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AVVERSO LA COMMISSIONE DI FATTI ILLECIT

SOMMARIO: Premessa. L’utilità di un “approccio integrato”. SEZIONE PRI- MA. LA GIURISDIZIONE PENALE DECLINATA NEL CONTESTO INTERNAZIONALE. 1. Il

regime internazionale del mare: la storica contrapposizione tra dominium e

imperium. 2. L’unificazione del diritto marittimo: alla ricerca di un equilibrio

giurisdizionale. 3. Le prerogative dello Stato di bandiera: l’attribuzione della nazionalità (il principio di effettività al vaglio della giurisprudenza interna- zionale). 4. I doveri derivanti dalla giurisdizione della bandiera: protezione e disciplina della “comunità viaggiante”. 5. Il regime di responsabilità penale nel caso “Enrica Lexie”: la ricostruzione dei fatti. 5.1. (segue) La contrappo- sizione tra Stato della bandiera e Stato costiero: problemi di giurisdizione e immunità funzionale. SEZIONE SECONDA. LA “DEFORMAZIONE” DEI TRADIZIO- NALI CRITERI DI GIURISDIZIONE PENALE NEL CONTESTO DELLA “SICUREZZA” MARITTIMA. 1. Tutela internazionale della navigazione ed esigenze di prote-

zione avverso la commissione di fatti illeciti. 2. Il contrasto alla pirateria. 2.1. Le origini di un fenomeno e la sua diffusione. 2.2. La disciplina penale prevista nel Codice della navigazione. 2.3. Le fonti internazionali. 2.4. Il prin- cipio della giurisdizione universale nella repressione della pirateria. 2.5. Le “nuove” fattispecie di reato introdotte nell’ordinamento penale italiano per effetto della ratifica ed esecuzione della Convenzione di Roma del 1988. 3. Significative eccezioni al principio della libera navigazione in alto mare e alla c.d. “giurisdizione esclusiva”: il diritto di visita e il diritto di inseguimen- to. 4. Alcune brevi considerazioni di “raccordo”. 5. L’immigrazione via mare quale “banco di prova” della tenuta del sistema penale. 5.1. La disciplina in- ternazionale. Il soccorso in mare: da obbligo morale a dovere giuridico. 5.2. La prassi italiana: i respingimenti verso la Libia e la tutela dei diritti fon- damentali. 5.3. Il ruolo delle organizzazioni non governative. 5.4. Soccorso le- gittimo, “autoria mediata” e riflessi in termini di giurisdizione penale. 5.5. La tratta di persone versus il traffico di migranti. 5.6. La normativa italiana di contrasto all’immigrazione clandestina: dai primi provvedimenti all’approva- zione del Testo Unico. 5.7. (segue) Dalla legge “Bossi-Fini” ai c.d. “pacchetti

sicurezza”. 5.8. L’attuale quadro normativo e il “decreto sicurezza-bis”. 5.9. Quali approdi e quali prospettive?

Premessa. L’utilità di un “approccio integrato”

I profili penali del diritto internazionale della navigazione marittima concernono essenzialmente il tema della “giurisdizione”, che, a sua vol- ta, si intreccia con aspetti “sostanziali” legati alla prevenzione e repres- sione di gravi fatti illeciti perpetrati contro la sicurezza della navigazio- ne e la salvaguardia della vita in mare. La tutela di questi beni giuridici è affidata a precise fattispecie, espressione di un diritto penale della navigazione fatalmente condizionato dalla prospettiva internazionalisti- ca che, nel perseguire l’azione repressiva, impone – come vedremo – una modifica dei tradizionali criteri della predetta giurisdizione, rectius dell’equilibrio raggiunto tra le prerogative dello Stato della bandiera e quelle dello Stato costiero.

La complessità risiede nel fatto che in materia penale non è previsto un sistema di norme volto a stabilire quale, tra le legislazioni concor- renti, prevalga sulle altre e ogni ordinamento regola in modo autarchico l’efficacia della propria legge penale. Nel contesto internazionale della navigazione la relazione tra giurisdizioni penali è, dunque, fondata su un complesso bilanciamento tra reciproche, legittime, istanze.

