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IL REGIME GIURIDICO DELLA NAVIGAZIONE TRA CODICE PENALE, CODICE DELLA NAVIGAZIONE,

LEGISLAZIONE SPECIALE E PRASSI APPLICATIVA

SOMMARIO: SEZIONE PRIMA. REGIME GIURIDICO DEGLI SPAZI E DIRITTO PE- NALE. 1. Territorialità ed efficacia della legge penale. 1.1. Delimitazione spa-

ziale, esercizio della sovranità e limiti alla giurisdizione nazionale in mare. 1.2. Estensione della sovranità nello spazio aereo. 1.3. Ambito di applicazione delle disposizioni del Codice della navigazione: extraterritorialità della legge penale e preclusioni alla normativa speciale. SEZIONE SECONDA. LO STATUTO PENALE DEL CODICE DELLA NAVIGAZIONE E LE DISPOSIZIONI INCRIMINATRICI EXTRA CODICE PIÙ SIGNIFICATIVE. 1. La parte III del Codice della navigazione.

Complessivo impianto, principi generali e interventi di riforma. 1.1. I delitti marittimi e aeronautici contemplati nel Codice della navigazione. La selezione di peculiari beni costituzionalmente rilevanti nell’identificazione dell’oggetti- vità giuridica. 1.2. Il regime generale delle circostanze: una lettura attualiz- zante. 1.3. Profili sanzionatori e disciplinari. 2. Le principali fattispecie della navigazione disciplinate nel codice penale. Dettato normativo e apporto giuri- sprudenziale. 2.1. Il delitto di naufragio. 2.2. La causazione colposa di un pe- ricolo di disastro: un confronto tra fattispecie. 2.3. Il caso “Costa Concor- dia”. Ricostruzione fattuale e sviluppo processuale. 2.3.1. La definitiva decla- ratoria di responsabilità e il parziale riconoscimento dell’aggravante della colpa con previsione. 2.3.2. Riflessioni circa l’omessa adeguata considerazio- ne della cooperazione colposa e dell’incidenza di fattori organizzativi. 2.4. Le fattispecie concernenti il disastro aviatorio. 2.5. L’attentato alla sicurezza dei trasporti. Una residuale “norma di chiusura” idonea a esprimere una tutela penale rafforzata. SEZIONE TERZA. CONTRAVVENZIONI E ILLECITI AMMINISTRA- TIVI. 1. Contravvenzioni marittime e aeronautiche: generalità. 2. La normativa

concernente la nautica diportistica. 2.1. L’evoluzione della disciplina sanzio- natoria anteriore al codice della nautica da diporto. 2.2. L’attuale comparto sanzionatorio e l’esclusione del rapporto di sussidiarietà rispetto alle norme incriminatrici del Codice della navigazione. 3. Le fonti regolamentari e le or- dinanze di polizia marittima.

SEZIONE PRIMA

REGIME GIURIDICO DEGLI SPAZI E DIRITTO PENALE

1. Territorialità ed efficacia della legge penale

Nel ricostruire la portata dello statuto penale del Codice della navi- gazione è necessario indagare l’ambito di applicazione delle norme ivi contenute.

Come noto, la legge penale è determinata nello spazio secondo il “principio di territorialità”, obbligando tutti coloro che, cittadini o stra- nieri, si trovino sul territorio dello Stato.

Ciò premesso, dal combinato disposto degli artt. 3, 4 c. 2 e 6 c.p. si ricava l’operatività della legge nazionale su navi e aeromobili battenti

bandiera italiana, considerati, con nota fictio iuris, come “territorio”

dello Stato in qualunque luogo si trovino1.

Sebbene il criterio territoriale si fondi sulla presunzione assoluta dell’interesse statale a disciplinare ogni fatto o rapporto che ricada nel- l’area soggetta alla sovranità dello Stato, la convergenza di altri principi generali e l’esigenza di proteggere una determinata, peculiare, categoria di beni giuridici può spingere il legislatore a perseguire penalmente an- che fatti che non siano stati commessi sul proprio territorio (reale o fit- tizio) e che altrimenti rimarrebbero tout court impuniti.

Tale eccezionale extraterritorialità della legge penale connota pro- prio il comparto della navigazione e, in particolare, le disposizioni in- criminatrici contenute nel Codice per effetto dell’art. 1080 cod. nav.

