoring - Voi. di 1 7 x 2 4 cm, pp. 239 - Giuffrè, Milano, 1981 - L. 10.000.

Obiettivo del presente lavoro è l'esame dei problemi di struttura contrattuale e di regolamentazione giuri-dica del factoring nei principali paesi europei. L'intro-duzione pressoché contemporanea del factoring in Germania, Francia, Italia, Belgio, Olanda, Inghilterra, Svezia, per citarne solo alcuni, e la presenza di una problematica di inserimento dell'operazione nei ri-spettivi ordinamenti per più versi comune mi ha sug-gerito l'opportunità di non limitare l'indagine all'ordi-namento italiano (i cui specifici problemi sono stati d'altra parte oggetto di attenta considerazione) ma di dare una visione più completa dei vari problemi e delle possibili soluzioni.

Nello svolgimento della ricerca ho avuto la collabora-zione di operatori di settore italiani e stranieri, che mi hanno fornito utilissime informazioni ed una vastissi-ma documentazione, che solo parzialmente riporto in appendice. Da questa parte dell'indagine condotta, per cosi dire, sul campo, sono emerse con particola-re chiaparticola-rezza le difficoltà operative determinate dal-l'applicazione al factoring di norme giuridiche non adeguate alle particolari esigenze; in alcuni casi, tut-tavia, è apparso evidente — e questo è particolar-mente vero per l'Italia — che una prima semplifica-zione dei problemi operativi è possibile con la previsio-ne di clausole contrattuali più adeguate ed efficaci. L'estensione dell'indagine a più ordinamenti mi ha consentito di valutare in termini di efficacia e conve-nienza le differenti soluzioni adottate nei principali paesi, di individuare quelle più adeguate alle specifi-che esigenze operative delle società di factoring e di prospettare la loro possibile utilizzazione anche in al-tri ordinamenti.

Questa metodologia pone altresì le basi per la ricerca di soluzioni uniformi, o quanto meno coordinate, a livello internazionale, per i problemi di maggior rilie-vo. L'obiettivo, in prospettiva, è quello di facilitare le operazioni di import-export factoring: queste incon-trano tra l'altro grosse difficoltà alla loro diffusione proprio nella diversità delle regole legali che discipli-nano la validità e la efficacia del trasferimento dei crediti. Occorrerà pertanto prevedere una tutela uni-forme degli acquisti del factor (i crediti di impresa) in qualunque paese essi si trovino ad operare. Questo libro non contiene riferimenti alla storia anti-ca e meno antianti-ca del factoring: il tema, certo, affa-scinante, meriterebbe di per sé una trattazione speci-fica e non le solite citazioni di seconda mano (ma talvolta anche di terza ed... oltre) che possono repe-rirsi nella maggior parte degli studi sul tema. D'altra parte il factoring, nella sua versione attuale, è tal-mente diverso dalle sue antiche e meno antiche radi-ci che è possibile presradi-cindere da queste senza grave pregiudizio per la comprensione dei problemi giuridici attuali.

S. ALESSANDRINI, Le Trading Companies e il commercio italiano di esportazione - Voi. di 1 4 x 2 2 cm, pp. 170 - Franco Angeli, Milano, 1982 - L. 9.000.

Il tema delle imprese commerciali operanti con l'e-stero è ritornato di attualità negli anni settanta, quando all'acutizzarsi dei problemi della bilancia

commerciale, si senti il bisogno di stimolare le espor-tazioni e ci si rese conto che la competitività dei prodotti non dipendeva solo dal prezzo e dalla quali-tà, ma anche da t u t t a una serie di elementi, molte volte non adeguatamente qualificabili, che generica-mente venivano chiamati non-price factors. Fra que-sti, a parità di prezzi e qualità dei prodotti, si ricorda-vano le strutture organizzative di promozione delle vendite e di assistenza all'estero.

La ricerca, i cui risultati sono qui esposti, ha permes-so di cogliere e mettere a fuoco una vasta gamma di possibilità offerte dagli intermediari commerciali ope-ranti con l'estero. Ciò ha notevolmente contribuito a sottolineare l'importanza che questo settore riveste nel contesto di alcune economie industriali e la pos-sibilità di un loro sviluppo anche nell'ambito del tes-suto produttivo italiano.