Ciò premesso, la navigazione presenta una naturale vocazione trans- nazionale che si riverbera sul versante “sostanziale” (penale) allorquan- do la movimentazione di persone e la globalizzazione dei mercati dà luogo a fatti illeciti: dal più risalente contrabbando di sigarette, al tradi- zionale traffico di stupefacenti, alla più recente tratta di migranti. Spic- cano, inoltre, fattispecie di reato che, oltre a essere intrise di elementi fattuali e tecnici di indubbia peculiarità nautica, si connotano in chiave propriamente “sovranazionale” (come la pirateria, lesiva del principio della libertà dell’alto mare, in cui si assegna al precetto penale una fun- zione politico criminale espressione di una tutela universale).

È proprio l’essenza transnazionale di molti crimini legati alla naviga- zione a legittimare, nei casi più gravi, una pretesa giurisdizionale basata su un principio di competenza internazionale che importa un ventaglio di

problematiche di sicuro interesse per il penalista e che richiede ne- cessariamente un “approccio integrato”. Si pensi alla validità della legge penale nello spazio, alla difficile identificazione del locus commissi

delicti e agli inevitabili conflitti di giurisdizione di cui si è accennato e,

ancora, all’intreccio tra istanze preventive e repressive e alle complesse cooperazioni in ambito giudiziario e di polizia.

In particolare l’azione di contrasto impone, non di rado, un supera- mento dell’equilibrio giurisdizionale, che a sua volta riflette il difficile coordinamento nel dedalo di convenzioni internazionali, direttive co- munitarie, leggi nazionali, regolamenti, circolari ministeriali. Del resto la natura e i rapidi sviluppi evolutivi dei fenomeni criminali connessi alla navigazione confliggono con la pretesa cristallizzazione della di- sciplina e non consentono una adeguata sistematizzazione normativa.

Lo scenario giuridico si profila, dunque, assai variegato e complesso e, alla luce di quanto detto, l’“approccio integrato” (penale / internazio- nale) che si è inteso perseguire si ritiene necessario per una serie di im- portanti ragioni: consente di contestualizzare la dimensione multilivello della disciplina e di ricostruire la selezione dei beni giuridici, di volta in volta, ritenuti prevalenti, ma esso permette anche di cogliere l’obiettiva distanza tra il paradigma normativo penale e la realtà fenomenica (con evidenti riflessi in tema di tassatività, determinatezza, materialità e sus- sidiarietà). La lettura interdisciplinare è, altresì, opportuna per interro- garsi sull’adeguatezza del solo strumento penale nell’azione di contra- sto e sulla validità del ricorso ai tradizionali schemi dogmatici per am- mettere od escludere la responsabilità penale (specie alla luce delle mu- tate modalità operative di molti fenomeni criminosi). Tuttavia, l’utilità del richiamo alla prospettiva internazionalistica emerge, per il penalista, anche sotto il profilo culturale, poiché consente di avere contezza del complesso sistema valoriale (che il diritto internazionale ha sviluppato in prospettiva di diritti “dell’uomo”) sotteso a uno Stato liberale, cui anche la legislazione penale “domestica” concernente la navigazione dovrebbe uniformarsi e, che, invece, troppo spesso disattende (come dimostrerà la trattazione inerente la complessa gestione dei flussi mi- gratori).

SEZIONE PRIMA LA GIURISDIZIONE PENALE

DECLINATA NEL CONTESTO INTERNAZIONALE

1. Il regime internazionale del mare: la storica contrapposizione tra

dominium e imperium

Nel delineare il regime internazionale della navigazione marittima è necessario ripercorrere l’evolversi, dall’epoca romana fino all’età mo- derna, della giurisdizione statale nel bacino del Mediterraneo, dove si è avuta la genesi di numerose realtà politiche, spesso in conflitto tra loro1,

che hanno adottato due diversi criteri di regolamentazione giuridica: quello di tipo “spaziale” (caratterizzato da una sovranità territoriale estesa alle zone marittime adiacenti alle coste) e quello “funzionale” (in cui la sovranità si esprime nel governo e nella gestione delle attività svolte in mare).