Il principio di territorialità nell’applicazione della legge penale (che sconta, peraltro, una innata rigidità applicativa) può essere ulteriormen-

1 All’iscrizione della nave e al rilascio dell’atto di nazionalità consegue, secondo

l’art. 155 c. nav., che la nave «inalberi la bandiera italiana». In altre parole, l’iscrizione della nave nei registri o matricole di uno Stato implica che la nave acquisti la nazionali-

tà di detto Stato. In definitiva, la legge della bandiera sintetizza un criterio di collega-

mento della nave (o dell’aeromobile) con l’ordinamento giuridico di uno Stato. Mentre molti Stati, fra cui l’Italia, richiedono l’esistenza di un legame effettivo (genuine link) fra nave e comunità, altri (es. Panama, Liberia) accordano più facilmente la propria nazionalità alle navi, dando luogo al fenomeno delle “bandiere ombra”.

te derogato nel caso in cui l’illecito presenti elementi di internazionalità legati alla nazionalità del colpevole, della vittima, dell’interesse leso o, ancora, alle ripercussioni lesive che la condotta criminosa può avere nei confronti dell’ordine pubblico di uno Stato straniero e del valore sovra- nazionale dei beni giuridici coinvolti.

Sotto quest’ultimo profilo significative eccezioni sono dettate dalle convenzioni internazionali, soprattutto in materia di sicurezza della na- vigazione e tutela ambientale e, più in generale, la normativa interna- zionale è stata fondamentale per definire l’assetto giuridico degli spazi, ma anche per ridimensionare il principio della giurisdizione strettamen- te connessa alla bandiera a fronte della maggiore pregnanza che hanno assunto le istanze volte a tutelare valori assoluti.

1.1. Delimitazione spaziale, esercizio della sovranità e limiti alla giuri- sdizione nazionale in mare

Per definire la sovranità dello Stato italiano in ambito marittimo è necessario richiamare, unitamente alle norme contenute nel codice pe- nale, le disposizioni preliminari del Codice della navigazione e la nor- mativa internazionale.

Relativamente a quest’ultima, assume particolare rilievo la Conven- zione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (di seguito UNCLOS ‒ acronimo di United Nations Convention on the Law of the Sea), sotto- scritta a Montego Bay (Giamaica) il 10 dicembre 1982, entrata in vigo- re il 16 novembre 1994 e composta di trecentoventi articoli e nove alle- gati.

L’analisi dei contenuti della Convenzione, in relazione alla normati- va speciale, consente di tracciare i limiti posti alla sovranità di uno Sta- to in ambito internazionale e risulta di primaria importanza per delinea- re la giurisdizione penale in mare.

Per quanto concerne la delimitazione spaziale, ai sensi dell’art. 2 c. 2 cod. nav., la sovranità nazionale si estende sulle acque interne e su un tratto di mare adiacente alla costa continentale e insulare (il c.d. “mare territoriale”) che presenta un preciso confine esterno: entro le 12 miglia dalla linea di costa a bassa marea (base di misurazione

standard) o dalla linea retta di costa (se quest’ultima si presenta frasta- gliata o indentata)2.

Ciò viene confermato anche dall’art. 3 della Convenzione UN- CLOS, che riconosce agli Stati contraenti la facoltà di stabilire l’am- piezza del proprio mare territoriale «fino a un limite non eccedente le 12 miglia marine dalla costa».

Premessa questa precisa indicazione, la sovranità di uno Stato sul proprio mare territoriale incontra dei limiti che vengono delineati dalla normativa internazionale: trattasi del c.d. “diritto di passaggio inoffen- sivo” da parte di navi straniere sul mare territoriale (art. 17 UNCLOS) e del regime di esercizio della “giurisdizione penale su navi straniere” da parte delle autorità dello Stato territoriale (art. 27 UNCLOS).

Integra un “passaggio inoffensivo” l’attraversamento rapido e conti- nuo, senza facoltà di ancoraggio (consentito, eccezionalmente, nei casi di forza maggiore o pericolo, ovvero imposto dalla necessità di prestare soccorso a persone o ad altre navi), che non rechi pregiudizio «alla pa- ce, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero» (ex art. 19 UN- CLOS). Le navi di passaggio hanno comunque l’obbligo di rispettare le leggi e i regolamenti dello Stato costiero (specie in materia di sicurezza della navigazione e prevenzione dell’inquinamento) e i sottomarini che attraversano il tratto di mare territoriale devono navigare in emersione e mostrare la bandiera.

Lo Stato costiero può sempre sospendere il diritto di passaggio inof- fensivo, purché la sospensione sia essenziale alla protezione della sicu-

2 Secondo l’originario art. 2 del Codice della navigazione il mare territoriale italia-

no aveva una estensione di 6 miglia dalla linea di costa; la legge 14 agosto 1974, n. 359 ha modificato la norma, estendendo l’ampiezza a 12 miglia; notevoli innovazioni sono, poi, state introdotte con il d.P.R. 26 aprile 1977, n. 816 che ha utilizzato ampiamente il sistema delle linee rette per ridefinire la linea di costa per i numerosi golfi presenti lun- go la Penisola e per le due isole maggiori, Sicilia e Sardegna.