Il primo e più importante risultato della ricerca è sta-to quello di aver precisasta-to le caratteristiche e le fun-zioni svolte dagli intermediari commerciali con l'este-ro in supporto alle imprese pl'este-roduttrici. Vi sono infatti fondati motivi che inducono l'impresa al crescere della sua dimensione e della sua proiezione all'este-ro, a delegare ad altri operatori specializzati quelle operazioni che presentano costi crescenti, qualora queste ultime possano essere acquisite a prezzi infe-riori. La validità di un canale di esportazione formato da imprese produttrici e da intermediari commerciali dipende perciò dalla possibilità di utilizzare efficiente-mente più operatori contrattualefficiente-mente indipendenti ma integrati a monte o a valle del processo di produ-zione e di distribuprodu-zione, in modo da assicurare con lo sviluppo di economie di scala la presenza delle im-prese sul mercato estero.

Una simile struttura organizzativa sembra particolar-mente adatta alle imprese di dimensione medio-pic-cola che affrontano il mercato estero solo saltuaria-mente per compensare le fluttuazioni della domanda interna. Sono state cosi individuate varie figure di intermediazione commerciale, ciascuna delle quali of-fre una gamma specializzata di servizi, dalle forme più semplici di informazione e intermediazione a quelle più complesse di promozione, organizzazione e finanziamento del commercio di esportazione. La forma più complessa è la trading company, che con caratteristiche e dimensioni diverse è presente in tut-ti i paesi industrializzatut-ti.

Un secondo risultato conseguito con la ricerca è sta-to quello di aver evidenziasta-to il ritardo con cui si sono sviluppate in Italia simili strutture di commercializza-zione. Pur essendo presenti numerose imprese di im-port-export, ben poche di queste possono esser con-siderate come trading company. Esse infatti non solo hanno un'origine molto recente, rispetto alle concor-renti europee, che hanno ormai un'esperienza quasi secolare, ma hanno anche un'attività fortemente concentrata nel gruppo dei paesi dell'Est europeo. Scarsamente seguiti sono invece i mercati dei paesi in via di sviluppo ove si preferisce operare con tran-sazioni di tipo spot e che quindi hanno un limitato effetto in termini di presenza e penetrazione. Ben di-verso è invece il comportamento delle imprese com-merciali inglesi, tedesche, francesi, scandinave, per non parlare delle sogo shosha giapponesi. L'analisi qui svolta si è concentrata solo sulle strut-ture commerciali dei paesi industrializzati ed ha tra-scurato totalmente quelle esistenti nei paesi socialisti europei e quelle, di più recente istituzione, nei paesi in via di sviluppo (Corea, Brasile, India, ecc.). La limi-tazione del campo di analisi dipende ovviamente dal-la collocazione redal-lativa del sistema economico italia-no nel contesto internazionale, che italia-non evidenzia un diretto intervento pubblico nel commercio con l'este-ro. Evidentemente una estensione dell'analisi compa-rata anche a questi paesi, ed in particolare a quelli che hanno intrapreso una strategia di crescita econo-mica fondata sulla promozione delle esportazioni, ri-chiederebbe altri strumenti di analisi e ad essa po-trebbe semmai far seguito un'ulteriore ricerca da cui trarre suggerimenti per la politica commerciale e va-lutaria italiana.

Le conclusioni, per quanto diverse, rimarrebbero co-munque valide in quanto è evidente che il rallenta-mento dell'espansione del commercio mondiale ma-nifestatosi negli anni settanta richiede basi organiz-zative, oltre che finanziarie, non solo per mantenere le posizioni di vantaggio acquisite ma per guadagna-re in quei mercati che ancora oggi mostrano segni di vitalità. Si fa qui riferimento ai paesi in via di svilup-po che, pur stretti dalla morsa del debito accumulato nell'ultimo decennio e dai crescenti costi energetici, si trovano nella necessità di continuare lungo la stra-da del decollo economico. Le trading companies pre-senti in modo continuativo in questi paesi sono in grado di offrire alle imprese italiane dei mercati van-taggiosi con un costo di penetrazione sicuramente inferiore ai singoli sforzi intrapresi indipendentemen-te, ma sono pure in grado di garantire sbocchi adeguati agli stessi produttori locali contribuendo al conteni-mento dei disavanzi cronici dei conti con l'estero. Come ha dimostrato l'esperienza acquisita dagli ope-ratori commerciali inglesi e giapponesi, le funzioni commerciali vanno sempre più accompagnandosi a quelle finanziarie, per cui è auspicabile una maggiore attenzione da parte dei responsabili della politica economica. Si potrebbe ricercare un più stretto lega-me tra le imprese comlega-merciali e le aziende di credito operanti all'estero, la cui crescente integrazione nei mercati finanziari è stata recentemente ricordata. Procedendo in questa direzione potrebbe essere maggiormente valorizzato ai fini delle esportazioni il flusso di informazioni direttamente acquisito dalle aziende di credito operanti all'estero, sollecitandole ad un ruolo più attivo e sollevandole nello stesso tempo dalle responsabilità attribuite dalla presente normativa. L'esempio delle proposte americane è il-luminante a questo proposito.