Tale distinzione richiama apertamente i concetti latini di dominium e

imperium nella misura in cui il primo consente di identificare l’eserci-

zio concreto di un potere sovrano sulle cose, compreso lo “spazio” qua- le zona o regione, mentre il secondo rappresenta l’autorità e il controllo sulle attività umane che ivi si esplicano, senza che intervenga una deli- mitazione geografica dell’area, che per questo rimane accessibile a tut- ti2.

Il principio che connota la navigazione in epoche remotissime è proprio quello della “libertà dei mari”, concetto storico che si lega a una visione globale dell’ambiente: al tempo di egizi, assiri, fenici, greci non

1 Si pensi alla storica contrapposizione, in epoca romana, tra Roma e Cartagine; nel

periodo medievale, da un lato, tra Cristianità e islam e, dall’altro, tra le più importanti Repubbliche marinare; verso la fine dell’Evo moderno, tra la potenza navale britannica e gli Stati costieri del Mare nostrum.

2 U. LEANZA, Condizioni degli spazi marittimi e regime della navigazione nel Me-

dioevo e nell’Evo moderno, in P. ALBERINI, S. CORRIERI, G. MANZARI (a cura di), Tra-

dizione giuridico marittima del Mediterraneo tra storia ed attualità (Atti del Convegno internazionale di studi storici di diritto marittimo medioevale. Napoli, 23-25 settembre 2004), Roma, 2006, p. 13.

si rinvengono, infatti, norme che fissino i confini dello spazio marino, il quale ‒ sottratto a qualsiasi disciplina giuridica ‒ rimane libero.

Nell’evo antico, tuttavia, si afferma una prima tendenza all’appro- priazione delle acque costiere, sotto il profilo della navigazione esclusi- va o controllata da parte della potenza localmente dominante, anche se permane l’impossibilità di una egemonia più estesa3. In particolare, in

epoca romana, il Mediterraneo viene suddiviso in due zone soggette al- l’influenza di Roma e Cartagine, che regnano senza ammettere l’esi- stenza di altri Stati aventi eguali diritti; ma a ben vedere entrambe le potenze esercitano solo un controllo volto ad assicurare l’ordine dei traffici marittimi e a tutelare i naviganti dalle incursioni di nemici, cor- sari e pirati.

Tale logica di protezione si rafforzò con il consolidamento dell’Im- pero romano, che istituì un regime ad excludendum per le navi dei ne- mici di Roma e dei pirati, garantendo a tutti gli altri ‒ stranieri compresi ‒ la libera utilizzazione del Mediterraneo, il quale non rappresentò mai un dominium publicum di Roma, ma una res communis disciplinata dal diritto romano sotto il profilo funzionale4.

Da notare che, nel momento in cui la crescente sovranità sui mari portò alla creazione di una flotta mercantile e gli interessi economici dei romani si estesero a tutto il bacino del Mediterraneo, si rese neces- saria l’istituzione di un nuovo Pretore, il Praetor peregrinus, il quale aveva giurisdizione nei rapporti tra romani e stranieri, applicando un complesso di regole comuni (jus gentium). In definitiva, con l’intensifi- carsi dei traffici marittimi, i nuovi scambi commerciali abbisognarono di una disciplina “integrata” e, per questo, vi fu una proficua interazio- ne tra istituti romani e prassi straniere che originò il primo diritto inter- nazionale consuetudinario5.

3 U. LEANZA, Condizioni degli spazi marittimi e regime della navigazione nel Me-

dioevo e nell’Evo moderno, cit., p. 17 ss.

4 U. LEANZA, Il regime giuridico internazionale del mare Mediterraneo, Napoli,

2008, p. 27.

5 A. XERRI SALAMONE, Consuetudini e tradizione nella formazione del diritto ma-

rittimo uniforme, in U. LA TORRE, G. MOSCHELLA, F. PELLEGRINO, M.P. RIZZO,

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