Per completezza, è interessante richiamare anche quanto stabilito dal c. 1 dell’art. 2: «sono soggetti alla sovranità dello Stato i golfi, i seni e le baie, le cui coste fanno parte del territorio della Repubblica, quando la distanza fra i punti estremi dell’apertura del golfo, del seno o della baia non supera le ventiquattro miglia marine. Se tale distanza è superiore a ventiquattro miglia marine, è soggetta alla sovranità dello Stato la porzione del golfo, del seno o della baia compresa entro la linea retta tirata tra i due punti più foranei distanti tra loro ventiquattro miglia marine».

rezza nazionale, abbia carattere temporaneo, non sia discriminatoria e riguardi specifiche aree di mare territoriale3.

Per gli “stretti”, che presentano un’ampiezza inferiore alle 24 miglia e che mettono in comunicazione due zone di mare in cui la navigazione è libera, la Convenzione di Montego Bay (ex artt. 37 e ss.) stabilisce che le navi hanno «diritto di transito non limitabile con sospensione» e tali stretti possono essere, altresì, sorvolati e attraversati da sottomarini in immersione.

Con riguardo al secondo limite, la giurisdizione penale italiana non può essere esercitata sulle navi da guerra in transito, poiché esse godo- no di immunità assoluta; infatti, in ambito militare si applica sempre la legge della bandiera.

Per quanto riguarda, invece, le navi private e i mercantili, la consue- tudine internazionale accorda l’esenzione dalla giurisdizione penale dello Stato italiano alla nave straniera in transito per quanto riguarda i soli “fatti interni”.

L’art. 27 UNCLOS, infatti, precisa che la giurisdizione penale dello Stato costiero non dovrebbe (should not) esercitarsi a bordo di una nave straniera che transiti nel mare territoriale, al fine di procedere ad arresti o condurre indagini connesse a reati commessi a bordo durante il pas- saggio, a meno che i fatti di rilevanza penale, per le loro conseguenze o per la loro stessa natura, non turbino la vita della comunità territoriale4,

3 N. RONZITTI, Introduzione al diritto internazionale, 5 ͣ ed., Torino, 2016, p. 109. 4 Sul punto va menzionato quanto deciso da Cass. pen., I, 7 novembre 2007,

n. 44306, in Riv. pen., 4, 2008, p. 408: «In tema di illeciti penali commessi a bordo di una nave straniera, sussiste la giurisdizione dello Stato italiano in relazione a fatti ido- nei a interferire nella vita della comunità costiera: pertanto, è compito del giudice veri- ficare in concreto se dal fatto contestato siano derivate conseguenze estesesi allo Stato rivierasco ovvero se il medesimo fatto sia stato di per sé idoneo a turbare la pace pub- blica del Paese o il buon ordine del mare territoriale, dovendosi escludere, in entrambe le ipotesi, il difetto di giurisdizione dell’Autorità giudiziaria italiana» (in motivazione, la Suprema Corte ha affermato che con la ratifica della Convenzione di Ginevra del 29 aprile 1958 ‒ art. 19 ‒, lo Stato italiano ha rinunciato alla giurisdizione in relazione a illeciti penali commessi a bordo di una nave straniera che abbiano rilevanza solo all’in- terno della comunità viaggiante sulla stessa. Richiamando la prassi internazionale, la Corte, inoltre, ha precisato che per riconoscere la giurisdizione dello Stato costiero deve farsi riferimento al requisito del “disturbo effettivo” e del “disturbo morale”, quest’ulti-

ovvero se l’intervento delle autorità locali è stato richiesto dal coman- dante della nave o da un agente diplomatico o funzionario consolare dello Stato di bandiera della nave; oppure se tali misure sono necessarie per la repressione del traffico illecito di stupefacenti o sostanze psico- trope.