All'interno invece i benefici attribuiti alle piccole e medie imprese o ai consorzi di servizi da loro formati per promuovere le esportazioni potrebbero essere estesi anche agli intermediari commerciali indipen-denti, non nuovi nel contesto italiano, con il vantag-gio di poter sviluppare strutture non episodiche e fortemente orientate alla vendita.

La ricerca, che costituisce un contributo iniziale al-l'approfondimento del modus operandi delle imprese commerciali e delle altre strutture commerciali con l'estero, non intende concludersi a questo punto. In-dividuato il ruolo e la potenzialità di tali operatori, e in particolare quello della trading company, lo svilup-po successivo dovrebbe approfondire quegli aspetti più propriamente operativi, quali la forma giuridica e tecnica, i requisiti finanziari e gli indicatori di effi-cienza operativa in termini di specializzazione mer-ceologica o geografica di tali strutture commerciali di promozione delle esportazioni e di organizzazione delle produzioni. In questa luce vanno evidenziati gli ostacoli che finora ne hanno contrastato lo sviluppo. Inoltre, poiché alla formazione della trading company dovrebbe contribuire, indirettamente, anche l'opera-tore pubblico attraverso opportune modifiche della legislazione corrente, si vengono delineando ulteriori linee di indagine evidentemente policv oriented. Ciò sarà possibile anche con la collaborazione degli orga-nismi pubblici e privati che da anni si occupano atti-vamente del miglioramento delle strutture commer-ciali volte all'esportazione dei prodotti italiani.

(dalle Conclusioni).

AUTORI VARI (a cura di R. Dahrendorf), Euro-pa tra crisi e sviluppo - Voi. di 1 4 x 2 3 cm, pp. 323 - Edizioni di Comunità, Milano, 1981 - L. 18.000.

Nel titolo di questo volume compare la parola Euro-pa; la prefazione è opera del presidente della

Com-missione delle Comunità europee, e anche negli altri contributi si parla continuamente di Comunità euro-pee e di Europa. Ma i testi stessi, con l'eccezione di quello di Étienne Davignon, si occupano sempre di un determinato paese o di un gruppo di paesi stretta-mente legati fra loro. Essi sono opera inoltre di autori dei singoli paesi. Allora forse non sorprende che la prospettiva più ampia del titolo e di questa introdu-zione venga meno già nelle prime righe del primo contributo: d'un tratto ogni paese diventa un caso a sé.

Del resto è cosi anche nella realtà. Nonostante tutte le reciproche interdipendenze, parlare di economia

nazionale ha pur sempre un suo significato. I confini

politici sono anche confini economici, e inoltre sono anche confini culturali. Leggendo questo volume il lettore potrà apprezzare sia le differenze di contenu-t o sia le differenze di scontenu-tile: solo acontenu-tcontenu-traverso il fascino delle differenze un volume collettivo può trovare la giustificazione.

La disposizione dei contributi ha un senso. Nella pri-ma parte ci sono paesi europei che, lo vogliano o no. sono «cavalli da tiro», «locomotive», o anche freni o spauracchi, ossia i quattro paesi maggiori. Essa co-mincia col contributo di Otmar Emminger anche per-ché le sue tabelle forniscono dati interessanti per un raffronto con i saggi successivi. Le tabelle presenta-te da Emminger vengono del resto opportunamenpresenta-te integrate da quelle contenute nello scritto di Samuel Brittan. Il contributo sulla Comunità europea rappre-senta poi la cerniera fra la prima e la terza parte. In quest'ultima parte emergono in modo chiaro i molti sviluppi particolari degli stati minori. Questa parte si conclude con le importanti prospettive del saggio di Jan Tinbergen, in cui si parla soprattutto del futuro. Il fascino della molteplicità può essere grande, ma ovviamente non basta da solo a giustificare un volu-me collettivo. Il quadro che il lettore ne ricava non può consistere solo in motivi slegati fra loro. Perciò nella conclusione tenteremo di classificare le diffe-renze e di estrarre gli elementi comuni, ove i singoli contributi lo consentano. Ivi il motivo dell'Europa tornerà di nuovo in primo piano. Culturalmente la molteplicità dell'Europa è senza dubbio una fonte di forza; sul piano economico, però, gli sforzi contra-stanti dei paesi europei comportano con altrettanta certezza un suo indebolimento. È difficile, leggendo questo volume, evitare l'impressione che in questa prospettiva anche l'Europa stia attraversando una fa-se di debolezza. Alla fine faremo però almeno il ten-tativo di scoprire, all'orizzonte degli egoismi econo-mici, i primi barlumi di una disponibilità alla coopera-zione.

R. LALA, Les procédures de la coopération fi-nancière et technique dans le cadre de la deu-xième Convention de Lomé - pp. 242 - G. Giappichelli, Torino, 1981 - L. 18.000.

La cooperazione tra i Paesi industrializzati e i Paesi in via di sviluppo, è un'esigenza sempre più attuale e sentita. Questo fenomeno è ormai ben delineato e rientra in un insieme di regole di diritto complesse e coerenti. "

Nel quadro di questa prospettiva di cooperazione in-ternazionale, la Comunità Europea occupa un posto importante: essa agisce da tempo, a fianco degli Stati membri, svolgendo un ruolo politico di primo ordine.

Le forme di aiuto comunitario, e soprattutto quelle relative alla cooperazione finanziaria e tecnica previ-ste dalle Convenzioni di Yaoundé e di Lomé — che costituiscono la forma più completa, ormai classica

— hanno un'importanza rilevante. Si tratta di proce-dure caratterizzate dalla cura della certezza del dirit-to, del controllo e dell'intervento degli Stati benefi-ciari alle decisioni che li riguardano.

Quest'opera molto specializzata, potrà essere di utili-tà a tutti coloro che si occupano di diritto internazio-nale dello sviluppo e, nello stesso tempo, potrà esse-re utilizzata come strumento di lavoro per gli esperti della cooperazione e dello sviluppo, nonché per i fun-zionari di banca e dei Ministeri competenti, e per le aziende interessate a partecipare ai progetti finanzia-ti dalla comunità, sia in qualità di promotori di un progetto, sia come appaltatori di un'offerta.

Questo volume è consigliato soprattutto a quegli operatori che non hanno esperienza pluriennale in questo campo di cooperazione economica internazio-nale, ma che desiderano tuttavia apportare il loro contributo allo sforzo europeo in favore dell'econo-mia dei Paesi in via di sviluppo.

La complessità delle norme che regolano gli aspetti procedurali di aiuto comunitario, costituisce l'ostaco-lo più difficile per la comprensione del «modus ope-randi». L'opera riunisce in un solo testo, con una struttura sistematica e con carattere problematico, tutte le informazioni essenziali relative agli aspetti giuridici delle procedure trattate.

Un'altra particolarità rilevante è che si è tenuto con-to dei numerosi fatti nuovi avvenuti nei tempi più recenti e soprattutto, l'entrata in vigore della secon-da Convenzione di Lomé.

W. GIULIANO - M. PARENTI - P. VASCHET-TO, La collina di Torino - Materiali per un con-fronto (prefazione di Giampiero Vigliano) - Pro Natura, Torino, 1 981.

La Collina di Torino rappresenta un elemento insosti-tuibile nella scenografia cittadina, che in gran parte ha essa stessa dettato fin dalle origini ed ancora per tutto il Medio Evo, in cui essa svolse una funzione essenzialmente strategica, militare e commerciale. Col rafforzarsi del dominio sabaudo assistiamo ad una evoluzione qualitativa nel rapporto città-collina in cui il ruolo di capitale che la città va assumendo si ripercuote sulla collina che diviene luogo di villeggia-tura, riposo e rifugio per gli abitanti cittadini pur con-tinuando a svolgere le funzioni sopra accennate. A poco a poco il pieno sviluppo agricolo e l'utilizzazio-ne residenziale, con la fioritura delle «vigl'utilizzazio-ne», deter-minarono la prima urbanizzazione che iniziatasi nel sei-settecento si consolida nell'ottocento determi-nando un rapporto di completa integrazione struttu-rale e funzionale che investe soprattutto il versante torinese.