Sulla scorta di tale principio, in raccordo con quanto sancito dal- l’art. 4 c. 2 c.p. e salvo ulteriori eccezioni dettate dalla normativa inter- nazionale, i reati perpetrati a bordo di mercantili italiani, che possono sostanziarsi in “fatti interni”, debbono considerarsi commessi nel terri-

mo relativo a fatti la cui natura è solo potenzialmente idonea a turbare l’ordine pubblico e la sicurezza della comunità territoriale; nel caso di specie, è stata ritenuta la giurisdi- zione dello Stato italiano in considerazione delle ripercussioni all’esterno del fatto con- testato ‒ un tentato omicidio ‒ e dell’allarme creato nella comunità locale, evidenziato dall’attivazione dell’apparato sanitario di emergenza e dell’apparato di polizia). Con- forme Cass. pen. SS.UU., 26 gennaio 1990, n. 1002, in Riv. dir. internaz., 74, 1991, p. 123, in cui si sottolinea che l’interesse dello Stato costiero è da intendere in relazione alla situazione verificatasi in concreto, che diviene rilevante per tale Stato allorquando, per le sue connotazioni, realizzi una condizione di “effettivo pericolo” (con tale moti- vazione la Suprema Corte ha, però, escluso che sussistesse la giurisdizione italiana in relazione alla mera detenzione di armi ‒ finalizzata alla difesa della nave ‒ a bordo di una nave israeliana ancorata nel porto di Trieste). Identico caso è stato deciso negli stessi termini da Trib. Venezia, 21 giugno 1989, in Riv. dir. internaz., 73, 1990, p. 158.

Cass. pen., IV, 2 maggio 2000, n. 7409, in Cass. pen., 2002, p. 1713 ha, invece, sta- tuito quanto segue: «è perseguibile in base alla legislazione italiana e davanti al giudice italiano la violazione di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro ac- certata a bordo di una nave battente bandiera straniera, attraccata in un porto italiano, quando detta violazione, e i conseguenti effetti lesivi, non abbiano interessato soggetti appartenenti alla c.d. “comunità navale” sottoposta, come tale, alla giurisdizione dello Stato cui la nave appartiene, ma bensì soggetti estranei alla detta comunità quali, nella specie, lavoratori italiani addetti alle operazioni di carico (fattispecie in cui delle lesioni colpose di un lavoratore, socio di una cooperativa, caduto dall’alto durante lo stivaggio di una nave, è stato ritenuto responsabile il presidente della cooperativa)».

In un diverso, più risalente, caso, il Tribunale di Napoli ha dichiarato il difetto di giurisdizione rispetto al reato di illecita importazione e detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti compiuto da un cittadino greco, imbarcato come marinaio su una nave cipriota ormeggiata nel porto di Napoli ‒ in specie, il fatto che le sostanze rinve- nute nella cabina di costui non fossero mai state commercializzate, e l’omessa prova di un animus in tal senso da parte dell’imputato erano state ritenute circostanze decisive per ritenere che il fatto non avesse avuto ricadute sulla vita della comunità costiera ‒ (Trib. Napoli, 7 febbraio 1974, in Riv. dir. internaz., 57, 1974, p. 843).

torio italiano, anche se la nave era in navigazione nel mare territoriale di uno Stato straniero. Se, tuttavia, dagli avvenimenti occorsi derivano ripercussioni esterne (fatti che turbano la tranquillità e il buon ordine dello Stato costiero e del relativo mare territoriale) si applica la legge del luogo ove si trova la nave5.

Tra le disposizioni preliminari del Codice della navigazione lo stes- so art. 5 è dedicato alla legge regolatrice degli atti compiuti a bordo di navi (italiane) in navigazione in luogo o spazio soggetto alla sovranità di uno Stato estero, e prevede che i medesimi siano regolati dalla legge di bandiera in tutti i casi in cui, secondo le normali regole di diritto in- ternazionale privato, debba applicarsi la legge del luogo dove l’atto è compiuto o il fatto è avvenuto. La norma, all’interno del secondo com- ma, precisa, altresì, come tale principio della bandiera valga anche per le navi straniere che si trovino a transitare in uno spazio soggetto alla sovranità dello Stato italiano, sotto condizione di perfetta reciprocità. Tuttavia, vale la pena osservare che il Codice ritiene operante la legge della bandiera, ossia la legge nazionale del mezzo, con una significativa precisazione: ovvero, allorché il fatto o l’atto sia avvenuto a bordo del mezzo nel corso della navigazione; esulerebbero, pertanto, da tale di- sciplina gli atti avvenuti a bordo di navi attraccate in porti stranieri o di aerei in rullaggio sulla pista o in sosta in hangar.