In seguito si determina una vera e propria specializ-zazione in senso agricolo della collina che diviene la «dispensa» della città cui fornisce i principali prodot-ti agro-alimentari quali latte, frutta, prodotprodot-ti orprodot-ticoli, carne e vino. Questo rapporto sarà destinato ad in-vertirsi con l'epoca industriale in cui alla crisi agrico-la, che investe soprattutto la viticoltura, segue una migrazione verso la città che offre lavoro; il territorio collinare viene investito dalla domanda di aree fabbri-cabili da parte dei ceti più ricchi ed inizia l'uso turi-stico della collina con la costruzione della prima rete viaria che interessa non solo l'area torinese ma an-che il chierese. Da questo momento in poi la collina viene assalita dall'ondata di edificazione che, spesso approssimativa ed irrazionale, ne comprometterà non soltanto l'unità scenografica e paesaggistica, ma an-che la già delicata stabilità idrogeologica. Il boom edilizio non investe naturalmente solo il terri-torio ma la stessa città di Torino, in cui ogni spazio verde viene fagocitato dalla edificazione. Iniziano in questo periodo ad alzarsi le prime voci, peraltro

spesso isolate ed inascoltate, di coloro che si oppon-gono a questa disordinata crescita ed in primo luogo le Associazioni naturalistiche (prima tra tutte la Pro Natura Torino sorta nel lontano 1948) che vedono intaccato pesantemente e spesso irrimediabilmente il prezioso patrimonio ecologico collinare, con l'abbat-timento indiscriminato della vegetazione autoctona per far posto a giardini di essenze esotiche, tanto presuntuosi quanto di cattivo gusto.

Alla edificazione selvaggia non fa riscontro inoltre una adeguata rete di infrastrutture, e ciò sarà causa dell'alto grado di inquinamento, soprattutto idrico, cui la collina sarà soggetta.

In questo lavoro svolto per la Commissione Urbani-stica e Territorio, dopo aver rapidamente descritto le principali caratteristiche ambientali del territorio colli-nare, si illustrano quali strumenti urbanistici ne han-no permesso la han-notevole compromissione e a volte la totale distruzione, testimoniando nel contempo come ciò avvenisse nonostante le vibranti proteste di quel-la parte più sensibile e lungimirante delquel-la collettività. Tuttavia la speculazione e gli interessi privati prevar-ranno su quello pubblico e la collina continuerà a dover sopportare pesanti attentati sino a tempi re-centissimi, in cui, con la stesura del nuovo strumen-to urbanistico, si pongono le basi per un uso ben diverso del territorio e delle residue peculiarità am-bientali.

L'auspicio è che questo lavoro, contribuendo ad una migliore conoscenza dei problemi collinari, possa sti-molare anche nell'opinione pubblica un cambiamento di mentalità tale da non ostacolare l'inversione di tendenza in atto nelle previsioni d'uso del bene colli-na. Non solo ma è auspicabile una partecipazione sempre più attenta e numerosa della collettività alla gestione di questo incommensurabile patrimonio di verde potenzialmente a disposizione di tutta la citta-dinanza.

V. GENNARO LERDA, Il populismo americano - Voi. di 1 5 x 2 1 cm, pp. 665 - Mondini e Siccardi, Genova, 1981 - L. 2 6 . 0 0 0 .

È molto difficile scrivere la storia di un partito riu-scendo a combinare da un lato l'analisi delle condi-zioni politiche che lo hanno determinato e dall'altro l'esame delle condizioni economiche e sociali nelle quali si è inserito e di cui è diventato interprete. Il People's Party si colloca nella tradizione politica americana tra la fine della guerra civile e l'inizio di questo secolo. Fu questo un periodo storico segnato da due gravi depressioni economiche, dalla «conqui-sta» dell'Ovest, dalle guerre indiane e dall'afferma-zione degli Stati Uniti come grande potenza indu-striale. Tutta l'America in questo periodo attraversa una crisi di profonda trasformazione di cui il conflitto «tra la campagna e la città, tra il mondo dei produt-tori di ricchezza (come i populisti amavano definirsi) ed il mondo dei consumatori e sperperatori di quella

Nel documento Cronache Economiche. N.001, Anno 1982 (pagine 108-111)

Documenti correlati