Distinta dal mare territoriale è la c.d. “zona contigua”: fascia marina adiacente al mare territoriale che presenta un limite di 12 miglia ulterio- ri rispetto al primo confine tracciato (quindi complessive 24 miglia dal- la linea di costa). L’istituzione di una zona contigua è facoltativa e con- sente allo Stato costiero che la proclami di esercitare il diritto di hot

pursuit, ovvero di catturare coloro che fuggano al largo dopo aver

5 La distinzione tra “fatti interni” ed “esterni” alla nave non ha grande valore ai fini

della ricostruzione della regola che, anziché basarsi sui fatti in sé, poggia sugli effetti che quei fatti sono suscettibili di produrre sulla vita della comunità territoriale secondo la valutazione che ne fa lo Stato costiero [in base al «se» e «in che misura» lo Stato ritenga che i comportamenti ascrivibili alla nave, in senso lato, o ai membri dell’equi- paggio, in senso stretto, siano suscettibili di ledere l’ordine pubblico della comunità soggetta alla propria giurisdizione. Il rapporto tra la giurisdizione dello Stato di bandie- ra e quella dello Stato costiero assume, dunque, la veste di un rapporto tra valori che sono propri dei rispettivi ordinamenti (E. ZAMUNER, La tutela delle navi private nel

commesso dei reati entro le 24 miglia6; tuttavia, non essendovi regole

che consentano di assimilare tale zona alle acque territoriali e di ritene- re che lo Stato costiero possa esercitarvi in via esclusiva la propria giu- risdizione penale, non si estende a tale zona alcun tipo di sovranità as- soluta7.

Ancora diversa è la “zona economica esclusiva” (ZEE), che si può estendere fino a 200 miglia dalla linea base di costa; l’istituzione di tale zona è facoltativa e finalizzata all’esplorazione, allo sfruttamento, alla conservazione e gestione delle risorse naturali presenti nel mare e nel sottosuolo marino (ma a tal fine è necessaria una proclamazione da par- te dello Stato costiero in accordo con gli Stati adiacenti e frontisti)8.

Da ultimo vi è il c.d. “alto mare”, che (ex art. 1 convenzione Gine- vra) identifica «tutte le parti del mare non comprese nel mare territoria- le o nelle acque interne di uno Stato» (ed escluse anche dalla zona con- tigua e dalla ZEE). Gli artt. 86-90 della Convenzione di Montego Bay sanciscono la libera utilizzazione dell’alto mare e, pertanto, nessuno Stato è nelle condizioni di imporre la propria sovranità, pur potendo far navigare liberamente una nave nazionale, che sarà, in questo caso, sot- toposta alla giurisdizione esclusiva dello Stato di bandiera9.

La medesima regolamentazione è contenuta nell’art. 4 del Codice della navigazione, rubricato «Navi ed aeromobili italiani in località non soggette alla sovranità di alcuno Stato», al cui interno si chiarisce che le

6 “Hot pursuit” significa inseguimento in flagranza e indica il diritto dello Stato co-

stiero di inseguire una nave straniera per un illecito commesso nelle proprie acque terri- toriali o nella zona contigua. Per i dettagli circa le modalità di esercizio del diritto di inseguimento nei confronti di navi od aeromobili stranieri, v. art. 111 UNCLOS.

7 A tal fine, l’art. 33 della Convenzione UNCLOS stabilisce che in tale zona lo Sta-

to costiero può esercitare il controllo necessario al fine di prevenire le violazioni delle proprie leggi e regolamenti doganali, fiscali, sanitari e d’immigrazione commesse entro il suo territorio o mare territoriale.

8 L’Italia non ha proclamato ZEE, ma solo “zone di protezione ecologica”, la cui

istituzione con decreto va notificata agli Stati adiacenti e frontisti.

9 Le navi prive di nazionalità che si trovino in alto mare non possono invocare la

protezione di alcuno Stato e sono soggette all’autorità delle navi da guerra di tutti gli Stati; lo stesso vale per la nave che batte bandiera di due o più Stati, essendo assimilata alla nave priva di nazionalità (art. 92 c. 2 UNCLOS).

navi italiane che si trovino in alto mare sono considerate come territorio italiano.

L’art. 95 UNCLOS, invece, individua un’immunità assoluta per le navi da guerra che si trovino in alto mare (così sottoposte alla esclusiva giurisdizione dello Stato della bandiera)10. Tali navi possono, però, es-

sere investite di speciali poteri, connessi al c.d. diritto di visita, che con- travvengono al normale divieto di ingerenza; il successivo art. 110 di- spone, infatti, che se una nave da guerra incrocia ‒ in alto mare ‒ una nave straniera non avente diritto alla completa immunità a norma degli articoli 95 e 96 può legittimamente abbordarla qualora: la nave sia im- pegnata in atti di pirateria, nella tratta degli schiavi, in trasmissioni abu- sive, oppure se la nave sia priva di nazionalità o se, pur battendo una bandiera straniera o rifiutando di esibire la sua bandiera, abbia in effetti la stessa nazionalità della nave da guerra.

A tal proposito l’art. 200 cod. nav., rubricato «Polizia esercitata dal-

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